Lavoro


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 15/01/2025 Scarica PDF

La “falla” del ministero sulla c.d. carta del docente

Tomas Schena, Praticante avvocato


Sommario: 1. Premessa. – 2. La manifesta contraddittorietà con le fonti del diritto. – 3. L’ormai pacifico orientamento giurisprudenziale – 4. Come ottenere la cd. Carta del docente – 5. Spunti de iure condendo.

   


1. Premessa.

L’art. 1, comma 121, L. 107/2015 prevede che «al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell’importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all’aggiornamento professionale, per l’acquisto di hardware e software, per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali».

In origine poteva godere di tale beneficio esclusivamente il personale docente assunto a tempo indeterminato[1]; in altre parole, i docenti di ruolo, cioè coloro che hanno superato l’esame di Stato.

Con l’art. 15 del D.L. del 13 giugno 2023 n. 69 si è esteso il diritto di usufruire della Carta elettronica anche ai docenti con contratto di supplenza annuale su posto vacante e disponibile, ai sensi dell’art. 4, comma 1, L. 124/1999.

 

2. La manifesta contraddittorietà con le fonti del diritto.

L’articolo in commento riesce, paradossalmente, a porsi in contrasto con tutte le fonti del diritto di riferimento.

Nello specifico:

- con la Costituzione, per la falsa e erronea applicazione degli artt. 3, 35 e 97 della Costituzione in merito all’irragionevolezza, alla contraddittorietà e all’illogicità della disparità di trattamento, con conseguente sviamento ed eccesso di potere, in quanto «un sistema di formazione “a doppia trazione”: quella dei docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico con l’erogazione della Carta, e quella dei docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico […] collide con i precetti costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 Cost., sia per la discriminazione che introduce a danno dei docenti non di ruolo (resa palese dalla mancata erogazione di uno strumento che possa supportare le attività volte alla loro formazione e dargli pari chances rispetto agli altri docenti di aggiornare la loro preparazione), sia, ancor di più, per la lesione del principio di buon andamento della P.A.»[2];

- con la direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 28 giugno 1999, nella parte in cui stabilisce che: «L’obiettivo del presente accordo quadro è: a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione» e che «i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato»;

- con la legge e, in particolare, con l’art. 282 del D.Lgs. 16 aprile 1994 n. 297, secondo cui «l’aggiornamento delle conoscenze è un diritto-dovere fondamentale del personale ispettivo, direttivo e docente»;

- con i contratti collettivi nazionali di riferimento e, nello specifico, con gli artt. 29, 63 e 64 del CCNL del Comparto Scuola del 29 novembre 2007, nelle parti in cui prevedono che l’attività funzionale all’insegnamento è costituita anche da aggiornamento e formazione, che quest’ultima «costituisce una leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale»e che «la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per il personale in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle proprie professionalità».

 

3. L’ormai pacifico orientamento giurisprudenziale.

Se fino al 2022 l’opinione giurisprudenziale che riconosceva la fruizione del beneficio a tutti i docenti, al di là del contratto di assunzione, era per lo più controversa[3], a seguito della decisione del supremo organo della Giustizia amministrativa intervenuta nel 2022, tale orientamento si è consolidato in senso positivo ed è oggi del tutto unanime.

Con la sentenza 16 marzo 2022, n. 1842, già supra menzionata, il Consiglio di Stato si è pronunciato sul rigetto del TAR Lazio[4], il quale aveva ritenuto che «la cd. Carta del docente non rientra nelle “condizioni di impiego” di cui alla clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999 allegato alla direttiva n. 1999/70/CE del 28 giugno 1999 (in relazione alle quali la predetta clausola prescrive che i lavoratori a tempo determinato non siano trattati in modo meno favorevole di quelli a tempo indeterminato), non avendo la stessa natura di retribuzione accessoria o reddito imponibile, ma essendo attinente alla formazione del docente (che non è riconducibile alle “condizioni di impiego”) e che «la Carta del docente compensa la maggiore gravosità del servizio svolto dai docenti di ruolo, per i quali la formazione in servizio è divenuta, in base alla l. n. 107 cit., attività obbligatoria, strutturale e permanente; dall’altro, nonostante l’ora vista scelta del Legislatore contrasti con il C.C.N.L. di categoria (invocato dai ricorrenti per sostenere l’esistenza di un obbligo di formazione anche per i docenti non di ruolo), deve ritenersi che la previsione di legge, in quanto successiva, prevalga; in terzo luogo, il confronto con gli artt. 63 e 64 del C.C.N.L. mostra che la formazione è divenuta obbligatoria solo per i docenti di ruolo, nessun obbligo essendo previsto al riguardo per i docenti non di ruolo».

Nel dettaglio, Il Consiglio di Stato, con riferimento al sistema delle fonti, ha precisato che: «la scelta del Ministero di escludere dal beneficio della Carta del docente il personale con contratto a tempo determinato viene censurata sotto i profili dell’irragionevolezza e della contrarietà ai principi di non discriminazione e di buon andamento della P.A.: tali profili denotano l’illegittimità degli atti impugnati rispetto ai parametri di diritto interno desumibili dagli artt. 3, 35 e 97 Cost. e, per conseguenza, consentono di prescindere dalla questione (dedotta con il primo e con il secondo motivo) della conformità degli atti stessi alla normativa comunitaria (e, in specie, alle clausole 4 e 6 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CE)».

Inoltre, con successiva ordinanza CGUE, 18 maggio 2022, emessa nella causa C-450/21, nel merito della vicenda, il giudice comunitario ha statuito che «La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell’istruzione, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell’importo di euro 500 all’anno» e che dunque sussiste «il divieto, per quanto riguarda le condizioni di impiego, di trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile, per il solo fatto che essi lavorano a tempo determinato».

In ogni caso, per fugare qualsiasi dubbio in ipotesi esistente, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione la quale, con sentenza 29 ottobre 2023, n. 29961, ha stabilito, una volta per tutte, che: «la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno», con la conseguenza che dunque debba essere garantito tale beneficio a qualsiasi docente – e non solo[5] – qualsiasi sia il tipo di rapporto di lavoro.

 

4. Come ottenere la cd. Carta del docente.

Tutti i docenti assunti con contratto a tempo determinato fino al 30 giugno di ciascun anno, dopo aver infruttuosamente sollecitato il Ministero dell’Istruzione e del merito a corrispondere il beneficio dovutotramite diffida legale, possono adire il tribunale competente rispetto a dove viene prestata l’attività lavorativa con ricorso ex art. 414 c.p.c. al fine di ottenere il riconoscimento in forma specifica del bonus di € 500,00 per ciascun anno scolastico (utilizzabile tramite l’apposito sito web di cui si dirà in seguito) qualora essi continuino a lavorare presso il Ministero al momento dell’udienza o, viceversa e dunque nel caso in cui sia terminata, anche temporaneamente, l’attività lavorativa, per ricevere la medesima somma o la diversa che sarà accertata nel corso del giudizio a titolo di risarcimento del danno ex art. 1218 c.c., per il pregiudizio patito dal mancato utilizzo del beneficio.

L’iniziativa può avere ad oggetto anche il beneficio relativo agli anni passati, con il solo limite della prescrizione, che lo stesso Supremo Collegio[6] ha fissato nel termine quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, c.c., decorrente dalla data in cui è sorto il diritto all’accredito, ovverosia, per i casi di cui all’art. 4, comma 1 e 2, L. 124/1999, dalla data del conferimento dell’incarico di supplenza o, se posteriore, dalla data in cui il sistema telematico consentiva anno per anno la registrazione sulla corrispondente piattaforma informatica.

 

5. Spunti de iure condendo.

Posto che l’importo in discussione è pacificamente dovuto e di questo né è ormai a conoscenza lo stesso Ministero dell’Istruzione e del Merito – al punto che, nella relativa pagina dedicata al login[7] ha addirittura inserito espressamente l’indicazione: “Sei un docente di ruolo o hai diritto al bonus in forza di una sentenza passata in giudicato?” – sarebbe opportuno, in ottica di salvaguardare le spese pubbliche attraverso un oculato utilizzo delle stesse – che noi tutti cittadini foraggiamo – prevedere direttamente che tutti i docenti ed il personale educativo annesso possano fruire del beneficio in discorso, evitando così di corrispondere le spese conseguenti alla soccombenza della lite giudiziaria a tutti coloro i quali intraprendano l’iniziativa giudiziale, altresì alleggerendo il già notevole carico del sistema giudiziario con lavoro del tutto evitabile.



[1] Ai sensi dell’art. 2, comma 4, del D.P.C.M. 23 settembre 2015, n. 32313.

[2] Cons. Stato, 16 marzo 2022, n. 1842.

[3] Si v., ex pluribus, Trib. Latina, 29 settembre 2020; Trib. Frosinone, 26 giugno 2020; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 15 giugno 2020; Trib. Roma, 19 giugno 2017; in senso contrario cfr. Trib. Bari, 25 ottobre 2021; Trib. Spoleto, 9 luglio 2020; Trib. Ascoli Piceno, 19 giugno 2020.

[4] Tar Lazio, 7 luglio 2016, n. 7799. 

[5] Cass., 29 ottobre 2024, n. 27872, infatti, espande il diritto a godere del beneficio anche al personale educativo, «non solo perché la funzione educativa partecipa al processo di formazione ed educazione nell’ambito della funzione docente, ma anche per l’espressa equiparazione normativa del trattamento economico del personale educativo a quello dei docenti». 

[6] Cass., 29 ottobre 2023, n. 29961.


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