Sovraindebitamento
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/04/2022 Scarica PDF
Sovraindebitamento e condominio
Luca Salati, Avvocato in Milano
1. Il sovraindebitamento del condòmino e la procedura di liquidazione controllata dei suoi beni
Liberarsi dei propri debiti senza pagarli per intero e per di più esdebitarsi in radice per addivenire ad un fresh start e ricominciare finalmente liberi dai debiti incolpevolmente accumulati, è ciò che il patrio legislatore con la L. 3/2012 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento) e il Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza (D. Lgs 14/2019 in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155) promette al consumatore, persona fisica non assoggettabile a liquidazione giudiziale, che versi in una situazione di crisi quale stato di squilibrio economico-finanziario tra le obbligazioni assunte e il suo patrimonio, tale da determinare una rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la sua definitiva incapacità di adempierle regolarmente.
Quanto al presupposto oggettivo del sovraindebitamento, esso non diverge molto da quello, mutatis mutandis, usato dal legislatore del 1941 per definire il fallimento (a quel tempo e fino alla recentissima emanazione del codice della crisi e dell’insolvenza) termine eticamente scorretto e socialmente etichettante in senso spregiativo, che lascia oggi il passo alla più moderna e gentile “liquidazione giudiziale” dell’imprenditore commerciale.
La grave crisi economica determinata dalla pandemia da Covid19, ha aumentato in misura esponenziale le situazioni di indebitamento individuale tra cui anche le persone fisiche proprietarie di immobili in condominio (con particolare riferimento alla vasta platea di coloro che sono proprietari solo della propria abitazione), che si riverbereranno in senso negativo sulla capacità di pagamento dei fornitori da parte dell’ente di gestione condominio di cui fanno parte ed inevitabilmente sull’economia in generale, con aumento delle azioni giudiziali di recupero crediti, spesso dai risultati incerti e affatto tempestivi.
Il buon fine delle procedure da sovraindebitamento intraprese dal condòmino potrà portare al pagamento dell’intero debito, ma più spesso ad un soddisfo parziale del credito condominiale, con inevitabile effetto a cascata sui condòmini virtuosi, costretti a dover rifondere pro-quota la parte non riscossa, senza possibilità di rivalsa sui beni del condomino moroso che, per effetto del ricorso alle procedure di sovraindebitamento sia stato dichiarato esdebitato.
Ça va sans dire che il titolare di un patrimonio immobiliare (quale ne sia la consistenza) non potrà essere annoverato tra i potenti della terra secondo il noto e risalente proverbio partenopeo di immediata comprensione anche senza ricorso al traduttore di Google, secondo cui “Tre so' 'e putiente: 'o papa, 'o rrè, e chi nùn tene niente” con riferimento all’impossidente, il nullatenente, non assoggettabile al principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., secondo cui il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni assunte, con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Sennonché oggi, per effetto delle disposizioni sopra indicate anche il debitore nullatenente potrà essere liberato dai propri debiti e dal sontuoso appellativo in parola. Sul punto l’art. 14-quaterdecies L. 3/12 (Debitore incapiente) dispone che “Il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all'esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l'obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice nel caso in cui sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10 per cento e l’art. 283 CCII (Esdebitazione del sovraindebitato incapiente) che “Il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all'esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l'obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore complessivamente al dieci per cento”.
I diritti reali sui beni immobili sono invece esposti alla luce del sole e aggredibili dai creditori sia con la tradizionale e risalente esecuzione forzata per espropriazione immobiliare di cui al codice di rito, che con la procedura di liquidazione controllata a istanza del creditore di recente introdotta dall’art. 268 II comma Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza azionabile anche dal creditore privo di un titolo esecutivo di cui all’art. 474 cpc secondo l’interpretazione dell’art. 268 II comma CCII offerta dai primi commentatori.
Rossetti (“Il sovraindebitamento tra cenni di storia e il problematico caso della domanda proposta dal creditore” in Rassegna dell'esecuzione forzata 3/2019 E.S.I.) al riguardo evidenzia come “la liquidazione del patrimonio possa essere proposta anche in pendenza di procedure esecutive e, quindi, non necessariamente in pendenza di procedure esecutive: id est, anche senza che almeno un creditore abbia previamente ottenuto un titolo esecutivo nei confronti del debitore”.
Il cambio di prospettiva legato ad una nuova modalità di aggressione dei beni del debitore, è di certo allettante per il creditore procedente che con la liquidazione controllata non dovrà anticipare i costi necessari per iniziare e proseguire la tradizionale espropriazione forzata immobiliare (lo sono il costo della notifica degli atti di pignoramento tuttora affidati ex lege all’Ufficiale Giudiziario che effettua l’ingiunzione di cui all’art. 492 cpc a mezzo posta, il contributo unificato per l’istanza di vendita, il costo per la certificazione ex art 567 cpc, il fondo spese e il compenso al perito, il fondo spese vendita al delegato e al bisogno fondo spese custodia e il compenso del proprio difensore).
La facilità in termini economici e burocratico-procedurali di accesso alla procedura di liquidazione controllata del patrimonio del debitore comporta che l’affermato creditore - fermo restando quanto si dirà appresso per la verifica del superamento della soglia di accesso e l’omessa domanda di ammissione del debitore alla procedura di ristrutturazione dei debiti - non dovrebbe più avere convenienza a procedere in executivis col pignoramento immobiliare, bensì a chiedere la procedura di cui all’art. 268 II co CCII, giacchè “è noto che serve tempo a un creditore per ottenere un titolo esecutivo e che una volta ottenuto il titolo, è costoso e oneroso procedere con un espropriazione forzata”(Rossetti, op. cit).
2. La soglia di Euro 20.000,00 quale requisito di procedibilità e la domanda in bianco ex art. 271 CCII
Va detto però che l’iniziativa del creditore tesa alla liquidazione dei beni del debitore potrebbe arrestarsi nell’ipotesi di verifica di un indebitamento sotto soglia (i.d. ventimila euro, quale franchigia del patrimonio aggredibile del debitore), una volta accertato l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati dal debitore civile, così come “risultanti dagli atti dell'istruttoria”.
L’art. 268 II comma (D. Lgs n. 14/2019 Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155) al riguardo così dispone: “Quando il debitore è in stato di insolvenza, la domanda può essere presentata da un creditore anche in pendenza di procedure esecutive individuali e, se l'insolvenza riguarda un imprenditore, dal pubblico ministero. Nei casi di cui al primo periodo non si fa luogo all'apertura della liquidazione controllata se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria è inferiore a euro ventimila”.
L’aver il legislatore fissato la soglia di € 20.000,00 quale requisito di procedibilità ex post dell’istituto in commento, penalizza i creditori di somme di denaro inferiore che saranno ancora una volta spinti ad agire in executivis con lo strumento del tradizionale e risalente pignoramento immobiliare. Al riguardo i Giudici dell’esecuzione, a fronte di importi contenuti del credito (in particolare per oneri condominiali come purtroppo spesso accade), così dispongono: “Il Giudice dell’esecuzione, vista l’istanza di vendita depositata dal creditore procedente; ritenuta la opportunità, in ragione dell’entità (ndr esigua) del credito azionato, di sentire le parti al fine di verificare la possibilità di una definizione bonaria del processo prima di dare corso a quanto previsto dall’art. 569 c.p.c. (nomina di un esperto per la stima del bene pignorato, delega ad un professionista per la vendita del bene ecc., con conseguente significativo aggravio del debito per spese di procedura); visto l’art. 485 c.p.c.; FISSA per sentire le parti in ordine a quanto ivi rappresentato l’udienza del 22 gennaio 2020 ore 12:30; DISPONE che il creditore procedente notifichi il presente provvedimento a parte debitrice e agli eventuali comproprietari entro 20 giorni prima dell’udienza. Si comunichi a tutte le parti costituite. Milano, 11/08/2019 - Il Giudice dell’esecuzione”
A ciò si aggiunga che la domanda di L.C. promossa dal creditore può essere paralizzata dal debitore che intenda accedere ad istituti minori.
Sul punto l’art. 271 CCII così dispone: “Se la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori o dal pubblico ministero e il debitore chiede l'accesso a una procedura di cui al capo II del titolo IV, il giudice concede un termine per l'integrazione della domanda”, analogamente a quanto già avviene per la domanda di concordato in bianco riservata all’imprenditore commerciale ai sensi dell’art. 161 co VI L.F.
3. Liquidazione controllata dei beni o pignoramento immobiliare? La (prematura) recita del de produndis delle procedure esecutive per espropriazione immobiliare
È quindi lecito prevedere che i debitori, una volta attinti dall’istanza in questione avranno gioco facile a farne dichiarare l’improcedibilità quando il loro monte debiti sarà sotto soglia e, se ultra soglia, a paralizzarla, anche solo strumentalmente per perdere o prendere tempo (l’effetto dilatorio che ne consegue è il medesimo nonostante l’evidente antinomia convergente), presentando domanda in bianco di accesso alla procedura minore di ristrutturazione del debito.
Il ricorso dei creditori alla procedura di liquidazione controllata dei beni del debitore per un credito inferiore a ventimila euro, confidando nella positiva concorrenza di due fattori incerti al momento della proposizione della domanda quale l’accertamento endoprocedimentale di sovraindebitamento del proprio debitore per un importo maggiore alla soglia minima e la mancata domanda di accesso alla procedura di ristrutturazione da parte del debitore, appare altamente improbabile se non illusorio, in particolare per il creditore chirografario, qual’è il condominio.
Il tutto con buona pace di quanti sinora, hanno già recitato il de profundis delle procedure esecutive individuali per espropriazione immobiliare.
Un legislatore che mira al potenziamento di una procedura a discapito di un’altra ben radicata e massivamente utilizzata dagli operatori del diritto non si può permettere lacci e lacciuoli come quelli sopra indicati che, nonostante i proclami, vieppiù mortificano la ratio delle nuove disposizioni se si considera che il sovraindebitamento è stato inteso come una forma di recupero del credito, trasformandosi da “strumento di tutela del debitore a veicolo di espropriazione tendenzialmente più equa, poiché l'esecuzione individuale non può assicurare una distribuzione destinata a tutto il ceto creditorio, ma la limita ai soli creditori più strutturati a detrimento di quelli meno motivati (Cesare in “Sovraindebitamento: dalla tutela del debitore al recupero del credito” Cesare-Valcepina, Giappichelli Ed., 2021).
Un creditore prudente, per evitare di vedersi rigettare la domanda di liquidazione controllata dei beni perché sottosoglia, dovrebbe poter accedere alle banche dati pubbliche (Agenzia Entrate e Riscossione, Inps, Concessionario riscossione tributi locali) al fine di conoscere anche se solo parzialmente l’ammontare delle passività (verso enti pubblici e non quella verso i creditori privati) del proprio debitore, analogamente a quanto avviene oggi ai sensi dell’art. 492bis cpc per la ricerca dei beni da pignorare.
E ancora, se è vero che il creditore può instare per la liquidazione controllata pur se privo di un titolo esecutivo, ciò non potrebbe essere ammesso per la verifica e la ricerca delle passività del debitore.
Oggi invece un creditore può al più richiedere un certificato di pendenza delle procedure esecutive mobiliari e immobiliari alla cancelleria esecuzioni civili del Tribunale presso il quale risiede il debitore e una visura protesti al Registro delle Imprese, null’altro, stante il G.D.P.R. in tema di protezione dei dati personali (cd privacy).
Le procedure esecutive individuali per espropriazione immobiliare, in particolar modo nei grandi centri urbani, sono promosse da un istituto di credito fondiario, mutuatario, ipotecario di primo grado e perciò privilegiato ex lege, che nella distribuzione del ricavato dalla vendita all’asta del bene subastato la fa da padrone (o "asso pigliatutto"), lasciando così pressoché quasi sempre a bocca asciutta l'altro creditore, l'eterno secondo, il chirografario, il condominio. Per il Mortara “l'esecuzione nei confronti del debitore civile avrebbe ad oggetto essenzialmente beni immobili che obbediscono al principio della diseguaglianza consacrato dal regime ipotecario laddove il concorso sui mobili proprio delle imprese commerciali è governato dalla legge dell’uguaglianza” (in Commentario del Codice e delle Leggi di Procedura Civile, 1923, V, nt 6).
Dal punto di vista del debitore, subire l’espropriazione forzata ai sensi dell’art. 555 cpc o la liquidazione controllata dei beni immobili di sua proprietà ai sensi dell’art. 268 II comma CCII per debiti ultra soglia, in entrambi i casi per iniziativa del creditore, porterà sempre al medesimo risultato: l’alienazione dell’immobile pignorato.
Ciò accadrà soprattutto quando l’ammontare elevato dell’importo dovuto non gli consentirà di portare a buon fine procedure minori di composizione della crisi o quando il debitore, pur avendovi fatto ricorso ne sia decaduto e si sia verificata la cosiddetta conversione nella procedura di liquidazione. L’art. 14-quater cosi dispone: “Conversione della procedura di composizione in liquidazione: Il giudice, su istanza del debitore o di uno dei creditori, dispone, col decreto avente il contenuto di cui all'articolo 14-quinquies, comma 2, la conversione della procedura di composizione della crisi di cui alla sezione prima in quella di liquidazione del patrimonio nell'ipotesi di annullamento dell'accordo o di cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del consumatore ai sensi dell'articolo 14-bis, comma 2, lettera a). La conversione è altresì disposta nei casi di cui agli articoli 11, comma 5, e 14-bis, comma 1, nonché' di risoluzione dell'accordo o di cessazione degli effetti dell'omologazione del piano del consumatore ai sensi dell'articolo 14-bis, comma 2, lettera b), ove determinati da cause imputabili al debitore”.
In tale ultima ipotesi il debitore civile, comunque espropriato dell'immobile (sovente l’unico) di sua proprietà, potrà addivenire all’esdebitazione - in ciò dovendosi individuare la nobile ratio della L. 3/2012 e del CCII - ovvero non rispondere più del debito residuo eventualmente sopravanzato alla liquidazione del patrimonio, con buona pace della previsione di cui all'art. 2740 cc in punto responsabilità patrimoniale anche con i beni futuri. Sinora la possibilità di esdebitazione nell’ambito delle procedure di espropriazione è stata rimessa alla volontà delle parti, in particolare a quella del creditore, che dopo il deposito della perizia di stima e prima della vendita coattiva o dopo la prima asta deserta, hanno proceduto al cosiddetto “saldo e stralcio”.
Il condòmino sovraindebitato, oltre a chiedere la liquidazione del proprio patrimonio ai sensi dell’art. 268 I comma CCII, può, con l'ausilio dell'OCC, ricorrere all’accordo di ristrutturazione ai sensi degli articoli 67 e ss. CCII, proponendo ai creditori un piano di ristrutturazione dei debiti che indichi in modo specifico tempi e modalità per superare la crisi da sovraindebitamento. La proposta ha contenuto libero e può prevedere il soddisfacimento, anche parziale e differenziato, dei crediti.
La misura non prevede la sottoposizione della proposta ad alcun voto dei creditori, ma solo al sindacato di meritevolezza da parte dell’OCC ovvero l’“indicazione delle cause dell'indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell'assumere le obbligazioni”.
Sul punto giova ricordare che gli oneri condominiali sono obbligazioni propter rem, obbligazioni reali, dette anche ambulatorie, collegate alla proprietà o altro diritto reale su di un bene la cui insorgenza prescinde dalla volontà del soggetto a cui fanno capo che non le “assume” affatto, ma di cui è responsabile per il sol fatto di essere proprietario di un immobile in condominio.
4. Il sovraindebitamento del condomìnio e delibere assembleari da adottare.
Ciò detto in estrema sintesi per le procedure che vedono il condomino nella veste di debitore sovraindebitato anche solo nei confronti dell’ente di gestione, è giuridicamente interessante verificare se l’ente di gestione-condominio nella sua veste di debitore civile possa accedere alle procedure da sovraindebitamento e se i creditori della compagine condominiale possano instare per la liquidazione controllata del patrimonio immobiliare di natura condominiale.
Per rispondere alla prima parte del quesito, occorrerà indagare e verificare se anche il condominio possa “fregiarsi” della qualifica di consumatore, indagine di non poco momento che s’interseca con la vexata quaestio della natura giuridica del condominio tuttora irrisolta nonostante la Legge 220/2012 di “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”.
Secondo Manna “allo stato, dunque, sembra permanere insuperata la formula, di conio giurisprudenziale, che vede nel condominio un “ente di gestione”, espressione inevitabilmente ambigua (o forse solo reticente) che lascia irrisolto il problema della soggettività del condominio” e ancora “in altri termini, la realtà delle cose, così come il legislatore le ha lasciate e la giurisprudenza le ha esaminate, predica l’esistenza di un doppio livello, nel senso che nei rapporti esterni il condominio opera come un’associazione, e dunque con una sua effettiva soggettività e con un proprio patrimonio costituito dai soli rapporti attivi e passivi con i terzi stessi; mentre nei rapporti” (in “Il condominio al vaglio delle Sezioni Unite: importanti interventi nomofilattici a fronte di un legislatore un po’ disattento” Comunione e Condominio, Quaderno 3, Scuola Superiore della Magistratura, 2021).
La Corte di Cassazione, supportata dalla Corte di Giustizia UE, ha affermato che il condominio è un consumatore proprio perché risultanza della sommatoria di altri consumatori, ovvero i proprietari delle singole unità immobiliari che lo compongono.
Il riferimento è alle pronunce 22 maggio 2015, n. 10679 e 24 luglio 2001, n. 10086 della Suprema Corte, secondo cui al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l’amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale.
Nonostante l’apertura offerta dagli arresti della Suprema Corte, si registra nella giurisprudenza di merito una pronuncia del Tribunale di Bergamo in data 16/01/2019 di segno contrario.
Il Giudice orobico ha dichiarato “inammissibile il piano del consumatore proposto da un condominio di edifici in quanto soggetto privo dei requisiti di cui all’art. 6 perché non riconducibile ad una “persona fisica”.
Successivamente la Corte di Giustizia UE, Prima Sezione, con la sentenza 2 aprile 2020, causa C-329/19 ha tuttavia affermato che l’orientamento della Suprema Corte italiana secondo cui il condominio deve essere qualificato come consumatore, s’inserisce proprio nell’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla direttiva europea (93/13/CEE) con la conseguenza che l’estensione della tutela dei consumatori è lecita ed il condominio potrà validamente invocare tutte le tutele previste dal codice del consumo.
La delibera sulla procedura da sovraindebitamento da sottoporre al Tribunale dovrà essere assunta dall’assemblea condominiale con maggioranza qualificata dei partecipanti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio espresso in quote millesimali. Sul punto è stato detto che là ove l’assemblea condominiale dovesse adottare una delibera favorevole nel senso sopra indicato, ciò corrisponderebbe ad una rinuncia implicita dei singoli condomini alla parziarietà delle obbligazioni condominiali, ma si dubita che l’affermazione possa valere anche per i dissenzienti e gli assenti.
Qualora l’accordo o il piano dovessero comprendere anche disposizioni (liquidatorie) su beni immobili (ad esempio un'unità immobiliare di proprietà condominiale dotata delle caratteristiche per essere alienata, si pensi all’alloggio del custode in caso di dismissione del servizio o del locale “riunioni”) servirà tuttavia l’approvazione da parte dell’unanimità dei singoli condomini, condizione che l’esperienza sul campo insegna essere di non facile avveramento.
In caso di adozione di una delibera a maggioranza, si dovrà prestare attenzione alla regolazione del dare/avere tra condomini virtuosi che hanno provveduto al pagamento degli oneri condominiali e coloro che, a causa del proprio inadempimento, hanno determinato quello del condominio verso i fornitori, atteso che i primi si troverebbero a pagare due volte.
E ancora ulteriori aspetti problematici si pongono avuto riguardo alle iniziative da assumere nei confronti dei singoli condòmini che col proprio inadempimento non dovessero consentire il buon fine delle procedure di sovraindebitamento a cui il condomìnio fosse stato ammesso, col rischio di stimolare domande di sovraindebitamento a cascata.
Insomma, il sovraindebitamento di uno o più condòmini e l’effetto esdebitativo che scaturirà dall’accesso alle procedure di composizione della crisi, potrebbe portare alla superfetazione delle procedure di sovraindebitamento promosse dai condòmini un tempo virtuosi, ma che, per effetto dello stralcio del debito di alcuni, dovessero trovarsi in difficoltà a tamponare, seppur pro-quota, il debito residuo verso i fornitori dell’ente di gestione.
5. La liquidazione controllata dei beni del condomìnio
Da ultimo ci si chiede se la procedura di liquidazione controllata prevista dall’art. 268 II comma CCII possa essere azionata dai creditori/fornitori del condominio al fine di trovare soddisfazione dal ricavato della vendita dei beni comuni suscettibili di alienazione nonché delle unità immobiliari in proprietà esclusiva dei condomini inadempienti prima e poi anche di quelli virtuosi anche se in regola coi pagamenti dei contributi condominiali.
La risposta, richiamate qui le osservazioni svolte sopra in relazione alle condizioni previste dall’art. 268 e 271 CCII, dovrà essere affermativa quando il condomìnio debitore sia proprietario di beni comuni suscettibili di essere alienati da parte degli organi della procedura, quale, ad esempio, l’ex-alloggio del custode e il locale “riunioni”.
Sono invece da escludere da tale novero i beni necessari all’esistenza dell’edificio strutturalmente destinati all’uso o al godimento comune come il suolo su cui sorge l’edificio in condominio, le scale, il tetto (ma non il suolo adiacente e il sottosuolo previa valutazione dello stato di fatto effettivo dei luoghi e dei rapporti strutturali intercorrenti tra i manufatti condominiali e la suddetta area v. Cass. 2999/88),.
Più complesso è l’inquadramento giuridico dello sfruttamento da parte dei creditori del condominio delle facciate condominiali cieche per fini pubblicitari nonché del tetto per l’installazione di ripetitori di impianti di trasmissione.
La risposta è ardua invece nell’ipotesi in cui il creditore del condominio intendesse aggredire le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei condomini inadempienti dal momento che sul punto l’art. 63 disp. Att. C.c. dispone che “i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini”.
Fino ad ora, ovvero fino a prima dell’introduzione nel nostro ordinamento delle procedure di sovraindebitamento e del codice della crisi, con l’espressione “agire nei confronti” si è pacificamente intesa l’azione esecutiva nella sua forma individuale del pignoramento immobiliare di cui agli artt. 555 e ss. cpc e d’altronde, sul punto, il fattore temporale gioca la sua parte.
Nonostante l’attuale testo dell’art. 63 dacc sia quello dettato dalla legge 220/2012 di riforma del condominio entrata in vigore oltre un anno dopo la legge salvasuicidi, il legislatore non ha armonizzato né coordinato l’instaurazione della procedura di liquidazione controllata con la previsione della preventiva escussione dettata dalla norma in commento, né si è ricordato di farlo licenziando il codice della crisi nonostante i plurimi rimaneggiamenti e rinvii.
L’assenza di norme di coordinamento e la peculiarità della procedura di liquidazione controllata e delle condizioni cui essa è vincolata, fanno fortemente dubitare della possibilità che i creditori della compagine condominiale possano aggredire i beni di proprietà esclusiva con tale innovativo istituto.
Qualora detta procedura fosse invece ritenuta ammissibile e quindi il creditore del condominio dovesse aggredire il patrimonio immobiliare del condomino “in regola con i pagamenti”, quest’ultimo, una volta espropriato si dovrà prodigare ad esperire azioni di rivalsa di recupero del credito pro-quota nei confronti “degli altri condomini”, quelli che già sono stati “scartati” dal creditore del condominio perché cattivi pagatori o che, più semplicemente sono proprietari di immobili (spesso la prima casa) non appetibili perché gravato da ipoteca a garanzia della restituzione del mutuo fondiario necessario all’acquisto.
E ancora, questi ultimi, a fronte delle azioni di recupero intraprese dal condomino virtuoso potrebbero instare per l’accesso alle procedure di sovraindebitamento.
Ecco allora che il condomino virtuoso e per questo aggredito e sacrificato, si verrebbe a trovare in una cavità anatomica a fondo cieco (più nota con l’espressione franzosa cul de sac) senza via d’uscita, salvo il diritto ad una lapide nel cortile condominiale “a ricordo”.
Acuti giuristi hanno osservato tuttavia che i condomini inadempienti in ordine al versamento dei contributi condominiali che hanno così determinato la morosità, una volta aggrediti dal creditore del condominio, potrebbero accedere a una delle procedure di sovraindebitamento e ottenere l’esdebitazione e che di tale esito potrebbe approfittare il condomino in regola coi pagamenti per respingere l’assalto del creditore del condominio avente ad oggetto l’eventuale residuo del credito non riscosso.
L’affascinante tesi, che rievoca quanto previsto dall’art. 1304 c.c. per le transazioni stipulate dal creditore con uno dei debitori in solido che producono effetto nei confronti degli altri debitori che dichiarano di volerne profittare, dipenderà dalla qualificazione e dalla natura che si vorrà attribuire all’accordo di ristrutturazione dei debiti e alla liquidazione controllata.
Ancora una volta, solo il monitoraggio delle iniziative dei debitori e dei creditori, nonché delle risposte che emetteranno i Giudici delle sezioni ex-fallimentari (rectius liquidazioni giudiziali) dei Tribunali del Bel Paese, potrà rivelarci se le norme del nostro ordinamento in tema di sovraindebitamento e composizione della crisi potranno essere invocate anche dal condomìnio nella sua veste di debitore-civile e se i suoi creditori potranno avanzare domanda di liquidazione controllata.
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