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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 29/09/2021 Scarica PDF
Il termine per l'impugnazione del riconoscimento del figlio: note intorno alla sentenza della Corte Costituzionale n. 133 del 25 giugno 2021
Francesca De Carlo, AvvocatoSommario: 1- Abstract; 2- Premessa ; 3- Il contrasto giurisprudenziale sull'art. 263 cod. civ., e l'ordinanza di remissione; 4- Il dictum della Corte Costituzionale; 5- Il termine per l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità; 6- Riflessioni conclusive.
ABSTRACT: with decision no. 133 of June 25, 2021, the
Constitutional Court ruled on the rules dictated by the Reform of filiation for
the challenge of the recognition for lack of truthfulness and declared the
constitutional unlawfulness of article 263, third paragraph, Civil Code, as
amended by Article 28, paragraph 1, of Legislative Decree December 28, 2013,
no. 154 - Revision of the provisions in force in the matter of filiation,
pursuant to article 2 of Law no. 219 of December 10, 2012- insofar as it does
not provide that, for the author of the recognition, the annual term for
bringing the action of appeal starts from the day on which he became aware of
the non-paternity.
2. Premessa
A distanza di quasi un decennio dalla riforma della filiazione intervenuta negli anni 2012-2013 e sulla base di importanti pronunce sul tema, è necessario comprendere se il cammino dell'attuazione dello stato unico di figlio, già auspicato dalla nostra Costituzione e dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, si sia realmente compiuto. Per lungo tempo il figlio naturale è stato collocato in una posizione deteriore rispetto al figlio legittimo: ciò, presumibilmente, sulla base della convinzione, piuttosto radicata e diffusa, in nome della quale la filiazione fuori dal matrimonio rappresenta un pericolo per la famiglia legittima. La legge n. 219 del 2012[1] ha unificato la condizione giuridica dei figli con l'art. 315 cod. civ., ai sensi del quale: “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”, prescindendo dall'esistenza del rapporto di coniugio tra i genitori[2]. Di conseguenza, si è fatto largo il principio secondo il quale la parentela[3]non dipende dal matrimonio ma dalla generazione: l'art. 74 cod. civ., ha cancellato, infatti, la differenza tra parentela legittima e parentela naturale inserendo anche il figlio adottato da minorenne con l'adozione in casi particolari, nella rete parentale dei genitori.
3. Il contrasto giurisprudenziale sull'art. 263 cod. civ., e l'ordinanza di remissione
Con la sentenza n. 133, depositata il 25 giugno 2021, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 263, comma terzo, del cod. civ., nella parte in cui non prevede che il termine annuale di decadenza del riconoscimento del figlio decorra, per il promotore del riconoscimento medesimo, dalla mera scoperta della non paternità[4]. Ha dichiarato, altresì, non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, terzo comma, cod. civ., come modificato dall'art. 28, primo comma, del D.Lgs n. 154 del 2013, nella parte in cui prevedeva che “l'azione non può essere proposta oltre cinque anni dall'annotazione del riconoscimento”, sollevata in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamnentali (CEDU). Nel caso sottoposto all'esame del giudice remittente, il Sig. B. Z. impugnava il riconoscimento della figlia minore per difetto di veridicità, ai sensi dell'art. 262 cod. civ., e ciò in quanto, la madre della bimba gli aveva confidato, nel 2018, di aver avuto, nel 2009, una relazione sentimentale con un altro uomo. L'attore riceveva conferma della non consanguineità con la minore, a seguito dei risultati ematici.
Con ordinanza, il Tribunale di Trento, disponeva la nomina di un curatore speciale alla minore[5] contestando, contestualmente, la tempestività dell'impugnazione del riconoscimento in quanto ampiamente trascorso l'anno dal giorno dell'annotazione dello stesso sull'atto di nascita e l'attore nulla aveva dedotto circa la presunta impotenza al tempo del concepimento, tenuto conto che, a norma dell'art. 263[6], secondo comma, cod. civ., :”se l'autore del riconoscimento prova di aver ignorato la propria impotenza al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza”. La questione di legittimità costituzionale si origina dalla considerazione secondo cui se per l'autore del riconoscimento, come prescrive l'art. 263, comma terzo, cod. civ., il termine di prescrizione dell'azione decorre dal giorno dell'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita (nel caso de quo avvenuto il 4 agosto 2010), l'azione stessa sarebbe tardiva in quanto l'atto di citazione è stato notificato il 7 agosto 2019.
Se, invece, il termine decorre dall'avvenuta conoscenza della non veridicità del riconoscimento, (nel caso di specie, “dall'ulteriore relazione sentimentale della madre”), l'azione dovrebbe considerarsi tempestiva in quanto l'attore ne ha avuto conoscenza solamente tra novembre e dicembre 2018 ed ha notificato l'atto il 7 agosto 2019. Inoltre, il giudice remittente ha ritenuto l'art. 263, comma terzo, contrario “non solo all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'auomo e delle libertà fondamentali e quindi dell'art. 117, primo comma Cost., ma anche agli artt. 3 e 76 Cost.”. In particolare, con riferimento alla decorrenza del termine annuale di decadenza da parte dell'autore del riconoscimento, il giudice rimettente sottolinea il contrasto con l'art. 3 Cost., perchè non si comprende la logica secondo la quale il termine decorrerebbe dal giorno in cui l'autore del riconoscimento avrebbe avuto conoscenza della propria impotenza e non dalla scoperta della non paternità per altri motivi. Denuncia, inoltre, l'irragionevole disparità di disciplina tra l'art. 244 cod. civ., il quale consente al padre di poter provare una pluralità di fatti, tra i quali la scoperta dell'adulterio[7] ai tempi del concepimento e l'art. 263, terzo comma, oggetto di censura, che nulla prevede riguardo alla specifica ipotesi di ignoranza della relazione della madre con un altro uomo nel periodo del concepimento.
A parere del Tribunale, la norma riguardante il termine annuale, si pone in contrasto anche con l'art. 76 Cost., “per eccesso di delega rispetto all'art. 2, comma primo, della legge 10 dicembre 2012, n. 219[8]: la differenziazione - per il padre apparente rispetto al padre coniugato – del termine per contestare il rapporto biologico col figlio apparente, effettuata dall'art. 28 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, che ha modificato l'art. 263 cod. civ., appare di dubbia costituzionalità”.
4. Il dictum della Corte Costituzionale
Con la sentenza in epigrafe, la Corte Costituzionale ha, in primis, messo in risalto l'irragionevole disparità di trattamento tra autore del riconoscimento, in grado di provare l'impotenza generandi e chi, pur non essendo affetto da tale patologià, abbia scoperto ugualmente la non veridicità della paternità biologica dopo un anno dall'annotazione nel registro del riconoscimento. La Consulta ha, cioè, ritenuto che il decorso di un termine tanto lungo radichi il legame familiare e che, pertanto, la prevalenza dell'interesse alla stabilità dello stato di figlio realizzi un bilanciamento non sproporzionato fra gli interessi confliggenti[9]. Il giudice delle leggi ha ritenuto altrettanto irragionevole che l'articolo oggetto di censura rendesse più complicato al padre non coniugato sottrarsi alla decadenza del termine annuale per l'impugnazione del riconoscimento rispetto a quanto consentito dall'art. 244 cod. civ., ai sensi del quale il termine annuale di decadenza dell'azione decorre dalla prova di specifici fatti, come l'adulterio da parte della moglie nel periodo del concepimento. La Corte ha dichiarato infondata anche la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, terzo comma, cod. civ., come modificato dall'art. 28, primo comma, del D.Lgs n. 154/2013, nella parte in cui prevede che “l'azione non può essere comunque proposta oltre cinque anni dall'annotazione del riconoscimento”, sollevata, in riferimento all'art. 117, primo comma Cost., in relazione all'art. 8 CEDU. Il termine quinquennale di proponibilità dell'azione è volto alla tutela dell'interesse del figlio alla stabilità del rapporto di filiazione ormai consolidatosi e assurge a norma di equilibrio tra la ricerca della verità biologica della filiazione e l'interesse del figlio alla stabilità e definitività dello stato di filiazione medesima. “Un così lungo decorso del tempo (cinque anni dal riconoscimento) radica il legame familiare e sposta il peso assiologico, nel bilanciamento attuato dalla norma, sul consolidamento dello status filiationis, in una maniera tale da giustificare che la prevalenza di tale interesse sia risolta in via automatica dalla fattispecie normativa. Nessuna censura di non proporzionalità può, dunque, muoversi – anche nel coordinamento fra l'interpretazione dell'art. 8 CEDU, offerta dalla Corte EDU e, il quadro dei principi costituzionali – alla scelta operata dal legislatore che, nella sua discrezionalità – ha ritenuto di sacrificare l'interesse dell'autore del riconoscimento, a far valere in via giudiziale l'identità biologica, a beneficio dell'interesse allo status filiationis consolidatosi dopo cinque anni dal suo sorgere. Da ultimo, deve, pertanto, rivelarsi che l'interesse a far valere la verità biologica non risulta in assoluto estromesso dal giudizio, in quanto esso può essere fatto valere dallo stesso figlio, per il quale l'azione di impugnazione del riconoscimento risulta imprescrittibile”. In riferimento all'art. 76 Cost., la Corte ne ha escluso la violazione in quanto al legislatore delegato ne è stata impedita la eventualità di tenere distinte azioni demolitorie dello stato di figlio a patto che non si fosse realizzata una discriminazione nei riguardi dei figli nati fuori dal matrimonio. La citata legge delega, con riguardo all'impugnazione del riconoscimento, ha previsto “la limitazione dell'imprescrittibilità dell'azione solo per il figlio e l'introduzione di un termine di decadenza per l'esercizio dell'azione da parte degli altri legittimati”.
5. Il termine per l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità
Nella vigenza dell'art. 235 cod. civ., ora abrogato, il padre coniugato poteva dimostrare la non paternità solo dopo aver provato una molteplicità di fatti idonei a superare la presunzione di concepimento. Con la sentenza n. 170/1999, la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 244, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevedeva che il termine per la proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità, nell’ipotesi di impotenza solo di generare, contemplata dal numero 2) dell’art. 235 dello stesso codice, decorresse, per il marito, dal giorno della conoscenza della propria impotenza di generare.
Con la novella di cui al D.Lgs n. 154/2013, questa previsione è stata sostituita con quella di cui all'art. 243-bis, comma secondo, cod. civ. e pertanto: “chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre”. Sempre secondo quanto dispone l'art. 244, il termine annuale decorre, per il padre, dal momento della nascita del figlio oppure dalla prova della conoscenza dell’adulterio o dell’impotenza a generare al tempo del concepimento. La stessa Corte, nella sentenza oggetto della presente analisi, evidenzia che l'attuale formulazione dell'art. 263, al terzo comma, ha preso a riferimento proprio l'art. 244 limitandosi a considerare la sola scoperta dell’impotenza al tempo del concepimento, quale dies a quo alternativo a quello dell’annotazione del riconoscimento[10] ed ha, inoltre, affermato che l'art. 263 cod. civ. regola tutte le ipotesi di impugnazione per difetto di veridicità e, pertanto, sia il caso di riconoscimento effettuato nella consapevolezza di non essere il padre sia l'ipotesi in cui il consenso sia basato sull'erronea supposizione del legame biologico: “mentre può ritenersi non irragionevole che il termine annuale decorra dall'annotazione del riconoscimento per chi abbia posto in essere l'atto nella consapevolezza della non paternità biologica, per converso, evidenzia una palese irragionevolezza far decorrere il medesimo termine dall'annotazione del riconoscimento, per chi ignorasse il difetto di veridicità, limitando la possibilità di far valere la decorrenza del termine dalla scoperta della non paternità alla sola ipotesi dell'impotenza”. Con il nuovo testo dell'art. 263 cod. civ., l'imprescrittibilità dell'azione è stata limitata alla sola ipotesi che questa venga esercitata dal figlio[11] e ciò per favorire la stabilità e la certezza delle relazioni familiari. Il riconoscimento è irrevocabile, ex art. 256 cod. civ., ma può essere impugnato per difetto di veridicità attraverso gli ordinari mezzi di prova previsti per tutte le altre azioni di stato[12]. L'art. 28 del D.Lgs n. 154/2013, nell'introdurre il comma terzo dell'art. 263 cod. civ., ha previsto una nuova condizione di proponibilità della domanda qualora l'impugnazione venga avanzata dall'autore del riconoscimento: la sua proposizione entro l'anno dall'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita ovvero dal giorno dell'avvenuta conoscenza della propria impotenza, prima ignorata, e comunque non oltre cinque anni dalla suddetta annotazione. La giurisprudenza di merito ha ritenuto, per lungo tempo, che il favor veritatis – da intendersi come la prevalenza della verità biologica su quella dichiarata – potesse essere temperato a tutela dell'interesse del minore qualora il genitore avesse riconosciuto il figlio naturale pur essendo consapevole di non esserne il padre biologico[13]. Escludeva, pertanto, la legittimazione a proporre l'azione di impugnativa del riconoscimento, ex art. 263 cod. civ., alla stregua del principio di autoresponsabilità e della tutela della buona fede[14].
6. Riflessioni conclusive
La sentenza in epigrafe[15] ha il merito di contribuire all'evoluzione della materia sulle azioni di stato, laddove si pensi che, con riferimento al sistema del codice civile del 1942 e all'art. 263, in particolare, dottrina e giurisprudenza, nel corso degli anni, non hanno mancato di rilevare la differenza sostanziale tra la stabilità garantita allo stato di figlio legittimo e la continua incertezza a cui è stato sottoposto il figlio naturale, con tutte le conseguenti differenze. La Corte Costituzionale, in tutte le decisioni intervenute sul tema, ha sempre supportato la disciplina riconoscendone la legittimità ed evidenziando che solo il legislatore avrebbe potuto stabilire un termine diverso da sostituire all'imprescrittibilità disposta daqll'art. 263 cod. civ.,[16]. A distanza di anni – siamo nel 2012 con l'ordinanza n. 7 – la Corte ancora una volta sollecitava il legislatore ad intervenire sui termini di esperimento dell'impugnazione del riconoscimento del figlio per difetto di veridicità.
Tuttavia, dopo la riforma, sulla quale si erano concentrate le aspettative di tanti e a seguito della novella intervenuta sull'art. 315 cod. civ., si è potuto constatare che è stata sì abolita la qualifica di legittimità riferita ai figli ma, nella sostanza, la distinzione ha solo ceduto il passo a quella tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori da esso: per i primi ( e solo per essi) vige la presunzione di paternità e, di conseguenza, un diverso sistema di attribuzione, di modifica o di rimozione dello stato di figlio. L'auspicio è quello di un intervento legislativo in grado di rendere, nella sostanza, davvero unico lo status di figlio con azioni incisive capaci di debellare definitivamente dall'ordinamento le differenze sia delle modalità di acquisizione dello stato che di formazione del relativo titolo.
[1] Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali, pubblicata in G.U. n. 293 del 17.12.2012.
[2] Cfr G. Morani, L'inadeguata tutela giuridica della prole nata fuori dal matrimonio nel nostro ordinamento, in Il diritto di famiglia e delle persone, Vol XLI, gennaio-marzo 2012.
[3] Art. 74 cod. civ. :”La parentela è il vincolo tra le persone che discendono dallo stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti.
[4] Sul punto si veda A. Gorgoni, art. 263 cod. civ., tra verità e conservazione dello status filiationis in La nuova giurisprudenza civile commentata,a cura di G. Alpa, P. Zatti, n. 4/2018.
[5] In tal senso si era già espressa la Cassazione, nel 2016, con la sentenza n. 1957, con la quale ha stabilito che: “in tema di impugnativa di riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, per difetto di veridicità, è necessaria, a pena di nullità del relativo procedimento per violazione del principio del contraddittorio, la nomina di un curatore speciale per il minore, legittimato passivo e litisconsorte necessario, dovendosi colmare la mancanza di un'espressa previsione in tal senso dell'art. 263 c.c. ( anche nella formulazione successiva al D.Lgs n. 154 del 2013), mediante una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata in quanto la posizione del minore si pone, in via generale e astratta, in potenziale conflitto di interessi con quella dell'altro genitore legittimato passivo, non potendo stabilirsi “ex ante”una coincidenza ed omogeneità di interessi in ordine né alla conservazione dello status, né alla scelta contrapposta, fondata sul “favor veritatis” e sulla conoscenza della propria identità e discendenza biologica”.
[6] Come modificato dall'art. 28, comma 1, del D.Lgs 28 dicembre 2013, n. 154, recante Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219.
[7] Sul punto, illuminanate è la sentenza n. 3263/2018, della Suporema Corte, , secondo cui: “La scoperta dell'adulterio commesso all'epoca del concepimento – alla quale si collega il decorso del termine annuale di decadenza fissato dall'art. 244 c.c. 8 come additivamente emendato con sentenza n. 134 del 1985 della Corte Costituzionale) – va intesa come acquisizione certa della conoscenza ( e non come mero sospetto) di un fatto rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, non essendo sufficiente la mera infatuazione, la mera relazione sentimentale o la frequentazione della moglie con un altro uomo”.
[8] Disposizioni in materia di riconoscimento di figli naturali.
[9] “La norma censurata comporta un'irragionevole disparità di trattamento anche nel confronto tra le regole dettate per il padre che intenda far valere la verità biologica, impugnando il riconoscimento e quelle previste per il padre che agisca per il disconoscimento di paternità. Il padre non coniugato può dimostrare solo l'impotenza, onde far decorrere il termine annuale di decadenza da un dies a quo diverso rispetto all'annotazione del riconoscimento; il padre coniugato può, invece, avvalersi anche di altre prove, tra cui quella dell'adulterio, onde sottrarsi al dies a quo che altrimenti decorre dalla nascita. Anche a fronte di tale diversità di trattamento, che finisce per rendere più stabile lo status filiationis sorto al di fuori del matrimonio rispetto a quello del figlio concepito o nato durante il matrimonio, deve, dunque, ritenersi fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, terzo comma, cod. civ.,”.
[10] Si veda il paragrafo 7.1.2 del considerato in diritto della sentenza in commento.
[11] Prima della riforma, l'impugnazione del riconoscimento era concessa a chiunque ne avesse interesse. Con la sentenza n. 158 del 1991, la Corte Costituzionale aveva dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2623cod. civ., per violazione dell'art. 3 Cost., sollevata perchè “mentre l'azione per l'impugnazione della veridicità del riconoscimento del figlio naturale è imprescrittibile, l'azione di disconoscimento del figlio legittimo deve essere proposta entro termini di decadenza”, data la mancata uguaglianza tra la posizione del figlio legittimo, “il cui status può essere contestato dal padre entro termini di decadenza, stante la presunzione di paternità” e quella del figlio riconosciuto “il cui status è tutelato solo in considerazione della veridicità della filiazione”.
[12] Con ordinanza n. 95 del 7 gennaio 2021, la Cassazione ha stabilito che in un promuovimento di azione di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di un figlio nato da genitori non uniti in matrimonio, l'altro genitore, che pure abbia operato il riconoscimento, è litisconsorte necessario del giudizio che pone un principio di natura generale, da applicarsi, pertanto, anche nell'ipotesi disciplinata dall'art. 263 cod. civ . In tal senso anche Cass. Civ., Sez. I, n. 10775/2019.
[13] Con la sentenza n. 30122 del 2017, la corte di Cassazione ha evidenziato che: Stante la nuova disciplina introdotta dalle riforme del 2012 e 2013 in materia di filiazione – non essendo più attuali le ragioni che le avevano dato origine, sostanzialmente fondate sul disvalore di un concepimento al di fuori del matrimonio, e dunque sulla ritenuta natura confessoria del riconoscimento della susseguente nascita, assunta, appunto, come una “colpa” di chi lo aveva effettuato – la prova della “assoluta impossibilità di concepimento” non è diversa rispetto a quella che è necessario fornire per le altre azioni di stato, richiedendo il diritto vigente che sia il “favor veritatis” ad orientare le valutazioni da compiere in tutti i casi di accertamento o disconoscimento della filiazione”.
[14] Cfr. Tribunale di Napoli, 28.04.2000; idem Trib., Roma 05.10.2012; Trib., Palermo 10.10.2013.
[15] Le conclusioni alle quali è giunta la Corte Costituzionale, a seguito dei motivi finora illustrati, sono le seguenti: “1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 263, terzo comma, codice civile, come modificato dall’art. 28, comma 1, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), nella parte in cui non prevede che, per l’autore del riconoscimento, il termine annuale per proporre l’azione di impugnazione decorra dal giorno in cui ha avuto conoscenza della non paternità; 2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263, terzo comma, cod. civ., come modificato dall’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 154 del 2013, nella parte in cui non prevede che, per l’autore del riconoscimento, il termine annuale per proporre l’azione di impugnazione, decorra dal giorno in cui ha avuto conoscenza della non paternità, sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trento con l’ordinanza indicata in epigrafe; 3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263, terzo comma, cod. civ., come modificato dall’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 154 del 2013, nella parte in cui prevede che «l’azione non può essere comunque proposta oltre cinque anni dall’annotazione del riconoscimento», sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario di Trento con l’ordinanza indicata in epigrafe”.
[16] Il riferimento è alla sentenza n. 134 del 1985.
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