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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 03/04/2020 Scarica PDF

La scadenza dei titoli di credito al tempo del Coronavirus con una postilla sul pari decorso degli altri termini stragiudiziali

Eugenio Dalmotto, Professore di diritto processuale civile nell'Univesità degli Studi di Torino


Sommario: 1. Premessa: coronavirus ed emergenza liquidità. – 2. La posizione del Consiglio nazionale del notariato: l’ambito di applicazione soggettivo. – 3. (Segue): … e il contenuto oggettivo della disposta sospensione. – 4. Le conseguenze dell’incertezza applicativa. – 5. Una soluzione ragionevole (anche in relazione agli altri termini sostanziali).

 

1. Premessa: coronavirus ed emergenza liquidità

Tra gli effetti dell’epidemia dovuta al Covid-19, oltre all’emergenza sanitaria, è noto che si annoveri una grave crisi di liquidità per gli operatori economici, specie quelli di più modeste dimensioni come le piccole e medie imprese nonché l’esercito delle partite iva, tra cui sembrano particolarmente esposti gli artigiani, i negozianti al dettaglio, i ristoratori e in generale tutti coloro che vivono principalmente di flussi di cassa. Senza contare, poi, i molti consumatori che ricorrono al credito al di fuori dei consueti canali di erogazione, non potendo offrire garanzie sufficienti ai normali intermediari. Tutte queste categorie sono anche quelle che, per finanziarsi, sottoscrivono cambiali o assegni post datati. La gran parte di questi titoli sono destinati a scadere prima che l’attuale situazione di crisi venga superata.

Ne consegue la possibilità che vengano elevati un gran numero di protesti, con inevitabili ripercussioni sul mercato del credito ed in particolare su tutto ciò che riguarda il commercio, l’artigianato e la piccola impresa, per i quali non è esagerato parlare di pericolo per la sopravvivenza. Si può infatti facilmente prevedere che i soggetti protestati, iscritti per questo motivo alle varie centrali rischi, non possano più ottenere i necessari finanziamenti nemmeno quando dovessero essere varati, grazie alle garanzie più o meno forti messe a disposizione dallo Stato, gli auspicati piani di accesso facilitato al credito.

Non sorprende, dunque, che associazioni di categoria, forze politiche e comitati spontanei, abbiano rapidamente espresso l’esigenza di misure volte al congelamento dei titoli di credito fino a quando, passata la fase acuta della crisi, i debitori non siano in condizione di assolvere alle scadenze immediate.

Nell’iniziale concitazione era peraltro forse sfuggito ai più che, nelle pieghe della primissima legislazione di contenimento dell’epidemia di coronavirus, era già contenuta una norma in tal senso.

Il comma 5° dell’art. 10 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, recante «Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19», attualmente in corso di esame da parte del Parlamento ai fini della successiva conversione in legge, ha infatti disposto che, nei riguardi dei soggetti di cui al comma 4° e cioè di coloro che alla data dell’entrata in vigore del decreto erano «residenti, hanno sede operativa o esercitano la propria attività lavorativa, produttiva o funzione nei comuni di cui» alla zona rossa al tempo istituita, siano sospesi «i termini di scadenza, ricadenti o decorrenti nel periodo che va dal 22 febbraio 2020 e fino al 31 marzo 2020, relativi a vaglia cambiari, a cambiali e ad ogni altro titolo di credito o atto avente forza esecutiva». Ciò assieme alla previsione, contenuta per i medesimi soggetti nel ricordato comma 4°, che il «decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali è sospeso dal 22 febbraio 2020 fino al 31 marzo 2020 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione», precisandosi inoltre che, «ove la decorrenza del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, il termine decorre dalla fine del medesimo periodo» e che «sono altresì sospesi, per lo stesso periodo e nei riguardi dei medesimi soggetti, i termini relativi ai processi esecutivi e i termini relativi alle procedure concorsuali, nonché i termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi giurisdizionali».

Consapevolmente, o per una sorta di riflesso automatico, questi commi riproducono pressoché testualmente quelli contenuti in altra e precedente legislazione emergenziale, dovuta ai terremoti che periodicamente squassano il suolo della nostra patria, poco fortunata anche sul fronte tellurico[1].

In seguito, sono intervenuti numerosi, più articolati, decreti per fronteggiare l’epidemia da Covid-19, ma nessuno di essi è specificamente tornato sul tema della sospensione dei termini sostanziali e segnatamente sulla sospensione di quelli di scadenza dei titoli di credito, per i quali è pertanto rimasto dubbio se il regime di protezione dovesse rimanere confinato entro l’originaria zona rossa delimitata dal decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, oppure se dovesse estendersi, seguendo la diffusione dell’epidemia e correlativamente dell’ambito di applicazione dei successivi decreti, a tutto il territorio nazionale.

Inoltre, nonostante l’importanza della questione e la pressione esercitata dai ceti interessati, non è al momento subentrata alcuna proroga del termine finale della sospensione, rimasto fissato al 31 marzo 2020, sicché per molti debitori si pone il problema del sopraggiungere della scadenza delle obbligazioni cartolari incombenti a loro carico e per altrettanti creditori dell’onere di procedere al protesto a fronte del mancato pagamento. Né il tema in discussione è meno importante per coloro, come i notai e gli altri pubblici ufficiali tenuti a procedervi, tenuti a levare i protesti, che da un lato debbono ottemperare alla richiesta dei creditori intenzionati a far valere il titolo ma dall’altro non possono compiere, a pena di loro responsabilità, atti illegittimi, capaci oltretutto di cagionare grave danno a chi venga ingiustamente protestato.

 

2. La posizione del Consiglio nazionale del notariato: l’ambito di applicazione soggettivo

In questo quadro, sono intervenute due prese di posizione del Consiglio nazionale del notariato, di cui la prima assunta il 17 marzo 2020[2], e l’altra il 31 marzo 2020[3].

L’organo dei notai ha in particolare affrontato le due tematiche in precedenza segnalate e cioè in primo luogo la questione relativa all’ambito soggettivo, individuato sulla base territoriale del luogo di residenza, di applicazione della sospensione disposta dal comma 5° dell’art. 10 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, e in secondo luogo la questione del momento della scadenza delle obbligazioni cartolari sospese, con specifica attenzione al problema di come operi il periodo di sospensione dei termini di scadenza a giorno fisso, di cambiali, vaglia cambiari e ogni altro titolo di credito avente forza esecutiva, come previsto dalla normativa emergenziale. Ciò ai fini del conteggio dei termini per il protesto di cui all’art. 51, comma 3°, della legge cambiaria.

In merito al primo problema, il Consiglio nazionale del notariato ha ritenuto che la sospensione in esame, in corrispondenza con l’estensione della normativa emergenziale, oggi operi su tutto il territorio della Repubblica, benché l’art. 10, comma 5°, del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, letteralmente si riferisca ai soli soggetti residenti nei comuni di cui all'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° marzo 2020, ovvero ai residenti nella prima zona rossa che ha adottato le misure di contenimento del Covid-19.

Gli argomenti utilizzati per sostenere l’applicabilità della normativa all’intera Italia sono suggestivi e si appellano alla ratio dell’intervento emergenziale, alla lettera della legge e ai principi costituzionali. Sulla loro falsariga si può considerare quanto segue.

Iniziando dalla ratio del decreto, secondo il Consiglio nazionale del notariato si dovrebbe osservare che l’intervento legislativo si inserisce nell'ambito delle misure non solo di contrasto alla diffusione del virus Covid-19, ma anche di contenimento degli effetti negativi che esso sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale. Sarebbe dunque logico che, essendosi tali effetti estesi a tutto il territorio nazionale, parallelamente si siano anche estese le misure originariamente previste per la prima zona rossa, a meno che esse non siano state sostituite da una diversa regolazione della materia.

Passando al dato letterale, il legislatore ha espressamente disposto al comma 18° dell’art. 10 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, che «in caso di aggiornamento dell'elenco dei comuni di cui all'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, ovvero di individuazione di ulteriori comuni con diverso provvedimento, le disposizioni del presente articolo si applicano con riferimento ai medesimi comuni dal giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del relativo provvedimento». In un primo momento, dunque, il decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, ha avuto efficacia negli undici comuni ritenuti zona rossa di cui all’allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° marzo 2020[4]. Successivamente, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell’8 marzo 2020 ha per l’appunto ritenuto necessario procedere a una rimodulazione delle aree,nonché ad individuare ulteriori misure, ricomprendendo in una nuova zona rossa tutti i comuni della regione Lombardia e i tutti i comuni di alcune province dell’Emilia-Romagna, del Piemonte e del Veneto[5]. Infine, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 marzo 2020 ha applicato all’Italia intera le misure previste dall'art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell’8 marzo 2020. Sarebbe pertanto evidente che, con l'estensione delle aree attraverso l'individuazione di ulteriori comuni con diverso provvedimento prevista dal comma 18° dell’art. 10 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, si sia esteso a tutto il territorio nazionale, ossia a tutti i comuni italiani, anche la sospensione dei termini di scadenza delle obbligazioni cambiarie, sulla cui disciplina il legislatore, come si è avuto modo di ricordare, non è in seguito specificamente tornato, manifestando così l’intenzione di mantenere, applicandola in tutto lo Stato, quella originariamente dettata per i residenti nei comuni della prima zona rossa.

La circostanza che il legislatore non sia specificamente tornato sulla materia potrebbe invero indicare anche l’opposta volontà di lasciar cadere questa disciplina o quella di conservarla solo per i pochi comuni di cui all’elenco contenuto nell’allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° marzo 2020[6].

Ma la prima ipotesi si scontra con la difficoltà di colmare il vuoto lasciato dall’affidamento ingenerato nella prima zona rossa circa la sospensione dei termini. Mentre, come è stato osservato dal Consiglio nazionale del notariato, la seconda ipotesi, sarebbe inaccettabile sul piano costituzionale. Posto che l’epidemia si è fulmineamente estesa all’intera Italia, ed in molti posti imperversa come nei luoghi in cui è dapprima comparsa, sarebbe infatti in contrasto con il fondamentale principio di uguaglianza dettato dall’art. 3 Cost. prevedere, senza che sussista un ragionevole motivo di differenziazione, una disciplina diversa per i cittadini residenti in talune località[7].

Il tumultuoso incalzare degli avvenimenti avrebbe, in definitiva, sostituito all’ambito di applicazione comunale, che era sufficiente quando si pensava di poter circoscrivere i focolai di infezione e le relative criticità in un territorio ristretto, un più adeguato ambito di applicazione, fondato inizialmente su base provinciale ed infine, subito dopo, su base nazionale.

Sarebbe invece rimasto invariato il contenuto oggettivo delle regole inerenti alla sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito, non essendo sopravvenuta, né sotto questo aspetto né per la materia più ampia della sospensione dei termini sostanziali, alcuna successiva specifica regolamentazione, come invece è avvenuto, ad esempio, per i termini processuali.

In sintesi, dunque, nel solco della linea di pensiero esposto, per il Consiglio nazionale del notariato la sospensione della scadenza delle cambiali e ogni altro titolo di credito per i soggetti residenti nei comuni della prima zona rossa nel periodo compreso tra il 22 febbraio ed il 31 marzo 2020 sarebbe da intendere estesa, per effetto dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri rapidamente succedutisi, anche agli assegni e cambiali emessi sull’intero territorio nazionale. Ciò in virtù della clausola di salvaguardia contenuta nel decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, che stabilisce la possibilità di rimodulare le aree territoriali di riferimento per l’applicazione delle misure di contenimento adottate nelle aree della prima zona rossa.

   

3. (Segue): … e il contenuto oggettivo della disposta sospensione

La conclusione del Consiglio nazionale del notariato per l’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni sulla sospensione dei termini per le obbligazioni cartolari, a cui sarebbe giocoforza abbinare quella degli altri termini sostanziali, non può, come vedremo in chiusura, essere accolta, ma gli argomenti su cui può essere fondata sembrerebbero, ad una prima impressione, condivisibili.

Sicuramente errata pare invece, già all’impronta, la posizione assunta dall’organo dei notai in ordine al secondo problema e cioè in ordine agli effetti della sospensione della scadenza dei titoli di credito disposta dal comma 5° dell’art. 10 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9.

Secondo il Consiglio nazionale del notariato, infatti, occorrerebbe distinguere tra l’ipotesi in cui la data di scadenza dei titoli cambiari si ricavi da un conteggio e l’ipotesi in cui tale data sia indicata a giorno fisso. Nel primo caso, «se i giorni di scadenza delle cambiali e vaglia cambiari ricadono nel periodo di sospensione», il calcolo del termine di scadenza porterebbe ad uno slittamento in avanti di tanti giorni quanti sono quelli interessati dal periodo di sospensione. Nell’altro caso, invece, poiché il regime di sospensione consente al debitore di non «pagare nel giorno indicato sul titolo, [questi] dovrà procedere al pagamento non appena cessata la causa (legale) che glielo impedisce, con la conseguenza che, dovendo essere eseguito il pagamento dopo il 31 marzo 2020 (ultimo giorno del periodo di sospensione), si avrà un allineamento del termine di pagamento dei titoli con scadenza nel periodo di sospensione, al 1° aprile 2020». Se presentano una data di scadenza che cade nel periodo di sospensione, questi titoli dovrebbero essere dunque essere pagati «il 1° aprile, senza l’aggiunta di giorni ulteriori». E addirittura nulla quaestio per i titoli dove la data fissa di scadenza sia «posteriore al periodo di sospensione, per i quali non si applicherà alcuna sospensione dei termini»[8].

Il Consiglio nazionale del notariato quindi distingue, seguendo la terminologia adottata nell’art. 51 della legge cambiaria, tra cambiali scadenti a giorno fisso e cambiali scadenti a «certo tempo data» o a «certo tempo vista» e cioè decorsi un determinato numero di giorni dalla data di emissione o da quella di accettazione. Solo per i titoli scadenti a certo tempo i giorni assegnati dovrebbero essere mantenuti inalterati, operando il periodo di sospensione, secondo l’immagine utilizzata dal Consiglio nazionale del notariato, «come una parentesi, così che il conteggio dei giorni iniziato prima del periodo di sospensione, si arresterà per tutto il periodo di sospensione per poi riprendere al termine di questo». Per i titoli a giorno fisso, invece, alla data indicata per la scadenza non potrebbe aggiungersi un numero di giorni corrispondente a quello investito dal periodo di sospensione.

Tale lettura però disattende la regola pluralitas non est ponenda sine necessitate e, sul piano prettamente giuridico, si presta ad essere respinta per tre ordini di ragioni.

In primo luogo, il Consiglio nazionale del notariato pare andare contro al criterio dell’interpretazione letterale. Infatti, l'art. 10, comma 5° del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, disponendo che «i termini di scadenza, ricadenti o decorrenti nel periodo che va dal 22 febbraio 2020 e fino al 31 marzo 2020, relativi a vaglia cambiari, a cambiali e ad ogni altro titolo di credito o atto avente forza esecutiva, sono sospesi per lo stesso periodo» e cioè dal 22 febbraio 2020 fino al 31 marzo 2020, ha un significato univoco, che, come recita l’art. 12 delle Preleggi, è fatto palesedal significato proprio delle parole utilizzate nel decreto. Tale significato è che in quel periodo i termini di decorrenza e successiva scadenza dei titoli di credito non avanzano né di un giorno, né di un'ora, né di un minuto. Riprenderanno però a decorrere il 1° aprile 2020, facendo scoccare tutti quei minuti, tutte quelle ore e tutti quei giorni che dal 22 febbraio al 31 marzo 2020 non erano potuti avanzare. Non si ha dunque una semplice proroga[9]. Ma si ha una vera sospensione, in cui il termine, cessato l’impedimento, prosegue fino ad esaurire sia la parte che eventualmente residui sia quella che prima non è stata consumata[10]. Nell’intervallo di sospensione, in altre parole, il termine sospeso cessa di decorrere, ma, dopo tale intervallo, riprende la sua decorrenza per scadere solo quando abbia esaurito non solo i giorni che possono ancora mancare alla scadenza originaria, ma anche un periodo di pari durata rispetto a quello in cui esso è rimasto sospeso. Pertanto, se il termine fosse dovuto scadere sette giorni dopo il 22 febbraio 2020 (ossia il 29 febbraio 2020), questo invece scadrà sette giorni dopo il 31 marzo 2020 (ossia il 7 aprile 2020). Né le cose cambiano a seconda che tale termine derivi da un conteggio (ad esempio, trenta giorni dal 30 gennaio 2020, scadenti l’appunto il 29 febbraio 2020) o sia stato indicato direttamente per il 29 febbraio 2020. In entrambe le ipotesi, il termine scadrà sempre il 7 aprile 2020. Non sarebbe infatti ragionevole distinguere tra un caso e l’altro, visto che, in un momento in cui non si poteva prevedere il sopravvenire dell’evento sospensivo, tanto il debitore quanto il creditore possono aver voluto, sia programmando a giorno fisso sia a certo tempo, solo ed esclusivamente un termine con la medesima data di scadenza, che, se non può più essere quella originariamente pensata, dovrà comunque continuare a scadere dopo il medesimo intervallo[11].

In secondo luogo, quanto affermato dall’organo dei notai pare non essere in linea con il criterio, anch’esso enunciato dall’art. 12 delle Preleggi, della intenzione del legislatore, che pure era stato tenuto in considerazione per dedurne l’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione alla seconda zona rossa e poi a tutta l’Italia. Sul punto, sembra evidente che, inserendosi nel contesto della vasta manovra economico-sanitaria impostata dalla legislazione emergenziale, la ratio legis dei commi 4° e 5° dell’art. 10 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, sia, per le parti che qui rilevano, di dar respiro ai debitori, in attesa che si ripristini un flusso di cassa capace di restituire liquidità al sistema, nonché di congelare ogni attività diretta a tal fine durante il periodo di sospensione per le note esigenze sanitarie. Sarebbe dunque contrario a quanto voluto dal legislatore ipotizzare un meccanismo che, invece di consentire un graduale ritorno all'attività posponendo in avanti la scadenza dei termini di un periodo pari a quello della sospensione, prevedesse, per alcuni di loro, una semplice proroga sino alla scadenza della sospensione dei termini previsti a data fissa. Né possono essere sottovalutati gli effetti, contrari all'ordine pubblico economico e quindi, a maggior ragione, contrari allo scopo che il legislatore si ripromette, di contenere le conseguenze negative prodotte dall’epidemia, che deriverebbero da una interpretazione che portasse alla contemporanea scadenza, tutti il 1° aprile 2020, di una gran massa di titoli di credito, con la conseguente necessità per i creditori di elevare altrettanti protesti nel termine che, per l’art. 51 della legge cambiaria, è di appena due giorni feriali seguenti al giorno della scadenza.

In ultimo, ma decisivamente, sembra irragionevole pretendere, in aperta violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., che i debitori di una obbligazione cartolare a giorno fisso riattivino il flusso di cassa con cui ricostituire la liquidità necessaria più rapidamente rispetto a coloro per i quali il giorno di scadenza è determinato da un calcolo, i quali soli, a parere del Consiglio nazionale del notariato, potrebbero usufruire, dopo il 31 marzo 2020, della parte residua del periodo di sospensione non ancora consumato. Quasi che gli uni, per il fatto della scadenza a data fissa del loro titolo, siano in una condizione economica migliore e non abbiano bisogno di beneficiare pienamente, al pari degli altri, della dilazione consentita dall’art. 10, comma 5° del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9.

   

4. Le conseguenze dell’incertezza applicativa

In ogni caso, a prescindere dalle critiche mosse, è probabile che l’opinione espressa dal Consiglio nazionale del notariato induca coloro il cui credito cartolare sia indicato a giorno fisso a considerarlo scaduto il 1° aprile 2020, se ricadente nel periodo di sospensione, o a non conteggiare la sospensione, se ricadente dopo. Come pure è presumibile che altresì li induca, o li abbia già indotti, a chiedere il protesto dei loro debitori, anticipando prudenzialmente l’adempimento rispetto a quando avrebbero dovuto compierlo aggiungendo i giorni non consumati nel periodo di sospensione.

La circostanza, poi, di poter contare su una indicazione proveniente dal proprio organo rappresentativo indurrà la maggior parte dei notai, se materialmente in grado di levarlo, a non rifiutare il protesto che, secondo una diversa interpretazione, potrebbe essere considerato prematuro.

Ma, se l’affidamento nella posizione assunta dall’ufficio studi del notariato può probabilmente evitare ai professionisti la responsabilità disciplinare, sicuramente non impedisce ai debitori di fare valere l’eventuale illegittimità del protesto levato nei loro confronti e di chiederne la cancellazione. Come pure non impedisce loro di domandare di essere espunti dalle centrali rischi in cui siano stati eventualmente iscritti e di chiedere, a chi abbia tenuto la condotta assunta come illecita, il risarcimento del danno subito.

Il virus dell’incertezza e delle liti pare pertanto ormai inoculato.

Né, per continuare con la metafora, l’infezione sembrerebbe limitata al terreno della scadenza dei termini relativi ai titoli di credito di cui all’art. 10, comma 5° del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, ma, per effetto del comma 4° immediatamente precedente, parrebbe capace di infettare, con la malattia del dubbio, ogni certezza circa il decorso di tutti i «termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali», con l’esclusione solo dei termini processuali, soddisfacentemente riordinati dal decreto-legge n. 11 del 2020 e poi dagli artt. 83 e segg. del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (il cosiddetto decreto «cura Italia»).

  

5. Una soluzione ragionevole (anche in relazione agli altri termini sostanziali)

Eppure, la soluzione è forse più semplice di quanto si creda.

Basti considerare che l’art. 91 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, non trascura, come ad una ricognizione superficiale potrebbe sembrare, il tema della scadenza dei termini sostanziali, entro cui ricadono anche i termini per l’adempimento delle obbligazioni cartolari, ma dispone l’inserimento nell'art. 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, di un comma 6°-bis, secondo cui l’osservanza delle misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 «è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».

Tale norma, che ha effetto retroattivo al 23 febbraio 2020, sostituisce ed abroga, con una previsione alquanto più flessibile, la generalizzata sospensione dei termini, tra cui è da ritenere compresa quella per l’adempimento delle obbligazioni cartolari, contenuta nell’art. 10 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9.

Era dunque fallace il presupposto su cui si sono sviluppate le prese di posizione del Consiglio nazionale del notariato.

Nessuna estensione all’intera nazione della sospensione dei termini di scadenza delle obbligazioni cartolari come del pari nessuna sospensione degli altri termini sostanziali è mai avvenuta per il semplice motivo che la relativa disciplina è venuta retroattivamente meno, rimanendo assorbita nella nuova complessiva regolamentazione offerta dal comma 6°-bis del decreto-legge 23 febbraio 2020, che, come si è visto, invece di sospendere i termini ne subordina le conseguenze della decorrenza alla possibilità di adempierli in relazione al rispetto delle misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica da Covid-19.

Quanto poi agli abitanti della prima zona rossa, al di là del numero ristretto di casi che potranno concretamente porsi, essi non paiono irrimediabilmente pregiudicati per aver goduto di una sospensione svanita nel nulla. Questo perché chi rientrava tra i soggetti davvero bisognosi di salvaguardia dovrebbe comunque rientrare tra coloro che non hanno potuto adempiere nei termini per rispettare le misure contro l’epidemia, che ha avuto inizio proprio nei luoghi di loro residenza.

Insomma, per tornare alle cambiali e agli altri titoli di credito, il comma 6°-bis del decreto-legge 23 febbraio 2020 ha reso impossibile qualsivoglia sospensione o proroga del termine di adempimento. Le obbligazioni sono scadute e i protesti dovevano essere levati nei termini normali stabiliti dalle parti o imposti dalla legge. La possibilità per il debitore di adempiere dovrà tuttavia essere valutata in relazione agli impedimenti eventualmente suscitati dall’emergenza coronavirus. Una tale valutazione non potrà essere operata che in sede di eventuale contestazione della legittimità del protesto che sia stato levato, non potendo ovviamente essere operata dal notaio o dagli altri pubblici ufficiali, ove richiesti di procedere in relazione ad un titolo per il quale sia maturata la relativa scadenza temporale. Essi potranno semmai rifiutarsi di levare il protesto, senza per questo incorrere in responsabilità, quando la necessità di rispettare i provvedimenti dettati dall’autorità per il contenimento dell’epidemia impedisca loro di eseguire materialmente, anche «a distanza», le operazioni che occorrono. E così pure il creditore, sempre in base al comma 6°-bis del decreto-legge 23 febbraio 2020, non potrà incorrere in decadenze quando non sia stato possibile ottenere la levata del protesto per le ragioni in precedenza dette.

Resta il problema della liquidità da assicurare alle categorie menzionate in apertura di queste pagine.

Ma non credo che sarebbe una risposta adeguata disporre legislativamente, o ricavare interpretativamente, sospensioni o dilazioni, salvo quelle giustificate, nel singolo caso concreto, dalla necessità di osservare le prescrizioni per il contenimento dell’epidemia. Sono altri gli strumenti da adoperare, per la salvaguardia dell’economia, prima di ricorrere alla cura pericolosa di fermare per tutti, più o meno a lungo, il battito, giornalieramente ritmato, del traffico giuridico.



* Osservazioni in margine a due recenti prese di posizione del Consiglio nazionale del notariato. Questo testo sostituisce il precedente di pari data, rispetto al quale si differenzia per la correzione di alcuni refusi e per aver apportato alcune modifiche che non alterano però le conclusioni.

[1] Cfr., da ultimo, i commi 4° e 5° dell’art. 6 del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, convertito con modificazioni dalla legge 1° agosto 2012, n. 122, recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012», nonché i commi 3° e 4° dell’art. 5 del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito con modificazioni dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009».

[2] Cfr. la nota dal titolo «Sospensione dei protesti per emergenza coronavirus», che si può leggere sul sito del Consiglio nazionale del notariato all’indirizzo https://www.notariato.it/sites/default/files/Segnalazione-normativa-Protesti-01042020.pdf

[3] Cfr. il parere prot. n. 3054/2020, relativo agli «Effetti della sospensione dei protesti e legislazione emergenziale», reso in risposta al quesito n. 96-2020/P.

[4] Si tratta di Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D'Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, e Terranova dei Passerini nella regione Lombardia, nonché Vo' nella regione Veneto,

[5] Si tratta delle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia.

[6] In quest’ultimo senso cfr. Mattioni, La sospensione dei termini di prescrizione, decadenza e adempimento: incertezze applicative e possibili interpretazioni, in Federnotizie - https://www.federnotizie.it, del 25 marzo 2020, secondo il quale il superamento dell’allegato n. 1 al decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 1° marzo 2020 non avrebbe determinato l’estensione a livello nazionale delle previsioni dell’art. 10 del decreto-legge n. 9 del 2020, come confermato dall’emanazione del decreto-legge 8 marzo 2020, n. 11 (poi sostituito dagli artt. 83 e 84 del decreto-legge 17 marzo .2020, n. 18), volto a disciplinare in modo uniforme la materia processuale già regolata, con specifico riferimento alla zona rossa, dal decreto-legge n. 9 del 2020. «In altre parole il legislatore, allorché ha ritenuto di estendere all’intero territorio nazionale la sospensione delle udienze e dei termini processuali, lo ha fatto con una disposizione espressa (v. art. 1, comma 2°, del decreto-legge n. 11 del 2020 e ora artt. 83-84 del decreto-legge n. 18 del 2020). Nulla di analogo è avvenuto, invece, con riferimento ai termini civilistici di cui ai commi 4° e 5° dell’art. 10 del decreto-legge n. 9 del 2020: di conseguenza, nulla autorizza a ritenere che l’efficacia di tali disposizioni abbia subito variazioni a far tempo dalla loro entrata in vigore».

[7] Per lo stesso Mattioni, op. loc. cit., d’altra parte, benché «non pare si possa dubitare della correttezza tecnica» della conclusione secondo cui «ad oggi, la sospensione dal 22 febbraio 2020 al 31 marzo 2020 dei termini, legali e convenzionali, di prescrizione, decadenza e adempimento opera solo per i soggetti che al 2.3.2020 risiedevano od operavano nella prima “zona rossa”», «più che dubbia appare la sua razionalità. Sul piano della ratio legis, infatti, non si vede che senso abbia, in un contesto di generalizzata emergenza sanitaria, limitare ai pochi Comuni della prima “zona rossa” la sospensione dei termini di prescrizione, di decadenza, di adempimento contrattuale e di scadenza dei titoli di credito. Una previsione di questo tipo appare, a tacer d’altro, irragionevole alla luce del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.».

[8] I periodi virgolettati sono tratti dal parere prot. n. 3054/2020.

[9] Come si ha, ad esempio, ex art. 155, comma 4° e 5°, c.p.c. quando un termine processuale cada di sabato o in un giorno festivo ed è quindi prorogato al primo giorno seguente non festivo.

[10] Per la distinzione tra proroga e sospensione, cfr., tra gli altri, Grossi, voce Termine (diritto processuale civile), in Enc. Dir., XLIV, Milano, 1992, 245. Nel linguaggio comune, del resto, il termine proroga indica il prolungamento della durata di una attività, mentre la sospensione indica una interruzione temporanea della stessa, che è destinata a riprendere dopo la pausa.

[11] L’esistenza di un accordo tra le parti del rapporto sostanziale sul tempo dell’adempimento e l’imprevedibilità del sopravvenire della causa di sospensione, che ha necessariamente escluso la possibilità di tenerne conto indicando una scadenza a data fissa, porta a tenere separata l’ipotesi in esame da quanto si realizza in sede processuale per effetto della legge 7 ottobre 1969, n. 742, sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, prevista per ritagliare nella stagione estiva una pausa di riposo (oggi dal 1° al 31 agosto di ciascun anno) per il ceto forense, su cui cfr., Grossi, voce Termine, cit., 247 e segg.; Lupano, Art. 155 c.p.c., in Besso e Lupano, Atti processuali, in Chiarloni (a cura di), Commentario del Codice di Procedura civile, Bologna, 2016, 665 e segg. Infatti, nel campo della sospensione feriale dei termini processuali (dove il recupero del periodo estivo è implicito nel meccanismo della scadenza rimessa a un calcolo), si può ammettere che il giudice, indicando per la scadenza di un termine rimesso alla sua discrezionalità una data fissa successiva al periodo di sospensione, intenda incorporare nella decorrenza di tale termine il periodo di sospensione, che dunque, in tal caso, non rileva. E così pure, quando indichi una data fissa ricadente nell’intervallo coperto dalla sospensione feriale (cosa che, sia pur rara, può accadere, ad esempio quando sbagli circa la sussistenza di una delle materie nelle quali non opera tale sospensione), si può presumere che il giudice, qualora si fosse reso conto dell’errore, avrebbe indicato il primo giorno a disposizione dopo la sospensione. Sennonché la sospensione feriale è un evento prevedibile. Essa può essere quindi consapevolmente incorporata nel termine, indicando una data fissa successiva al suo decorso. O, se ciò non è stato fatto e la data fissa indicata è ricaduta nel periodo di sospensione, è corretto che operi una semplice proroga sino alla scadenza del periodo in cui il termine non poteva decorrere, dato che ciò è quanto rispetta di più l’ordine impartito dal giudice. Invece, nel caso dei termini delle obbligazioni cartolari, non solo la fissazione della durata del termine risiede nell’incontro delle volontà delle parti sostanziali, ma tale volontà, nella particolare fattispecie determinata dalla legislazione emergenziale, si è formata quando non si poteva prevedere, né minimamente sospettare, ciò che sarebbe successivamente accaduto.


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