Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 32498 - pubb. 16/01/2025

Contratti derivati di Enti locali redatti su modulistica internazionale ISDA

Tribunale Pesaro, 24 Dicembre 2024. Est. Pietropaolo.


Contratti derivati redatti su modulistica internazionale ISDA – Giurisdizione italiana determinata sulla base della domanda principale – Sussistenza


Contratti derivati redatti su modulistica internazionale ISDA – Domanda di responsabilità precontrattuale /o extracontrattuale e domanda di inadempimento a contratto di consulenza – Sussistenza della giurisdizione italiana – Ragioni


Contratti derivati redatti su modulistica internazionale ISDA – Sentenza emessa da giudice inglese post cd. Brexit – Riconoscibilità ai sensi della Legge n. 218/1995 – Esclusione


Contratti derivati redatti su modulistica internazionale ISDA – Litispendenza internazionale – Condizioni – Sussistenza


Contratti derivati di Enti locali – Contratto di consulenza formalizzato in mandato scritto – Consulenza incidentale – Esclusione


Contratti derivati di Enti locali – Obbligo di comunicazione di mark to market, costi impliciti e scenari probabilistici da parte della banca – Sussistenza


Contratti derivati di Enti locali – Onere della prova ex art. 23 TUF – Insufficienza della trasmissione al cliente di semplici presentazioni – Obbligo di illustrazione analitica e dovere di clare loqui – Sussistenza


Contratti derivati di Enti locali – Omessa esplicitazione da parte della banca di rischio iniziale, costi e commissioni – Violazione della normativa di settore – Sussistenza


Contratti derivati di Enti locali – Necessità di misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale in riferimento a mark to market, costi e scenari probabilistici – Rilevanza dell’omissione sia sotto il profilo della validità del contratto che sotto il profilo dell’inadempimento dell’intermediario finanziario


Contratti derivati di Enti locali – Adempimento degli obblighi del consulente – Onore della prova a carico dell’intermediario finanziario ex art. 23 TUF – Indicazione mark to market e relativa formula matematica, costi e scenari probabilistici – Necessità


Contratti derivati di Enti locali – Mark to market negativo alla stipula – Comunicazione da parte della banca – Necessità


Contratti derivati di Enti locali – Possibile aumento del debito dell’Ente locale – Comunicazione da parte della banca e deliberazione dell’organo consiliare – Necessità


Contratti derivati di Enti locali – Modulistica contrattuale ISDA – Omissione prova della conformità dei contratti agli artt. 23 TUF e 30 Regolamento Consob n. 11522/1998 – Sussistenza


Contratti derivati di Enti locali – Omessa segnalazione di conflitto di interessi e di inadeguatezza – Sussistenza


Contratti derivati di Enti locali – Conseguenze dell’accertato inadempimento degli obblighi informativi da parte della banca – Nesso di causalità – Risarcimento dei danni – Sussistenza


Contratti derivati di Enti locali – Prescrizione domande di responsabilità contrattuale, precontrattuale ed extracontrattuale e di ripetizione dell’indebito – Esclusione


Contratti derivati di Enti locali – Richieste di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE – Esclusione


Contratti derivati di Enti locali – Quantificazione risarcimento dei danni – Criterio degli effetti degli atti eccedenti il mandato a carico del mandatario – Sussistenza


Contratti derivati di Enti locali – Concorso di colpa – Necessità di idonea allegazione e/o prova



In conformità a principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità, la giurisdizione si determina in base alla domanda principale avanzata dall’attrice a nulla rilevando il contenuto delle domande proposte in via subordinata (nel caso di specie la convenuta aveva promosso regolamento di giurisdizione contestando la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano adito dall’attrice che aveva proposto in via principale e alternativa fra loro una domanda di accertamento dell’inadempimento della convenuta agli obblighi discendenti da un contratto di consulenza e una domanda di accertamento della responsabilità precontrattuale e/o extracontrattuale della medesima convenuta nella fase delle trattative; le Sezioni Unite della Cassazione, applicando il suddetto principio, hanno disaminato la questione di giurisdizione decidendo in ordine all’assenza di rilevanza della proposizione in via subordinata della domanda di nullità del contratto non sussistendo un nesso di pregiudizialità tra domanda principale e domanda subordinata ed essendo irrilevante il rinvio al clausolario ISDA il quale non disciplina le domande di accertamento della responsabilità precontrattuale e/o extracontrattuale e/o di inadempimento del contratto di consulenza).


Pur se nella fattispecie le parti hanno sottoscritto modulistica contrattuale ISDA, le domande principali di responsabilità precontrattuale ed extracontrattuale della convenuta e di inadempimento della stessa convenuta a mandato di consulenza sono soggette, in via esclusiva, alla legge italiana: ciò in quanto i sottoscrittori sono entrambi italiani; la convenuta ha la propria sede legale in Italia; il contratto si è perfezionato in Italia, mediante l’incontro di proposta ed accettazione; il contratto è stato eseguito e/o è da eseguirsi in Italia e ha ad oggetto la prestazione di un servizio di investimento da eseguirsi presso il domicilio dell’attrice che è anche il luogo ove devono eseguirsi le obbligazioni pecuniarie previste dai contratti.
Ed infatti la clausola ISDA richiama la legge inglese, ma solo con riferimento al contratto ISDA (“This Agreement”) e, dunque, non alla responsabilità per scorretta informazione antecedente alla conclusione dei contratti che discenda da fonte diversa da quella contrattuale o, come nel mandato di consulenza, da un contratto diverso dall’ISDA e che da questo va tenuto autonomo.


La sentenza emessa nelle more del processo avanti al giudice italiano dal giudice inglese designato dal clausolario ISDA e adito dalla convenuta successivamente all’instaurazione del processo italiano è priva di effetti nell’ordinamento italiano ai sensi degli artt. 64 e 67 della Legge n. 218/1995, normativa nella specie applicabile in ragione del fatto che il giudizio è stato radicato dall’attrice dopo la cd. Brexit.
Al fine di escludere la riconoscibilità della sentenza inglese occorre anzitutto verificare ex artt. 7 e 64 lett. f) della Legge n. 218/1995 se vi sia identità di cause tra giudizio italiano e giudizio inglese; nel caso di specie tale identità sussiste ricorrendo un’ipotesi di litispendenza internazionale stante l’identità, per oggetto e per titolo, dei due giudizi, avuto riguardo alle domande proposte dalla convenuta con claim avanti al giudice inglese le quali risultano “speculari” a quelle proposte dall’attrice nel giudizio italiano ed avendo quindi la convenuta in Italia spiegato avanti al giudice inglese domande sostanzialmente uguali e contrarie a quelle di cui all’atto di citazione che ha radicato il procedimento italiano.
Ne consegue, stante l’acclarata prevenzione del giudizio italiano rispetto a quello inglese, l’irriconoscibilità della sentenza inglese ex art. 64 lett. f) della Legge n. 218/1995.


La giurisprudenza di legittimità interpreta la nozione di litispendenza internazionale di cui all’art. 64 lett. f) della Legge n. 218/1995 in senso estensivo affermando che essa richiede, oltre all'identità delle parti, l'identità dei risultati pratici perseguiti, e ciò indipendentemente dal petitum immediato delle singole domande e dal titolo specificamente fatto valere.
Nel caso di specie, (i) acclarata la giurisdizione del giudice italiano come da ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione all’esito di regolamento di giurisdizione; (ii) la prevenzione del giudizio italiano rispetto a quello straniero; (iii) l’identità, in termini di parti, oggetto, titolo e risultati pratici perseguiti nelle accezioni normative e giurisprudenziali sopra richiamate delle cause promosse innanzi alle due giurisdizioni, devono ritenersi insussistenti i presupposti per la riconoscibilità della decisione emessa dal giudice inglese.


In presenza di un contratto scritto che attesti formalmente l’assunzione da parte della banca delle obbligazioni del consulente per la ristrutturazione del debito dell’Ente locale, il mandato di consulenza non può intendersi come una forma di “consulenza incidentale” che si limita ad illustrare al cliente i principali termini e condizioni degli strumenti finanziari proposti dovendosi, anzi, ritenere che ciò, implicitamente, costituisca ammissione da parte della banca circa il mancato assolvimento dei propri obblighi informativi.


Non è condivisibile la tesi secondo cui all’epoca della sottoscrizione dei contratti derivati rilevanti nel caso di specie (i.e. negli anni 2003 e 2005) non sussisteva alcun obbligo di legge o regolamentare di indicare il valore del mark to market, dei costi impliciti e degli scenari probabilistici correlati ai contratti derivati medesimi atteso che il quadro normativo vigente all’epoca in cui sono stati sottoscritti gli swap in oggetto già prevedeva, indipendentemente dalla qualifica o meno del cliente come investitore professionale/operatore qualificato, l’obbligo per l’intermediario di prestare un’adeguata informazione, sia in relazione ai costi, che al conseguimento del risultato connesso al rischio assunto dal cliente. Operavano, dunque, già all’epoca, norme imperative incidenti sulla formazione dell’accordo, che imponevano l’esplicitazione del rischio iniziale, dei costi e delle commissioni (cfr., in argomento, anche Cass. civ. n. 17518 del 31/05/2022, secondo cui la Comunicazione della Consob del 02/03/2009 riveste “valenza meramente interpretativa e non anche innovativa e creativa di una regola non esistente”).


La banca è onerata ai sensi e per gli effetti dell’art. 23 TUF di fornire la prova della diligente osservanza delle regole imposte dalla normativa di settore all’intermediario finanziario, da valutarsi alla stregua di un canone di diligenza qualificato, cui si aggiunge il doveroso rispetto da parte dell’intermediario del menzionato art. 21 TUF. In tale prospettiva la trasmissione al proprio cliente di semplici “presentazioni”, oltre alla documentazione contrattuale per la sottoscrizione, non soddisfa i requisiti prescritti dalla normativa di settore sopra richiamata, la quale impone (in ciò sostanziandosi il dovere di diligenza qualificata) che i contenuti dei contratti siano analiticamente illustrati dall’intermediario al cliente.
Dalla normativa di settore si evince infatti come siano posti a carico dell’intermediario finanziario precisi obblighi informativi in favore della clientela, il cui puntuale adempimento è finalizzato a consentire alla stessa consapevoli scelte di investimento. Tali obblighi devono essere intesi in senso sostanziale, non risolvendosi in una mera esposizione generica e formale della tipologia di investimento proposto e ciò in quanto detta normativa è improntata alla ricerca non solo di una conoscenza dal punto di vista giuridico-operativo dello strumento finanziario, ma anche di una effettiva comprensione dei risvolti economici dell’operazione posta in essere. (cfr., in argomento, anche Cass. civ. n. 7776/2014 laddove si precisa che è imposto all’intermediario finanziario il dovere del clare loqui, ovvero di “parlare chiaro”, sì da illustrare all’investitore in modo chiaro ed esauriente gli elementi essenziali dell’operazione, del servizio o del prodotto proposto).


Non può ritenersi conforme alle disposizioni della normativa di settore (che imponeva, in particolare, l’esplicitazione del rischio iniziale, dei costi e delle commissioni correlate all’operatività in contratti derivati consigliata all’Ente locale) il contegno della banca che dapprima sottopone al cliente la modulistica contrattuale ISDA (redatta unilateralmente ed operante un rinvio alla normativa ed alla giurisdizione inglese) senza esplicitare le previsioni ivi contenute – con particolare riferimento alla normativa e alla giurisdizione applicabile – e senza illustrare lo specifico interesse perseguibile adottando di tali fattispecie contrattuali e, successivamente, propone la sottoscrizione di contratti derivati con caratteristiche tali da compromettere l’idoneità dello swap a perseguire l’obiettivo delle operazioni in derivati degli Enti locali sotto il profilo della convenienza economico-finanziaria, potendosi desumere proprio dai contratti derivati stipulati dall’Ente locale “a valle” della consulenza svolta dalla banca e in esecuzione al mandato consulenziale la violazione degli obblighi ed il conseguente inadempimento, sul piano informativo, da parte dell’advisor.


In tema di contratti derivati, è necessaria, come statuito da Cass. civ. Sez. Un. n. 8770/2020, una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del mark to market, che individua il valore del contratto ad una certa data, sia degli scenari probabilistici, sia dei c.d. costi occulti che determinano uno squilibrio iniziale dell’alea, allo scopo di rendere l’investitore pienamente consapevole di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto: tali elementi rappresentano, infatti, il contenuto di un’obbligazione che sorge con la stipula del contratto, concorrendo ad integrarne la determinabilità del suo oggetto.
L’omessa esplicitazione di tali elementi da parte dell’investitore si sostanzia nella mancata formazione di un consenso in ordine agli stessi, tale da integrare tanto la violazione di obblighi informativi e la conseguente responsabilità dell’intermediario che non abbia effettuato tale disclosure, quanto carenze foriere di nullità del contratto (cfr., sul punto, Cass. civ. n. 21830/2021, Cass. civ. n. 22014/2023, Cass. civ. n. 32705/2022 e Cass. civ. n. 24654/2022).


Incombe sul consulente l’onere di fornire la prova del corretto adempimento degli obblighi informativi sia in punto di caratteristiche specifiche dell’investimento che riguardo al grado effettivo di rischiosità (cfr. Cass. civ. n. 29607/2018, nonché Cass. civ. n. 4727/2018).
In caso di sottoscrizione di contratti finanziari derivati consigliati dalla banca advisor, l’adempimento degli obblighi informativi relativi alla misura dell’alea avrebbe richiesto l’indicazione del mark to market (compresa l’esplicitazione della formula matematica per la determinazione del calcolo), degli scenari probabilistici e dei costi occulti (nel caso di specie la documentazione negoziale agli atti di causa e, nello specifico, la relazione peritale di parte attrice non contraddetta da prospettazioni di segno contrario da parte della convenuta, ha confermato l’assenza di qualsivoglia riferimento al valore negativo del mark to market iniziale dei contratti medesimi e al metodo di calcolo del medesimo ed inoltre, analizzando i dati relativi a tale ultimo valore, risulta che lo squilibrio del valore di mercato esistente all’avvio delle transazioni non è stato ricomposto con il riconoscimento di up front iniziali, circostanza che, da un lato, determina uno squilibrio originario e perdurante del contratto che inficia la causa concreta e, dall’altro, riflette l’inserimento di “costi occulti” o “commissioni implicite”, tale da rendere le condizioni contrattuali non allineate con quelle prevalenti sul mercato e da tradurre tali componenti in inammissibili costi non esattamente percepibili dal sottoscrittore al momento della stipulazione, destinati a ripercuotersi negativamente sulla finalità di contenimento del costo del debito perseguita dall’Ente).


Nel caso in cui l’investitore si trovi a stipulare un contratto che presenta, già ab origine, un disvalore di mercato non compensato mediante l’erogazione da parte della banca di un correlato premio di liquidità, dovendosi individuare nel suddetto disvalore di mercato iniziale un costo comunque sostenuto dal cliente, lo stesso avrebbe dovuto essere adeguatamente illustrato, sia nell’ipotesi in cui lo si voglia intendere quale costo che remunera l’attività della banca, sia nel caso in cui venga identificato con il vero costo del contratto, il quale deve essere conosciuto dal contraente che subisce l’alterazione delle naturali condizioni contrattuali, trovando la propria origine in quella serie di doveri di informazione dell’intermediario che improntano la normativa di settore nell’art. 21 TUF e nel più generale dovere di correttezza e buona fede di derivazione codicistica.
Ciò a maggior ragione allorquando il cliente è un “operatore non qualificato” come l’Ente locale nel caso di specie il quale ha espressamente dichiarato nei propri atti amministrativi di avere la necessità di ricorrere ad un advisor esterno “per la conoscenza approfondita dell’uso di strumenti derivati” da parte del consulente.


Fra gli obblighi informativi incombenti sull’intermediario finanziario che svolga la funzione di consulente per la ristrutturazione del debito dell’Ente locale assume rilievo anche la necessaria specificazione all’Ente da parte dell’advisor dei rischi sottesi alla sottoscrizione dei contratti derivati, quali, ad esempio, il possibile aumento del debito dell’Amministrazione, sul cui aggravio, come statuito in maniera pressoché costante dalla giurisprudenza di legittimità, deve inderogabilmente deliberare l’organo consiliare (nel caso di specie con la deliberazione dell’organo consiliare dell’Ente era stata unicamente autorizzata la generica possibilità di ricorrere alla stipula di contratti derivati privi di implicazioni speculative, facoltà, tuttavia, inidonea a surrogare il consenso dell’organo consiliare sulle specifiche condizioni poi effettivamente adottate negli swap oggetto di causa).


In tema di adempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, deve ritenersi imputabile alla banca advisor l’omissione di informazioni al cliente in ordine agli effetti e possibili rischi della stipulazione delle operazioni in derivati ricorrendo alla modulistica contrattuale ISDA (nel caso di specie, a fronte di specifica doglianza sollevata sul punto dall’attrice, la convenuta ha omesso di fornire la prova della ritenuta conformità del contratto ISDA al contratto quadro di intermediazione finanziaria di cui all’art. 23 TUF e, quindi, del fatto che tale tipologia di contratto rispettasse le forme e i contenuti disciplinati dall’art. 30 Reg. Consob n. 11522/1998).


È censurabile la condotta della banca convenuta che ha omesso di segnalare all’attrice la situazione di conflitto d’interessi, ex art. 27 Regolamento Consob n. 11522/1998, nella quale essa versava, attesa la coincidenza tra il ruolo di advisor dell’Ente locale e controparte contrattuale dei contratti derivati (fattispecie esaminata anche dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 8770/2020) e che, per contro, ha consigliato la stipula di contratti di cui si sarebbe dovuta rilevare l’inadeguatezza ai sensi del precitato Regolamento Consob in relazione ai parametri normativi della “tipologia, oggetto, frequenza e dimensione”, anche alla luce di quanto esposto nella consulenza di parte attrice.


La condotta della banca consulente dell’Ente locale, consistente, da un lato, nell’omissione degli obblighi informativi gravanti sugli intermediari finanziari e, dall’altro, nella strutturazione e proposta all’Ente locale proprio cliente di concludere i contratti derivati nel suddetto deficit informativo, a maggior ragione avendo la stipula degli swap funzione di copertura, integra un atto esecutivo del contratto di consulenza e, quindi, un inadempimento contrattuale foriero di responsabilità risarcitoria secondo i principi generali in tema di inadempimento contrattuale.
Nell’ambito di giudizio risarcitorio, per mandare assolto l’intermediario finanziario dalla responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge, il giudice deve accertare se sussista effettivamente la prova positiva della sua diligenza e dell’adempimento delle obbligazioni poste a suo carico. In mancanza di tale prova – il cui onere, ex art. 23, ultimo comma, TUF è a carico dell’intermediario – questi sarà tenuto al risarcimento degli eventuali danni cagionati all’investitore, i quali devono, di conseguenza, considerarsi – sempre in difetto di prova contraria che deve essere fornita dall’intermediario – in nesso di causalità con la predetta condotta inadempiente (cfr. in argomento Cass. civ. n. 2535/2016 ed altresì Cass. civ. n. 12544/2017).


In tema di responsabilità dell’operatore professionale verso il suo assistito, il dies a quo della prescrizione deve essere individuato nella data, diversa e successiva rispetto a quella del contratto o dell’inadempimento, in cui il cliente/investitore ha avuto (o poteva ragionevolmente avere) contezza della natura ingiusta e dannosa del pregiudizio subito e della sua imputabilità al professionista che lo ha assistito (cfr. Cass. civ. n. 10943/2006; e Cass. civ. n. 2645/2003).
In argomento la giurisprudenza di legittimità ha più volte osservato che, ove sia necessario per una effettiva e concreta conoscenza del diritto da esercitare un’indagine tecnico–scientifica, la prescrizione decorre solo dall’effettiva conoscenza dell’esistenza del proprio diritto all’esito di tale indagine conoscitiva (nel caso in esame, deve ritenersi che la conoscenza da parte dell’Ente locale delle modalità con cui la banca convenuta ha, in concreto, strutturato e negoziato i contratti derivati di cui trattasi, ovvero celando al loro interno i costi occulti ed omettendo ogni informazione sugli elementi essenziali del mark to market e degli scenari probabilistici è stata raggiunta solo all’esito dell’accertamento condotto da una società di consulenza conclusosi con la redazione di apposita relazione peritale ed è dunque solo dalla data di tale relazione che può ritenersi decorrente il termine di prescrizione decennale dell’azione volta a far valere la responsabilità contrattuale della banca in relazione all’attività di consulenza da questa prestata; in ogni caso nella specie difetta altresì la prova di una diversa decorrenza e/o di una conoscenza effettiva precedente alla data indicata dall’Ente, prova che avrebbe dovuto essere fornita dalla banca eccipiente, non potendosi attribuire alcuna rilevanza al fatto che altri Enti locali, a partire dalla fine degli anni 2000, avevano contestato la legittimità dei contratti derivati sottoscritti, non potendosi da ciò desumere, neppure in via presuntiva, che anche l’attrice avesse avuto contezza e percezione del pregiudizio patito).


Non sussistono i presupposti per l’accoglimento dell’istanza di rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, affinché essa valuti se la normativa italiana in materia di derivati, come interpretata dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 8770/2020, sia conforme alla normativa UE in materia di condizioni di esercizio applicabili alle imprese di investimento – quale contemplata inter alia dalle direttive 2004/39/CE (c.d. MIFID I), 2006/73/CE e dal regolamento 1286/2014 – e, quindi, fosse rispettosa degli artt. 49, 56 e 63 TFUE, nonché dei principi di proporzionalità e non discriminazione.
Ciò perché le norme richiamate ed interpretate nella citata sentenza a Sezioni Unite, sono le disposizioni di cui agli artt. 1321, 1322, 1325, 1346 e 1418, comma 2, c.c. poste in relazione alla struttura del contratto IRS, non già le norme di settore, di derivazione europea, in materia di obblighi informativi in capo agli intermediari finanziari ed in favore dell’investitore.
L’istanza va altresì disattesa anche in ragione del fatto che la domanda di pronuncia pregiudiziale rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea non può avere ad oggetto l’interpretazione che la giurisprudenza interna fornisce alle norme del diritto nazionale (cfr. in tal senso Cass. civ. n. 7368/2024).
Va respinta, infine, l’ulteriore richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea con riguardo (anche) all’interpretazione degli artt. 49, 56 e 63 TFUE che tutelano la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi anche finanziari, atteso che la violazione dei menzionati articoli non è in alcun modo apprezzabile, posto che oggetto del presente giudizio sono, tra gli altri, gli obblighi imposti all’intermediario/consulente per contenere la rischiosità del contratto entro i limiti della c.d. alea razionale, nell’intento di rispettare, trattandosi di Ente pubblico, le dichiarate finalità di copertura e di equilibrio di bilancio, nonché per consentire all’investitore una conoscenza chiara e completa dei rischi e dei benefici dello strumento finanziario proposto, con conseguente irrilevanza del diritto unionale sul punto.


All’accertato inadempimento della banca convenuta alle obbligazioni derivanti dal contratto di consulenza consegue la condanna della banca convenuta al risarcimento dei danni rappresentati dai complessivi esborsi sostenuti dall’Ente locale in dipendenza dei contratti derivati.
A tale quantificazione si perviene seguendo l’orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità (ribadito da Cass. civ. n. 7315/2024), secondo cui, laddove “gli investimenti in titoli con alto profilo di rischio hanno esorbitato dall’incarico originariamente conferito dagli investitori all’istituto bancario, accostabile al mandato, che prevedeva investimenti garantiti coerenti col profilo di basso rischio, in relazione al quale si configurano come negozi esecutivi di acquisizione (Cass., sez. un., nn. 26724 e 26725/07; n. 18122/20)”, gli effetti degli atti eccedenti il mandato restano a carico del mandatario.


L’eccezione ex art. 1227 c.c. presuppone una idonea allegazione relativa a cosa consista, concretamente, la condotta di cooperazione colposa alla verificazione dell’evento imputabile all’Ente; riguardo invece alla fattispecie di cui al secondo comma del medesimo articolo – alla luce del quale, secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, la mancanza dell’intervento del danneggiato, per essere rilevante, deve costituire violazione di un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede – deve essere fornita prova della ritenuta violazione, da parte del cliente di un qualsivoglia dovere d’intervento o anche della certa o probabile utile incidenza che tale intervento avrebbe avuto nel senso di limitare gli effetti lesivi (nel caso di specie le suddette allegazioni e prove sono state ritenute carenti e pertanto si è esclusa la sussistenza di qualsivoglia concorso di colpa). (1) (Luca Zamagni, Matteo Acciari, Giovanni Cedrini) (riproduzione riservata)


(1) La sentenza del Tribunale di Pesaro segue ad ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione del 29/05/2023 all’esito di regolamento di giurisdizione promosso dalla banca qui pubblicata.



Segnalazione e massima a cura degli Avv.ti Luca Zamagni, Matteo Acciari e Giovanni Cedrini (Axiis Network Legale)


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