Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/09/2021 Scarica PDF
I rapporti tra la tutela amministrativa e civile del consumatore per le clausole vessatorie e la nullità di protezione nel caso di clausole poco chiare
Massimo Eroli, Professore aggregato nell'Università di PerugiaIl caso[1] dei mutui in euro con clausole di indicizzazione (in riferimento agli interessi) e rivalutazione (in riferimento all’estinzione anche anticipata) al franco svizzero offerti sul mercato europeo nei primi anni 2000, si arricchisce di un nuovo capitolo a seguito della prima sentenza della Corte di Cassazione in merito[2].
Si ricorda che nonostante una prima pronuncia del Tribunale di Roma[3] favorevole, per il caso dell’estinzione anticipata, ai mutuatari, pur passata in giudicato a seguito dell’estinzione del giudizio di appello dopo che la Corte di Appello di Roma aveva respinto l’istanza della banca di sospensione della provvisoria esecutività, pressoché tutte le successive pronunce di merito di primo grado di vari fori ( tra cui Milano, Roma, Torino, La Spezia, Catania, Monza, Padova, Bologna) e la Corte di Appello di Milano, avevano negato la nullità di tali clausole sul presupposto che i mutuatari avessero previsto ed accettato la ritenuta evidente alea dovuta all’indicizzazione delle poste monetarie, che il tasso di interesse fosse determinato e definito in maniera assolutamente chiara e inequivoca e che la clausola sull’estinzione anticipata del mutuo, nonostante la sua formulazione letterale menzionante come oggetto della rivalutazione il “capitale restituito” invece che il “capitale residuo da restituire” non fosse ambigua risultando ben chiaro e ovvio che la locuzione “capitale restituito” non possa che intendersi come “capitale che viene restituito” e non come capitale già restituito in precedenza, interpretazione che secondo tali sentenze non avrebbe alcun senso.
Inoltre tali pronunce ritenevano che l’eventuale poca trasparenza della clausola non ne comportasse la nullità ma solo la violazione dell’art. 35 comma 1 codice consumo con il risultato di scegliere l’interpretazione della clausola che va nel senso più favorevole al consumatore se però fosse possibile una diversa interpretazione, nella specie esclusa.
Assumevano altresì che la banca non aveva violato doveri informativi argomentando sia dalla clausola contrattuale secondo la quale il mutuatario dichiarava di aver esatta e piena conoscenza dei fogli informativi in cui veniva riportata l’esistenza del rischio di cambio (ma in riferimento alla clausola di determinazione degli interessi e non a quella sulla rivalutazione in caso di estinzione anticipata).
Tutto ciò nonostante l’Arbitro Bancario Finanziario avesse consolidato il suo orientamento sulla nullità della clausola, ritenuta vessatoria per i consumatori e poco trasparente, relativa alla rivalutazione in caso di estinzione anticipata del mutuo e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato[4] nell’adunanza del 13 giugno 2018 avesse deliberato ai sensi dell’art. 37 bis del Codice del Consumo che dette clausole integrassero una fattispecie di clausola contraria all’art. 35 comma 1 del Codice del Consumo.
A nostro avviso la particolarità di tali mutui sta nel fatto che non si tratta di mutui in valuta estera.
Un mutuo in valuta straniera è quel mutuo in cui la banca offre della valuta straniera (pagandola in euro per effetto dell’art. 1277, secondo comma, c.c.) ed il mutuatario si obbliga a rifondere quella valuta straniera (pagandola in euro sempre per l’effetto dell’art. 1277, secondo comma c.c.).
Questi mutui non presentano problematiche di rilievo, purché si sia ottemperato alle norme in materia di trasparenza ed alle altre specifiche che riguardano tale tipologia.
I mutui in oggetto sono invece mutui in euro in quanto così qualificati dall’articolo del contratto che ne determina l’oggetto e da altra documentazione contrattuale.
Nel corpo del contratto ci sono però due articoli che ne costituiscono la criticità: un articolo rubricato “interessi” che contiene una clausola di indicizzazione degli interessi al franco svizzero, oggetto di informativa precontrattuale nel documento di sintesi ed un articolo rubricato “estinzione anticipata” contenente una clausola di rivalutazione del capitale “restituito” non oggetto, in gran parte dei casi, di informativa precontrattuale nel documento di sintesi.
Tali clausole dovrebbero comportare da un lato che il giudice deve valutare la meritevolezza dell’interesse perseguito dalle parti con tali clausole in quanto divergenti dallo schema causale mutuo in euro (e non essendo appunto quel contratto un mutuo in valuta straniera), dall’altro che le singole clausole vanno valutate separatamente in merito al Tub ed alla disciplina dei contratti dei consumatori.
Se la clausola sull’indicizzazione quanto agli interessi monetari, se si considera preliminarmente l’assetto di interessi risultante meritevole di tutela, è conforme al Tub in quanto pubblicizzata nel documento di sintesi, non è così nella maggior parte dei casi per la clausola di rivalutazione in caso di estinzione anticipata che non è pubblicizzata nel documento di sintesi e quindi sarebbe nulla per tale motivo.
Inoltre tale clausola dovrebbe essere anche nulla in quanto vessatoria ai sensi della normativa in tema di contratti del consumatore.
Tale clausola è infatti redatta in modo poco chiaro ed ambiguo per quanto sopra osservato in merito alla sua lettera.
Quindi o si interpreta in senso letterale (essendo, contrariamente alle pronunce sopra citate, una interpretazione sempre possibile) a favore del consumatore con riferimento alla rivalutazione del capitale già restituito oppure va dichiarata nulla per contrarietà agli artt. 33 e 35 codice del consumo.
In nessun caso si può legittimamente addivenire alla rivalutazione del capitale “da restituire” e la nullità di protezione opera d’ufficio ed il giudice, qualora sia in discussione la clausola sulla rivalutazione in caso di estinzione anticipata, anche per surroga, deve delibare la relativa questione e facendolo non può ritenere aprioristicamente il mutuo come in valuta estera, posto che così non è e ritenere che le parti abbiano voluto correre il rischio insito nello schema causale di tali diversi contratti.
Nella pronuncia in commento la Cassazione esclude innanzitutto definitivamente e correttamente una tesi sostenuta da molti mutuatari e cioè che detti contratti contenessero un derivato implicito, prendendo le mosse dalla nozione di derivato come contratto finanziario che ha per oggetto altre attività finanziarie rischiose perché soggette ad oscillazioni nel tempo e legate ad una attività “sottostante” che ne influenza, appunto in via derivata, il valore.
Ciò in quanto nel contratto di mutuo, ancorché indicizzato, manca un investimento di risorse da parte del mutuatario, che non acquista uno strumento finanziario, ma viene invece finanziato. Del tutto disomogenee rispetto alla fattispecie appaiono quindi le nozioni di valori mobiliari e di strumento finanziario nonché di derivato come definite nel Testo Unico Finanza. Né viene generato con il contratto di mutuo alcun titolo idoneo alla circolazione. Diversamente ragionando, infatti, si finirebbe con l'assimilare a uno strumento finanziario derivato qualsiasi contratto di scambio caratterizzato da clausole di carattere aleatorio intrinsecamente rischiose.
Poi fa giustizia della pretesa assenza di tutela in termini di nullità di protezione del consumatore nel caso di oscurità di una clausola contrattuale in cui non sarebbe possibile una diversa interpretazione favorevole al consumatore.
E ciò richiamando i precedenti della Corte di Giustizia UE[5].
Infatti per quanto riguarda l'ordinamento nazionale dagli artt. 33 e 36, comma 1, 35, comma 1, 34, comma 2, e per quanto riguarda l'ordinamento europeo dagli artt.3,6,5, comma 1, e 4, comma 2, della Direttiva 1993/13/CEE, le clausole contrattuali di un contratto fra professionista e consumatore, redatte in modo non chiaro e comprensibile, possono essere qualificate vessatorie (nella terminologia italiana) o abusive (nella terminologia europea), se determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e ciò anche ove esse concernano la stessa determinazione dell'oggetto del contratto o l'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, se tali elementi non sono individuati in modo chiaro e comprensibile.
Di conseguenza le clausole redatte in modo non chiaro e comprensibile possono essere qualificate vessatorie o abusive e pertanto affette da nullità di protezione, se determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto e ciò anche ove esse concernano la stessa determinazione dell'oggetto del contratto o l'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, se tali elementi non sono individuati in modo chiaro e comprensibile.
Quindi l’applicabilità dell'art.35 del Codice del Consumo, secondo il quale “in caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l'interpretazione più favorevole al consumatore” e dell'art.1370 cod.civ., secondo il quale “le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s'interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro” è solo residuale quando le clausole dovessero essere ritenute non solo non chiare e comprensibili ma anche ambigue, seppur non produttive di un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti.
In altre parole, nel caso di non chiarezza e non comprensibilità che rientri nella clausola generale del significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti dovuto a scorrettezza del professionista viene prima la tutela costituita dalla nullità di protezione e solo quando la clausola non sia di per sé vessatoria viene in discussione la sua interpretazione orientata a favore del consumatore.
Ovviamente la Cassazione non ha potuto esaminare le censure alle valutazioni espresse dalla sentenza impugnata circa la chiarezza e comprensibilità delle clausole, trattandosi di questione di merito preclusa in sede di legittimità e non potendo essere superata da una generica denuncia della violazione del canoni legali in materia di interpretazione del contratto dovendosi individuare invece puntualmente e specificamente il canone ermeneutico violato.
Ha però risolto convincentemente la questione dei rapporti tra il provvedimento dell’Agcom ai sensi dell’art. 36 bis Codice del Consumo (per cui la tutela giurisdizionale è devoluta dalla norma al giudice amministrativo) e la salvezza della giurisdizione del giudice ordinario sulla validità delle clausole vessatorie e sul risarcimento del danno, nel senso che la tutela amministrativa prevista alla fine di un lungo procedimento in contraddittorio e suscettibile di sindacato del giudice amministrativo, non può essere posta nel nulla in sede di giudizio ordinario ma opera una presunzione legale, suscettibile di prova contraria, non sancita espressamente dalla legge e scaturente dalla funzione sistematica assegnata agli strumenti di public enforcement, che genera un dovere di motivazione e di specifica confutazione in capo al giudice ordinario adito ai sensi dell'art. 37 bis, comma 4, del Codice del Consumo e chiamato ad occuparsi dello stesso regolamento contrattuale oggetto dal provvedimento amministrativo e giudicato non chiaro e comprensibile dall'Autorità Garante per la concorrenza e il mercato.
La tutela amministrativa erogata attraverso il cosiddetto public enforcement con funzione tipicamente punitiva ed afflittiva finalizzata primariamente a garantire l’interesse pubblico ad un assetto concorrenziale dei mercatinon può essere sovrapposta alla tutela del singolo attraverso l'azione giurisdizionale dinanzi al giudice civile (cd. private enforcement), ma il relativo provvedimento costituisce pur sempre una prova dedotta in tale giudizio che il giudice non può liquidare sbrigativamente.
Anzi essa è idonea ad avere un valore privilegiato nel giudizio civile, che si concreta quanto meno nell’integrazione di una presunzione legale suscettibile di prova contraria, con il dovere del giudice di una specifica confutazione, tanto più necessaria ove, come in questa fattispecie, il dissenso sulla chiarezza e comprensibilità attenga proprio al contenuto del testo documentale valutato dall'AGCOM e non si fondi invece su elementi di fatto ulteriori attinenti allo specifico rapporto fra professionista e consumatore.
Così la sentenza impugnata, non avendo il giudice di appello effettuato tale specifica confutazione ed anzi avendo errato in diritto sulla possibilità di una nullità di protezione in caso di clausola oscura, è stata cassata con rinvio e la Corte di Appello dovrà valutare nuovamente tali aspetti.
Dal canto nostro, come già scritto, riteniamo sussistente sia la non chiarezza e non comprensibilità della clausola sulla rivalutazione in caso di estinzione anticipata, sia la non esistenza di una idonea informativa precontrattuale in merito.
[1] Si veda in questa rivista il nostro articolo La nullità della clausola di rivalutazione al franco svizzero del capitale in caso di estinzione anticipata del mutuo in https://blog.ilcaso.it/news_559
[2] Cass.. I sez., 31 agosto 2021 n. 23655.
[3] In questa rivista http://news.ilcaso.it/news_2297
[4] https://www.agcm.it/dotcmsCustom/tc/2023/7/getDominoAttach?urlStr=192.168.14.10:8080/C12560D000291394/0/35993280396FDDB0C12582C6004BC9B3/$File/p27214.pdf
[5] Sentenze 30/5/2013, in causa C-488/11; 14/6/2012, in causa C-618/10, 21/2/2013, in causa C-472/11; 30/4/2014, in causa C-26/13, 26/2/2015, in causa C-143/13; 20/9/2017, in causa C-186/16; 3/3/2020 in causa C.125/18
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