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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/02/2020 Scarica PDF
Note a prima lettura sulla nuova azione inibitoria collettiva (art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ.)
Eugenio Dalmotto, Professore di diritto processuale civile nell'Univesità degli Studi di TorinoSommario: 1. Premessa. – Parte I. L’ambito di applicazione. – 2. I legittimati attivi. – 3. I legittimati passivi. – 4. La salvezza delle leggi speciali. – 5. Il regime transitorio. – Parte II. Il giudice. – 6. Il tribunale delle imprese. – 7. La competenza per territorio. – Parte III. Il procedimento. – 8. Le caratteristiche generali. – 9. Il pubblico ministero. – 10. La fase introduttiva. – 11. La fase di trattazione. – 12. La decisione e i rimedi. – Parte IV. I provvedimenti. – 13. Le tutele di merito. – 14. La coercizione indiretta. – 15. La pubblicità. – 16. La condanna alle spese. – 17. La tutela cautelare. – Parte V. L’Efficacia dell’accertamento. – 18. La riproponibilità della domanda inibitoria. – 19. Gli effetti sull’azione risarcitoria successiva. – 20 Conclusioni. – 21. Bibliografia.
1. Premessa
Ogni tutela giurisdizionale, tanto individuale quanto collettiva, si fonda su tre pilastri, così disposti in ordine logico e cronologico: prima la tutela inibitoria, per impedire che l’altrui illecito produca danno o continui a produrlo; poi la tutela ripristinatoria, eventualmente restitutoria, per ricostituire, nei limiti del possibile, la situazione precedente; infine la tutela risarcitoria, per compensare con un equivalente monetario il pregiudizio realizzatosi nonostante le precedenti tutele.
Inserendo, nel libro IV del codice di procedura civile, il titolo VIII-bis sui «procedimenti collettivi», la legge n. 31 del 12 aprile 2019, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 92 del 18 aprile 2019, ha invertito la sequenza, collocando al fondo, anziché all’inizio, la tutela inibitoria (a cui ha ricondotto la tutela ripristinatoria, ma non quella restitutoria, che, avendo normalmente ad oggetto somme di denaro, è stata assimilata alla tutela risarcitoria).
L’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., al quale la sorte ha attribuito il singolare privilegio di concludere il codice di rito, è stato quindi dedicato alla «azione inibitoria collettiva», sostituendo l’art. 140 cod. cons., che riproduceva, in larga parte, l’art. 3 della legge 30 luglio 1998, n. 281, sui diritti dei consumatori, oggi assorbita all’interno del codice del consumo, emanato con il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.
Le disposizioni contenute negli artt. da 840-bis a 840-quinquesdecies cod. proc. civ. sono state invece riservate all’azione risarcitoria, rimpiazzando l’art. 140-bis cod. cons., che, introdotto dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha avuto una vita piuttosto travagliata, avendo subito ripetute proroghe del termine iniziale di efficacia ed essendo stato modificato, prima ancora di entrare in vigore, dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, a cui si è aggiunta, apportando alcuni ulteriori cambiamenti, la legge 24 marzo 2012, n. 27. Per tale azione, il legislatore ha scelto il nomen iuris di «azione di classe», confermando la terminologia applicata all’art. 140-bis cod. cons. dalla legge n. 99 del 2009. Nel suo ambito è infatti necessario formare una «classe» di beneficiari ai quali possano essere assegnati, in caso di esito positivo, i risarcimenti individuali; mentre la creazione di una analoga categoria di soggetti appare superflua in sede inibitoria, dove il provvedimento finale, se favorevole, è destinato a riverberarsi automaticamente a vantaggio di tutti i potenziali interessati.
L’esame della normativa alla quale si è accennato, importante anche perché ha abbattuto i confini dell’originaria limitazione ai rapporti di consumo, suscita numerose considerazioni critiche.
Con specifico riferimento all’azione inibitoria collettiva, si può provare ad anticiparne alcune.
Non si comprende la ragione per cui, dopo aver previsto solo in relazione all’azione risarcitoria meccanismi volti al controllo dell’adeguatezza di chi abbia assunto la rappresentanza processuale degli interessi coinvolti, gli artt. 840-bis, 2° comma, e 840-sexiesdecies, 1° comma, cod. proc. civ. abbiano sostanzialmente equiparato l’azione di classe e l’azione inibitoria collettiva sotto il profilo della legittimazione attiva. Mancando un previo sindacato di ammissibilità della domanda simile a quello contemplato per l’azione risarcitoria dall’art. 840-ter cod. proc. civ., non pare infatti opportuno aver attribuito la capacità di proporre la domanda inibitoria a chiunque si affermi titolare dell’interesse alla tutela giurisdizionale, anziché conferire il potere di esercizio dell’azione alle sole organizzazioni o associazioni la cui idoneità a far valere il diritto in giudizio sia certificata dall’appartenere all’elenco, di cui all’art. 196-ter disp. att. cod. proc. civ. e 840-bis, 2° comma, cod. proc. civ., dei soggetti legittimati a proporre i procedimenti collettivi disciplinati dal titolo VIII-bis del libro IV del codice di rito.
Non è agevole ricostruire la disciplina procedimentale dell’azione, che deve essere faticosamente ricavata, per gran parte, dal richiamo a disposizioni del codice di rito non specificamente dettate allo scopo. Così, in una vorticosa girandola, resa incerta dall’applicazione della clausola di compatibilità, il 3° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. rinvia agli artt. 737 e segg. cod. proc. civ. sulle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, distinguendo in tal modo, per questo aspetto, l’azione inibitoria da quella risarcitoria, rivolta invece, ai sensi del rinvio operato dall’art. 840-ter, 3° comma, cod. proc. civ., al modello del procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis e segg. cod. proc. civ. Ma pure il successivo 4° comma rinvia ad altra disciplina e precisamente all’art. 840-quinquies cod. proc. civ., che detta norme particolari in ordine al procedimento nell’azione di classe. Ed infine il 6° comma, che segue poco dopo, a propria volta rimanda, suscitando non pochi interrogativi, alle misure di coercizione indiretta di cui all’art. 614-bis cod. proc. civ.
Non si vede per quale motivo, nonostante abbia ad oggetto l’accertamento dei medesimi illeciti, l’azione inibitoria debba distinguersi da quella risarcitoria non solo per il rinvio al rito camerale anziché al procedimento sommario di cognizione, di per sé giustificabile in forza delle esigenze di maggiore celerità e speditezza caratteristiche della tutela inibitoria, ma anche sotto altri profili, per i quali è difficile trovare una spiegazione. Così, in virtù dell’ultima parte del 3° comma dell’art. 840-ter cod. proc. civ., si trova traccia del pubblico ministero esclusivamente con riferimento all’azione inibitoria, o, ex art. 840-novies cod. proc. civ., si attribuisce al regime delle spese carattere premiale per gli avvocati della parte ricorrente unicamente quando venga esercitata una azione di classe.
Non è condivisibile la scelta di ulteriore diversificazione all’interno delle azioni inibitorie operata dal 10° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., secondo cui, con l’eccezione dell’art. 140 cod. cons., sono fatte salve le disposizioni previste dalle leggi speciali, tra le quali spiccano per frequenza applicativa quelle di cui all’art. 37 cod. cons., sulla protezione dei consumatori dalle clausole vessatorie. Né, mantenuta la precedente normativa speciale, risulta accettabile che sia stato omesso di adeguarla ai mutamenti intervenuti sul piano generale.
Lascia perplessi la grande quantità di problemi interpretativi minori, come quelli che si pongono in materia di competenza o di natura dell’intervento del pubblico ministero, ovvero su altri temi processuali, che sono destinati ad affaticare giudici ed avvocati.
Stona la mancata conferma della possibilità di provvedere in maniera più rapida dell’ordinario quando ricorrano «giusti motivi di urgenza», secondo l’espressione che sopravvive nell’art. 37 cod. cons., mantenuto in vigore dall’art. 840-sexiesdecies, 10° comma, cod. proc. civ.
Da ultimo, rimane la questione forse più dibattuta.
Mi riferisco al rapporto tra l’accertamento operato con l’azione inibitoria collettiva e quello, normalmente successivo, da operare in sede risarcitoria.
Sul punto il legislatore tace.
O meglio, sembrerebbe aver aggravato il problema, posto che, per il 9° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., «quando l'azione inibitoria collettiva è proposta congiuntamente all'azione di classe, il giudice dispone la separazione delle cause», rendendo inevitabile, in ragione del divieto del cumulo oggettivo di domande, l’interrogativo sugli effetti della pronuncia passata per prima in giudicato.
Non resta allora che procedere per ordine nell’esposizione, affrontando man mano i dubbi suscitati dalla nuova disciplina.
Parte I. – L’ambito di applicazione
2. I legittimati attivi
Iniziando dall’ambito di applicazione delle norme, occorre individuare i soggetti che possono agire in giudizio, quelli nei cui confronti è diretta la tutela inibitoria e le condotte contro cui può essere chiesta protezione.
Sotto il primo profilo, l’art. 840-sexiesdecies, 1° comma, cod. proc. civ. riconosce la legittimazione attiva ad esercitare l’azione ad un’ampia platea di soggetti, cessando di circoscriverla, come avveniva nel caso dell’art. 140 cod. cons. e dell’art. 3 della legge n. 281 del 1998, ad organismi con finalità di «tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti», quali quelli di cui all’art. 139 del medesimo codice, vale a dire le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale iscritte ad un apposito albo ministeriale.
Conformemente alla portata tendenzialmente generale della nuova disciplina sulle azioni di classe e collettive, che proprio per questo ora trova la sua collocazione sistematica all’interno del codice civile e non più in leggi speciali, la prima parte del 1° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. dispone infatti che possa agire «chiunque abbia interesse alla pronuncia di una inibitoria di atti e comportamenti», se «posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti».
L’«interesse» ad agire è presunto ex lege in capo a taluni soggetti. La legittimazione attiva è pertanto attribuita espressamente, come si ricava dalla seconda parte del ricordato 1° comma, a tutte «le organizzazioni o le associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela degli interessi pregiudicati dalla condotta» da inibire. Questo purché, come il legislatore subito precisa, tali organizzazioni o associazioni siano iscritte all'elenco pubblico di cui all'art. 840-bis, 2° comma, cod. proc. civ., che verrà istituito presso il Ministero della giustizia ed a cui sono tenuti ad aderire anche gli enti che intendano promuovere l’azione di classe. Sul punto, l’art. 196-ter disp. att. cod. proc. civ., introdotto dalla legge n. 31 del 2019, dispone che, con decreto ministeriale, di cui si è ancora in attesa nonostante dovesse essere emanato nel termine di centottanta giorni, siano stabiliti i requisiti per ottenere l’iscrizione, i criteri per la sospensione e la cancellazione delle organizzazioni e delle associazioni registrate, il contributo dovuto ai fini dell’inserimento e nella permanenza nell’albo, nonché modalità di aggiornamento dello stesso. Come espressamente stabilito dal ricordato art. 196-ter disp. att. cod. proc. civ., sarà ad ogni modo richiesto il superamento di una «verifica» delle finalità programmatiche, dell’adeguatezza a rappresentare e tutelare i diritti omogenei azionati, della stabilità e della continuità delle associazioni e delle organizzazioni, nonché delle fonti di finanziamento utilizzate.
Hanno inoltre un chiaro «interesse» all’esercizio dell’azione, e deve quindi essergli riconosciuta la legittimazione attiva ai sensi del 1° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., tutti coloro i quali siano in corso di danneggiamento o possano essere danneggiati dalla condotta da inibire. Salvo il caso dell’esaurimento della potenzialità dannosa, la legittimazione attiva finisce allora per coincidere, da questo punto di vista, con quella prevista per l’azione risarcitoria, dove è riconosciuta, ai sensi dell’art. 840-bis, 2° comma, cod. proc. civ., a «ciascun componente della classe» dei danneggiati.
Fuori dai casi descritti, potrebbe sorgere il dubbio se, potendo rientrare nella categoria riconducibile a «chiunque abbia interesse», tra gli enti collettivi sia possibile considerare legittimati anche altri soggetti esponenziali dell’interesse alla pronuncia inibitoria che non siano «le organizzazioni o le associazioni» iscritte all’apposito albo ministeriale a cui è fatto cenno in precedenza. Sembra tuttavia corretto ritenere che, analogamente a quanto dispone la seconda parte del 2° comma dell’art. 840-bis cod. proc. civ. per l’azione di classe, quando ci si riferisce a organizzazioni od associazioni, la legittimazione sia riservata «esclusivamente» a quelle di cui all’albo tenuto presso il Ministero della giustizia.
In definitiva, dunque, i legittimati all’azione inibitoria collettiva non paiono diversi da quelli che lo sono per la corrispondente azione risarcitoria.
Ma mentre l’art. 840-ter, 4° comma, lett. d), cod. proc. civ. stabilisce, per l’azione di classe, che il tribunale non ammetta l’azione se «il ricorrente non appare in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei fatti valere in giudizio» o in caso di conflitto di interessi, nulla di simile è previsto per l’azione inibitoria, che vede così aumentare il rischio di iniziative giudiziarie intentate da soggetti incapaci di valutarne la fondatezza, prepararle e coltivarle secondo il dovuto standard professionale.
Sarebbe stato pertanto preferibile, considerata l’assenza di un filtro di ammissibilità, limitare la legittimazione attiva per l’esercizio dell’azione inibitoria collettiva alle organizzazioni e alle associazioni registrate nell'elenco pubblico di cui all'art. 840-bis, 2° comma, cod. proc. civ., per le quali, quando il relativo albo sarà in concreto istituito, il Ministero della giustizia valuterà ex ante, in via generale, l’idoneità ad essere parte nei procedimenti collettivi, di tipo risarcitorio o inibitorio, previsti dal titolo VIII-bis del libro IV del codice di procedura civile.
Del resto, le azioni inibitorie di cui all’art. 140 cod. cons. e all’art. 3 della legge n. 281 del 1998 ricollegavano la legittimazione attiva per il procedimento, come tuttora l’azione inibitoria di cui all’art. 37 cod. cons., esclusivamente ad enti esponenziali di interessi dotati della caratteristica di aver precedentemente ottenuto l’iscrizione in appositi elenchi. E ciò risultava assolutamente congruente rispetto alla struttura di procedimenti che, come oggi quello di cui all’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., non prevedono alcun sindacato preventivo di ammissibilità dell’azione, che sarebbe in ipotesi necessario per impedire iniziative promosse da soggetti non adatti a rappresentare coloro i quali siano pregiudicati dall’altrui condotta illecita ma che appare incompatibile con le esigenze di celerità che connotano la tutela inibitoria. Diversamente dalla tutela risarcitoria, per la quale il sistema della rivalutazione del danno e degli interessi di mora può costituire un valido contrappeso allo scorrere del tempo, la tutela inibitoria risulta infatti inevitabilmente tanto meno efficace quanto maggiore sia il ritardo con cui venga erogata, sicché non desta meraviglia che in essa manchino fasi preliminari simili a quella prevista nell’azione di classe.
3. I legittimati passivi
Quanto poi alle possibili parti convenute, l’art. 840-sexiesdecies, 2° comma, cod. proc. civ. dispone, con la stessa formula adottata dall’art. 840-bis, 3° comma, cod. proc. civ. per l’azione risarcitoria, che «l'azione può essere esperita nei confronti di imprese o di enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività».
Ciò indirettamente restringe, in maniera non sempre convincente, anche l’ambito oggettivo della tutela.
Se infatti è insito nell’azione inibitoria collettiva che essa sia esperita per la tutela di «atti e comportamenti» realizzati «in pregiudizio di una pluralità di individui o enti», come specificato del 1° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., risponde ad una scelta di mera opportunità la sua limitazione alla tutela da «imprese» o da enti di gestione «di servizi pubblici o di pubblica utilità» e non anche da altri soggetti come lo Stato o chiunque altro non eserciti una attività di impresa, ancorché la sua attività possa danneggiare «una pluralità di individui o enti». Così, non sorprende la decisione del legislatore di escludere la pubblica amministrazione, alla quale viene tradizionalmente riservato un regime particolare. Ma appare meno giustificabile la scelta di escludere, oltre a quest’ultima, anche tutti gli altri soggetti che non siano qualificabili come imprenditori e cioè che non ricadano tra coloro che, secondo la definizione di cui all’art. 2082 cod. civ., esercitino «professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi». Tra di essi si annoverano le organizzazioni cosiddette non profit, le fondazioni, le associazioni, i partiti politici o i sindacati, che, per quanto non svolgano attività di tipo imprenditoriale, possono segnare profondamente la vita quotidiana di una moltitudine di persone. Dunque, la scelta legislativa di discriminare tra gli imprenditori e i non imprenditori ai fini della soggezione all’azione inibitoria collettiva sembra poco ragionevole e potrebbe dar luogo ad incidenti di legittimità costituzionale sotto il profilo della violazione dell’art. 3 Cost. per avere, in assenza di ragioni sufficienti, diversamente disciplinato situazioni accomunate da una analoga potenzialità dannosa di massa.
L’ampiezza della formula secondo cui la tutela collettiva è concessa contro tutti gli «atti e comportamenti posti in essere» da imprese o enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità «nello svolgimento delle loro rispettive attività», tra cui c’è senz’altro anche quella di organizzare i fattori della produzione, impone poi di ricomprendere nell’ambito di applicazione delle azioni disciplinate dal titolo VIII-bis del libro IV del codice di procedura civile, tanto inibitorie quanto risarcitorie, anche la materia del lavoro, da sottrarre pertanto, in questo specifico caso, all’applicazione degli artt. 409 e segg. cod. proc. civ.
4. La salvezza delle leggi speciali
Nonostante la natura generale della nuova azione inibitoria collettiva, il 10° comma dell’art. 840-sexiesdecies fa espressamente salve, come si è già accennato, le disposizioni previste in materia dalle leggi speciali.
Ne consegue una significativa restrizione dell’applicabilità della nuova disciplina, posto che tali leggi sono numerose.
Si pensi, tra le normative maggiormente assimilabili a quella oggi introdotta, all’art. 8 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, sulla tutela dalle condizioni generali inique relative al pagamento ed al ritardo nei pagamenti; all’art. 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, sulle controversie in materia di discriminazione, e soprattutto all’art. 37 cod. cons. sull’inibitoria all’uso delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, la cui conservazione determina non pochi problemi di coordinamento.
5. Il regime transitorio
Un’ulteriore forte limitazione discende dal particolare regime transitorio adottato per l’entrata in vigore del titolo VIII-bis sui procedimenti collettivi.
Non basta che il 1° comma dell’art. 7 della legge n. 31 del 2019 stabilisca una vacatio legis inusualmente lunga, attualmente di ben un anno dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, per gli adeguamenti informatici richiesti dalla nuova disciplina e per l’istituzione del previsto elenco pubblico delle organizzazioni e delle associazioni senza scopo di lucro legittimate all’esercizio dei procedimenti collettivi di cui all'art. 840-bis, 2° comma, cod. proc. civ. Né bastano i differimenti che saranno disposti, come pare inevitabile, se si considerano i ritardi ormai accumulati nella predisposizione delle misure di attuazione.
L’art. 7, infatti, soggiunge, al 2° comma, che «le disposizioni della presente legge si applicano alle condotte illecite poste in essere successivamente alla data della sua entrata in vigore» e che «alle condotte illecite poste in essere precedentemente continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della medesima data di entrata in vigore».
Quindi, in deroga al principio della immediata applicazione della norma processuale sopravvenuta, che in passato il legislatore ha temperato con la regola dell’applicabilità ai procedimenti iniziati dopo l’entrata in vigore della legge che le prevede, tanto l’azione inibitoria collettiva quanto quella risarcitoria entreranno nell’uso alquanto lentamente, interessando non già, come sarebbe potuto essere con una limitazione ragionevole del principio tempus regit actum, i procedimenti successivi all’entrata in vigore della nuova disciplina, ma addirittura circoscrivendo la sua applicazione agli illeciti commessi dopo tale momento.
Ciò determinerà gravi incertezze, in quanto non sempre riesce facile individuare quando abbia avuto inizio la condotta illecita, che potrebbe risalire ad un tempo anche molto anteriore rispetto al suo manifestarsi.
Sarebbe stato dunque meglio, come è già avvenuto in occasione di altre riforme processuali, legare l’applicabilità della nuova disciplina processuale alla data di inizio del processo e non a quella del compimento della condotta da cui trae origine il diritto alla tutela inibitoria o risarcitoria.
Né si possono tacere i paradossi derivanti dal coordinamento delle disposizioni transitorie con l’inibitoria speciale di cui all’art. 37 cod. cons., fatta salva dal 10° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ.
In proposito, si consideri che il 4° comma dell’art. 37 cod. cons. rinvia, per quanto non previsto, all’azione inibitoria di cui all’art. 140 cod. cons.
Ma l’art. 5 della legge n. 31 del 2019 prevede l’abrogazione proprio dell’art. 140 cod. cons., che per il 2° comma dell’art. 7 dovrebbe continuare ad applicarsi solo agli illeciti commessi prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina.
Così, o si ipotizza, come pare preferibile, la piena ultrattività, ai limitati fini del completamento della disciplina speciale, dell’art. 140 cod. cons. proprio in virtù del richiamo ad esso operato dal 4° comma dell’art. 37 cod. cons., oppure si dovrebbe ritenere, con non poche complicazioni, che anche l’inibitoria in materia di clausole vessatorie sia destinata a differenziarsi, ai sensi dell’art. 7, 2° comma, a seconda dell’anteriorità o meno della condotta illecita rispetto all’entrata in vigore della legge n. 31 del 2019. Quindi, per le condotte poste in essere prima, il rinvio al vecchio art. 140 cod. cons. continuerebbe ad operare senza difficoltà. Per quelle poste in essere dopo, invece, le lacune dell’art. 37 cod. cons. non potrebbero essere colmate se non facendo riferimento all’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. ossia alla disposizione di carattere generale subentrata all’art. 140 cod. cons.
Parte II. – Il giudice
6. Il tribunale delle imprese
Passando al giudice, la seconda parte del 3° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. individua, in via esclusiva, la relativa competenza nella «sezione specializzata in materia di impresa» del «luogo dove ha sede la parte resistente», innovando così rispetto al precedente regime di cui all’art. 140 cod. cons., che non prevedeva alcuna deroga rispetto ai criteri valevoli in generale per ogni tipo di controversia. Nulla essendo stato precisato in ordine all’attribuzione della competenza alla sezione specializzata del tribunale anziché, in ipotesi, della corte d’appello, il riferimento al primo deve essere ricavato in via interpretativa dall’art. 9 cod. proc. civ., secondo cui il tribunale «è competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice».
L’art. 840-ter cod. proc. civ. ricorre ai medesimi criteri anche nel campo dell’azione di classe, per la quale l’art. 140-bis cod. cons. aveva invece originariamente previsto (nel testo introdotto dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244) la competenza delle sezioni ordinarie del tribunale del luogo in cui avesse sede l’impresa, concentrandola poi (con la legge 23 luglio 2009, n. 99) nel collegio delle sezioni ordinarie del tribunale del capoluogo della corrispondente regione, salva, per alcune di esse, l’attrazione al capoluogo di regioni più grandi.
L’art. 6 della legge n. 31 del 2019 coordina il tutto con la disciplina delle sezioni specializzate in materia di impresa, che, ai sensi dell’art. 1 del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168 (successivamente modificato dal decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito nella legge 24 marzo 2012, n. 27), sono istituite presso i tribunali e le corti d'appello di tutte le città capoluogo di regione, con l’esclusione di Aosta, che è ricompresa nel distretto di Torino, ma con l’aggiunta di Brescia e Catania, sedi di una seconda corte d’appello nella relativa regione, e di Bolzano, capoluogo di una provincia autonoma. L’art. 3, 1° comma, del decreto legislativo n. 168 del 2003 viene infatti integrato, inserendo la lett. d-bis), che riconosce l’attribuzione di tutte le «controversie di cui al titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile» alle sezioni specializzate in materia di impresa. La materia dei procedimenti collettivi si aggiunge così a quelle trattate da tali sezioni, che sinora erano riconducibili a tre grandi aree: le controversie in tema di diritto industriale e diritto di autore, le controversie inerenti il diritto antitrust e le controversie in materia societaria.
La scelta, sicuramente opportuna, è volta a riservare la trattazione dei procedimenti collettivi, spesso connotati da notevoli profili di delicatezza e di complessità, a magistrati dotati, a partire dai loro presidenti, di una particolare professionalità. Per l’art. 2, 1° comma, del decreto legislativo n. 168 del 2003, infatti, «i giudici che compongono le sezioni specializzate sono scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze», che, come ovvio, dovrebbero poter essere incrementate proprio in virtù della centralizzazione del contenzioso in materia di impresa in capo alle sezioni specializzate a cui sono stati destinati.
Né si può dimenticare che l’inserimento nell’art. 3 del decreto legislativo n. 168 del 2003 delle controversie di cui al titolo VIII-bis del libro IV del codice di rito comporta l’applicazione di specifici profili di disciplina, tra cui, ai sensi del successivo art. 5, l’attribuzione al presidente della sezione specializzata in materia di impresa, nelle materie di competenza della sezione stessa, delle attribuzioni riconosciute al presidente del tribunale e al presidente della corte d'appello o, ai sensi dell’art. 50-bis, n. 3, cod. proc. civ., la regola, valida per tutte le cause «devolute alle sezioni specializzate» e quindi anche per quelle devolute alle sezioni specializzate in materia di impresa, che «il tribunale giudica in composizione collegiale».
7. La competenza per territorio
La formula utilizzata dal legislatore per determinare la competenza per territorio, richiamando il solo criterio del luogo dove ha sede la parte resistente, suscita peraltro, tanto per le azioni inibitorie che per quelle risarcitorie, il dubbio su chi sia il giudice competente nel caso, raro ma non impossibile, in cui il ricorso venga proposto contro una persona fisica e nel caso, che potrebbe essere frequente, in cui venga proposto contro chi, pur soggetto alla giurisdizione italiana secondo le regole del diritto internazionale, non sia localizzabile in Italia.
Scartando l’inaccettabile opzione interpretativa che porterebbe a negare la possibilità di intraprendere un procedimento collettivo in tali ipotesi, la soluzione sembra doversi ricavare dall’applicazione delle disposizioni in tema di foro generale delle persone fisiche e di quelle giuridiche.
Ne consegue che, quando la parte convenuta sia una persona fisica, alla sede debba equipararsi, ai sensi del 1° comma dell’art. 18 cod. proc. civ., la residenza o il domicilio (e la dimora, se questi sono sconosciuti). Quando invece la sede della persona giuridica non sia sul territorio italiano (ovvero, per la persona fisica, non sia individuabile nessuno dei luoghi di cui al ricordato 1° comma dell’art. 18) non resta che ritenere applicabile il criterio suppletivo ricavabile dal 2° comma dell’art. 18 cod. proc. civ., e prendere quindi come riferimento il luogo di residenza o della sede della parte attrice.
Stabilito, in base ai criteri in precedenza illustrati, dove dovrebbe essere intentata la causa, la competenza poi convergerà, secondo quanto previsto dall’art. 4 del decreto legislativo n. 168 del 2003, nella sezione specializzata del tribunale dell’impresa che insista sul relativo territorio.
Ulteriori accorpamenti sono possibili.
Così, quando la parte resistente sia «una società, in qualunque forma costituita, con sede all'estero, anche avente sedi secondarie con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato», ai sensi del 1° comma-bis dell’art. 4 del decreto legislativo n. 168 del 2003 (aggiunto dall'art. 10 del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9), la competenza è riservata alle sezioni specializzate in materia di impresa di Bari, di Cagliari, di Catania, di Genova, di Milano, di Napoli, di Roma, di Torino, di Venezia, di Trento, di Bolzano, a cui, osservando la ripartizione geografica specificata dalla legge, devono affluire gli affari giudiziari.
Inoltre, in forza del 1° comma-ter del medesimo articolo (aggiunto dall'art. 18 del decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 3), la competenza si concentra nelle sole sezioni specializzate in materia di impresa di Milano, Roma e Napoli, che attraggono il nord, il centro e il sud dell’Italia, come identificati nel testo legislativo, se l’azione ha ad oggetto le controversie di cui all'art. 33, 2° comma, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, relative alla violazione della normativa antitrust.
Parte III. – Il procedimento
8. Le caratteristiche generali
Cambiando argomento, la disciplina del procedimento viene tratteggiata dal legislatore dedicandovi solo poche specifiche disposizioni e ricorrendo, per la maggior parte, alla tecnica del rinvio.
Sono in questo senso esemplari il 3° e il 4° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., secondo cui, nell’azione in esame, «la domanda si propone con le forme del procedimento camerale, regolato dagli artt. 737 e segg., in quanto compatibili», ma occorre tenere altresì presente che «il ricorso è notificato al pubblico ministero» e che «si applica l'art. 840-quinquies», anche qui «in quanto compatibile».
Tutto ciò forma un tessuto normativo di difficile ricostruzione ed apparentemente molto diverso da quello dell’azione di classe.
Nell’azione risarcitoria di cui agli artt. 840-bis e segg. cod. proc. civ., infatti, non è più stabilito che il pubblico ministero sia avvertito, mentre tale onere viene ora introdotto per l’azione inibitoria collettiva, dove né il sopravvissuto art. 37 né l’abrogato art. 140 cod. cons. lo prevedevano Inoltre, per l’azione risarcitoria, anziché lo schema del procedimento camerale scelto per l’azione inibitoria, si è preferito adottare, ex art. 840-ter, 3° comma, cod. proc. civ., le forme del procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e segg. cod. proc. civ., a cui sono state apportate alcune modifiche, tra le quali si annoverano la previsione di una fase di carattere preliminare in cui il tribunale ammette l’azione, l’impossibilità del passaggio al rito ordinario o la pronuncia finale con sentenza e non con ordinanza.
Talune differenze trovano una spiegazione razionale.
Così, l’esclusione del filtro di ammissibilità dell’azione può essere giustificata per le ragioni di speditezza immanenti all’azione inibitoria, che sconsigliano di spezzare la stessa in due fasi. È inoltre naturale che nell’azione inibitoria collettiva non siano previsti gli istituti volti alla partecipazione, ai fini della liquidazione del danno, dei soggetti destinatari del risarcimento, dato che i provvedimenti finali hanno valenza generale e non necessitano di essere tagliati su misura per il singolo beneficiario.
Ma per il resto, dato che l’accertamento domandato ha ad oggetto i medesimi illeciti, la divaricazione procedimentale appare meno comprensibile.
Ne scaturisce una disciplina dell’azione inibitoria collettiva bisognosa di paziente ricostruzione, destinata peraltro a tendere verso un assetto più simile di quanto a prima impressione si crederebbe a quello dell’altra azione di cui al titolo VIII-bis del libro IV del codice di rito.
Ciò perché l’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. rinvia, tra l’altro, anche all’art. 840-quinquies cod. proc. civ. in tema di procedimento nell’azione di classe.
Ma soprattutto perché il procedimento camerale, richiamato dall’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., si presta ad essere, come è stato definito, un «contenitore neutro», idoneo a disciplinare pure il giudizio su diritti, con i corollari che ne conseguono, in via interpretativa, sul piano del rispetto del diritto di difesa, dell’idoneità al giudicato dei provvedimenti finali e della condanna alle spese della parte soccombente, che, nella sostanza, avvicinano molto procedimenti pur assoggettati a forme diverse quali quelle che connotano da un lato gli artt. 737 e segg. e dall’altro gli artt. 702-bis e segg. cod. proc. civ.
9. Il pubblico ministero
Iniziando dal coinvolgimento del pubblico ministero nell’iter procedimentale, l’ultima parte del 3° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. ha stabilito che deve essergli notificato il ricorso introduttivo. È stata così introdotta una norma che mancava nelle azioni inibitorie di cui agli artt. 37 e 140 cod. cons. e che attribuisce a tale soggetto un ruolo non facilmente decifrabile. Curiosamente, invece, la previsione secondo cui la domanda introduttiva sarebbe dovuta essere notificata «anche all'ufficio del pubblico ministero», contenuta nel 5° comma dell’abrogato art. 140-bis cod. cons. nella versione modificata dalla legge 23 luglio 2009, n. 99 (che aveva introdotto tale obbligo, originariamente assente), non è stata confermata nell’ambito della disciplina della nuova azione di classe. Si è persa, quindi, l’occasione di parificare, in un senso o nell’altro, lo stato del pubblico ministero nell’azione inibitoria ed in quella risarcitoria.
La notificazione del ricorso ha, come è ovvio, lo scopo di portare a conoscenza il pubblico ministero della pendenza del procedimento, così che possa intervenire. Non è però chiaro se l’intervento debba considerarsi obbligatorio o meramente facoltativo e cioè condizionato al riscontro, affidato alla valutazione discrezionale dello stesso pubblico ministero, dell’esistenza di un pubblico interesse ai sensi dell’art. 70, 3° comma, cod. proc. civ.
Mancando precise indicazioni legislative, sembra preferibile interpretare l’ultima parte del 3° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. nel senso che il pubblico ministero non abbia l’obbligo di intervenire e debba essere avvertito della pendenza del ricorso al mero fine di poter valutare la sussistenza, nel caso specifico, di un pubblico interesse che gli consenta, facoltativamente, di partecipare al giudizio.
È vero che, ritenuto l’intervento facoltativo, la mancata partecipazione del pubblico ministero non comporta alcuna conseguenza agli effetti processuali ed in particolare non può aprire la via all’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 397, n. 1, cod. proc. civ., rendendo così facoltativi, perché la loro omissione resta priva di conseguenze concrete, anche gli adempimenti, come la notificazione del ricorso, volti a mettere la parte pubblica in condizione di intervenire.
Tale obiezione non pare però decisiva, nemmeno sul piano dell’opportunità, dato che, riscontrata la mancanza della notificazione, il giudice, se ravvisa il pubblico interesse richiesto dall’art. 70, 3° comma, cod. proc. civ., può direttamente informare il pubblico ministero della pendenza del procedimento, disponendo la trasmissione degli atti, come è previsto dall’art. 71, 2° comma, cod. proc. civ.
Intervenuto in giudizio, il pubblico ministero ha il potere, ai sensi dell’art. 72, 2° comma, cod. proc. civ., di «produrre documenti, dedurre prove, prendere conclusioni nei limiti delle domande proposte dalle parti». Non può, quindi, assumere conclusioni che eccedano il petitum e la causa petendi che identificano l’azione. Ma l’art. 840-sexiesdecies, 7° comma, cod. proc. civ. gli riconosce espressamente il potere, autonomo rispetto a quello esercitabile dalle parti, di chiedere che il tribunale ordini al soccombente di adottare le misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate.
È infine da escludere che il pubblico ministero possa reclamare contro il provvedimento conclusivo del procedimento, posto che l’art. 740 cod. proc. civ. gli attribuisce tale potere nei soli casi «per i quali è necessario il suo parere». Il che non si verifica nell’ipotesi in cui l’intervento sia di tipo facoltativo.
Tornando un passo indietro, conformemente a quanto disposto dall’art. 737, 1° comma, cod. proc. civ., il procedimento si introduce con ricorso da depositare nella cancelleria del giudice competente, che in questo caso è da identificare, ai sensi del 3° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., nella sezione specializzata in materia di impresa del tribunale dove ha sede la parte resistente.
In applicazione dell’art. 738, 1° comma, cod. proc. civ., quindi, il presidente della sezione specializzata (a cui, come già si è accennato, sono attribuite le competenze del presidente del tribunale) «nomina tra i componenti del collegio un relatore», che dovrà riferire «in camera di consiglio». È inoltre sottointeso che, con il decreto con cui nomina il giudice relatore, il presidente fissi anche la data dell’udienza di trattazione ed eventualmente il termine entro il quale la parte resistente debba costituirsi. Né si può dubitare, per quanto non specificato, che sia onere della parte attrice notificare il tutto all’altra parte per instaurare con quest’ultima il contraddittorio.
L’ultimo periodo del 3° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. aggiunge che il ricorso deve essere notificato anche al pubblico ministero. E, per quanto non sia precisato dalla legge, pare ragionevole supporre che l’onere della notifica al pubblico ministero sia accollato alla parte ricorrente e questa debba unire al ricorso il decreto di nomina del giudice relatore e di fissazione dell’udienza. Non sussiste invece, dovendosi qualificare l’intervento del pubblico ministero come meramente facoltativo, alcun dovere dell’ufficio di comunicargli previamente gli atti affinché stenda, ex art. 737, 2° comma cod. proc. civ., «le sue conclusioni». Come già accennato, nulla impedisce, però, che, riscontrato il pubblico interesse, il giudice sopperisca all’omessa notificazione del ricorso, ordinando, ai sensi dell’art. 71, 2° comma, cod. proc. civ., la comunicazione degli atti al pubblico ministero affinché possa intervenire. Non sembra, al contrario, consentito, in ragione delle esigenze di speditezza dell’azione inibitoria, che sconsigliano di ampliare il numero delle parti, l’intervento volontario, anche solo ad adiuvandum, di soggetti privati a cui sia riconosciuta, al pari di chi abbia presentato il ricorso per primo, la legittimazione ad esercitare la domanda inibitoria collettiva.
Le forme camerali esonerano poi l’azione inibitoria dal tentativo di mediazione obbligatorio di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, qualora la controversia abbia ad oggetto una delle materie elencate all’art. 5, 1° comma-bis, di tale decreto. La lett. f) del successivo 4° comma del ricordato art. 5 esclude infatti espressamente, nei procedimenti in camera di consiglio, l’obbligatorietà del tentativo di mediazione.
Scompaiono infine la previsioni, contenute, per l’inibitoria dei consumatori, tanto nell’art. 3, dal 2° al 5° comma, della legge n. 281 del 1998 quanto nell’art. 140, dal 2° al 6° comma, cod. cons., sull’apposita procedura facoltativa di conciliazione dinanzi alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio, nonché sulla proponibilità dell’azione solo dopo il decorso di almeno quindici giorni prima dall’invio di una raccomandata con avviso di ricevimento con la richiesta all’altra parte della cessazione del comportamento oggetto della futura domanda inibitoria.
11. La fase di trattazione
Quanto alle attività successive, le disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, si limitano a stabilire, all’art. 738, 3° comma, cod. proc. civ., con una norma peraltro importante, perché riconosce l’esistenza di un potere istruttorio d’ufficio, che «il giudice può assumere informazioni», suggerendo l’assoluta deformalizzazione delle modalità di assunzione della prova.
La maggior parte delle regole sulla trattazione deve essere quindi ricavata dal rinvio operato dal 4° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. all’art. 840-quinquies cod. proc. civ. in tema di procedimento nell’azione di classe, salva la compatibilità della disciplina richiamata.
Tra le previsioni di cui all’art. 840-quinquies cod. proc. civ., non paiono compatibili quelle, contenute nel 1° comma, riferibili al filtro di ammissibilità di cui all’art. 840-ter, 3° comma e segg., cod. proc. civ., che non è stato previsto per l’azione inibitoria. Tanto meno, poi, risulteranno applicabili tutte le altre disposizioni in tema di soggetti abilitati all’adesione, di qualità da essi rivestita e di loro poteri, considerato oltretutto che nell’azione inibitoria il meccanismo dell’adesione non serve, perché, senza necessità di partecipare al procedimento, ciascuno degli interessati si avvantaggia per il solo fatto che l’altrui atto o condotta illecita venga inibita e che eventualmente venga ordinato il ripristino della situazione precedente. Non si avrà, quindi, alcuna ordinanza con cui il giudice «ammette l’azione», né, a maggior ragione, la fissazione del termine ex art. 840-quinquies, 1° comma, cod. proc. civ. per l'adesione «da parte dei soggetti portatori di diritti individuali omogenei» che essa dovrebbe contenere.
Nulla osta, invece, all’applicabilità dell’art. 840-quinquies, 2° comma cod. proc. civ., secondo cui «il tribunale, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del giudizio», che appare in linea con il dettato dell’art. 738, 3° comma, cod. proc. civ., e riproduce la formula già utilizzata sia nell’art. 669-sexies, 1° comma, cod. proc. civ. in tema di procedimento cautelare uniforme, sia nell’art. 702-ter cod. proc. civ. in tema di procedimento sommario di cognizione.
L’art. 840-quinquies cod. proc. civ. contiene poi numerosi altri commi, riguardo ai quali non pare si pongano problemi di compatibilità con la disciplina dell’azione di classe. Più specificamente, il 3° comma prevede che l'obbligo di anticipare le spese e l'acconto sul compenso spettanti al consulente tecnico d'ufficio eventualmente nominato siano posti, salvo sussistano specifici motivi, a carico del resistente e che in tale caso, come suggerito da evidenti ragioni dirette ad evitare il rallentamento delle operazioni peritali, l'inottemperanza all'obbligo di anticipare l'acconto sul compenso non costituisca motivo di rinuncia all'incarico; il 4° comma, curiosamente ribadito dall’identico 5° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., stabilisce che «ai fini dell'accertamento della responsabilità del resistente il tribunale può avvalersi di dati statistici e di presunzioni semplici»; il 5° comma, introducendo una disciplina dell’acquisizione della prova potenzialmente decisiva ai fini del successo delle azioni, aggiunge che, su istanza motivata del ricorrente, sufficiente a sostenere la plausibilità della domanda, il giudice possa «ordinare al resistente l'esibizione delle prove rilevanti che si suppone rientrino nella sua disponibilità»; il 6° comma precisa che l’ordine di esibizione può avere ad oggetto anche intere categorie di prove, individuate mediante il riferimento a caratteristiche comuni degli elementi costitutivi come la natura, il periodo di formazione, l'oggetto o il contenuto; il 7° comma esige che la richiesta di esibizione sia proporzionata alla decisione, chiedendo al giudice di esaminarne la fondatezza, la portata e i costi, nonché di valutare se abbia ad oggetto informazioni riservate; l’8° comma affronta il tema del segreto; il 9° comma garantisce che il resistente sia sentito prima che il giudice provveda; il 10° comma assicura l’intangibilità della «riservatezza delle comunicazioni tra gli avvocati incaricati di assistere la parte e il cliente stesso»; l’11° comma punisce la parte che rifiuti senza giustificato motivo di ottemperare all'ordine di esibizione con una sanzione amministrativa pecuniaria sino a 100.000,00 Euro, da devolvere a favore della Cassa delle ammende; il 12° comma, sancisce, impregiudicata la possibilità di ravvisare reati, l’applicazione della medesima sanzione alla parte o al terzo che distrugga prove rilevanti ai fini del giudizio; il 13° comma, ferme restando tali sanzioni, significativamente conclude che, se le condotte precedentemente descritte sono compiute dalla parte, «il giudice, valutato ogni elemento di prova, può ritenere provato il fatto al quale la prova si riferisce».
È infine incerta l’applicabilità del 14° comma (sempre dell’art. 840-quinquies cod. proc. civ.), secondo cui il provvedimento che accoglie o rigetta nel merito la domanda deve essere inserito nell'area pubblica del portale dei servizi telematici di cui all'art. 840-ter, 2° comma, cod. proc. civ. entro quindici giorni dal deposito.
Sul punto si potrebbe osservare che il legislatore ha testualmente riferito l’obbligo di pubblicazione sul ricordato portale alla «sentenza che accoglie o rigetta nel merito la domanda», mentre nel caso dell’azione inibitoria collettiva la domanda viene accolta o rigettata con un «decreto», che è la forma prevista per gli atti conclusivi del relativo procedimento, a cui si applicano gli artt. 737 cod. proc. civ. e segg. Inoltre, solo l’azione risarcitoria suscita l’esigenza di sollecitare una massa potenzialmente vasta di interessati ad aderire per giovarsi della successiva fase di distribuzione dell’attivo del patrimonio del danneggiante.
Sembra però preferibile considerare che i decreti resi all’esito di una azione inibitoria hanno la natura sostanziale di vere e proprie sentenze. Né può rimanere priva di peso nel senso dell’applicabilità dell’art. 840-quinquies, 14° comma, cod. proc. civ., la capacità della pubblicazione sul portale di giovare alla conoscenza dell’intervenuto accertamento, anche nella prospettiva delle successive iniziative risarcitorie, con in più l’utilità di contribuire a creare una banca dati, facilmente accessibile, che potrebbe risultare preziosa ai fini della ricerca dei precedenti in materia e quindi anche della prevedibilità delle decisioni.
12. La decisione e i rimedi
Esaurita la trattazione, i provvedimenti che debbono essere pronunciati rivestono «forma di decreto motivato», come prescrive l’art. 737, 1° comma, cod. proc. civ.
Contro essi si può proporre reclamo, ai sensi dell’art. 739, 1° comma, cod. proc. civ., «con ricorso alla corte d'appello», qui da intendersi come sezione specializzata in materia d’impresa della corte d’appello, «che pronuncia anch'essa in camera di consiglio».
Poiché il procedimento in esame è di natura contenziosa e vede sempre la partecipazione di almeno due parti, il reclamo deve essere proposto, ex art. 739, 2° comma, cod. proc. civ., nel termine perentorio di dieci giorni dalla sua notificazione. Non essendo diversamente specificato, è da ritenere che il termine per reclamare decorra non solo dalla notificazione fatta su istanza di una delle parti, ma anche da quella eventualmente disposta d’ufficio ed eseguita, come prescritto dal 1° comma dell’art. 137 cod. proc. civ., dall’ufficiale giudiziario su istanza del cancelliere. Tra le due, dovrà ovviamente farsi riferimento a quella perfezionatasi per prima. Non può invece ritenersi sufficiente la mera comunicazione di cancelleria ex art. 136 cod. proc. civ., che ai sensi dell’art. 739, 2° comma, cod. proc. civ., comporta la decorrenza del termine esclusivamente quando il provvedimento sia stato dato «in confronto di una sola parte». È poi possibile, per quanto improbabile, che il decreto non venga notificato. In tale eventualità, anziché considerare il reclamo esperibile sine die, pare preferibile, dovendosi individuare una fine, indentificare la scadenza della possibilità di reclamare con il decorso del termine generale di impugnazione, che l’art. 327 cod. proc. civ. oggi fissa in sei mesi dal deposito del provvedimento in cancelleria.
Per il 1° comma dell’art. 741 cod. proc. civ., il decreto con cui sia stato deciso il ricorso acquista efficacia scaduti i termini per reclamare ovvero, come si può precisare completando il dettato legislativo, all’esito del reclamo.
Per il 2° comma del medesimo articolo, se ci sono ragioni d'urgenza, il giudice può però disporre che il decreto abbia efficacia immediata, anticipando così l’esecutività del provvedimento di prima istanza.
Secondo quanto dispone il 3° comma dell’art. 739 cod. proc. civ., contro i decreti della corte d'appello, pronunciati in sede di reclamo, non è ammesso ulteriore reclamo.
Peraltro, trattandosi di provvedimenti decisori, che incidono su diritti soggettivi, deve essere sempre ammesso il loro ricorso in Cassazione per violazione di legge ai sensi dell’art. 111, 7° comma, Cost. Si deve infatti ritenere che i provvedimenti in questione, ancorché assunti nella forma del decreto, abbiano natura sostanziale di sentenza ed idoneità al giudicato.
Se è così, non può trovare applicazione, perché incompatibile, l’art. 742 cod. proc. civ. sulla revocabilità in ogni tempo dei decreti camerali.
Parte IV. – I provvedimenti
13. Le tutele di merito
La parte ricorrente può ottenere¸ secondo l’art. 840-sexiesdecies, 1° comma, cod. proc. civ., «una inibitoria di atti e comportamenti, posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti», contenente «l'ordine di cessazione o il divieto di reiterazione della condotta omissiva o commissiva».
Sul presupposto dell’accertamento di una condotta illecita plurioffensiva, il giudice può dunque condannare la parte resistente a cessare e comunque non reiterare la condotta oggetto di censura.
Ma i poteri del tribunale non si fermano qui, comprendendo la capacità di ordinare, su istanza di parte o del pubblico ministero, il ripristino della situazione precedente. Per il 7° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., infatti, «con la condanna alla cessazione della condotta omissiva o commissiva, il tribunale può, su richiesta del pubblico ministero o delle parti, ordinare che la parte soccombente adotti le misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate».
Il tenore letterale della disposizione non appare felice, dato che, salvo adeguate interpretazioni correttive, a stretto rigore sembra condizionare la tutela ripristinatoria alla previa concessione di un provvedimento inibitorio, che potrebbe anche mancare, in quanto la condotta illecita potrebbe essersi esaurita nelle more della procedura o addirittura prima del suo inizio, rendendo non meno ed anzi ancor più utile l’emissione di un ordine diretto a riassorbire il danno.
È comunque apprezzabile che il legislatore abbia recepito l’indicazione per affiancare alla protezione inibitoria quella ripristinatoria, come già avveniva con l’art. 140-bis cod. cons. ed ancor prima dall’art. 3 della legge n. 281 del 1998, in forza del quale i soggetti in allora legittimati potevano chiedere al tribunale di «inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti», nonché «di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate».
In passato, tale facoltà è stata concessa, nella materia consumeristica, con una certa larghezza, sino a conseguire gli effetti pratici dell’azione risarcitoria ovvero di quella restitutoria, forse anche per sopperire alla originaria mancanza di procedimenti collettivi volti ad assicurare tale tutela. In applicazione dell’art. 3 della legge n. 281 del 1998, la Corte di cassazione, con la sentenza 24 maggio 2016, n. 10713, ha ad esempio ritenuto accoglibile, in quanto volta ad eliminare gli effetti delle violazioni commesse, la domanda che aveva inibito ad una banca di continuare a rifiutarsi di restituire alla propria clientela le somme indebitamente percepite in applicazione della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi.
Oggi, la possibilità di utilizzare l’azione inibitoria collettiva di cui all’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. per conseguire «misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate», ossia per ottenere la tutela ripristinatoria, trova ad ogni modo il proprio confine nell’assegnazione all’azione di classe non solo dei risarcimenti ma anche delle eventuali restituzioni. Infatti, nel solco dell’indicazione proveniente dall’art. 140-bis cod. cons. introdotto dalla n. 244 del 2007 (e, sotto questo profilo, non modificato della legge n. 99 del 2009), la legge n. 31 del 2019 ha parificato la tutela restitutoria a quella risarcitoria, assegnandole entrambe al campo di applicazione dell’azione di classe cui agli artt. 840-bis e segg. cod. proc. civ., dove sono contemplate insieme. Così, l’art. 840-bis, 2° comma, cod. proc. civ., riconosce ai legittimati il potere di esercitare la medesima azione non solo «per la condanna al risarcimento del danno» ma anche per la condanna «alle restituzioni»; l’art. 840-sexies, 1° comma, lett. a), cod. proc. civ. stabilisce che con la sentenza che accoglie l'azione di classe, il tribunale «provvede in ordine alle domande risarcitorie o restitutorie proposte dal ricorrente»; l’art. 840-octies, 5° comma, cod. proc. civ., dispone che «il giudice delegato, con decreto motivato, quando accoglie in tutto o in parte la domanda di adesione, condanna il resistente al pagamento delle somme o delle cose dovute a ciascun aderente a titolo di risarcimento o di restituzione»; l’art. 840-novies, 6° comma, cod. proc. civ. accenna, per commisurarvi un compenso premiale per il difensore, alle «somme dovute a ciascun aderente a titolo di risarcimento e di restituzione»; l’art. 840-quaterdecies, 10° comma, cod. proc. civ. in tema di transazioni assimila anch’esso il risarcimento e le restituzioni. Insomma, dato che la disciplina delle restituzioni è contenuta negli artt. 840-bis e segg. sull’azione di classe, non par dubbio che essa esuli dalla portata delle misure ripristinatorie che possono essere disposte con l’azione inibitoria collettiva prevista dall’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ.
14. La coercizione indiretta
Per assicurare l’effettività dell’azione, ai sensi dell’art. 840-sexiesdecies, 6° comma, cod. proc. civ., con la condanna alla cessazione della condotta omissiva o commissiva (ovvero al ripristino), su istanza di parte (ma non del pubblico ministero), il tribunale possa adottare, «anche fuori dei casi ivi previsti», i provvedimenti di cui all'art. 614-bis cod. proc. civ. Essi, introdotti dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, consistono in misure di coercizione indiretta all’adempimento degli obblighi di non fare o comunque «diversi dal pagamento di somme di denaro», compresi quelli di carattere fungibile. Infatti, il requisito dell’infungibilità degli obblighi di fare, originariamente contenuto nella rubrica dell'art. 614-bis, è stato eliminato dal decreto legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132.
Come è noto, l’art. 614-bis cod. proc. civ. prevede, accanto alla necessità dell’istanza di parte e di un provvedimento di condanna, che vengono espressamente richiesti anche dall’art. 840-sexiesdecies, 6° comma, cod. proc. civ., il solo limite della «manifesta iniquità» e dell’inapplicabilità alle «controversie di lavoro subordinato pubblico o privato» nonché ai «rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409» cod. proc. civ. Nel pronunciare tali misure, il giudice, «tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile», determina «la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento». Né può essere dimenticato che «il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza».
Tramite il richiamo ai provvedimenti di cui all’art. 614-bis cod. proc. civ., l’art. 840-sexiesdecies, 6° comma, cod. proc. civ. intende dunque rafforzare la propensione ad ottemperare spontaneamente agli ordini impartiti con l’eventuale condanna, minacciando altrimenti immediate ripercussioni di natura patrimoniale.
Ciò non costituisce una novità assoluta, in quanto già il 7° comma del vecchio art. 140 cod. cons. prevedeva che il giudice potesse disporre anche d’ufficio, in caso di inadempimento degli obblighi di cui al provvedimento inibitorio o ripristinatorio, «il pagamento di una somma di denaro da 516 euro a 1.032 euro, per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravità del fatto», da versare al bilancio dello Stato per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori. Ed ancor prima una analoga previsione era contenuta nell’art. 3, 5° comma-bis, aggiunto dalla legge 1° marzo 2002, n. 39, alla legge n. 281 del 1998.
Tuttavia il cambiamento è di non poco conto, posto che le somme al pagamento delle quali l’inadempiente può essere tenuto ex art. 614-bis cod. proc. civ. non sono vincolate ad un massimo edittale e quindi possono essere assai maggiori rispetto a quelle previste dalla precedente disciplina.
Inoltre, l’eventuale beneficiario di queste somme non è più l’erario, ma direttamente la parte attrice, dalla quale è ragionevole attendersi una attenta sorveglianza e un pronto utilizzo del titolo esecutivo, qualora il condannato non sia pronto a conformarsi agli ordini impartiti dal giudice.
Naturalmente, abrogato l’art. 140 cod. cons., la misura coercitiva di cui all’art. 614-bis cod. proc. civ., anche se non espressamente richiamata, per la sua natura generale sarebbe stata comunque applicabile, come del resto è da ritenere che essa trovi applicazione per le varie inibitorie speciali rimaste in vigore, ove queste ultime non prevedano misure coercitive specifiche.
Non bisogna però trascurare che l’art. 840-sexiesdecies, 6° comma, cod. proc. civ. prevede la possibilità di adottare i provvedimenti di cui all'art. 614-bis cod. proc. civ. «anche fuori dei casi ivi previsti». Tale formula permette infatti alle misure di coercizione indiretta di accedere ai provvedimenti ex art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. resi in tutte le materie coperte dalla nuova azione inibitoria collettiva, compresa la materia del lavoro, che altrimenti incorrerebbe nell’esclusione prevista dall’art. 614-bis cod. proc. civ.
Merita infine qualche considerazione che, nell’ambito dell’azione di cui si discute, la legittimazione a domandare le misure di cui all’art. 614-bis cod. proc. civ. sia attribuita alle parti ma non anche al pubblico ministero, che, se intervenuto, potrà solo associarsi all’altrui domanda o chiederne il rigetto. Il diverso trattamento pare poco coerente con la possibilità, espressamente attribuita al pubblico ministero dal 7° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., di chiedere, indipendentemente dall’istanza di parte, che il tribunale ordini alla parte soccombente di adottare le misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate. Né si può negare la contraddittorietà di consentire al pubblico ministero di domandare il ripristino della situazione precedente ma nel contempo di impedirgli di chiedere che il provvedimento sia assistito dagli strumenti di coercizione indiretta dei quali può invece avvalersi la parte privata. Sembrerebbe dunque ipotizzabile la questione di legittimità costituzionale della disciplina per l’irragionevolezza di non aver previsto anche in capo al pubblico ministero il potere di chiedere l’applicazione delle misure di cui all’art. 614-bis cod. proc. civ., che, a prescindere da chi abbia proposto la relativa istanza, comunque andrebbero a vantaggio dalla sola parte privata, diretta beneficiaria del provvedimento di condanna ed unica legittimata a far valere il titolo esecutivo formatosi.
15. La pubblicità
Nel senso dell’incremento dell’efficacia della condanna, si colloca inoltre l’esplicito richiamo agli strumenti capaci di assicurare la conoscibilità della decisione e l’aggiornamento della relativa normativa.
Per l’art. 840-sexiesdecies, 8° comma, cod. proc. civ., infatti, «il giudice, su istanza di parte, condanna la parte soccombente a dare diffusione del provvedimento, nei modi e nei tempi definiti nello stesso, mediante utilizzo dei mezzi di comunicazione ritenuti più appropriati».
La disposizione ricalca, estendendola a qualsiasi mezzo di comunicazione, quella prevista per la materia consumeristica tanto dall’art. 37, 3° comma, cod. cons., sull’azione inibitoria nei confronti delle clausole vessatorie, secondo cui «il giudice può ordinare che il provvedimento sia pubblicato in uno o più giornali, di cui uno almeno a diffusione nazionale», quanto dalla lett. c) del 1° comma del vecchio art. 140 cod. cons., a propria volta riproduttivo del disposto dell’art. 3, 1° comma, lett. c), della legge n. 281 del 1998, secondo cui il giudice avrebbe potuto «ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate».
L’8° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ., peraltro, non utilizza più l’espressione «può» per riconoscere al giudice la possibilità di provvedere sul punto.
Questo rilievo potrebbe suggerire che la diffusione con i mezzi di comunicazione più appropriati sia un dovere inderogabile del giudice e che questi sia tenuto a ricorrervi in ogni caso.
È meglio però ritenere che l’autorità giudiziaria conservi un ampio grado di discrezionalità, da esercitare valutando in concreto, anche nel bilanciamento degli interessi coinvolti, l’utilità di procedere nel senso indicato dalla disposizione. Semmai, può ritenersi obbligatorio disporre sempre, in applicazione dell’art. 840-quinquies, 14° comma, cod. proc. civ. (che, come si è in precedenza sostenuto, sembra applicabile in virtù del richiamo operato dall’art. 840-sexiesdecies, 4° comma, cod. proc. civ.), la pubblicazione entro quindici giorni dal deposito nell'area pubblica del portale dei servizi telematici di cui all'art. 840-ter, 2° comma, cod. proc. civ., assicurando così una sorta di pubblicità legale del provvedimento, sicuramente opportuna.
16. La condanna alle spese
Rimanendo nel campo delle pronunce accessorie, manca una specifica disciplina sulle spese processuali.
Sulla base delle regole generali, deve pertanto ritenersi che, con il provvedimento che chiude il processo davanti a lui, il giudice condanni, in applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., la parte soccombente al rimborso a favore dell'altra delle spese processuali, che comprendono i compensi del difensore da liquidarsi secondo i parametri del decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.
Benché il procedimento si svolga secondo le forme camerali, la relativa voce tariffaria non potrà essere quella riferita alla volontaria giurisdizione, ma sarà quella, propria della giurisdizione contenziosa, dei giudizi di cognizione innanzi al tribunale, per i quali, considerato il contenuto della domanda inibitoria, lo scaglione tariffario di riferimento dovrebbe essere, a rigore, quello delle cause di valore indeterminabile.
Diversamente da quanto avviene per l’azione di classe ai sensi del 6° comma dell’art. 840-novies cod. proc. civ., manca la previsione di un compenso premiale a vantaggio del difensore.
Sennonché l’accertamento richiesto da una azione inibitoria collettiva può coincidere con quello da porre a fondamento della corrispondente domanda risarcitoria. E anche molte diposizioni strettamente procedimentali, dettate per la fase di trattazione, sono uguali, dato che il 4° comma dell’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. richiama l’art. 840-quinquies cod. proc. civ. Né si può pensare che una medesima attività debba essere quindi meglio remunerata solo perché posta in essere in sede risarcitoria.
Emerge quindi una ingiustificata disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost., che meriterebbe un opportuno riequilibrio.
Proseguendo nell’esame della disciplina introdotta dalla legge n. 31 del 2019, colpisce l’omessa previsione di misure che consentano di procedere in via d’urgenza.
L’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. infatti non ripropone il contenuto del vecchio 8° comma dell’art. 140 cod. cons. (e prima ancora del 6° comma dell’art. 3 della legge n. 281 del 1998), né si conforma al 2° comma dell’art. 37 cod. cons., mantenuto peraltro immutato, secondo cui, quando ricorrano «giusti motivi di urgenza», possono essere adottate le forme del procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. da 669-bis a 669-quaterdecies cod. proc. civ.
Questo probabilmente perché il legislatore ha ritenuto che ciò non sia necessario a fronte dell’adozione, per la nuova azione inibitoria collettiva, delle forme del procedimento camerale, di per se stesse astrattamente idonee ad assicurare il celere svolgimento della procedura.
Tale previsione pare però destinata ad essere smentita in presenza di controversie di elevata complessità, dove magari si profili la necessità di una approfondita istruttoria, con tanto di ordini di esibizione e consulenze tecniche, come consentito dal richiamo dell’art. 840-sexiesdecies all’art. 840-quinquies cod. proc. civ. Non è impedito, ovviamente, che la parte ricorrente invochi, anche ante causam, la tutela cautelare accordata in generale dal codice di rito e specificamente quella d’urgenza prevista per il caso il cui manchi una disciplina specifica. Ma i presupposti per concedere un provvedimento ex art. 700 cod. proc. civ., implicando l’esistenza di un «pregiudizio imminente e irreparabile», appaiono più stringenti di quelli postulati dalla formula dei «giusti motivi di urgenza», alla quale si era abituati.
Ne risulta un netto arretramento dell’effettività della tutela inibitoria, che meriterebbe di essere riconsiderato.
Se si tengono inoltre presenti le complicazioni derivanti dal dover coordinare le norme ordinarie sulla tutela cautelare e il giudizio di merito di cui all’azione inibitoria collettiva, sembra allora doveroso proporre una modifica de iure condendo.
Si potrebbe, in particolare, auspicare che al collegio venga attribuito il potere, ricorrendo per l’appunto «giusti motivi di urgenza», di pronunciare i provvedimenti temporanei che si rendano opportuni, da confermare, revocare o modificare all’esito del giudizio di merito da svolgere secondo le forme previste dall’art. 840-sexiesdecies cod. proc. civ. Un tale provvedimento potrebbe anzi essere adottato inaudita altera parte anche solo dal presidente della sezione specializzata del tribunale delle imprese, nel pronunciare il decreto di nomina del giudice relatore e di fissazione dell’udienza, salvo ovviamente il suo successivo riesame collegiale, dispiegatosi il contraddittorio tra le parti.
Parte V. – L’efficacia dell’accertamento
18. La riproponibilità della domanda inibitoria
Si giunge così, nell’assenza di chiare indicazioni legislative, al problema del rapporto con altre azioni inibitorie e di classe e quindi, in primo luogo, del valore dell’accertamento ottenuto con una azione collettiva inibitoria, che, come si è ricordato in apertura, normalmente precede e per così dire prepara il terreno per la successiva azione risarcitoria.
Si può supporre, che il provvedimento conclusivo del procedimento, per quanto assunto all’esito di un procedimento camerale e nella forma di decreto, sia idoneo a passare in giudicato, dato che appare chiara la sua capacità di incidere, in situazioni di contrasto, su diritti.
È però da stabilire quale sia l’efficacia di tale giudicato.
Conviene partire dai rapporti tra le azioni inibitorie collettive promosse da legittimati attivi diversi tra loro.
Per le azioni di classe, secondo l’art. 840-quater, 1° comma, cod. proc. civ., «decorsi sessanta giorni dalla data di pubblicazione del ricorso nell'area pubblica del portale dei servizi telematici di cui all'art. 840-ter, 2° comma», non è più possibile «sulla base dei medesimi fatti e nei confronti del medesimo resistente» proporre successive azioni ai sensi dell’art. 840-ter e segg. cod. proc. civ. Come precisa lo stesso 1° comma dell’art. 840-quater cod. proc. civ., le esse debbono essere cancellate dal ruolo, mentre quelle «proposte tra la data di deposito del ricorso e il termine di cui al primo periodo sono riunite all'azione principale». Opera, dunque, un meccanismo che, agli effetti pratici, mira ad impedire la ripetizione del medesimo accertamento.
Per le azioni inibitorie collettive, la disciplina descritta non pare però applicabile, mancando un espresso richiamo. Essendo legata al particolare regime della pubblicità del ricorso, del termine di sessanta giorni concesso agli altri legittimati per proporre a loro volta l’azione e della riunione delle cause, dettato per le azioni di classe, la preclusione di cui si è detto, pur ispirata al condivisibile fine di concentrare in un unico procedimento domande soggettivamente ed oggettivamente connesse, non può infatti ritenersi analogicamente estensibile. Né sarebbe stato opportuno replicare, in un campo connotato da esigenze di speditezza come quello della tutela inibitoria, una struttura procedimentale inevitabilmente destinata a rallentare il procedimento.
Qualora l’accertamento raggiunto nell’azione inibitoria collettiva sia stato negativo, occorre pertanto applicare il principio generale della relatività del giudicato, che si ricava dall’art. 2909 cod. civ., a cui tenore l’accertamento contenuto nella sentenza ha efficacia solo tra le parti che abbiano partecipato al giudizio, ovvero i loro eredi o aventi causa. Questo significa che nulla vieta ad un legittimato che non abbia partecipato al procedimento di proporre una nuova domanda inibitoria anche «sulla base dei medesimi fatti e nei confronti del medesimo resistente», posto che, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ., l’accertamento già intervenuto ha efficacia di giudicato solo tra le parti del precedente giudizio. Il che non sembra poter destare soverchie preoccupazioni, considerato il basso rischio della presentazione di nuovi ricorsi dopo la formazione di un serio precedente giurisprudenziale sfavorevole (tanto più quando si ritenga che i provvedimenti debbano essere pubblicati sull’apposito sito ministeriale ed abbiano così adeguata pubblicità).
Qualora l’accertamento sia stato invece positivo e siano state emanate efficaci misure inibitorie o ripristinatorie concretamente fatte valere e capaci di bloccare l’illecito nonché di eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate, una nuova azione collettiva proposta da altri legittimati si scontrerebbe con la mancanza di interesse ad agire ex art. 100 cod. proc. civ. Mancando l’utilità di ottenere una pronuncia sullo stesso oggetto e contro il medesimo resistente, il procedimento dovrebbe di conseguenza terminare con una declaratoria di inammissibilità della domanda. L’interesse ad agire di chi non abbia proposto la precedente azione potrebbe, che in generale è da escludere, potrebbe però essere riscontrato nell’ipotesi in cui alla vittoria non sia poi seguita l’attuazione della tutela o essa si sia dimostrata insufficiente.
19. Gli effetti sull’azione risarcitoria successiva
Si deve infine affrontare la questione del rapporto tra l’azione inibitoria collettiva e l’azione di classe, che appare di grande importanza, posto che l’accertamento operato con la prima può avere ad oggetto la stessa condotta illecita evocata nella seconda, come anzi sembra destinato ad accadere di frequenza, dato che il procedimento inibitorio e quello risarcitorio debbono essere necessariamente tenuti distinti e che, se proposti congiuntamente, debbono essere separati ai sensi dell’art. 840-sexiesdecies, 9° comma, cod. proc. civ.
La materia non è stata legislativamente disciplinata, lasciando spazio all’interpretazione.
In tale prospettiva, deve essere negato che l’azione di classe possa essere pregiudicata dall’accertamento negativo intervenuto in sede inibitoria per effetto di una azione intentata, per i medesimi fatti e contro il medesimo resistente, da un diverso legittimato. Ciò è impedito dal principio di relatività ricavabile dall’art. 2909 cod. civ., secondo cui il giudicato fa stato solo tra le parti, ma anche dalla garanzia alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., in forza della quale l’altrui diritto ad agire non può essere compromesso solo per effetto del rigetto, magari dovuto alla cattiva impostazione di una causa altrimenti accoglibile, della domanda di chi per primo abbia proposto l’azione. E ciò a maggior ragione quando, come è il caso dell’azione inibitoria collettiva, la legittimazione sia attribuita con grande larghezza, riconoscendola a «chiunque abbia interesse» alla pronuncia del giudice e al di fuori di ogni vaglio preventivo circa la fondatezza della domanda o l’idoneità del legittimato a sostenere la difesa in giudizio. Né dovrebbe creare complicazioni insuperabili l’ipotesi (improbabile, ma non impossibile) che il giudizio risarcitorio sia promosso proprio dal soggetto sconfitto in sede inibitoria, nei cui confronti appare difficile negare l’efficacia del precedente accertamento, con quanto ne deriva in termini di possibile contrasto tra la decisione resa nei suoi confronti e quella resa nei confronti di altri legittimati a cui il procedimento può essere riunito ex art. 840-quater, 1° comma, cod. proc. civ. In questo caso, infatti, il tribunale sarà tenuto ad escludere dall’esercizio dell’azione di classe un tale soggetto, dichiarando, ai sensi dell’art. 840-ter, 4° comma, lett. d), cod. proc. civ., inammissibile la sua (e solo la sua) domanda, mancando il presupposto di apparire «in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei fatti valere in giudizio».
Rimane dunque da stabilire se i legittimati attivi all’azione di classe diversi da chi abbia promosso l’azione inibitoria possano valersi dell’accertamento positivo che sia in precedenza intercorso nella sede inibitoria.
Costringere i litiganti a ripetere un accertamento già operato sembrerebbe contrario al principio della ragionevole durata dei processi, a cui il 2° comma dell’art. 111 Cost. dovrebbe imporre di dare attuazione.
Non sarebbe allora stato criticabile se il legislatore avesse consentito all’accertamento raggiunto con l’azione inibitoria collettiva, nel caso in cui fosse positivo, di valere a favore di chiunque proponga l’azione di classe, anche quando non sia stato parte del precedente giudizio. È infatti astrattamente possibile che il giudicato operi secundum eventum litis verso chi sia rimasto estraneo al procedimento, non avendo effetto se sfavorevole ma risultando efficace se favorevole. Ciò accade, ad esempio, nelle obbligazioni solidali, dove l’art. 1306 cod. civ. riconosce ai concreditori solidali, anche se non siano stati parti, il potere di far valere nei confronti del debitore comune il giudicato favorevole senza che questi possa a sua volta opporlo nei loro confronti (e viceversa, riconosce che i condebitori solidali non coinvolti nel processo possano opporre il giudicato a loro favorevole al creditore comune, che non può farlo valere contro loro). Né si può sostenere che in tali ipotesi sia leso il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost, potendo l’accertamento pregiudicare solo chi sia stato parte di un precedente giudizio.
Tuttavia, nulla essendo stato espressamente disposto in deroga alla regola generale enunciata dall’art. 2909 cod. civ., secondo cui il giudicato fa stato solo «tra le parti», appare difficile concludere che nell’azione di classe l’accertamento a sfavore del resistente formatosi in una azione inibitoria collettiva possa essere fatto valere, con efficacia di giudicato, da qualunque sia legittimato a promuoverla, anche se non ha partecipato al precedente giudizio.
Quando l’azione inibitoria abbia accertato l’illiceità della condotta della parte resistente, la strada dell’azione risarcitoria si presenta comunque in discesa, sia perché sarà probabile che la parte vincitrice in sede inibitoria partecipi anche al giudizio successivo, sia perché, a prescindere dall’autorità del giudicato, l’influenza del precedente sul convincimento del giudice potrebbe in pratica risultare già di per sé decisiva.
Quando invece l’accertamento operato in sede inibitoria collettiva sia stato negativo, la speranza di un risarcimento non è ancora perduta, non potendosi ammettere che, salva comunque l’iniziativa individuale, risulti pregiudicata l’azione di classe coltivata da soggetti diversi da quello nei cui confronti è maturato il giudicato.
Riallacciandoci alla premessa, l’analisi condotta conferma l’impressione che la nuova disciplina sull’azione inibitoria collettiva sia stata poco meditata rispetto alla sua importanza nel quadro delle tutele.
L’interesse del legislatore, come pure quello dell’opinione pubblica, sembra essersi concentrato sulla tutela risarcitoria affidata all’azione di classe, la cosiddetta class action, lasciando il resto nell’ombra.
L’interprete non deve però rinunciare ad una opportuna ricostruzione dell’istituto, né stancarsi di ricordarne l’utilità e la necessità del suo coordinamento con il giudizio risarcitorio. Questo anche in una immediata prospettiva de iure condendo. Come si sa, il cantiere delle leggi è sempre aperto e non è quindi improbabile che a breve si assista a nuovi interventi per l’auspicabile messa a punto della disciplina appena introdotta.
21. Bibliografia
Sulla nuova disciplina introdotta agli artt. 840-bis e segg. cod. proc. civ. sono comparsi, tra gli altri, i seguenti contributi, che segnalo, ma di cui non ho potuto tenere conto perché queste note erano già in composizione: AA.VV., Le nuove forme di tutela collettiva (legge 12 aprile 2019, n.31), in Foro It., 2019, cc. 321-392; AA.VV., in Danno e Resp., 2019, pp. 301-315; D. Amadei, Nuova azione di classe e procedimenti collettivi nel codice di procedura civile (legge 12 aprile 2019, n. 31), in Nuove Leggi Civili Comm., 2019, pp. 1049-1090; A. Andreoli, La nuova disciplina delle azioni di classe: uno sguardo preventivo alla riforma, a otto mesi dall’entrata in vigore, in Il Caso.it, 29 aprile 2019, pp. 1-8; A. Carratta (a cura di), La Class action riformata, in Giur. It., 2019, 2297-2334; A.A. Dolmetta, Profili emergenti nelle azioni di classe, in Il Caso.it, 28 luglio 2019, pp. 1-9, anche in Riv. Dir. Bancario, 2019, pp. 289-296; P. Fiorio, La nuova azione di classe, passi in avanti verso gli obiettivi di accesso alla giustizia e deterrenza?, in Il Caso.it, 22 giugno 2019, pp. 1-36; P.F. Giuggioli, L'azione di classe. Un nuovo procedimento collettivo, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2019, pp. 1-224; Giussani, La riforma dell'azione di classe, in Riv. Dir. Proc., 2019, 1572-1600; M.L. Guarnieri, Note a prima lettura sull’art. 840-bis cod. proc. civ., in Judicium.it, 4 giugno 2019, pp. 1-8; G. Mazzaferro, Brevi riflessioni sul disegno di legge n. 844 (azione di classe) e su alcune proposte di emendamenti, in Judicium.it, 18 febbraio 2019, pp. 1-10; A. Palmieri, Legge n. 31/2019: la riforma della class action, Milano, Wolters Kluwer Italia, 2019, pp. 1-32;B. Sassani (a cura di), Commento sistematico alla legge 12 aprile 2019, n. 31, Firenze, Pacini, 2019, pp. XII-242; Stella, La nuova azione inibitoria collettiva ex art. 840-sexiesdecies c.p.c. tra tradizione e promesse di deterrenza, in Corr. Giur., 2019, 1453-1459.
Cfr. inoltre in generale, sui procedimenti collettivi, D. Amadei, L'azione collettiva inibitoria. Sistema, tutele ed attuazione, Torino, Giappichelli, 2018, pp. X-318; A.D. De Santis, La tutela giurisdizionale collettiva. contributo allo studio della legittimazione ad agire e delle tecniche inibitorie e risarcitorie, Napoli, Jovene, 2013, pp. XVII-791; E. Ferrante, L’azione di classe nel diritto italiano. Profili sostanziali, 2012, Padova, Cedam, pp. IX-257; R. Donzelli, L’azione di classe a tutela dei consumatori, Napoli, Jovene, 2011, pp. XVIII-364; Id., La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, Napoli, Jovene, 2008, pp. XXV-906; A. Giussani, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. VII-249; A. Giorgetti, V. Vallefuoco, Il contenzioso di massa in Italia, in Europa e nel mondo, Milano, Giuffrè, 2008, pp. XXXIX-437; R. Marengo, Garanzie processuali e tutela dei consumatori, Torino, Giappichelli, 2007, pp. XI-343. Cfr. inoltre, tra le raccolte di scritti in argomento, E. Oteiza (a cura di), Procesos colectivos. Class actions, atti del convegno tenutosi a Buenos Aires il 6-9 giugno 2012, Rubinzal-Culzoni, Buenos Aires, 2012, pp. 1-542; AA.VV., Interrogativi sulla «class action»: le risposte di alcuni giuristi europei, in Contr. e Impr. Europa, 2011, pp. 1-79; C. Beria D'Argentine (a cura di), Class action: il nuovo volto della tutela collettiva in Italia, atti del convegno tenutosi a Courmayeur l’1-2 ottobre 2010, Milano, Giuffrè, 2011, pp. XII-374; S. Menchini (a cura di), Le azioni seriali, atti dell’incontro di studi tenutosi a Pisa il 4-5 maggio 2007, Napoli, E.S.I., 2008, pp. 1-248; C. Belli (a cura di), Le azioni collettive in Italia. Profili teorici ed aspetti applicativi, atti del convegno tenutosi a Roma il 16 febbraio 2007, Milano, Giuffrè, 2008, pp. XVIII-286; Associazione Albese Studi di Diritto Commerciale (a cura di), Responsabilità delle imprese e interessi collettivi: in margine alle class actions, atti del convegno tenutosi ad Alba il 29 novembre 2008, Roma, Gangemi, 2009, pp. 1-158; P. Stella, L’enforcement nei mercati finanziari, Milano, Giuffrè, 2008, pp. XVII-453, part. p. 233 e segg.; R. Lener, M. Rescigno (a cura di), Class, Action!(?), in Analisi Giur. dell’Economia, 2008, 2005, pp. XI-255; S. Chiarloni, P. Fiorio (a cura di), Consumatori e processo. La tutela degli interessi collettivi dei consumatori, atti del convegno tenutosi a Torino il 28-29 maggio 2004, Torino, Giappichelli, 2005, pp. XI-255.
Specificamente sull’azione risarcitoria di cui all’art. 140-bis cod. cons., dopo le modifiche apportate dalla legge 23 luglio 2009, n. 99 (e, per i contributi più recenti, anche dopo la legge 24 marzo 2012, n. 27), cfr. in particolare G. D’Alfonso, R. Donzelli, Art. 140-bis cod. cons., in G. De Cristofaro, A. Zaccaria, Commentario breve al diritto dei consumatori. Codice del consumo e legislazione complementare, Padova, Cedam, II ed., 2013, pp. 943-1057; C. Consolo, B. Zuffi, L’azione di classe ex art. 140-bis cod. cons. Lineamenti processuali, Padova, Cedam, 2012, pp. XIV-517; G. Alpa, L’art. 140-bis cod. cons. nella prospettiva del diritto privato, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2010, pp. 379-393; A. Giussani, Il nuovo art. 140 bis cod. cons., in Riv. Dir. Proc., 2010, pp. 595-615; S. Menchini, A. Motto, Art. 140-bis,in Judicium.it, 23 giugno 2010, pp. 1-100, successivamente L'azione di classe dell'art. 140-bis cod. cons. in Le Nuove leggi civili commentate, Cedam, Padova, 2010, pp. 1413-1497; C. Punzi, L’azione di classe a tutela dei consumatori e degli utenti, in Riv. Dir. Proc., 2010, pp. 253-270; F. Santangeli, P. Parisi, Il nuovo strumento di tutela collettiva risarcitoria: l’azione di classe dopo le recenti modifiche all’art. 140-bis cod. cons., in Judicium.it, 29 aprile 2010, pp. 1-73; C. Poncibò, Art. 140-bis, in P. Cendon, Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. Codice del consumo, Milano, Giuffrè, 2010, pp. 1265-1279; C. Consolo, Come cambia, rivelando ormai a tutti e in pieno il suo volto, l’art. 140-bis e la class action consumeristica, in Corr. Giur., 2009, pp. 1297-1308; P. Fiorio, L’azione di classe nel nuovo art. 140-bis e gli obiettivi di deterrenza e di accesso alla giustizia dei consumatori, in Il Caso.it, 23 ottobre 2009, pp. 1-57, ed in P.G. Demarchi (a cura di), I diritti del consumatore e la nuova class action, Bologna, Zanichelli, 2010, pp. 487-536.
Sul precedente testo dell’art. 140-bis cod. cons., introdotto dall’art. 2, commi 445-449, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (ossia della legge finanziaria per il 2008), mai entrato in vigore, cfr. invece AA.VV., Azione collettiva risarcitoria (art. 140-bis cod. cons.), in Foro it., 2008, V, c. 180-216; A. Belelli (a cura di), Dall’azione inibitoria all’azione collettiva risarcitoria, atti del convegno tenutosi a Perugia il 10 aprile 2008, Padova, Cedam, 2009, pp. VIII-142; E. Cesàro, F. Bocchini (a cura di), Azione collettiva risarcitoria (class action). Legge n. 244/2007, art. 2, 445°-449° comma, Milano, Giuffrè, pp. VI-222; A. Briguglio, L’azione collettiva risarcitoria (art. 140-bis cod. cons.), Torino, Giappichelli, 2008, pp. 1-159; C. Consolo, M. Bona, P. Buzzelli, Obiettivo class action: l’azione collettiva risarcitoria, Milano, Ipsoa, 2008, pp. XXI-337; S. Chiarloni, Il nuovo art. 140-bis cod. cons.: azione di classe o azione collettiva?, in Il Caso.it, 7 giugno 2018, pp. 1-18 e in Giur. It., 2008, pp. 1842-1848; Id., Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei consumatori, in Riv. Dir. Proc., 2007, pp. 567-590; P.F. Giuggioli, La nuova azione collettiva risarcitoria. La c.d. class action italiana, Padova, Cedam, 2008, pp. XII-199; nonché il mio Commento all’art. 140-bis cod. cons. introdotto dall’art. 2, 445°-449° comma, legge n. 244/2007 (l’azione collettiva risarcitoria), in S. Chiarloni (diretto da), Il nuovo processo societario, Bologna, Zanichelli, II ed., tomo II, 2008 pp. 1709-1752, a cui rinvio per ulteriori riferimenti.
Quanto infine alle azioni inibitorie di cui agli artt. 37, 139 e 140 cod. cons., ed ancor prima di cui, rispettivamente, all’art. 1469-sexies cod. civ. nonché alla legge 30 luglio 1998, n. 281, cfr. E. Vullo, Art. 37, 139 e 140 cod. cons., in G. De Cristofaro, A. Zaccaria, Commentario breve al diritto dei consumatori. Codice del consumo e legislazione complementare, Padova, Cedam, II ed., 2013, pp. 418-421 e pp. 926-943; A. Palmigiano, Art. 37 (azione inibitoria), in E. Cesàro, I contratti del consumatore. Commentario al codice del consumo (decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206), Padova, Cedam, IV ed., 2007, pp. 620-664; F. Lepri, Articoli 37, 139 e 140, in AA.VV., Codice del consumo. Commento al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 411-415 e pp. 923-942; C. Poncibò, Art. 37, e L. Nissolino, Art. 139-140, in P. Cendon, Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206. Codice del consumo, Milano, Giuffrè, 2010, pp. 445-463 e pp. 1247-1264; E. Minervini, Contratti dei consumatori e tutela collettiva nel codice del consumo, in Contr. e Impr., 2006, pp. 635-661; R. Camero, S. Della Valle, La nuova disciplina dei diritti del consumatore, Milano, Giuffré, 1999, pp. XVI-415; A. Bellelli, E.V. Napoli, Art. 1469-sexies (azione inibitoria), in C.M. Bianca, F.D. Busnelli, Commentario al capo XIV-bis del codice civile: dei contratti del consumatore, Padova, Cedam, 1999, pp. 931-993; F. Tommaseo, Art. 1469-sexies, in G. Alpa, S. Patti, Commentario agli articoli da 1469-bis a 1469-sexies del codice civile, Milano, Giuffrè, tomo I, 1997, pp. 755-792; E. Battelli, L’inibitoria delle camere di commercio, in Giur. It., 2007, pp. 2626-2633; M. Armone, Art. 1469-sexies (azione inibitoria), in A. Barenghi, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, Jovene, 1996, pp. 221-257.
* Lo scritto costituisce la rielaborazione dell’intervento su «La nuova azione inibitoria» svolto al convegno «La nuova tutela collettiva: azioni di classe e inibitorie» tenutosi a Roma il 5 luglio 2019.
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