Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/02/2021 Scarica PDF
Bilanci 2020: un nuovo documento dell'OIC rischia di provocare dei dubbi sulla deroga che sospende gli ammortamenti previsti dall'articolo 2426, c. 1, n. 2 del codice civile
Gianfranco Capodaglio e Vanina Stoilova Dangarska, Gianfranco Capodaglio già professore ordinario di economia aziendale nell'Università di Bologna, dottore commercialista e revisore legale. Vanina Stoilova Dangarska dottore commercialista e revisore legale, phd Università UNWE SofiaIn questi giorni l’Organismo italiano di contabilità ha pubblicato in consultazione la bozza del documento interpretativo n. 9, intitolato “Legge 13 ottobre 2020, n.126 “Disposizioni transitorie in materia di principi di redazione del bilancio - sospensione ammortamenti”. Al paragrafo 8) leggiamo quanto segue. “In riferimento alla seconda parte, par. 6 b), l’articolo 60 comma 7-bis prevede che la quota di ammortamento non effettuata ai sensi del presente comma è imputata al conto economico relativo all’esercizio successivo e con lo stesso criterio sono differite le quote successive, prolungando quindi per tale quota il piano di ammortamento originario di un anno. La previsione della legge muove dall’assunto che al minor ammortamento del bene sia associata un’estensione di un anno della sua vita utile residua. Si tratta di casi in cui la quota di ammortamento dell’esercizio successivo (pari al rapporto tra valore del bene ammortizzabile e vita utile residua aggiornata) non si modifica nell’importo dal momento che la vita utile del bene è stata estesa per un anno (vedi esempio 3).
La norma non tratta il caso in cui al minor ammortamento del bene non sia associata un’estensione della sua vita utile, a causa ad esempio di vincoli contrattuali o tecnici. In questo caso, la quota di ammortamento dell’esercizio successivo (pari al rapporto tra valore del bene ammortizzabile e vita utile residua aggiornata) si modifica nell’importo, in quanto la vita utile rimane la stessa. In questi casi, la quota di ammortamento non effettuata nel corso dell’esercizio è spalmata lungo la vita utile residua del bene aumentandone pro quota la misura degli ammortamenti da effettuare (vedi esempio 4)”.
Dal tenore letterale dell’interpretazione, sembra che il documento distingua due casi: nel primo, la mancata imputazione degli ammortamenti sarebbe connessa ad un’effettiva estensione della vita utile dei cespiti cui gli ammortamenti si riferiscono; in questa ipotesi, avrebbe luogo il prolungamento di un anno del periodo d’ammortamento. Al contrario, nel secondo, nel quale non si verifichi un aumento della vita utile, la mancata imputazione degli ammortamenti provocherebbe un corrispondente aumento dell’entità delle quote da imputare negli esercizi successivi, ferma restando la durata del periodo d’ammortamento.
A parte il fatto che di tutto ciò non v’è traccia nel testo della norma, l’interpretazione non è condivisibile per i seguenti motivi: la sospensione delle quote e l’allungamento del periodo di ammortamento non possono essere condizionati al riconoscimento di un’effettiva maggiore possibilità residua di utilizzo dei cespiti. Occorre infatti osservare che, in assenza di deroghe normative, il piano d’ammortamento deve essere sempre redatto secondo le regole dettate dall’art. 2426, comma primo, n. 2), così come interpretato dai documenti OIC 16 e 24. Esso deve essere costruito in stretta relazione alla “residua possibilità di utilizzo del cespite” e, quindi, della sua vita utile. Se, a causa di un minor logorio dell’immobilizzo tecnico, la sua vita utile si allunga, non c’è bisogno di alcun provvedimento normativo per ridurre la quota d’ammortamento imputabile all’esercizio, anzi, il redattore del bilancio sarebbe obbligato a rielaborare il piano d’ammortamento in proporzione alla nuova residua possibilità di utilizzo. Inoltre, l’aver previsto la possibilità di escludere dal conto economico gli ammortamenti degli immobilizzi immateriali (tutti, quindi anche degli oneri pluriennali) non lascia spazio per l’immaginazione di aumenti nella loro vita utile.
La deroga ora prevista all’art. 2426 deve essere interpretata come deroga alla necessità che il periodo d’ammortamento coincida con la vita utile del cespite. Ciò significa che il prolungamento del periodo d’ammortamento rende quest’ultimo superiore alla residua possibilità di utilizzo, con l’inevitabile conseguente deroga sia al principio di prudenza, che a quello di competenza contenuti nell’art. 2423-bis: sarebbe contraddittorio derogare ai criteri di valutazione degli immobilizzi dettati dall’art. 2426, ma pretendere che vengano applicati alla fattispecie i principi di prudenza e competenza, che si esplicano attraverso i criteri di valutazione previsti dal medesimo articolo.
Vi sono, poi, altre considerazioni che portano al medesimo risultato. Al paragrafo 7 il documento opportunamente sottolinea che "la norma è inserita in un contesto normativo preordinato ad introdurre misure agevolative dovute alla pandemia.“
Il contesto normativo ha origine dalla deroga assunta dal legislatore rispetto ai requisiti per l’accertamento del presupposto di continuità dell’attività aziendale, contenuto nell’art. 2423-bis del codice civile. A tal proposito, il documento interpretativo n. 8 dell’OIC, al paragrafo 8, così si esprime: “Nei bilanci degli esercizi chiusi in data successiva al 23 febbraio 2020 e prima del 31 dicembre 2020 [….] la valutazione delle voci è stata fatta nella prospettiva della continuazione dell’attività in applicazione del paragrafo 21 oppure del paragrafo 22 dell’OIC 11. Può inoltre avvalersi della deroga qualora – ricorrendone i presupposti – nel predisporre il bilancio dell’esercizio precedente la società si sia avvalsa della deroga prevista dal comma 1 dell’articolo 38-quater della Legge 17 luglio 2020 n. 77 o della deroga prevista dalla precedente norma di cui all’articolo 7 della Legge del 5 giugno 2020 n. 40 in tema di “Disposizioni temporanee sui princìpi di redazione del bilancio” in vigore fino al 18 luglio 2020”. Giunge poi alla conclusione che, “Nel caso in cui la società si avvalga della deroga, il bilancio è redatto applicando tutti i principi contabili in vigore ad eccezione dei paragrafi 23 e 24 dell’OIC 11 e del paragrafo 59 c) dell’OIC 29” [evidenziazione nostra].
L’ultimo periodo è di grande importanza perché conferma la portata dell’innovazione normativa, dato il contenuto dei paragrafi 23 e 24 dell’OIC 11.
Risulta chiaro, pertanto, che le società che si avvalgono della deroga, in quanto riconoscono di non avere alternative alla prossima cessazione dell’attività, possono continuare a mantenere valutazioni di bilancio “fatte nella prospettiva della continuazione dell’attività” senza tener conto del limitato orizzonte temporale, non soltanto se non si siano ancora accertate ai sensi dell’art. 2485 del codice civile cause di scioglimento di cui all’art. 2484 del codice civile, ma anche nel caso in cui viene accertata dagli amministratori una delle cause di scioglimento di cui all’articolo 2484 del codice civile.
La posizione assunta dall’OIC conferma quindi che la volontà del legislatore è quella di mantenere (artificialmente) in vita imprese che non ne avrebbero la possibilità, senza la previsione di ricevere dalla pubblica autorità i mezzi necessari alla loro sopravvivenza.
La possibilità di non iscrivere in bilancio gli ammortamenti, vista nel contesto normativo delle disposizioni relative alla crisi da pandemia, si dimostra perfettamente in linea con la volontà del legislatore di dettare regole temporaneamente diverse da tutte quelle che sino ad ora hanno guidato la redazione dei bilanci. In sostanza, la norma consente alle imprese di non iscrivere in bilancio tutti i costi relativi agli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali ed immateriali, pur non essendovi alcun dubbio sul fatto che tali costi sono stati sostenuti dall’impresa, per il logorio fisico e l’obsolescenza dei fattori pluriennali impiegati. Tali costi, in assenza di deroghe, sarebbero di competenza economica dell’esercizio chiuso; adottando la deroga, si vìola anche il principio di prudenza.
Che le cose stiano proprio così, si evince anche da una disposizione di grande rilevanza contenuta nella norma, ma non riportata dal documento, la quale, dopo aver previsto che “La quota di ammortamento non effettuata ai sensi del presente comma è imputata al conto economico relativo all'esercizio successivo e con lo stesso criterio sono differite le quote successive, prolungando quindi per tale quota il piano di ammortamento originario di un anno”, aggiunge: “Tale misura, in relazione all'evoluzione della situazione economica conseguente alla pandemia da SARS-COV-2, può essere estesa agli esercizi successivi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.”
Il prolungamento del piano d’ammortamento, come detto, non è subordinato ad alcuna condizione, ma c’è di più: senza bisogno di ulteriori interventi del legislatore, il Ministro può estendere agli esercizi successivi tale misura, in relazione alla sola evoluzione della crisi economica dovuta alla pandemia. Non viene disposto alcun altro vincolo, tanto meno una verifica in merito alla “residua possibilità di utilizzo” dei cespiti i cui ammortamenti sono e restano non inseriti in bilancio.
Infine, un’ultima osservazione: la norma ribadisce che, se viene applicata la deroga, gl’immobilizzi interessati da essa appaiono in bilancio “mantenendo il loro valore di iscrizione, così come risultante dall’ultimo bilancio annuale regolarmente approvato”[1]. Con riferimento a questa disposizione, che potrebbe sembrare superflua, alcuni commentatori sostengono che, se non vengono imputati gli ammortamenti al conto economico e, quindi, il valore di iscrizione degli immobilizzi a fine esercizio resta uguale a quello presente all’inizio, dovrebbe risultare che il loro “valore” è inferiore a “quello determinato secondo i numeri 1) e 2)” dell’art. 2426 e, quindi, si dovrebbe rilevare una svalutazione che annullerebbe il vantaggio concesso dalla deroga. A nostro avviso, l’affermazione non è condivisibile: secondo la chiara disposizione del codice, il confronto va effettuato fra il “valore” riconosciuto al cespite sulla base di varie considerazioni lasciate alla discrezionalità tecnica del redattore del bilancio e “quello determinato secondo i numeri 1) e 2)”; ma il valore contabile del cespite a fine esercizio - nel nostro caso - non è determinato secondo i numeri 1) e 2), ma, al contrario, secondo la deroga all’art. 2426. Trattasi, quindi, della deroga – voluta dal legislatore - anche al n. 3) del citato articolo.
In conclusione, il redattore del bilancio, nella stima delle quote d’ammortamento e nella verifica del valore delle immobilizzazioni tecniche materiali ed immateriali, deve tener conto di una fictio juris secondo la quale nell’esercizio in cui non sono stati imputati gli ammortamenti, i cespiti non hanno subito diminuzioni della residua possibilità di utilizzo.
[1] Sarebbe interessante analizzare il caso in cui la società, per i più diversi motivi, non abbia approvato il bilancio relativo all’esercizio precedente a quello nel quale viene esercitata la deroga.
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