Diritto Penale
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23723 - pubb. 12/06/2020
L’espulsione prevista dall’art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998 non costituisce una misura di sicurezza e, quindi, non presuppone l’accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale
Tribunale Torino, 27 Maggio 2020. Pres., est. Vignera.
Sicurezza pubblica - Stranieri - Espulsione quale sanzione alternativa alla detenzione - Pericolosità sociale del detenuto - Irrilevanza - Conseguenze
Sicurezza pubblica - Stranieri - Espulsione quale sanzione alternativa alla detenzione - Provvedimento amministrativo - Esclusione - Provvedimento giurisdizionale - Affermazione - Conseguenze
L’espulsione prevista dall’art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998 non costituisce una misura di sicurezza e, quindi, non presuppone l’accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale del detenuto: ne consegue che ai fini dell’espulsione in questione rilevano soltanto i legami familiari contemplati dall’art. 19 del medesimo decreto, mentre restano irrilevanti quelli diversi valutabili ai sensi dell’art. 133 c.p. (in una prospettiva di bilanciamento tra l’interesse generale alla sicurezza sociale e l’interesse del singolo alla vita familiare) ai soli fini dell’applicazione di una misura di sicurezza.
L’espulsione dello straniero disposta dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998, sebbene applicativo di sanzione amministrativa, ha natura di provvedimento giurisdizionale, che trova la sua regolamentazione specifica nel predetto art. 16: ne consegue che non sono automaticamente applicabili ad essa le disposizioni sull’espulsione “prefettizia” e, in particolare, quelle contenute nell’art. 13, comma 2-bis e comma 7, d. lgs. 286/1998. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
N° 2020/7766 SIUS
N° 2019/2655 SIEP Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano
N° 2020/1241 Reg. Ordinanze
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
PER IL DISTRETTO DELLA CORTE D’APPELLO DI TORINO
riunito in camera di consiglio in persona dei signori:
1) Dott. Vignera Giuseppe Presidente est.
2) Dott. D’Altilia Alessandro Magistrato di sorveglianza
3) Dott. Ruffa Brunella Esperto componente
4) Dott. Forno Chiara Esperto componente
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei confronti di F. O., nato in S. il XXXX, attualmente detenuto nella Casa circondariale di Novara, difeso dall’Avv. C. F. del Foro di Novara con studio in XXXX (di fiducia), nel procedimento di sorveglianza avente ad oggetto l’opposizione avverso decreto di espulsione ex art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998.
* * *
1.- Con provvedimento in data 18 novembre 2019 il Magistrato di sorveglianza di Novara disponeva l’espulsione dal territorio dello Stato del cittadino extracomunitario F. O. ai sensi dell’art. 16, comma 5, d. lgs. 286 1998.
Il provvedimento veniva basato sulle risultanze dell’espletata istruttoria, da cui era emerso in particolare che:
lo straniero si trovava nelle condizioni previste dall’art. 13, comma 2, lettera c), d.lgs. 286/1998 (come comunicato dalla Questura di Novara il 6 settembre 2019);
pur avendo il padre F. B. acquistato nel 2017 la cittadinanza italiana (come comunicato nella stessa nota della Questura di Novara del 6 settembre 2019), doveva considerarsi insussistente il requisito della convivenza con il medesimo [requisito necessario ai fini della configurabilità del divieto di espulsione ex art. 19, comma 2, lettera c), d. lgs. 286/1998] perché dalla certificazione rilasciata dal Comune di Maggiora il 7 novembre 2019 (costituita dalla “verifica anagrafica” relativa all’interessato e dal “certificato di famiglia storico” del medesimo) risultava che il detenuto era stato cancellato dall’anagrafe della popolazione residente in quel Comune per irreperibilità a decorrere dal 14 maggio 2019 (Comune dove, invece, risiedeva il padre).
Avverso tale provvedimento ha proposto opposizione l’interessato, deducendo che:
la suindicata certificazione del 7 novembre 2019 era il “frutto di una frettolosa istruttoria” da parte dell’Ufficio anagrafe comunale perché l’opponente “ha sempre risieduto a Maggiora, salvo piccoli periodi trascorsi in detenzione” (è stato prodotto a riprova di ciò un “certificato di famiglia storico” del Comune di Maggiora in data 9 settembre 2019, da cui risulta la sua presenza nella famiglia del padre);
l’esecuzione dell’espulsione avrebbe leso il suo diritto all’unità familiare perché tutta la sua famiglia si trova da anni in Italia.
2.- L’opposizione è infondata.
Per quanto riguarda il primo motivo di impugnazione, si rileva che:
“le risultanze anagrafiche in ordine alla residenza costituiscono semplici presunzioni, superabili come tali con prove contrarie” (così Cass. civ., Sez. I, sentenza 5 maggio 1985 n. 791, Rv. 438990; conf. più recentemente Cass. civ., Sez. VI, ordinanza 28 aprile 2014 n. 9373, Rv. 630434);
nella fattispecie tale prova contraria non è stata fornita perché la documentazione prodotta dall’opponente (in data 9 settembre 2019) è precedente a quella posta a fondamento del gravato provvedimento (portante la data 7 novembre 2019 e, quindi, più aggiornata);
manca, pertanto, la piena prova della “convivenza” dell’opponente con il padre cittadino italiano: requisito, codesto, necessario ai fini dell’integrazione del divieto ex art. 19, comma 2, lettera c), d. lgs. 286/1998, la cui prova è a carico dello straniero (così Cass. civ., Sez. I, 3 novembre 2006, n. 23598. H. E.).
3. 1 - Quanto al dedotto diritto all’unità familiare, si fa presente i vincoli familiari diversi da quelli previsti dall’art. 19 d. lgs. 286/1990 sono irrilevanti agli effetti de quibus poiché rispetto alle espulsioni giudiziali operano soltanto le cause ostative previste dall’art. 19 cit.: regime, questo, che la Suprema Corte ha considerato coerente tanto con l’art. 8 CEDU quanto con l’art. 29 Cost. (sotto il profilo della garanzia dell’unità familiare).
Sotto il primo profilo (art. 8 CEDU), invero, la Corte di cassazione ha affermato: “In materia di espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, le cause ostative all'espulsione previste dall'art. 16, comma nono, d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, hanno carattere eccezionale e non possono essere oggetto di applicazione analogica, con la conseguenza che, ai fini dell'applicazione della misura in questione, non rilevano i legami familiari diversi da quelli espressamente contemplati dall'art. 19 del medesimo decreto. (Fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo non applicabili, ai fini della individuazione delle condizioni ostative all'espulsione quale sanzione sostitutiva alla detenzione, i criteri dettati, a differenti fini, dagli artt. 5, comma quinto e 13, comma 2-bis, d. lgs., cit.)” (così Cass. pen., Sez. I, sentenza 29 settembre 2015 n. 48684, Bachtragga, Rv. 265387, nella cui motivazione è stato precisato che “il regime dell'espulsione del condannato cittadino straniero, come risultante dal combinato disposto degli artt. 16, comma 5 e 19 D.Igs. nr. 286/98, è stato già ritenuto coerente con le disposizioni dell'art. 8 CEDU come interpretato alla giurisprudenza comunitaria, che salvaguarda l'unità familiare”).
Questo insegnamento è stato ribadito da Cass. pen., Sez. VII, ordinanza 13 gennaio 2017 n. 23254, Ujka, nella cui motivazione sta puntualmente scritto quanto segue: “Le cause ostative all’espulsione previste dall’art. 16, comma nono, d. lgs. 25 luglio 1998 n. 286, hanno carattere eccezionale e non possono essere oggetto di applicazione analogica. Da ciò deriva che, ai fini dell’applicazione della misura in questione, non rilevano i legami familiari diversi da quelli espressamente contemplati dall’art. 19 del medesimo decreto … La stessa Corte costituzionale (con ordinanza n. 361 del 26 settembre 2007) si è già occupata della tematica, ritendendo ragionevole (in relazione all’art. 19 d. lgs. 286/98) il divieto di espulsione esclusivamente in favore degli stranieri conviventi con il coniuge ‘di nazionalità italiana’ ed escludendo analogo divieto in favore degli stranieri conviventi con parenti o con il coniuge già residenti in Italia e regolarmente muniti di permesso di soggiorno, ma privi di di cittadinanza italiana”.
3. 2 - Non si ignora che il testè ricordato insegnamento (di Cass. pen., Sez. I, sentenza 29 settembre 2015 n. 48684 e di Cass. pen., Sez. VII, ordinanza 13 gennaio 2017 n. 23254) è stato disatteso da Cass. pen., Sez. I, sentenza 30 ottobre 2019 n. 45973, Ramirez, con la quale è stato annullato con rinvio un provvedimento confermativo di un decreto di espulsione emesso ex art. 16, comma 5, d.lgs. 286/1998 per avere “omesso di ponderare il giudizio di pericolosità sociale” del detenuto “alla luce della particolare condizione dell'interessato, dei legami affettivi che ha con persone regolarmente residenti in Italia, in specie con la figlia minore, e non ha conseguentemente valutato se le esigenze poste a fondamento del provvedimento di espulsione debbano in concreto prevalere” su quelle al mantenimento dell’unità familiare.
Per addivenire a tale conclusione Cass. pen., Sez. I, sentenza 30 ottobre 2019 n. 45973, Ramirez, ha:
fatto fondamentalmente leva su Corte cost. 18 luglio 2013 n. 202, da cui si evince che la tutela della famiglia e dei minori (assicurata dagli artt. 29, 30 e 31 Cost. e dall’art. 8 CEDU) impone che ogni provvedimento fondato sulla pericolosità sociale dello straniero avente legami familiari in Italia non può prescindere da una attenta ponderazione della sua pericolosità concreta e attuale;
invocato pro domo sua pure Cass. civ., Sez. unite, sentenza 12 giugno 2019 n. 15750, secondo cui il diniego dell’autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano (art. 31, comma 3, d. lgs. n. 286 del 1998) non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che il testo unico sull’immigrazione considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero, essendo necessario operare un giudizio di bilanciamento tra l’interesse del minore e la pericolosità concreta ed attuale del familiare.
3. 3 - Proprio dal contenuto degli “autorevoli” interventi giurisprudenziali da essa invocati (Corte cost. 18 luglio 2013 n. 202 e Cass. civ., Sez. unite sentenza 12 giugno 2019 n. 15750: riguardanti entrambi fattispecie normative postulanti valutazioni di pericolosità sociale della persona) risulta evidente il vizio di origine di Cass. pen., Sez. I, sentenza 30 ottobre 2019 n. 45973, Ramirez: vizio consistente nel presupporre (erroneamente) che pure l’espulsione ex art. 16, comma 5., d. lgs. 286/1998 implichi un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato, il quale (giudizio) dovrebbe essere ponderato alla luce dei suoi eventuali legami affettivi con familiari presenti in Italia.
Così facendo, peraltro, Cass. n. 45973 del 2019 ha sostanzialmente (ed indebitamente) esteso all’espulsione ex art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998 l’applicazione di principi giurisprudenziali elaborati in materia di misura di sicurezza: principi sintetizzabili nell’affermazione che, in coerenza con l’art. 8 CEDU (che vieta ingiustificate ingerenze dei pubblici poteri nella vita privata e familiare: v. specialmente Cass. pen., Sez. IV, sentenza 17 ottobre 2017 n. 52137, Talbi, Rv. 271257) e/o con l’art. 29 Cost. (che riconosce una particolare tutela ai vincoli familiari: v. specialmente Cass. pen., Sez. V, sentenza 29 novembre 2018 n. 1953, Neagu Aurel Catalin, Rv. 274439, il giudice deve includere tra i criteri di valutazione della pericolosità sociale indicati nell’art. 133 c.p. pure la condizione familiare del destinatario della misura (di sicurezza), in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare.
Sennonchè:
“l'espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, prevista dall'art. 16, comma quinto, del g. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, riservata alla competenza del giudice di sorveglianza ed avente natura amministrativa, costituisce un'atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento carcerario, della quale è obbligatoria l'adozione in presenza delle condizioni fissate dalla legge” (così ex multis Cass. pen., Sez. I, sentenza 14 dicembre 2010 n. 45601, Turtulli, Rv. 249175);
tra tali condizioni non figura affatto la pericolosità sociale del detenuto [v. Cass. pen., Sez. I, sentenza 18 maggio 2004 n. 27743, Nefzi, Rv. 228727 (nella cui motivazione sta chiaramente scritto quanto segue: “la figura speciale di espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, di competenza del giudice di sorveglianza ai sensi dell'art. 16, commi 5 e 6, d. lgs. n. 286 del 1998 … presuppone tra le altre condizioni di applicabilità che lo straniero, identificato e detenuto, si trovi ‘in taluna delle situazioni indicate nell'art. 13 comma 2’;… nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza non ha preso in considerazione, ai fini dell'applicazione dell'espulsione come sanzione alternativa alla detenzione, alcuno dei dati fattuali puntualmente elencati nelle lettere a), b), c) del secondo comma dell'art. 13 sulla cd. espulsione amministrativa, ancorando invece il provvedimento reiettivo dell'opposizione dell'interessato al mero dato della gravità e dell'allarme sociale destato dai reati commessi, parametro questo affatto estraneo alle specifiche previsioni della norma citata”); nonché Cass. pen., Sez. I, sentenza 21 novembre 2013 n. 17736, P.G. in proc. Leka, Rv. 262263, nella cui motivazione sta scritto ancor più chiaramente: “la misura dell'espulsione - quale sanzione alternativa alla detenzione - così come descritta dal d. lgs. n. 286 del 1998, art. 16 comporta conseguenze almeno in parte sfavorevoli per il soggetto destinatario (pur ponendosi come alternativa alla prosecuzione della detenzione) cui viene coattivamente imposto l'allontanamento, peraltro non preceduto da una verifica in concreto della sua pericolosità sociale (a differenza di quanto previsto dal d. lgs. 286 del 1998, art. 15). Da ciò la considerazione, concordemente espressa nelle precedenti decisioni sul tema, della ‘atipicità’ della misura alternativa in questione, posto che la stessa, di natura sostanzialmente amministrativa, rappresenta più una misura tesa ad evitare il sovraffollamento penitenziario che uno strumento per attuare il percorso di risocializzazione”; negli stessi termini è pure la motivazione di Cass. pen., Sez. I, sentenza 16 settembre 2013 n. 42173, Fadhlaouni, Rv. 257169];
né agli effetti de quibus può ritenersi operante la “disposizione generale” dettata in materia di misure di sicurezza personale dall’art. 202, comma 1, c.p.p. (“Le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose, che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato”): e ciò per l’ovvia ragione che l’espulsione ex art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998 notoriamente e pacificamente non è una misura di sicurezza [v. Cass. pen., Sez. I, sentenza 9 maggio 2014 n. 33799, Nonaj Rv. 261467: “L'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato prevista dall'art. 16 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, essendo una misura sostitutiva della detenzione in carcere e non una misura di sicurezza, esula dall'accordo delle parti sull'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen.”; nello stesso senso v. pure Cass. pen., Sez. I, sentenza 21 dicembre 2004 n. 6451, Hadri, Rv. 231627; nonché Cass. pen., Sez. I, sentenza 9 ottobre 2002 n. 35626, Wajib, Rv. 222333, nella cui motivazione sta chiaramente scritto: “Invero l'espulsione dal territorio nazionale è stata disposta ai sensi dell'art. 15 citato, espressamente richiamato nel dispositivo, ed è quindi una misura di sicurezza, a differenza dell'espulsione amministrativa prevista dall'art. 13 e di quella avente natura di sanzione sostitutiva della detenzione, prevista dall'art. 16 del citato decreto legislativo”);
del resto, se la pericolosità sociale del detenuto costituisse veramente una condizione dell’espulsione ex art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998 (come postula erroneamente la sentenza qui censurata), essa (espulsione) non potrebbe essere ordinata nei confronti del detenuto ammesso alla fruizione di permessi-premio ex art. 30-ter O.P. (permessi che ai sensi del comma 1 dello stesso art. 30-ter possono essere concessi “ai condannati … che non risultano socialmente pericolosi”): ma tale affermazione si porrebbe in flagrante contraddizione con quanto (esattamente) affermato ancor recentemente dalla stessa Corte di Cassazione, postulando (correttamente) che l’espulsione de qua ha un’esclusiva funzione “deflattiva” della popolazione carceraria e, quindi, può essere applicata pure a soggetti da considerarsi non socialmente pericolosi perché ammessi ai permessi-premio (v. Cass. pen., Sez. I, sentenza 16 febbraio 2016 n. 44143, Ben Fraj Zouhair, Rv. 268290: “I benefici premiali del lavoro esterno e dei permessi premio, non comportando la fuoriuscita del condannato dal circuito carcerario, non sono di ostacolo all'assunzione, nei suoi confronti, del provvedimento di espulsione a norma dell'art. 16, comma quinto, d. lgs. 25 luglio 1998 n. 286, in quanto quest'ultima è una misura amministrativa atipica, finalizzata ad evitare il sovraffollamento penitenziario”);
ed ancòra, se la pericolosità sociale del detenuto costituisse veramente una condizione dell’espulsione ex art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998 (come postula erroneamente la sentenza qui censurata), sarebbe totalmente irragionevole la previsione dello stesso art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998 là dove non consente l’espulsione de qua proprio nei confronti di soggetti verosimilmente assai pericolosi perché condannati per reati di particolare allarme sociale: quelli previsti dall’art. 407, comma 2, lettera a), c.p.p.
Conclusivamente: Cass. pen., Sez. I, sentenza 30 ottobre 2019 n. 45973 deve essere senz’altro disattesa perché alla sua stregua i vincoli familiari del detenuto (diversi da quelli previsti dall’art. 19 d. lgs. 286/1998) dovrebbero essere presi in considerazione nell’ambito di un giudizio sulla pericolosità sociale del detenuto stesso (in una prospettiva di bilanciamento tra l’interesse generale alla sicurezza sociale e l’interesse del singolo al mantenimento delle relazioni familiari): giudizio che essa postula anche ai fini dell’espulsione ex art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998 e che, invece, è sicuramente inesistente sia in base al “diritto positivo” (risultante dai testi normativi) sia in base “al diritto vivente” (espresso dalla consolidata giurisprudenza in subiecta materia) sia in base alla logica interna dell’istituto in questione.
4. 1- Per quanto concerne la coerenza con l’art. 29 Cost. dell’irrilevanza agli effetti ex art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1999 dei vincoli familiari diversi da quelli previsti dall’art. 19 stesso d. lgs. 286/1990, infine, valgono mutatis mutandis le considerazioni svolte da Cass. pen., Sez. IV, sentenza 4 febbraio 2004 n. 26938, Hatta Abderrazzak, Rv. 228921, secondo cui: “La disposizione di cui all'art. 15 del d. lgs. n. 286 del 1998, concernente l’espulsione dello straniero condannato per uno dei reati previsti negli artt. 380 e 381 cod. proc. pen. non contrasta con l'art. 29 Costituzione (sotto il profilo della garanzia dell’unità), attesa la ‘ratio’ della norma che, a titolo di misura di sicurezza, esprima l'interesse giuridico dello Stato di far venir meno la presenza di un soggetto straniero (nella specie: condannato per traffico di stupefacenti) del quale sia rimasta accertata una particolare attitudine a delinquere” (in motivazione la Suprema Corte ha ulteriormente precisato quanto segue: “Non può non premettersi che l'art. 25 della Carta Costituzionale, dopo aver detto, nel secondo comma, che ‘nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso’, nel terzo comma prevede che ‘nessuno può essere sottoposto a misura di sicurezza se non nei casi previsti dal la legge’, norma che rappresenta la conferma più alta che le misura di sicurezza - e, quindi, la espulsione dello straniero possano essere previste dalla legge. L'ordinamento giuridico, dunque, si avvale, ragionevolmente, del diritto di disporre che lo straniero che commetta un reato sia o possa essere espulso dello Stato ed è noto, infatti, che, prima di essere stata prevista dall'art. 86 del DPR 309/1990. che ha recepito il contenuto dell'art. 81 della precedente legge sugli stupefacenti n. 685/1975; l'espulsione era - ed è - contemplata, come misura di sicurezza, dall'art. 235 c.p. ad è stata ribadita, sempre come misura di sicurezza, sia dalla L. 39/1990, sia, più recentemente, dal d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 - Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina della immigrazione e norme sulla condizione dello straniero -, il cui articolo 15 detta disposizioni, come preannuncia la rubrica, per l'espulsione a titolo di misura di sicurezza e per l'esecuzione dell’espulsione, prevedendo, nel comma 1^, che ‘fuori dei casi previsti dal codice penale, il giudice può ordinare l'espulsione dello straniero che sia condannato per taluno di delitti previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p., sempre che risulti socialmente pericoloso’.
E autorevole dottrina, commentando questa norma, ha rilevato che, ‘come si ritiene in relazione alla disposizione dell'art. 235 c.p., la ratio della misura si collega all'interesse politico e giuridico dello Stato a far venir meno la presenza di uno straniero che abbia rilevato, attraverso la commissione di un delitto di una certa gravità, una particolare attitudine a delinquere’. È senz'altro vero che l'espulsione incide, oggettivamente, negativamente sull'unità familiare. Sull'unità familiare, però, incide negativamente anche la privazione della libertà, ma non per questo l'ordinamento giuridico non è autorizzato a tutelare determinati, rilevanti, beni giuridici prevedendo la sanzione penale nel caso vengano lesi o posti in pericolo -, che, al pari della famiglia, hanno il loro riconoscimento nella Carta Costituzionale.
Se si riflette, poi, che la sanzione penale e la misura di sicurezza vengono applicate soltanto se precede la commissione del reato e che lo straniero ospitato nello Stato non può non sapere di doversi astenere dal violare determinate norme della legge penale, rischiando, altrimenti, di provocare anche la ragionevole reazione dell'espulsione, che mina o può minare l'unità familiare, deve convenirsi che questo eventuale effetto dell'espulsione non può non essere posto a carico di chi, con la propria condotta, ha determinato la prevedibile reazione dell'ordinamento giuridico. Dunque, nessuna lesione del principio di cui all'art. 29 Costit., così come nessuna lesione del principio di uguaglianza, riservando lo Stato l'espulsione a coloro che non rientrano nella nozione di ‘cittadino italiano’ e versano, per questo, in una situazione giuridica diversa rispetto a coloro che sono cittadini italiani”).
4. 2 - Questo Collegio non ignora neppure la recente pronuncia della Corte di cassazione, secondo cui “ai fini dell'applicazione dell'espulsione dello straniero quale sanzione alternativa alla detenzione, il giudice di sorveglianza non può limitarsi alla verifica della sussistenza di una delle condizioni impeditive di cui all'art. 19, d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ma deve operare, acquisendo, ove occorra, le necessarie informazioni, un giudizio di contemperamento tra le esigenze poste a fondamento del provvedimento e quelle di salvaguardia delle relazioni familiari, con particolare riguardo alle necessità di cura di figli minori conviventi, ancorché di nazionalità non italiana” (così Cass. pen. Sez. I, sentenza 7 novembre 2019 n. 48950, Merawarage, Rv. 277824).
Sennonchè:
tale decisione si fonda sulla ritenuta “natura amministrativa” dell’espulsione de qua, la quale pertanto sarebbe “soggetta alla medesime garanzie, in particolare, quelle previste dall’art. 13, comma 2-bis, del citato d. lgs., che accompagna l’omologa fattispecie espulsiva” di competenza prefettizia;
così facendo, nondimeno, la Suprema Corte ha omesso di considerare che “la natura amministrativa di tale espulsione non esclude che giurisdizionale sia l'autorità, magistrato di sorveglianza, cui è riservata la sua applicazione con decreto motivato, ai sensi del comma 6 (primo periodo) dell'art. 16 T.U. Imm., cit., e che giurisdizionale sia il procedimento di impugnazione dell'emesso decreto di espulsione da comunicare allo straniero, il quale può proporre opposizione entro il termine di dieci giorni dinanzi al tribunale di sorveglianza”; e che quindi “la natura amministrativa dell'atipica misura alternativa dell'espulsione prevista dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 16, commi 5 e 6, non postula la necessaria natura amministrativa anche del procedimento e provvedimento applicativo di essa” (così esplicitamente Cass. pen., Sez. I, sentenza 23 ottobre 2013 n. 48160, Saoudi, Rv. 257718, in motivazione);
del resto, se fosse esatto quanto postulato da Cass. pen. n. 48950/2019, natura amministrativa dovrebbe riconoscersi pure (ad esempio) all’ordine di demolizione di opere edilizie abusive adottato dal giudice penale: il che, invece, non sarebbe giuridicamente esatto [v. esemplificativamente Cass. pen., Sez. I, sentenza 3 ottobre 2019 n. 46612, Confl. comp. Tribunale S. M. C. Vetere c. Corte Appello Napoli, Rv. 277484 (redatta dallo stesso estensore di Cass. 48950/2019, cit.), nella cui motivazione sta scritto quanto segue: “occorre sottolineare che l'ordine di demolizione adottato dal giudice penale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa, ha natura di provvedimento giurisdizionale, sicché è soggetto all'esecuzione nelle forme previste dal codice di procedura penale, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva (Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, Monterisi, Rv. 205336; Sez. 3, n. 30679 del 20/12/2016, dep. 2017, Pintacorona, Rv. 270229)”];
ed ancora, se la natura “amministrativa” dell’espulsione de qua comportasse la sua “automatica” soggezione “alla medesime garanzie … che accompagna l’omologa fattispecie espulsiva” di competenza prefettizia, i divieti ex art. 19 d. lgs. 286/1998 dovrebbero operare rispetto ad essa in modo automatico e resterebbe, pertanto, privo di significato l’espresso richiamo di quei divieti contenuto nell’art. 16, comma 9.
Ad abundantiam si sottolinea pure l’irrilevanza del fatto che l’espulsione de qua viene eseguita dal “Questore … con le modalità dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica” (art. 16, comma 7, d. lgs. 286/1998) al pari di quanto previsto per l’espulsione amministrativa dall’art. 13, commi 4 e 4-bis, d. lgs. 286/1998. Con le stesse modalità, infatti, viene eseguita pure la misura di sicurezza dell’espulsione del cittadino extracomunitario ai sensi dell’art. 183-bis disp. att. c.p.p. (introdotto dall’art. 1, comma 4, l. 15 luglio 2009 n. 94, il cui comma 2 ha contestualmente abrogato l’analoga previsione dell’art. 235, comma 2 c.p.): la quale (espulsione quale misura di sicurezza) cionondimeno conserva la sua indiscussa natura di provvedimento giurisdizionale (cfr. in relazione all’espulsione ex art. 86, commi 1-2, d.p.r. 309/1990 Cass. pen., Sez. IV, sentenza 2 ottobre 2008 n. 42841, P.G. in proc. Jara Salazar, Rv. 241334).
Sempre ad abundantiam, infine, meritano di essere rimarcati i problemi teorici e pratici derivanti da una “automatica” applicazione all’espulsione in discorso (pure) degli artt. 13, comma 7, d. lgs. 286/1998 e 3, comma 3, d.p.r. 394/1999, che impongono a pena di nullità (v. ultimamente Cass. civ., Sez. VI, ordinanza 19 febbraio 2020 n. 4226, Rv. 657238) la traduzione del provvedimento prefettizio di espulsione in lingua nota al destinatario ovvero, ove ciò non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola.
Non si capisce, infatti, come potrebbe avvenire la traduzione del provvedimento di espulsione de quo, posto che:
non può trovare applicazione l’art. 143 c.p.p. sia perché la norma si riferisce ad atti “processuali” e non, invece, ad amministrativi; sia perché la norma stessa “prevede un elenco tassativo degli atti di cui l’autorità giudiziaria deve disporre la traduzione scritta” (così Cass. pen., Sez. V, sentenza 30 marzo 2017 n. 41961, Pan ed altro, Rv. 271422), tra i quali (atti), invece, non rientra il provvedimento di espulsione; sia perché la norma medesima conferisce il diritto alla traduzione soltanto all’imputato o all’indagato (cfr. Cass. pen., Sez. III, sentenza 23 novembre 2006 n. 370, Ilic, Rv. 235848: ragione per la quale è stato successivamente introdotto l’art. 143-bis, comma 4, c.p.p., che oggi riconosce il diritto all’assistenza linguistica pure alla persona offesa) e non anche, invece, al detenuto “definitivo” (e tale è il destinatario del provvedimento espulsivo in esame);
non può trovare applicazione neppure l’art. 143-bis, comma 1, c.p.p. perché (pur nella sua anodina formulazione) esso inequivocabilmente si riferisce ai documenti (introdotti nel procedimento e/o rilevanti per la decisione), che risultano scritti in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intellegibile (e non, invece, ai documenti scritti in lingua italiana: quale sicuramente è il decreto di espulsione emesso da un magistrato italiano);
quello del funzionario assistente linguistico, infine, non rientra tra i profili professionali del personale amministrativo attualmente in servizio presso gli uffici di sorveglianza.
Insistendo nella sua impostazione qui confutata, dunque, si confida che la Corte romana chiarisca ai giudici periferici come dovrebbero essi far tradurre gli emanandi provvedimenti di espulsione ex art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998.
4. 3 - Attesa la testè dimostrata natura giurisdizionale dell’espulsione ex art. 16, comma 5, d. lgs. 286/1998, ne deriva conclusivamente che:
non sono “automaticamente” applicabili ad essa le disposizioni sulla espulsione “prefettizia”, considerata (non solo la diversa natura, ma anche) la diversa finalità dei due istituti: finalità che per l’espulsione ex art. 16, comma 5, cit. è (come detto) quella di contrastare il sovraffollamento della popolazione carcerazione; mentre per l’espulsione “prefettizia” consiste nell’esigenza di impedire ingressi e soggiorni irregolari nel territorio dello Stato [lettera a) e lettera b) dell’art. 13, comma 2, cit.] e nell’esigenza di “allontanare” dal territorio dello Stato soggetti di spiccata pericolosità sociale [lettera c) dell’art. 13, comma 2, cit.];
l’applicazione all’espulsione “giurisdizionale” ex art. 16, comma 5, cit., delle disposizioni relative all’espulsione “amministrativa” ex art. 13 d. lgs. 286/1998, pertanto, va limitata a quelle (tra codeste disposizioni) espressamente richiamate;
tra tali disposizioni (espressamente richiamate) vi è quella ex art. 19 d. lgs. 286/1998 (v. art. 16, comma 9), ma non vi è invece quella prevista dall’art. 13, comma 2-bis, d. lgs. cit.
P.Q.M.
conferma l’impugnato provvedimento.
Torino, 27 maggio 2020
Il Presidente estensore
Dr. Giuseppe Vignera