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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/11/2021 Scarica PDF
Spunti di riflessione sul diritto all'anonimato nel parto e sul diritto a conoscere le proprie origini biologiche da parte del figlio
Francesca De Carlo, AvvocatoSommario: 1. Abstract 2. Premessa - 3. L'ordinanza della Cassazione n. 22497 del 9 agosto 2021 - 4. Dalla Convenzione di New York alla sentenza n. 1946/2017 delle Sezioni Unite, sul diritto all'interpello della madre biologica - 5. Considerazioni conclusive
ABSTRACT: The present contribution is aimed to analyze the ordinance no. 22497, published on 9 August 2021, whereby the Court of Cassation crystallized the principle according to which it is necessary to strike a balance between the mother's right to privacy in case of anonymous childbirth and the adopted child's right to know his or her origins. The decision provides a very complete and precise overview of the case-law development over the last decade, on which an important contribution came from the rulings of the ECDU, the Constitutional Court and the Supreme Court, which also ruled in SS.UU.
2. Premessa.
La possibilità di accesso alle informazioni relative alle proprie origini, è disciplinato dall'art. 28 della L. n. 184/1983[1], il quale prevede che l'adottato, al compimento del venticinquesimo anno di età, possa avere informazioni relative ai genitori biologici[2].
Possibilità, tuttavia, preclusa laddove la madre si sia avvalsa della facoltà di non essere nominata nell'atto di nascita[3], ai sensi dell'art. 30 del d.P.R n. 396 del 2000[4].
L'ordinanza n. 22497, pubblicata il 9 agosto 2021, oggetto del presente contributo, rappresenta, a parere di chi scrive, un tassello molto importante nell'evoluzione giurisprudenziale del diritto ad accedere alle informazioni riguardanti la madre biologica e ciò in quanto ha delineato due principi imprescindibili: da un lato, in linea con le statuizioni contenute nella sentenza n. 1946 del 2017, delle Sezioni Unite, ha ribadito che il diritto a conoscere l'identità della madre deve essere esercitato senza mai oltrepassare il limite della volontà di quest'ultima di rimanere anonima e, dall'altro ha evidenziato che l'esercizio di questo diritto non debba confondersi con quello ad accedere alle informazioni sanitarie sulla salute della madre stessa, finalizzato solamente ad accertare la sussistenza di eventuali patologie ereditarie trasmissibili. Si tratta di un approdo significativo che attenua la rigidità del dettato di cui all'art. 28, comma settimo, succitato.
Nel provvedimento, la Suprema Corte, ricostruisce l'iter giurisprudenziale che ha condotto il legislatore a dar prevalenza al diritto all'anonimato materno rispetto a quello del figlio circa la conoscenza della propria identità biologica: si fa riferimento alla sentenza Cedu, Godelli c. Italia, del 2012, la quale, per la prima volta, ha evidenziato il contrasto esistente tra il diritto al rispetto della vita privata, riconosciuto dall'art. 8[5] Cedu e la disciplina italiana sul parto anonimo, la quale non prevede né la reversibilità del diritto all'anonimato, né garantisce l'accesso del figlio alle informazioni sulle origini: “la normativa italiana non tenta di mantenere alcun equilibrio tra i diritti e gli interessi concorrenti in causa. In assenza di meccanismi destinati a bilanciare il diritto della ricorrente a conoscere le proprie origini con i diritti e gli interessi della madre a mantenere l'anonimato, viene inevitabilmente data una preferenza incondizionata a questi ultimi”.
Sulla base di questo ammonimento, la Corte Costituzionale dichiarerà, a distanza di un anno, l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 7, L. n. 184/1983 laddove non prevedeva la possibilità, per il giudice, di poter interpellare la madre al fine di verificare la volontà o meno di continuare a rimanere anonima.
A sua volta, la successiva giurisprudenza, in accoglimento delle indicazioni fornite dalla Corte e sempre in osservanza del diritto alla riservatezza della madre, ha previsto il meccanismo di interpello[6], in virtù del quale si può procedere alla verifica della volontà della madre biologica a conservare l'anonimato anche a distanza di anni. Inoltre, non possiamo mancare di menzionare la sentenza n. 6963 del 2018, con la quale la Corte ha esteso il diritto a conoscere le proprie origini anche alle sorelle e ai fratelli biologici specificando, tuttavia, che lo stesso è limitato all'accesso alle informazioni relative alle identità di questi ultimi e che non comporta la costituzione di alcun vincolo di parentela o relazionale[7]: questa ipotesi, vale per il diverso caso dell'adottato riconosciuto alla nascita ma dato in adozione in un secondo momento che chieda di accedere alle informazioni sulle proprie origini al compimento del venticinquesimo anno di età[8].
Da ultimo va ricordato che il parto anonimo, per ovvie ragioni, non è consentito in caso di procreazione medicalmente assistita, in virtù della previsione contenuta nell'art. 9 della legge 11 febbraio 2004, n. 40.
2 . L'ordinanza della Cassazione n. 22497 del 9 agosto 2021
Con l'ordinanza n. 22497, pubblicata il 9 agosto 2021, la Prima Sezione Civile della Cassazione, ha affermato il principio secondo il quale la volontà della donna di restare anonima[9] a seguito del parto, non esclude il figlio dal diritto di accedere alle informazioni sanitarie sulla salute della madre, con riferimento all'anamnesi familiare, la quale è da considerarsi ulteriore rispetto a quello di semplice accesso alle origini, avendo come finalità “la tutela della vita o della salute del figlio adottato o di un suo discendente”.
Un breve cenno ai fatti di causa è necessario per capire come si sia giunti alla soluzione proposta dal giudice di legittimità.
La Corte d'Appello di Trieste, nel 2019, respingeva il reclamo proposto da una donna – adottata a causa del mancato riconoscimento da parte dei genitori naturali e della dichiarazione rilasciata espressamente dalla madre di non voler essere nominata all'atto di nascita – avverso il decreto emesso l'anno precedente dal tribunale, con il quale aveva respinto la richiesta avanzata di accedere alle proprie origini, ai sensi dell'art. 28[10] della l. n. 184 del 1983. Il citato articolo ha trovato successivo supporto nella previsione intervenuta con l'art. 30, primo comma, del dPR n. 396/2000, relativo al Nuovo ordinamento dello stato civile, ai sensi del quale: “la dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata”[11].
La Corte territoriale aveva sottolineato che la decisione della madre biologica della reclamante era rimasta inalterata “per oltre cinquant'anni”, non avendo mai manifestato volontà contraria né intrapreso qualsivoglia azione per ricercare la figlia non riconosciuta. Persisteva, dunque, il mancato consenso ad essere nominata.
Avverso la pronuncia veniva proposto ricorso straordinario per Cassazione, sulla base di otto motivi.
Per gli aspetti che qui interessano, meritano attenzione il settimo e l'ottavo motivo di ricorso, accolti dalla Cassazione: il vizio denunciato di motivazione apparente, con riferimento al rigetto della domanda subordinata di accesso alle sole informazioni di carattere sanitario, avendo la Corte d'Appello “ ritenuto la domanda da respingere al pari di quella principale, di accesso alle origini, respinta”, è fondato.
Ciò sulla base della constatazione che la richiesta di accesso alle informazioni sanitarie della salute della madre, riguardanti le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con riferimento all'eventuale presenza di malattie ereditarie trasmissibili, è “distinta rispetto a quella di puro accesso alle origini, avendo come finalità la tutela della vita o della salute del figlio adottato o di un suo discendente”.
Il diritto va garantito in modo da tutelare sempre l'anonimato della donna, con le modalità prescritte dall'art. 93, terzo comma, del D.Lgs n. 196/2003, del Codice in materia di protezione dei dati personali, ai sensi del quale, prima del decorso dei cento anni, la richiesta di accesso all'attestazione di avvenuta nascita o alla cartella clinica della partoriente, può essere accolta solo riguardo ai dati sanitari, non identificativi, relativi alla donna, “osservando le opportune cautele per evitare che quest'ultima sia identificabile”.
I giudici dell'interpello avevano sintetizzato le ragioni del diniego richiamando l'età avanzata della madre e lo stato non ottimale , di salute psico-fisica, della stessa, omettendo di supportare i motivi sottesi alla decisione con opportuni richiami giurisprudenziali, tenuto conto che il rifiuto aveva riguardato anche l'accesso ai dati sanitari.
A parere della Suprema Corte, invece, non potendosi consentire un accesso indiscriminato alla documentazione sanitaria, sarà garantito un diritto alle predette informazioni, “sulla base di un quesito specifico, non esplorativo, relativo a specifici dati sanitari e con l'osservanza di tutte le cautele necessarie a garantire la massima riservatezza e quindi la non identificabilità della madre biologica”[12].
Sulla base di queste considerazioni, la Corte ha cassato il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti, rinviando la causa alla Corte d'Appello in diversa composizione, la quale deciderà anche circa le spese del giudizio di legittimità.
3. Dalla Convenzione di New York alla sentenza n. 1946/2017, delle Sezioni Unite, sul diritto all'interpello della madre biologica.
La Cassazione, nell'ordinanza in epigrafe, si sofferma a delineare il panorama normativo e giurisprudenziale, italiano ed europeo, così da offrire le argomentazioni volte a far comprendere quale sia il corretto bilanciamento tra il diritto dell'adottato all'accesso alle proprie origini e il diritto all'anonimato della madre biologica al momento del parto.
Il diritto a conoscere le proprie origini biologiche è espressamente riconosciuto dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989[13] la quale, all'art. 7[14], afferma il diritto del fanciullo ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e a conoscere i genitori e dalla Convenzione dell'Aja, per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale del 29 maggio 1993[15], la quale impone agli Stati aderenti di assicurare l'accesso del minore o del suo rappresentante alle informazioni relative alle sue origini, fra le quali quelle riguardanti l'identità dei propri genitori.
In questo contesto va anche ricordato, per quanto la Corte non ne faccia menzione, che la Raccomandazione n. 1443/2000 dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha statuito che il minore adottato ha diritto a conoscere le proprie origini entro il compimento della maggiore età ed ha invitato gli Stati membri ad eliminare, dalle legislazioni nazionali, qualsiasi disposizione in senso contrario.
A livello di legislazione nazionale, con la modifica dell'art. 28 della L. n. 184 del 1983, ad opera dell'art. 24 della legge 28 marzo 2001, n. 149[16], è stato consentito all'adottato di accedere alle informazioni concernenti la sua origine e l'identità dei genitori biologici[17].
Ciò, tuttavia, non è consentito nei confronti della donna che abbia dichiarato, al momento del parto, di non voler essere nominata, ai sensi dell'art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 396/2000[18].
Diritto rafforzato dalla previsione dell'art. 93[19], comma secondo e comma terzo, del D.Lgs 30 giugno 2003, n. 196 - Codice in materia di protezione dei dati personali – ai sensi del quale l'accesso “al certificato di assistenza al parto ed alla cartella clinica”, laddove corredati da dati personali che rendano agevole l'identificazione della madre, può avvenire solo dopo cento anni dalla loro formazione o, se prima di tale termine, solo laddove vengano adottate tutte le cautele necessarie a garantire l'anonimato materno.
Con riferimento alla giurisprudenza, la Corte di Strasburgo, con la sentenza n. 33783/09 del 25 settembre 2012, Godelli c. Italia[20], ha condannato il nostro Paese per la vigente disciplina sull'anonimato e ciò in quanto non consente al figlio non riconosciuto alla nascita, di poter richiedere l' accesso ad informazioni non identificative circa le sue origini. In particolare, ad avviso della Corte, l'art. 8 CEDU è stato largamente vìolato nella sentenza de quo e ciò in quanto la normativa italiana propende per un'incondizionata tutela dell'interesse all'anonimato della madre[21].
Dopo un anno dalla pronuncia, tenuto conto di quanto dichiarato dalla Corte di Strasburgo, la Corte Costituzionale ha modificato la propria posizione con una nuova sentenza additiva di principio, la n. 278 del 22 novembre 2013[22].
In essa viene evidenziata l'irragionevolezza dell'irreversibilità del segreto conseguente alla scelta dell'anonimato, la quale si pone in contrasto con gli artt., 2 e 3 della Costituzione, precisando che spetterà al legislatore di “introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all'anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si è detto”[23].
Per questi motivi, la Corte ha, perciò, dichiarato l'illegittimità dell'art. 28 della L.n. 183/1984, in quanto non prevede la possibilità per il giudice di interpellare, con riservatezza, la madre non nominata nell'atto di nascita, per l'eventuale assunzione di rapporti personali con il figlio.
In particolare, ha riconosciuto il diritto, in capo all'adottato, di conoscere le proprie origini e il diritto della madre all'anonimato, che si fonda “sull'esigenza di salvaguardare madre e neonato da qualsiasi perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma di situazioni, personali, ambientali, culturali, sociali, tali da generare l'emergenza dei pericoli per la salute psico-fisica o la stessa incolumità di entrambi”.
Nella pronuncia, inoltre, la Corte opera una importante distinzione tra genitorialità giuridica e genitorialità naturale: la prima da intendersi come l'instaurarsi del rapporto di filiazione e degli obblighi ad esso conseguenti e la seconda da interpretarsi come la relazione di fatto tra madre biologica e figlio, privo di qualsivoglia vincolo giuridico.
La scelta dell'anonimato, da parte della donna, impedisce l'insorgenza della genitorialità giuridica ma non di quella naturale: “ ove cosi fosse, (…), risulterebbe introdotto nel sistema una sorta di divieto destinato a precludere in radice qualsiasi possibilità di reciproca relazione di fatto tra madre e figlio, con esiti difficilmente compatibili con l' art. 2 Cost”.
A parere della Cassazione, dunque, pur non potendosi consentire una consultazione indiscriminata del certificato di assistenza al parto o delle informazioni cliniche personali, dev'essere garantito quantomeno il diritto “di accesso sulla base di un quesito specifico, non esplorativo, relativo a specifici dati sanitari e con l'osservanza di tutte le cautele necessarie a garantire la massima riservatezza e quindi la non identificabilità della madre biologica”.
A seguito dell'intervento della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 22838/2016, la Cassazione ha affermato l'importante principio secondo il quale nella eventualità della morte della madre biologica titolare del diritto all'anonimato, quest'ultimo non si estingue ma può essere esercitato dall'adottato il quale, tuttavia, deve aver cura di non arrecare pregiudizio ai terzi: “il diritto dell'adottato, nato da donna che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata ( d.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 30, comma 1), ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l'identità della madre biologica, sussiste e può essere certamente esercitato anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto, non rilevando nella fattispecie il mancato decorso del termine di cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica di cui al D.Lgs n. 196 del 2003, art. 93, commi 2 e 3, salvo il trattamento lecito e non lesivo dei diritti dei terzi dei dati personali conosciuti”.
Con la sentenza n. 15024 dello stesso anno, si è riconosciuta la sussistenza del diritto del figlio, a seguito del decesso della madre biologica, di conoscere le proprie origini attraverso l'accesso alle informazioni riguardanti l'identità personale della stessa e ciò in quanto non può ritenersi operativo, oltre il limite della vita della madre stessa, il termine di cento anni, in quanto il principio per cui il diritto dell'adottato a conoscere le proprie origini dev'essere garantito anche nell'ipotesi in cui non sia più possibile procedere all'interpello della madre: “dopo la nascita (…) il diritto all'anonimato diventa strumentale a proteggere la scelta compiuta dalle conseguenze sociali e in generale dalle conseguenze negative che verrebbero a ripercuotersi (…) sulla persona della madre.
Non è il diritto in sé della madre che viene garantito ma la scelta che le ha consentito di portare a termine la gravidanza”.
Da ultimo, nel 2017, le Sezioni Unite hanno statuito che:” in tema di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 278 del 2013, ancorchè il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla corte stessa, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorchè la dichiarazione iniziale per l'anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità”.
Dunque: il figlio può chiedere, al giudice, l'autorizzazione all'accesso dei dati identificativi delle origini biologiche ma solo a condizione che la madre abbia revocato la dichiarazione di rimanere nell'anonimato.
Alcune decisioni intervenute nel corso degli anni a partire, cioè, dalla sentenza del 2013, hanno offerto una soluzione all'ipotesi, fino ad allora mai sollevata, circa l'impossibilità di poter esperire l'interpello a causa della morte o dell'irreperibilità della madre biologica.
Due sentenze della Cassazione del 2016 – le numero 15024[24] e 22838[25] – hanno riconosciuto il diritto, in capo all'adottato, ad accedere alle informazioni riguardanti la propria origine e l'identità della madre biologica, anche laddove quest'ultima fosse deceduta e non si potesse procedere alla richiesta di verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto[26].
In caso contrario, a parere della Cassazione, si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra figli nati da donne che hanno scelto l'anonimato ma non sono più in vita e i figli di donne che possono essere interpellate circa la reversibilità della scelta fatta al momento del parto.
Nello stesso senso si è espressa, da ultimo, la Corte con la sentenza n. 19824 del 2020, nella quale ha evidenziato che : “venendo meno, per effetto della morte della madre, l'esigenza di tutela dei diritti alla vita e alla salute, che era stata fondamentale nella scelta dell'anonimato, non vi sono più elementi ostativi non soltanto per la conoscenza del rapporto di filiazione ( come affermato da Cass. 15024/2016 e 22838/2016) ma anche per la proposizione dell'azione volta all'accertamento dello status di figlio naturale, ex art. 269 c.c.”.
Con queste pronunce, a parere di chi scrive, la Corte ha scavalcato le statuizioni contenute nell'art. 93, comma secondo, del Codice della privacy, rendendo accessibile al figlio e a chiunque vi abbia interesse, i dati personali della donna alla sua morte, ignorando il limite temporale dei cento anni dalla formazione dell'atto di nascita.
4. Considerazioni conclusive
Dall'analisi della normativa e delle numerose pronunce intervenute sulla materia e delle quali si è dato conto nel presente contributo, emerge la necessità di un intervento, se non definitivo, quantomeno chiarificatore, da parte del legislatore. Se è vero che la Consulta, nella maggior parte delle decisioni adottate, ha cercato di mantenere un sano equilibrio tra il diritto alla ricostruzione identitaria dell'adottato e il diritto all'anonimato della madre, è altrettanto vero che non si può più prescindere da un intervento legislativo in grado di garantire una disciplina uniforme anche alla luce dei continui inviti, da parte della Corte europea, di adeguamento della normativa italiana, tenuto conto che il diritto all'anonimato, come strutturato nel nostro ordinamento, non conosce eguali, in Europa.Per comprendere il motivo, a mio parere,bisogna risalire alle ragioni che hanno portato alla costruzione di un sistema così rigido: la carenza di misure di sostegno alla maternità, che nel corso dei decenni, in mancanza di concrete politiche di welfare, hanno irreversibilmente condannato la donna a scelte estreme, come l'anonimato nel parto, l'infanticidio, l'aborto, e compromettendo il diritto di essere madre, consapevole, libera e autodeterminata.
[1] “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”.
[2] “L'adottato, raggiunta l'età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L'istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza”. Per approfondire: F. Eramo, Possibilità per l'adottato che ha compiuto 25 anni di conoscere i genitori naturali, in Manuale pratico della nuova adozione, 2002, pagg., 180 e ss.
[3] La facoltà della donna di non essere nominata, è stata riconosciuta, da due sentenze della Corte Costituzionale: la n. 171 del 1994 e la n. 425 del 2005, l'ultima delle quali ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla previsione della intangibilità della volontà di anonimato della madre biologica con riferimento all'art. 2 Cost. :” la norma impugnata mira evidentemente a tutelare la gestante che – in situazioni particolarmente difficili dal punto di vista personale, economico o sociale – abbia deciso di non tenere con sé il bambino, offrendole la possibilità di partorire in una struttura sanitaria appropriata e di mantenere al contempo l'anonimato nella conseguente dichiarazione di nascita: e in tal modo intende _ da un lato – assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali, sia per la madre che per il figlio, e – dall'altro – distogliere la donna da decisioni irreparabili, per quest'ultimo ben più gravi”. (…). “Pertanto la norma impugnata, in quanto espressione di una ragionevole valutazione comparativa dei diritti inviolabili dei soggetti della vicenda, non si pone in contrasto con l'art. 2 della Costituzione”.
[4] “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile”.
[5] “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e della prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
[6] Il procedimento di interpello viene avviato su istanza dei legittimati ad accedere alle informazioni biologiche ed in particolare: l'adottato che abbia raggiunto la maggiore età; il figlio non riconosciuto alla nascita che abbia raggiunto la maggiore età, in mancanza di revoca dell'anonimato da parte della madre; i genitori adottivi legittimati per gravi e comprovati motivi; i responsabili di struttura sanitaria, in caso di necessità ed urgenza e qualora vi sia grave pericolo per la salute del minore. L'istanza può essere presentata una sola volta al Tribunale per i minorenni del luogo di residenza del figlio.
[7] “In considerazione della radicale diversità della loro posizione rispetto a quella dei genitori biologici con riferimento sia alle ragioni della decisione riguardante lo status di figlio adottivo del richiedente sia all'incidenza di questa decisione sullo sviluppo della personalità”.
[8] Cfr. V. Montaruli, Il parto anonimo in caso di morte della madre e l'estensione dell'accesso alle origini ai fratelli: quale bilanciamento? Nota a Trib. Min. Genova, 23 maggio 2019, in www.ilfamiliarista.it.
[9] Il D.M. n. 349/2001, prescrive che, in caso di donna che voglia partorire in anonimato, è necessario riportare, nel certificato di assistenza al parto, il codice 999: “ donna che non vuole essere nominata”.
[10] Per un'approfondimento della norma, si veda G. Ballarani, Modifiche all'art. 28 della L. 4 maggio 1983, n. 184, e altre disposizioni in materia di accesso alle informazioni sulle origini del figlio non riconosciuto alla nascita, in Il diritto di famiglia e della persone, Vol. 46, 2017, pagg., 963 e ss.
[11] Per la formazione dell'atto di nascita, la dichiarazione, accompagnata dalla constatazione di avvenuto parto, va resa all'ufficiale dello stato civile che, nel caso della madre che ha dichiarato di voler rimanere anonima, darà comunicazione al tribunale per i minorenni ai fini della dichiarazione di adottabilità.
[12] “In tema di parto anonimo, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini e di accedere alla propria storia parentale, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio somministrato dalla Corte Costituzionale, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna; fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorchè la dichiarazione iniziale per l'anonimato non sia rimossa in seguito all'interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità. Questione differente è, peraltro, quella dell'accesso alle informazioni sanitarie sulla salute della madre per la tutela della vita o della salute del figlio o di un suo discendente, essendo necessario consentire l'accesso alle informazioni sanitarie, con modalità tali, però, da tutelare l'anonimato della donna erga omnes, anche verso il figlio”.
[13] Ratificata con la legge 27 maggio 1991, n. 176.
[14] “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi. Gli Stati parti vigilano affinchè questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide”.
[15] Resa esecutiva con la legge 31 dicembre 1998, n. 476.
[16] Modifiche alla L. 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”, nonché al Titolo VIII del Libro Primo del codice civile.
[17] Per un approfondimento sulla riforma del 2001, si veda E. Palmerini, Commento all'art. 24, commi 4-8, in Le nuove leggi civili commentate, IV-V, 2002.
[18] Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile.
[19] “La richiesta di accesso al certificato o alla cartella può essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, osservando le opportune cautele per evitare che quest'ultima sia identificabile”.
[20] Nel caso di specie, una cittadina italiana adìva la Corte europea, in virtù dell'art. 34 della Convenzione Edu, lamentando che l'impossibilità di conoscere le proprie origini, costituiva una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, come prescritto dall'art. 8 della medesima Convenzione.
[21] In tal senso: J. Long, Godelli contro Italia, Adozione e segreti: costituzionalmente illegittima l'irreversibilità dell'anonimato nel parto, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, IV, 2014, pagg. 290 e ss.
[22] Per un approfondimento degli argomenti trattati in sentenza, si veda: G. Casaburi, Il parto anonimo dalla ruota degli esposti al diritto alla conoscenza delle origini, nota a Corte Cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Foro it. n. 1/2014.
[23] Cfr. Corte Cost., sentenza n. 278/2013, par. 5.
[24] Cfr. Cass. 21 luglio 2016, n. 15024, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2016, con nota di M. G. Stanzione, Il diritto del figlio di conoscere le proprie origini nel dialogo tra le Corti.
[25] Cfr. Cass. 9 novembre 2016, n. 22838, in Rassegna di diritto civile, 2017, con nota di F. Tescione, L'anonimato materno: un diritto al banco di prova.
[26] “Il trattamento delle informazioni relativo alle proprie origini deve, in conclusione, essere eseguito in modo corretto e lecito senza cagionare danno anche non patrimoniale all'immagine, alla reputazione, ed ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati (discendenti e/o familiari)”.
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