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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 27/06/2020 Scarica PDF
Analisi sugli artt. 51-52 c.p.c. come strumenti per combattere la corruzione nei concorsi per l'accesso alla carriera universitaria. Maglie troppo larghe in sede di interpretazione e di applicazione?
Irene Coppola, Dottore di ricerca in Scienze Giuridiche e Professore incaricato nella Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, Università degli Studi di SalernoAnalysis
on articles 51 and 52 of the code of civil procedure as tools to combat
corruption in university career entry competitions. Too wide meshes when interpreting and applying?
SOMMARIO: 1. Inquadramento della fattispecie; 2. Dalla corruzione negli uffici
giudiziari a quella nella pubblica amministrazione: dagli appalti pubblici
all'università.; 3. La (inn)neutralità della Commissione di valutazione; 4. La
singolare complessità della semplicità interpretativa nell'applicazione del
binomio normativo; 5. Osservazioni conclusive
ABSTRACT:
Questo scritto parte dalla premessa che la corruzione consiste in un fenomeno
di mal costume radicato nel consorzio sociale e tristemente presente a tutti i
livelli di amministrazione ed arriva alla conclusione, attraverso una indagine
esegetica ed applicativa dell'articolato normativo esistente, che essa non può
essere combattuta, per essere sconfitta, con interpretazioni ampie e poco
conferenti allo spirito formale e sostanziale degli artt. 51 e 52 cpc.. In
ambito universitario è necessaria una applicazione rigorosa delle norme citate,
non essendo possibile consentire l'ingresso in Commissione di un Componente che
in qualsiasi modo appaia contaminato con il candidato incidendo sulla
neutralità e sulla veridicità della selezione. In definitiva gli strumenti ci
sono, ma non possono essere suscettivi di interpretazioni a maglie larghe nel
delicato momento applicativo.
This paper
starts from the premise that corruption consists of a phenomenon of bad habit
rooted in the social consortium and sadly present at all levels of
administration and comes to the conclusion, through an exegetical and
application investigation of the existing regulatory article, which it cannot
be fought, to be defeated, with broad interpretations and little conferring on
the formal and substantial spirit of the articles. 51 and 52 of the Code of
Civil Procedure. In the university context, a rigorous application of the
aforementioned rules is necessary since it is not possible to allow the entry
into the Commission of a Member who in any way appears contaminated with the
candidate, affecting the neutrality and truthfulness of the selection. Ultimately
the tools are there, but they cannot be susceptible to wide-meshed
interpretations in the delicate application moment.
1. Inquadramento della fattispecie
Profilo altamente interessante, tra gli altri che non sono oggetto di questa
sintetica considerazione investigativa, è la composizione neutrale o meno,
imparziale o meno, super partes o meno, delle Commissioni e chiaramente dei
Componenti delle stesse, nell'accesso alla carriera universitaria, a partire
dal gradino dell'incarico universitario di ricercatore di tipo A).
Diverse ed ulteriori valutazioni ci si riserva di esporre magari nella stesura
di un altro scritto futuro in ordine allo studio di questo delicatissimo tema.
La legge Gelmini n. 240 del 2010 è stata introdotta, forse, con lo spirito di
apportare qualcosa di nuovo e di fresco nell'accesso alla carriera
universitaria, con l'intento di sottrarre il settore a meccanismi di nepotismo
clientelare.[1]
In effetti, pur essendo stati introdotti dei criteri di valutazione nazionali
per l'accesso al ruolo di ricercatore, così come quello per il conseguimento
dell'abilitazione alla prima ed alla seconda fascia della docenza
universitaria, il tutto sembra essere rimesso, ancora una volta, all'esame
valutativo di una Commissione composta da esseri umani e, pertanto, limitata.
Il fallimento dei giudizi in ambito universitario è constatato ed è
constatabile dal noto numero dei ricorsi introdotti innanzi ai TAR ed al
Consiglio di Stato che induce, quantomeno, a qualche riflessione sulla scarsa
soddisfazione del metodo.
Tale circostanza imporrebbe un intervento immediato in un Paese definito per
antonomasia Stato di diritto e, conseguentemente, Stato garantista - non solo
dei più alti valori umani, ma anche del valore assoluto al diritto ad una
valutazione neutra- perché, evidentemente, c'è qualcosa che non funziona in
merito allo svolgimento dell'attività valutativa, sovente gestita e governata
da stime apodittiche e senza alcuna esaustiva e specifica motivazione,
certamente non sempre inclusive di una ampia gamma di seri studiosi.
Sarebbe preferibile introdurre, sempre e comunque, una sorta di valutazione di
tipo informatico che rendesse i risultati scientifici calcolabili con
coefficienti numerici poco gestibili dagli esseri umani.
Ritornando al tema di indagine e, quindi, all'accesso ai concorsi universitari,
occorre soffermare l'attenzione sulla composizione della Commissione addetta a
valutare i candidati.
2. Dalla corruzione negli uffici giudiziari a quella nella pubblica
amministrazione: dagli appalti pubblici all'università.
Andando più puntualmente nel dettaglio, occorre rendere noti alcuni spunti
circa gli artt. 51 e 52 c.p.c.[2]
Questi articoli sono richiamati, più volte, dal sistema normativo contro la
corruzione nella Pubblica Amministrazione, in ogni settore di appartenenza; ed,
in particolare, essi vanno applicati nell'ipotesi della corruzione
universitaria al momento del reclutamento di nuove energie.
La corruzione, infatti, va studiata ed esaminata in tutti gli ambiti
amministrativi pubblici e non solo: la corruzione negli appalti pubblici è nota
e combattuta per essersi radicata così tanto nel tessuto sociale, ma va
combattuta anche la corruzione in altre sedi, non da ultima, quella che sia
annida in ambito di amministrazione delle formazione accademica pubblica e,
dunque, universitaria.[3]
Prima di entrare nello specifico degli articolati normativi, interessante
sarebbe precisare il concetto stesso di corruzione.
Quando si parla di corruzione in ambito universitario, non è possibile non
riferirsi a tutte le ipotesi in cui un professore corrompe, attraverso rapporti
di amicizia, di frequentazione o di docenza, l'accesso libero, a tutti gli
studiosi, alla carriera universitaria.
Non è compito semplice portare avanti uno studio in tal senso forse perché,
spesso e volentieri, ci si imbatte in questioni anche di mero carattere
terminologico o formale per sottacerne il respiro politico.
Il sostantivo corruzione deriva dal latino corruptio -onis, derivante dal verbo
di corrump?re "corrompere", part. pass. corruptus (rovinare,
distruggere, indebolire).
Tutte le volte in cui l'essere umano contamina un ambiente, una cosa, una
attività, indebolisce il sistema e i crea corruzione.[4]
Corrompere, in definitiva, nella pratica più comune, finisce con l'avere
assunto il significato di "sporcare", comprimere
"accerchiare" una attività, una persona o una res, distruggendo il
sistema della parità e quello del merito.[5]
Se si parte dal sinonimo di corrompere, inteso come" indebolire", la
corruzione indebolisce non solo il meccanismo di reclutamento, ma anche e
soprattutto, il soggetto virtuoso e finisce con l'annientare la neutralità
meritocratica della selezione, violando la regola dell'uguaglianza e quella
dello stesso concorso, inteso come selezione alla pari in osservanza al
principio costituzionale di uguaglianza.[6]
Nel caso di concorso universitario, dunque, la corruzione si esprime tutte le
volte in cui il meccanismo selettivo non si svolge liberamente.
L'avverbio "liberamente" si espande a tutti i casi in cui vi è una
contaminazione (di qualunque tipo) tra candidato e Commissione o, più
precisamente, tra candidato e Commissario o Commissari della Commissione
nominata per la valutazione.[7]
In altre parole, ogni qualvolta il giudizio valutativo non riesce ad essere
ancorato a dati e criteri meramente oggettivi, esso si contamina con il
soggettivo e si esprime in corruzione.[8]
Trattasi, in verità, di questione molto delicata e profonda.
Il concorso, infatti, è un meccanismo di selezione neutro e super partes,
finalizzato alla scelta del migliore tra i candidati, ma la corruzione può
avere inizio ancor prima dell'espletamento de concorso nel discrimine tra
candidato interno e candidato esterno.
Tale questione sarebbe in parte favorita da una disciplina che, devolvendo agli
stessi atenei la diretta gestione delle singole procedure selettive,
consentirebbe la formazione di vere e proprie "cordate " nel
procedimento di nomina delle commissioni e, dunque, un "controllo"
(più o meno sostanziale, a seconda dei casi) sui concorsi, con l'imbarazzo di
valori costituzionalmente protetti, dell'imparzialità e del buon andamento
della Pubblica Amministrazione[9].
Ed è in questo contesto che occorre verificare, come di seguito sarà fatto,
l'operatività degli artt. 50 e 51 cpc..[10]
3. La (in)neutralità della Commissione di valutazione
Non vi è una norma ad hoc che disciplini o sanzioni in modo specifico la
corruzione universitaria.
Nella non semplice ricostruzione del quadro normativo, per consentire un focus
sull'ambito del problema, il regolamento per la disciplina di selezioni
pubbliche per l'assunzione di ricercatori a tempo determinato ai sensi
dell'art. 24 della legge 240/10, emanato con D.R. n. 439 del 10/06/2011 e
modificato con D.R. n. 187 del 17/04/2012, D.R. n. 27 del 17/01/2013, D.R. n.
13 del 07/01/2014, D.R. n. 136 del 13/02/2015, D.R. n. 144 del 22/02/2017, D.R.
n. 709 del 27/07/2018, D.R. n. 1053 del 03/12/2018 e DR 829 del 30/07/2019
(modifiche entrate in vigore il 31/07/2019) all'art. 7, rubricato Commissione
giudicatrice , statuisce che la Commissione è proposta con delibera del
Consiglio di Dipartimento e nominata con decreto rettorale.[11]
Si afferma, anche, che i componenti della Commissione non possono essere stati
relatori/o tutor di tesi di dottorato dei candidati; in particolare, nelle
dichiarazioni sull'insussistenza di conflitto di interesse rese dai commissari
devono essere esplicitati gli eventuali rapporti intercorsi o in essere fra
componenti e candidati.
Da subito emerge che la nomina della Commissione, operata direttamente con
decreto Rettorale, lascia spazio ad ampi profili di criticità.
Tale situazione implica una rete di relazioni personali che andrebbe evitata
sul nascere, dovendo rimettere la vacanza dei posti e la messa a concorso con
la relativa nomina della Commissione di valutazione, esclusivamente al
Ministero per la ricerca e l'Università, scollando così un sistema di nomina
localizzata che, per sua natura, richiama profili di dubbia neutralità per i
mille rapporti che vengono intessuti in ambito territoriale nei vari Atenei.
Ed è proprio questa rete che andrebbe sfrangiata.
Senza dubbio, di rilievo appare la regola che vieta al tutor della tesi di
dottorato di comporre la Commissione di valutazione in sede di selezione per
l'accesso ai vari gradini della carriera universitaria.
Ma, altrettanto vero è che non sembra esserci sanzione ad hoc, se si considera
che il controllo avviene attraverso l'introduzione di una dichiarazione di
incompatibilità di contenuto ampiamente vago.[12]
In altre parole, se da un lato è fatto divieto assoluto al tutor della tesi di
dottorato di partecipare ad una seduta valutativa del candidato noto,
evidentemente per evitare rapporti tali da rendere parziale la procedura
concorsuale, dall'altra viene introdotta solo una misura non dotata di forte
efficienza, in quanto consistente in una mera dichiarazione volta ad
esplicitare i rapporti tra commissari e tra commissari e candidati, anche se si
appalesa certamente perseguibile penalmente, in casi di dichiarazioni mendaci
(non è detto che ciò accada perché necessita di una denuncia, imput non sempre
azionato).
In altri termini, se il divieto trova piena cittadinanza nell'ordinamento e
rappresenta una forma di garanzia per la neutralità e la corretta espressione
della procedura di selezione, la dichiarazione sembra avere un ingresso opaco e
confuso nel sistema selettivo.
In definitiva, giova ripetere, che non potrebbe essere scriminato e, dunque,
accettato il Commissario che, nonostante la sussistenza di rapporti con il
candidato- che rappresenti l'essersi corruptus nell'accezione romanistica del
termine e, conseguentemente, l'essere contaminato - possa continuare a
permanere in Commissione,per il semplice fatto di avere reso una dichiarazione
sul punto.
Rendere manifesti i rapporti dovrebbe essere una causa di esclusione, non di
inclusione.
Consegue che, la sussistenza di rapporti (di qualsiasi natura ed in
qualsivoglia intervallo temporale) tra Commissario e candidato, rende parziale
la procedura concorsuale in aperta violazione dell'art. 97 della Carta
Costituzionale ed in dispregio del giusto principio della par condicio e del
buon andamento attività amministrativa imparziale e trasparente. [13]
Questo è il puntum dolens della tematica.
Senza voler sottacere che la richiamata dichiarazione "scriminante"
non sembra essere nemmeno compatibile (anzi di certo non lo è) con l'articolato
normativo di cui agli artt. 51 e 52 c.p.c.. [14]
Ed infatti sembra esserci una scarsa corrispondenza tra gli artt. 51 e 52 cpc
ed il contenuto assertivo di una dichiarazione utilizzata (ma non utilizzabile)
per (tentare di ) giustificare ingiustificabili ipotesi corruttive.
Basterebbe, esclusivamente, una efficiente e letterale applicazione dei
succitati articoli del codice di procedura civile per evitare che la
Commissione venga composta da componenti corrotti, intesi come soggetti
contaminati con i candidati o con un candidato.
Tale esigenza è dettata dal rispetto dell'art. 97 Costituzione che ha scelto
ancora oggi il meccanismo del concorso per garantire pari opportunità a tutti i
concorrenti.
4. La singolare complessità della semplicità interpretativa nell'applicazione
del binomio normativo
Il microsistema costituito dagli artt. 50 e 52 c.p.c. nasce per far fronte ad
ipotesi di corruzione in sede all'amministrazione giudiziaria e di qui
applicati alle altre aree della amministrazione pubblica, grazie anche al
richiamo decisivo nel codice degli appalti pubblici.
Il problema nasce dalla applicazione delle suddette norme e da come vengono
manipolate ed adattate a fattispecie concrete nella scelta tra l'art. 51 cpc e
l'art. 52 cpc.[15]
La normativa generale in materia di procedure concorsuali (D.P.R. 9 maggio
1994, n. 487), recante le norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche
amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi), dispone
testualmente all'art. 11 che i componenti della commissione "presa visione
dell'elenco dei partecipanti, sottoscrivono la dichiarazione che non sussistono
situazioni di incompatibilità tra essi ed i concorrenti, ai sensi degli
articoli 51 e 52 del codice di procedura civile".[16]
Segnatamente, l'articolo 51 c.p.c. sancisce che il giudice (o il commissario di
concorso) ha l'obbligo di astenersi in ipotesi tassative che racchiudono, in
buona sostanza, tutte le volte in cui ci si trova in rapporto con l'oggetto
della causa oppure con le parti, tali da rendere incompatibile l'esercizio
della sua attività.[17]
Con formula di chiusura, dopo aver individuato le ipotesi obbligatorie di
astensione, lo stesso art. 51 c.p.c. stabilisce, infine, che, in ogni altro
caso in cui esistano "gravi ragioni di convenienza", il giudice (o il
commissario di un concorso o di una gara o di altro) ha facoltà di richiedere
al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi, rimettendo quindi, in capo
allo stesso soggetto, la valutazione in ordine a quelle gravità.
Se il giudice o il commissario non dovesse astenersi, quando è obbligato a
farlo, allora si ha l'istituto della ricusazione.[18]
La norma, dunque, impone al giudice (e/o al commissario) di astenersi quando ha
con la parte (candidato) contatti e rapporti frequenti e intensi tali da
pregiudicare l'imparzialità e la serenità di giudizio.
L'entrata in vigore della legge n. 190/2012 (legge anticorruzione) ha
introdotto l'articolo 6 bis alla legge 241/1990, sul procedimento
amministrativo, imponendo a tutti i soggetti che a qualunque titolo
intervengono nel procedimento amministrativo (formulando pareri, valutazioni
tecniche, atti endoprocedimentali o adottando il provvedimento finale) di
astenersi "in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione
di conflitto, anche potenziale".
Tale norma riguarda non solo chi è chiamato ad espletare compiti di natura
gestionale, ma è applicabile anche alle commissioni giudicatrici nei concorsi
pubblici, le quali debbono garantire, anch'esse nella loro composizione,
"trasparenza, obiettività e terzietà di giudizio", principi
irrinunciabili, a tutela della parità di trattamento fra i diversi aspiranti ad
un posto pubblico.
In altre parole, la posizione rivestita dal valutatore del concorso deve essere
di terzietà rispetto ai concorrenti e non di mera imparzialità ed il principio
di "astensione", deve essere applicato tutte le volte che possa
manifestarsi un "sospetto", consistente, di violazione dei principi
di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento.[19]
La citata norma, contenente la tanto discussa locuzione "conflitto di
interessi anche potenziale", è stata ripresa dal legislatore del codice
degli appalti pubblici all'art. 42 D. Lgs n. 50 del 2016 che modifica la
locuzione conflitto di interessi anche potenziale ed introduce la locuzione
semplice conflitto di interesse.[20]
A differenza della disciplina generale contenuta nella legge n. 190/2012 - il
codice dei contratti pubblici contiene una nozione generale (secondo il
Consiglio di Stato pseudo-definizione) di conflitto di interessi, posto che
l'articolo 42, al secondo comma, stabilisce che esso ricorre "quando il
personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche
per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della
procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può
influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o
indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale
che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza
nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare,
costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano
l'obbligo di astensione previste dall'articolo 7 del decreto del Presidente
della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62." (art. 42, comma 2, d.lgs. n.
50/2016 che riprende pedissequamente l'art. 24 della direttiva n. 24/2014).
Il citato D.P.R. 62 del 2013 prevede, quindi, una serie di ipotesi tipizzate di
conflitti di interessi, oltre ad un rimando generale alle ipotesi di gravi
ragioni di convenienza.
Nella ricostruzione del Consiglio di Stato, pertanto, esistono ipotesi di
conflitto di interesse tipiche e atipiche.
I casi tipici di conflitto di interesse esistono laddove il legislatore ha già
individuato presupposti e condizioni utili al riguardo. Il conflitto di
interessi sussiste con riferimento a rapporti di coniugio o convivenza;
rapporti di parentela o affinità entro il secondo grado; rapporti di frequentazione
abituale; pendenza di una causa o di grave inimicizia; rapporti di credito o
debito significativi; rapporti di tutorato, curatela, rappresentanza o agenzia;
rapporti di amministrazione, dirigenza o gestione di associazioni anche non
riconosciute, comitati, società o stabilimenti (cfr. art. 7 del d.P.R. 16
aprile 2013, n. 62). A questi casi vanno aggiunte tutte quelle situazioni non
tipizzate, a sua volta di due tipi. La prima si verifica ove il soggetto abbia
"direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o
altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua
imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di
concessione". La seconda si riferisce alle "gravi ragioni di
convenienza" di cui al d.P.R. n. 62 del 2013. Il tutto sulla falsariga
della disciplina processualistica.
Sono proprio queste due ipotesi quelle più problematiche, che secondo il
Consiglio di Stato, sez. cons., atti norm. 5 marzo 2019, n. 667 dovrebbero
essere meglio attenzionate dall'ANAC. In particolare le "gravi ragioni di
convenienza" e le situazioni di "potenziale conflitto", come
anche l'espressione "interesse finanziario, economico o altro interesse
personale" necessitano di illustrazione, anche esemplificativa, per
fungere da "guida", anche se non vincolante, alle stazioni appaltanti
(e , per riflesso, a tutte le altre ipotesi di corrutela).
Si legge nel parere consiliare che le lacune dovute all'indeterminatezza delle
situazioni che possono generare situazioni di conflitto di interessi non
espressamente tipizzate, devono essere colmate mediante un esame teleologico,
che tenda ad indagare se effettivamente, nel caso concreto, l'imparzialità ed
il buon andamento dell'azione amministrativa della stazione appaltante siano,
messi in pericolo e contestualmente percepite come minaccia alla imparzialità
ed indipendenza.[21]
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 178 dell'8 gennaio 2019, si è occupato
della questione inerente ai conflitti di interesse tra membri della commissione
di un concorso e partecipanti. Il Consiglio, partendo dall'esame dell'art. 11
del d.p.r. n. 487 del 1994, recante "Adempimenti della commissione",
si è focalizzato sul fatto che i componenti di questa, prima dell'inizio delle
prove, presa visione dell'elenco dei partecipanti, sottoscrivono la
dichiarazione che non sussistono situazioni di incompatibilità tra essi ed i
concorrenti, ai sensi degli artt. 51 e 52 c.p.c. In buona sostanza, secondo i
Giudici amministrativi i membri della commissione sono tenuti ad astenersi
qualora ricorra uno dei casi di conflitto di interesse di cui all'art. 51
c.p.c. Il Consiglio di Stato, tuttavia, non si limita all'esame di questa
norma, ma va oltre. Infatti, esso afferma che le situazioni di incompatibilità,
attualmente, hanno una portata più ampia rispetto alla disposizione appena
citata. E ciò grazie all'art. 6 bis della Legge n. 241/1990, introdotto
dall'art. 1, comma 41, della Legge n. 190/2012 (legge anticorruzione).
Questa posizione del Consiglio di Stato è assolutamente chiara e va condivisa:
in nuce vanno evitate tutte le situazioni che possono inficiare l'imparzialità
e la neutralità della procedura concorsuale e tutte le indicazioni, come
l'intero articolato normativo, hanno come scopo precipuo, in sede esegetica
applicativa, questo obiettivo.
Sembra, però, che tale assioma non abbia trovato una collocazione altrettanto
semplice e chiara all'interno delle selezioni per l'accesso alla carriera
universitaria.
Difatti, il piano contro la corruzione - di manifesta matrice etica, adottato
delle singole Pubbliche Amministrazioni e, quindi, anche dalla amministrazione
universitaria - sorto per garantire imparzialità alle stesse selezioni
universitarie, si traduce nell'obbligo di dichiarare i rapporti esistenti (se
esistenti) tra Commissari e tra Commissari e candidati per rendere trasparente
la procedura.[22]
Il punto è: questa pratica può configurarsi come sufficiente per affrontare e
risolvere il dibattuto problema?
Allo stato dell'arte la dichiarazione viene resa e sottoscritta in modello
predisposti del tipo: ai sensi degli artt .51 e 52 cpc si dichiara di non avere
comunione di interessi economici o di vita tra il sottoscritto ed i concorrenti
di particolare intensità, caratterizzato da sistematicità, stabilità,
continuità, tale da dar luogo ad un proprio sodalizio professionale.
Nella sua laconicità non sembra essere metodo anti corruzione efficiente; in
realtà non dovrebbe proprio configurarsi una sorta di liberatoria di
responsabilità quando, comunque ed in ogni caso, vi sono dubbi di imparzialità,
a prescindere dal tipo o non tipo di rapporto e sodalizio tra le parti
interessate.
Il problema più delicato è rappresentato proprio dall'evidente e palese
criticità di questo atto dichiarativa che se da una parte richiama gli
articolati normativi di cui agli artt. 51 e 52 cpc , dall'altra, al contempo,
ne svuota la sostanza traghettando in una dichiarazione di assenza di
incompatibilità, per non esserci tra i partecipanti e i valutatori comunioni di
interessi o di vita di particolare intensità e per non avere sodalizi
professionali ossia di non essere intercorrenti rapporti patrimoniali.
Ma, a parte le considerazioni prima svolte, come si spiega allora, in tal caso,
il comma n. 4 dell'art. 51 c.p.c.?
Come va inteso tale precetto?
Vi è obbligo di astensione per chi ha dato consiglio o prestato patrocinio
nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come
magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato
assistenza come consulente tecnico.
Ne ha avuto conoscenza: è questo il paletto che comporta obbligo di astensione
per il Commissario che, in un modo o nell'altro (e non è rilevante in che modo
e quando), si è contaminato con una documentata conoscenza della pratica,
ovvero, più precisamente, attraverso una conoscenza con il candidato
partecipante al concorso.
La dichiarazione scomodata per " esplicitare" sembra piuttosto avere
un contenuto integrativo fine a se stesso ed intende precisare, senza
particolari effetti positivi sul caso di specie, l'insussistenza di rapporti
stabili e sodalizi economici; ma perché complicare le cose senza che vi sia
alcun risultato proficuo?
In altre parole, la corruzione è in re ipsa, atteso che basta l'aver conosciuto
per inficiare la neutralità della selezione, ed è solo la radicalità della
soluzione che può effettivamente produrre effetti positivi per eradicare il
triste fenomeno.
Ergo, il Commissario corrotto è chi appare, in qualsiasi modo, contaminato, con
il candidato.
Il tipo di rapporti, di relazione, se o meno intensa, se a contenuto
patrimoniale o meno, se professionale o di altro tipo, non sembra rappresentare
una differenza che possa intervenire a rendere lecita o illecita la
partecipazione del Commissario.
In definitiva la stessa dichiarazione è illecitamente inammissibile, giacché
rappresenta il vulnus della procedura, incompatibile con il chiaro dettato
normativo; essa non è una scriminante quanto, piuttosto, un'aperta confessio di
incompatibilità.
Né può trascurarsi che, in effetti, non sono remote smanie interpretative a
maglie allargate in cui infilare o non infilare situazioni svariate ed
eterogenee per cercare di giustificare una condotta.
Nello specifico di questo studio, non occorre una interpretazione particolarmente
cervellotica perché l'art. 51 comma 4 è stato scritto e formulato in piena
lucidità da un legislatore attento ed efficace.
Ed è proprio la sua chiarezza a rendere tale norma efficiente ed applicabile
immediatamente senza altri orpelli che possano tradursi in inutili trappole
lessicali, atte a svuotare la sostanza dell'articolato.
Del resto tale lucida impostazione appare assolutamente compatibile con
l'assetto Costituzionale che mira ad una azione amministrativa governata da
trasparenza e uguaglianza.
Giova ripetere che la par condicio dei concorrenti e la neutralità della
selezione imparziale può aversi soltanto con la radicale esclusione dai
componenti della Commissione di soggetti in qualche modo corrotti con i
candidati e, quindi, in qualsiasi modo (collaborazioni, tutorati, pratiche,
tirocini, tesi, esami) venuti in contatto con gli stessi.
I rapporti parentali e relazionali rientrano nella ovvietà della esclusione.
Nemmeno può sottacersi che, in ogni caso, le gravi ragioni di convenienza, pur
stando al di fuori di ipotesi tassative, servono ad imprimere alla norma un
ulteriore carattere di severità e di serietà.
La stessa serietà che ha l'obbligo di mostrare chi, per qualche ragione di
grave convenienza, non è in grado di assolvere e ricoprire un ruolo di
imparzialità negli accessi universitari.
Il solo sospetto rende inficiata la neutralità del concorso e bisogna ritornare
allora alla nota giurisprudenza del Consiglio di Stato ed ai suoi criteri
sintomatici.[23]
Come potrebbe chi ha avuto rapporti, anche se sporadici, di studio e
collaborazione anche professionali pur senza interesse economico, essere
umanamente imparziale nell'accezione richiesta per poter effettuare una
valutazione neutra in sede concorsuale?
Ed i Commissari sono esseri umani, non sistemi robotici.
5. Osservazioni conclusive
Dalla norma all'applicazione giurisprudenziale con i criteri sintomatici del
Consiglio di Stato per risolvere i problemi legati al pericolo della
valutazione parziale.
Alla fine occorre collegare anche più profili per stabilire, sempre e comunque
in concreto, la situazione non neutra in cui si sviluppa una procedura di
selezione.
Di certo, non si possono stabilire soluzioni valide per ogni caso, ma quello
che conta è aver messo almeno in discussione l'attendibilità della
dichiarazione di incompatibilità e la necessità di restituire all'art. 51 ,
comma n. 4 la propria forza; parimenti va restituito vigore alle ragioni di
grave convenienza che possono effettivamente ricomprendere ogni e qualunque
rapporto pregresso tra candidato e Commissario che, se operanti, non possono
che rappresentare un bel momento di rigore morale, paradigma di efficienza in
ambienti apicali e di espressione culturale ed accademico.
Come è evidente, la panacea per i mali che attanagliano la macchina (talora
assai barocca) dei pubblici concorsi, non può essere ricercata (solo) tra le
soluzioni giurisprudenziali. Ciò non toglie che i giudici, come spesso è
accaduto in diversi settori dell'ordinamento, abbiano svolto (e possano ancora
svolgere) un ruolo di avanguardia.
Certamente non si può prescindere dalla considerazione secondo cui come taluni
indirizzi consentano di avallare soluzioni ermeneutiche eccessivamente
formalistiche e poco idonee a tutelare il valore della terzietà delle
commissioni giudicatrici.
Traccia di simili posizioni può rinvenirsi, ad esempio, in quelle decisioni che
si sono espresse in maniera netta sulla irrilevanza, ai fini dell'obbligo di
astensione, dei rapporti di collaborazione intellettuale[24].
Quello che rileva (a parte il comma 1 sull''interesse) è dato proprio
dall'applicazione corretta ed ampia dell'art. 51, n. 4, nella parte in cui
prescrive l'obbligo di astensione per il giudice o il commissario che abbia
dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o abbia deposto in essa come
testimone, oppure ne abbia conosciuto come magistrato in altro grado del
processo o come arbitro o vi abbia prestato assistenza come consulente tecnico
.
Tale disposizione, infatti, sembra confermare (analogamente a quanto previsto
dagli artt. 34 e ss. c.p.p.) che la terzietà del giudice (e/o del commissario
di valutazione) discende, non solo dalla sua estraneità alle parti (sub art.
51, n. 2, 3, 5, c.p.c.), dalla sua indifferenza rispetto agli interessi coinvolti
(sub art. 51, n.1, c.p.c.), ma anche dalla sua oggettiva neutralità con
riguardo all'oggetto del giudizio: se ha già giudicato o dato assistenza o
addirittura prestato consiglio, etc., la legge presume che il giudice (o il
commissario) non sia più in grado di decidere obiettivamente.
Analoghi principi dovrebbero essere applicati al caso del commissario che sia
coautore delle opere prodotte dal candidato, ai fini della valutazione
comparativa, laddove il giudizio sulle pubblicazioni di ciascuno dei
partecipanti (e cioè sulla cosiddetta "produzione scientifica" degli
stessi) costituisce passaggio decisivo nelle prospettive di vittoria del
pubblico concorso.
[1] V. LANZA, F. DE SIMONE SORRENTINO, Manuale di legislazione universitaria,
Napoli, 2019, passim; A. ARCARI, G. GRASSO (a cura di), Ripensare l'Università.
Un contributo interdisciplinare sulla legge n. 240 del 2010, Milano, 2011,
passim.
[2] G.P. BALENA, Istituzione di diritto processuale civile, vol I, Bari, 2018,
149 e ss.; L. DITTRICH, Incompatibilità, astensione, ricusazione del giudice
civile, Padova, 1991, 45 e ss; M. C. GIORGETTI, L'incompatibilità del giudice
civile da precedente provvedimento decisorio, in Riv. dir. proc., 2000, 1197;
A. PANZAROLA, La ricusazione del giudice civile. Il problema della
impugnabilità della decisione, Bari, 2008, passim.
[3] G.M. ESPOSITO (a cura di), Codice dei Contratti Pubblici, Commentario di
Dottrina e Giurisprudenza, Torino, 2017, passim.; P. MANTINI, La
semplificazione dei nuovi appalti pubblici tra divieto di gold plating e copy
out. Relazione al 61° Convegno di Studi Amministrativi "La nuova
disciplina dei contratti pubblici, tra esigenze di semplificazione, rilancio
all'economia e contrasto alla corruzione" Varenna, 17,18 e 19.09.2015.
[4] F. PARADISO, La nuova normativa in materia di corruzione e concussione,
legge n. 190 del 6 novembre 2012, con prefazione del Procuratore Generale della
Corte di Appello di Roma Luigi Ciampoli, Roma, 2013, 10 e ss.
[5] R. CANTONE; Il sistema della prevenzione della corruzione, Torino, 2020,
passim; P. DAVIGO, G. MANNOZZI, La corruzione in Italia.Percezione sociale e
controllo penale,Bari- Roma, 2007; P. DAVIGO, Il sistema della corruzione,
Bari- Roma, 2019;
[6] G. BALBI, I delitti di corruzione. Un'indagine strutturale e sistematica.
Napoli, 2003.
[7] Se il Professore in Commissione è la stessa persona fisica che ha seguito
un candidato durante la sua formazione universitaria, o il relatore della tesi
di laurea, o il tutor del dottorato oppure chi ha condiviso progetti di lavoro
e ricerca, comitati scientifici di riviste, etc, allora egli non è candidabile
come Commissario di concorso per l'accesso ai vari gradi della carriera
universitaria, quando interessato è il suo "pupillo".
[8] La valutazione e l'accesso deve essere oggettivo, proprio perché solo i
dati oggettivi sono alieni dal corrumpere.
[9] Ex multis, Corte Costituzionale, 27 luglio 1993, n. 333.
[10] F. TIZI, Sull'effettività della garanzia dell'imparzialità del giudice,
con particolare riferimento alla ricusazione del giudice civile, in Giusto
proc. civ., 2011, 513; V. VARANO, Voce Responsabilità del Magistrato in Digesto
disc. priv., sez. civ. XVII, Torino, 1998.
[12] Ed a nulla vale dichiarare di non aver condiviso il 50% dei lavori o di
non avere rapporti di scambio economico. Se c'è un divieto non può proprio
configurarsi una situazione di incompatibilità. Rendere manifesti i rapporti
tra Candidato e Commissario, indicando in termini in misura percentuale di
eventuali collaborazioni o esplicitando assenze di contaminazioni economiche,
non vale ad escludere lo stesso divieto ed a scriminare il Commissario che, pur
versando in una situazione di conflitto, venga considerato super partes per il
solo fatto che ne abbia reso dichiarazione.
[13] F. ASTONE, A. BARONE, S. COGNETTI, A. CONTIERI, R. DAGOSTINO, C. GUACCI,
M. INTERLANDI, S. LICCIARDELLO, F. MANGANARO, D. MARRAMA, A. MEALE, R.
MONTEFUSCO; S. PERONGINI, F. SAITTA, F. TIGANO, S. VILLAMENA, Istituzioni di
diritto amministrativo, Torino, 2017, 4 e ss.; M. GALDI, Buon andamento,
imparzialità e discrezionalità amministrativa, Napoli, 1996 56 e ss; M.
D'ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo IV ED., Torino, 2019, 65 e ss;
[14] L. DITTRICHT (a cura di ), Diritto processuale civile, in Collana Omnia
Trattati Giuridici, Torino, 2019, 499 e ss; R. CAPONI, A., PROTO PISANI,
Lineamenti di diritto processuale civile., Napoli, 2001, passim; C. CONSOLO,
Spiegazioni di diritto processuale civile, Le tutele di merito, sommarie ed
esecutive)e il rapporto giuridico processuale, I,Torino, 2019, 607 e ss.; E.,T.
LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, Principi (a cura di ) V.
COLASANTI, E. MERLI, VIII ed., Milano, 2012, 224 e ss.; C. MANDRIOLI, A.
CARATTA, Diritto processuale civile,Nozioni introduttive e Disposizioni
generali, I, XXVIII ed. Torino; L. MONTESANO, F. DE SANTIS, G. ARIETA, Corso
base di Diritto processuale civile,VII ed., Padova, 2019, 219 e ss.;.S. SATTA,
C. PUNZI, Diritto processuale civile,in Manuali di Scienze Giuridiche ed. XIII,
Padova, 2000;A. PROTO PISANI, Lezioni di Diritto Processuale Civile, Napoli,
2012, passim.
[15] G. SCARSELLI, Terzietà del giudice e processo civile, in Foro it. 1996, I,
3616; M. SERIO, L'imparzialità del giudice come condizione del giusto processo
nell'esperienza comparatistica, in Giusto proc. civ. 2011, 1027; art. 51 c.p.c.
Astensione del giudice 1. Il giudice ha l'obbligo di astenersi: 1) se ha
interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2)
se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli
di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di
alcuno dei difensori; 3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave
inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi
difensori; 4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha
deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in
altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come
consulente tecnico; 5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno,
procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è
amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta,
di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa. 2.
In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può
richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi; quando
l'astensione riguarda il capo dell'ufficio, l'autorizzazione è chiesta al capo
dell'ufficio superiore.
[16] Al fine di garantire la par condicio nelle procedure concorsuali, i
commissari si devono astenere ogni qual volta sia ipotizzabile anche solo un
potenziale "conflitto di interessi"con uno dei candidati. Questo il
principio espresso dal Tar Sicilia, Palermo, con la sentenza n. 2397 del 18
ottobre 2016.
[17] Tra le tante, cfr. Cons. Stato, VI, 11 gennaio 1999 n. 8; Cons. Stato sez.
IV, 22 febbraio 1994 n. 162. Recentemente, sulla rilevanza del possibile
"scambio incrociato di favori", si veda Cons. Stato, VI, 21 maggio -
23 settembre 2004, n. 7797, secondo cui "...la partecipazione alla
commissione giudicatrice di soggetti obiettivamente beneficiati dall'attività
illecita compiuta dal padre di uno dei candidati alla selezione genera una
situazione obiettivamente lesiva dell'imparzialità amministrativa, in quanto
causa di potenziale predisposizione favorevole...". Infatti, secondo l'Alto
consesso, "...Il criterio nemo iudex in causa propria è rispettato non solo
quando il giudice (o l'amministratore) si astiene dal valutare rapporti
giuridici dei quali egli è titolare, o quando debba valutare su identiche
questioni di diritto, ma anche quando sussistono situazioni obiettive, quale un
pericolo di scambio di favori, che siano di tale rilevanza da togliere
credibilità all'esercizio della funzione pubblica...". In ordine alla
disciplina applicabile in materia di incompatibilità, si legga Cons. Stato, VI,
13 luglio 2004 n. 6912, con riguardo ad un concorso per dirigente ricercatore
presso il CNR ove due membri della commissione risultavano legati da rapporti
di coniugio. In tale occasione, il giudice amministrativo ha ritenuto
applicabile analogicamente l'art. 19 della disciplina di ordinamento
giudiziario (r.d. 12/41) nella parte in cui si prescrive che i magistrati che
hanno tra di loro vincoli di parentela o di affinità fino al terzo grado non
possono fare parte della stessa corte o dello stesso tribunale o dello stesso
ufficio giudiziario, "...non sembrando dubbio che la relazione di parentela
o di coniugio esistente tra i commissari determina un potenziale
condizionamento dell'autonomia di giudizio che deve presiedere all'esercizio
della funzione valutativa...".
[18] A. TEDOLDI, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici.
Commentario del codice di procedura civile, libro primo, Disposizioni generali
artt. 51-56, Bologna, 2015, sub art.. 52 c.p.c. Ricusazione del giudice. Nei
casi in cui e? fatto obbligo al giudice di astenersi, ciascuna delle parti puo?
proporre la ricusazione mediante ricorso contenente i motivi specifici e i
mezzi di prova. Il ricorso, sottoscritto dalla parte o dal difensore, deve
essere depositato in cancelleria due giorni prima dell'udienza, se al ricusante
e? noto il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa, e
prima dell'inizio della trattazione o discussione di questa nel caso contrario.
La ricusazione sospende il processo.
[19] In particolare, il conflitto di interessi può esprimersi non solo in
termini di grave "inimicizia" nei confronti di un candidato, ma anche
in tutte le ipotesi di peculiare "amicizia" o assiduità nei rapporti
(personali, scientifici, lavorativi, di studio), rispetto ad un concorrente. In
presenza di legami idonei a radicare il sospetto di parzialità e, dunque, a
determinare anche solo il dubbio di un sostanziale "turbamento" o
"offuscamento" del principio di imparzialità, non è necessario
comprovare che questi si possano concretizzare in un effettivo favore verso il
candidato, essendo sufficiente a radicare l'incompatibilità anche il "solo
pericolo" di una compromissione dell'imparzialità di giudizio. Nelle
procedure di concorso, costituiscono, quindi, cause di incompatibilità dei
componenti la Commissione esaminatrice, oltre ai rapporti di coniugio e di
parentela e affinità fino al quarto grado, le relazioni personali fra
esaminatore ed esaminando che siano tali da far sorgere il sospetto che il
candidato sia stato giudicato non in base al risultato delle prove, ma in virtù
delle conoscenze personali o, comunque, di circostanze non ricollegabili
all'esigenza di un giudizio neutro, o un interesse diretto o indiretto, e
comunque tale da ingenerare il fondato dubbio di un giudizio non imparziale,
ovvero stretti rapporti di amicizia personale (Tar Friuli Venezia Giulia, sent.
n. 716/2001). Tutte le volte che sia ipotizzabile un potenziale "conflitto
di interessi"- anche atipico, suscettibile in concreto di riflettersi
negativamente sull'andamento del procedimento per fatti oggettivi, anche di
sola potenziale compromissione dell'imparzialità, oppure tali da suscitare
ragionevoli e non meramente strumentali dubbi sulla percepibilità effettiva
dell'imparzialità di giudizio nei destinatari dell'attività amministrativa e
nei terzi - il soggetto facente parte della commissione giudicatrice deve,
innanzi tutto, segnalare all'autorità che lo ha nominato "tale situazione
di conflitto, anche potenziale" e poi deve necessariamente astenersi (Tar
Sardegna, sez. I, senti n. 459/2013). commissione giudicatrice deve, innanzi
tutto, segnalare all'autorità che lo ha nominato "tale situazione di
conflitto, anche potenziale" e poi deve necessariamente astenersi (Tar
Sardegna, sez. I, senti n. 459/2013).
[20] A. PERTICI, Il conflitto di interessi, in Collana Comparazione e cultura
giuridica, Torino, 2002, passim. I principi generali della disciplina del
conflitto di interessi nelle procedure ad evidenza pubblica sono contenuti
nell'articolo 42 del D.lgs. n. 50/2016, il quale prevede che spetta alle
stazioni appaltanti prevedere misure adeguate per contrastare le frodi e la
corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni
ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di
aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi
distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli
operatori economici (art. 42, comma 1, d.lgs. n. 50/2016).
[21] Pertanto, se è pur vero che, di regola, la sussistenza di singoli e
occasionali rapporti di collaborazione tra uno dei candidati ed un membro della
Commissione esaminatrice, potrebbe non comportare sensibili alterazioni della
par condicio tra i concorrenti, è altrettanto vero che l'esistenza di un
rapporto di collaborazione costante (per non dire assoluta) determina
necessariamente un particolare vincolo di amicizia tra i detti soggetti, che è
idonea a determinare una situazione di incompatibilità dalla quale sorge
l'obbligo di astensione del commissario, pena, in mancanza, il viziare in toto
le operazioni concorsuali (Tar Sicilia, sent. n. 2397/2016). Come evidenziato
dall'A.N.A.C. nella delibera n. 209 del 1° marzo 2017, la valutazione della
ricorrenza di una causa di incompatibilità di cui all'articolo 51 c.p.c spetta
all'amministrazione che deve effettuare uno stringente controllo sulle
autodichiarazioni rilasciate dai commissari, le quali devono riportare
l'indicazione della tipologia di eventuali rapporti a qualsiasi titolo
intercorsi o in essere con i candidati.
[22] M. DI RIENZO, Slide (relative al webinar del giorno 30 maggio 2016),
Conflitto di interessi e prevenzione della corruzione, Roma, 2016 per
affrontare un inquadramento della tematica in ambito amministrativo; M.
PROSPERI, F. BILARDO, Piano nazionale e Piani decentrati anticorruzione (La
riforma anticorruzione in una visione integrata giuridica e organizzativa), in
Collana Legale, Sant'Arcangelo di Romagna, 2013, passim;
[23] Non è facile comprendere la reale incidenza del criterio sintomatico di
incompatibilità teorizzato dalla giurisprudenza, probabilmente a causa
dell'evidente (ed inevitabile) genericità della formula con cui esso viene
sovente richiamato (la si ripropone per comodità di lettura): " sussiste
l'incompatibilità (oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge)
quando i rapporti personali fra esaminatore ed esaminando siano tali da far
sorgere il sospetto che il candidato sia stato giudicato non in base al
risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali (prima
ipotesi) ovvero quando sia accertata la sussistenza di rapporti personali
diversi e più saldi di quelli che di regola intercorrono tra maestro e allievo
(seconda ipotesi) ". La decisione 162/94 è richiamata, in senso adesivo,
dalla successiva elaborazione giurisprudenziale: cfr. Cons. Stato, VI, 5 maggio
1998 n. 631; Cons. Stato, VI, 11 gennaio 1999 n. 8; da ultimo Cons. Stato, VI,
13 luglio 2004 n. 6912.
[24] Al riguardo, conformemente alla natura del giudizio di verifica
dell'incompatibilità del commissario accennata (pericolo concreto), sarebbe
auspicabile che la giurisprudenza differenziasse opportunamente le diverse
forme di collaborazione in esame. In specie, occorrerebbe distinguere l'ipotesi
del lavoro scritto realizzato dal candidato "individualmente",
ancorché pubblicato accanto ad altri contributi (tra cui vi capiti (?) anche
quello del commissario) in un medesima "raccolta" o
"collana", dall'ipotesi del lavoro realizzato dal candidato
"insieme" al commissario o nell'ambito di un progetto di ricerca da
questi condotto, il quale sia poi oggetto di valutazione nella stessa procedura
concorsuale. Ed è soprattutto in tale ultima ipotesi, infatti, affermare che il
commissario possa - ciò nonostante - risultare imparziale appare quantomeno
discutibile. Il solo fatto che questi (per esserne coautore o principale
ispiratore) conosca approfonditamente lo scritto e, dunque, sia in condizione
di poterlo valutare con più attenzione e consapevolezza, non può non alterare
il processo di valutazione, a vantaggio del candidato coautore del lavoro e a
scapito degli altri, o quanto meno violare il principio della par condicio: la
condizione di partenza dei diversi concorrenti, in ordine ai tempi di
valutazione da dedicare alle rispettive pubblicazioni, sarà, infatti,
nettamente sperequata, per cui potrebbe verosimilmente verificarsi il caso che
lo scritto realizzato in collaborazione, per ciò stesso (e nonostante le
migliori intenzioni del commissario), venga meglio compreso e così valutato. Se
a ciò si aggiunge che il lavoro in collaborazione è di norma non solo il
risultato di un'attività collegiale, ma anche - se non soprattutto - delle
linee di ricerca dettate dallo studioso più autorevole (che di solito è proprio
il docente che diviene membro della commissione), ci si rende conto di come il
commissario non possa trovarsi in quella posizione di terzietà ed indifferenza
che è assolutamente richiesta affinché la valutazione possa per davvero
risultare obiettiva ed imparziale e non si traduca in un giudizio pro forma, in
cui l'organo giudicante è chiamato a valutare - nella sostanza e almeno in
parte - un lavoro che in qualche modo gli appartenga.
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