Societario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 05/02/2019 Scarica PDF

Il ritorno dell'articolo 2409 c.c. nelle s.r.l.

Angelo Bonetta, Avvocato in Milano - Partner BonelliErede


La denunzia al tribunale quale forma di tutela più immediata e meno costosa per il socio di minoranza contrapposto al blocco di maggioranza

 


Sommario: 1. Le armi spuntate del socio di minoranza della s.r.l.. - 2. Le novità nel Codice della crisi d’impresa e nel Codice del Terzo settore - 3. I possibili risvolti pratici.

 


1. L’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza sembra destinata a produrre importanti ricadute anche nella dialettica interna fra i soci delle società a responsabilità limitata.

La riforma del diritto societario del 2003 aveva riconfigurato questo tipo di società facendola uscire dall’ombra del modello della s.p.a., che sino ad allora era apparsa come la sorella maggiore. Le regole della s.r.l. cessavano - almeno in linea di principio - di essere ricavate per derivazione e acquisivano autonoma dignità e peculiarità. E proprio la nuova flessibilità del modello della s.r.l. ne ha favorito la notevole diffusione anche per gestire iniziative economiche e imprese di ingenti dimensioni.

Peraltro, per scelta legislativa vennero limitati alla sola s.p.a. i rimedi previsti dall’art. 2409 c.c. che consentono al tribunale, in caso di gravi irregolarità gestorie, di disporre un’ispezione amministrativa della società tramite un consulente d’ufficio e, eventualmente anche come conseguenza dell’esito dell’ispezione, di revocare l’organo gestorio e nominare di un amministratore giudiziario.

Nella prospettiva del legislatore del 2003, l’eliminazione dei rimedi ex art. 2409 c.c. veniva bilanciata attribuendo a qualunque socio della s.r.l. sia il diritto di chiedere informazioni sulla gestione e di condurre ispezioni (art. 2476, co. 2, c.c.), sia di promuovere direttamente l’azione sociale di responsabilità (art. 2475, co. 3, c.c.) con successivo diritto, in caso di vittoria, di essere rimborsato dalla società dei relativi costi (art. 2476, co. 4, c.p.c.).

Tuttavia, chiunque abbia vissuto l’esperienza di assistere il socio di minoranza in un’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. si è scontrato con i problemi costituiti: dai notevoli costi da anticipare per l’indagine e il giudizio, soprattutto se lo statuto compromette in arbitrato la lite; dalla difficoltà di ricostruire i fatti ed acquisire le prove stando fuori dalla stanza dei bottoni; dalla durata del giudizio e dalla tardività degli effetti (qualche anno almeno); dall’amara constatazione che l’art. 2476 c.c. non consente al giudice di nominare un amministratore indipendente in via provvisoria, quindi la revoca di un amministratore infedele, o troppo fedele al solo socio di maggioranza, non priva affatto il blocco di maggioranza di rinominare un organo gestorio compiacente e magari semplicemente più accorto nel non esporsi in maniera compromettente come il predecessore. E certo non aiuta il diritto di ispezione quando non vi sia più nulla da tutelare, perché l’equilibrio economico è gravemente compromesso, e gli amministratori sono (almeno all’apparenza) nullatenenti.

Pur muovendo da altre premesse, il legislatore della riforma concorsuale che sta per entrare in vigore finisce per riconoscere che gli attuali rimedi dell’art. 2476 c.c. sono insufficienti. La prassi ha ampiamente dimostrato che l’iniziativa del socio di minoranza della s.r.l. è di regola tardiva e spesso frustrata dall’egemonia del socio di maggioranza il quale, al più, accetta il fastidio di comprarsi a prezzo di saldo la quota sociale dell’oppositore interno per liberarsene. Il risultato è anche una tardiva emersione delle crisi con buona pace dei terzi.

 

2. È a tutela di quei terzi che sembra principalmente voluto il ritorno dei rimedi dell’art. 2409 c.c. anche nella s.r.l. (peraltro in continuità con un tentativo di applicazione in via interpretativa già condotto dal Tribunale di Milano, ma respinto dalla Suprema Corte - cfr. Cass. 13.1.2010 n. 403). Almeno così lascia supporre la scelta legislativa, adottata appunto nel quadro di una radicale rivisitazione delle procedure concorsuali, proprio per anticipare le situazioni di crisi irreversibile dell’imprenditore.

È peraltro suggestivo rilevare come, quasi contemporaneamente, anche il Codice del Terzo Settore abbia introdotto i rimedi dell’art. 2409 c.c., in maniera del tutto innovativa, per le organizzazioni non lucrative, riconosciute e non riconosciute, non necessariamente gerenti un’attività d’impresa (art. 29, D.Lgs. 117/2017). La scelta è intimamente legata all’estensione agli amministratori del Terzo Settore - per la prima volta esplicita - degli obblighi e del modello di responsabilità previsti per gli amministratori delle società di capitali (art. 28, D. Lgs. 117/2017; ne sono esclusi gli enti religiosi civilmente riconosciuti, probabilmente perché, nella concezione del legislatore, in caso di dissipazione del patrimonio i loro amministratori sono direttamente esposti alla ben più severa punizione divina). Ad ogni modo, la procedura ex art. 2409 c.c. sembra concepita dal Codice del Terzo Settore come un baluardo dell’obbligo di democraticità interna e di trasparenza degli enti non profit che svolgano “attività di interesse generale” (art. 5, D.Lgs. 117/2017).

 

3. Ne possono derivare due spunti di riflessione. Quanto ad un primo aspetto più teorico, ci si potrebbe interrogare se l’art. 2409 c.c. continui a tutelare interessi esclusivamente privatistici, come da ultimo ha ritenuto l’orientamento nettamente prevalente, oppure tuteli un concorso di interessi privatistici endo-societari (corretta gestione e conservazione del patrimonio sociale) e di rinnovati interessi pubblicistici (conservazione dell’equilibrio patrimoniale per evitare ricadute negative sistematiche sul mercato o, quanto meno, sui suoi operatori che interagiscono con l’imprenditore in crisi). In sostanza, il legislatore vuole scongiurare il rischio dell’avvio di procedure concorsuali, per gli effetti perniciosi che esse comportano, e a tal fine modifica anche l’art. 2086 c.c. imponendo di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”. La violazione del nuovo art. 2086 c.c. integrerà una delle gravi irregolarità contemplate dall’art. 2049 c.c.? L’enfasi riservata dal legislatore lascia propendere per la risposta affermativa, diversamente verrebbe vanificata l’intera logica di incentivare l’emersione anticipata delle crisi dell’impresa.

Quanto ad un secondo aspetto più pratico, non è affatto marginale rammentare che ai rimedi dell’art. 2409 c.c. si accede con un procedimento camerale di volontaria giurisdizione a contenuto para-cautelare (illuminante resta l’orientamento di Trib. Milano 26.10.2016 che sposa anche la tesi dell’immediata esecutorietà del decreto). Rispetto alle azioni di revoca dell’organo gestorio, di responsabilità ex art. 2476 c.c. o di impugnazione dei bilanci, la procedura ex art. 2409 c.c. si connota dunque per una maggiore immediatezza, per i costi più contenuti, per l’ampia possibilità d’iniziativa del giudice anche sul piano istruttorio (basti pensare alla facoltà di nominare l’ispettore che di fatto anticipa la CTU) e, soprattutto, per i più blandi presupposi di ammissibilità e di accoglimento: non serve fornire la prova tipica del giudizio di cognizione, ma basta corroborare un fondato sospetto perché si attivi un intervento officioso quanto meno volto all’ispezione. Anzi, proprio l’interpretazione che si volesse adottare a livello teorico sulla natura degli interessi tutelati dal 2409 c.c. potrebbe condurre ad una più estesa applicazione dell’istituto: ove si ritornasse a pensare che la denunzia tuteli un (almeno concorrente) interesse pubblicistico, sarebbe possibile attendersi iniziative ex officio del tribunale anche per sanare lacune e carenze dell’istanza dell’attore. Già la stessa ispezione sulla gestione a spese della società potrebbe apparire un mezzo poco afflittivo - un po’ come l’accertamento tecnico preventivo - ed essere concesso con generosità, anche con uno sguardo a possibili effetti deflattivi del contenzioso. Senza entrare nel merito della correttezza di tale sviluppo e per restare sul piano pratico: è evidente come un simile art. 2409 c.c. consentirebbe anche di eludere le maglie di eventuali clausole arbitrali, spesso tali da disincentivare o almeno non incentivate le azioni dei soci di minoranza.

Sarà dunque interessante constatare come gli avvocati utilizzeranno il rimedio e quali risposte daranno i giudici in un rito che, come noto, non ha sbocco in Cassazione, perché si conclude con l’eventuale reclamo in Corte d’appello (altra aporia di un sistema processuale che consente accessi tendenzialmente generalizzati alle cause di cognizione e non consente alla Suprema Corte interventi nomofilattici in aree ben più delicate). Non è difficile attendersi, allora, anche applicazioni diverse, almeno nei primi tempi, ed è ben possibile che proprio le controversie fra soci delle s.r.l. trovino - paradossalmente - un più frequente sbocco nel ricorso ex art. 2409 c.c. sebbene esso sia concepito come procedimento di volontaria giurisdizione, quindi apparentemente non contenzioso e con un arbitro-giudice molto presente ed attivo.


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