Diritto Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20160 - pubb. 12/07/2018
Tar Lazio come le Sezioni Unite sul Regolamento UE eIDAS
T.A.R. Lazio, 25 Maggio 2018. Est. D'Alessandri.
Ricorso in via telematica – Mancata sottoscrizione – Conseguenze
Regolamento eIdas – Standard europei
La mancata sottoscrizione del ricorso in via telematica non comporta la nullità del ricorso ma costituisce una mera irregolarità sanabile ai fini di correntezza del processo ex art. 44 comma 2 c.p.a. Ciò sul presupposto della tassatività delle cause di nullità degli atti processuali, in conformità al principio dettato dall’art. 156, comma 1, c.p.c. e in considerazione della circostanza che il mancato uso delle forme digitali, fra cui la firma in forma telematica, non è stato contemplato espressamente da alcuna norma quale requisito a pena di nullità. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
(In motivazione, il Tar Lazio richiama la recente decisione delle Sezione Unite della Corte di Cassazione - 27 aprile 2018, n. 10266 - ed afferma quanto segue).
Al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell’U.E., sono stati adottati degli standard europei mediante il cd. regolamento eIDAS (Regolamento UE n° 910/2014) e la decisione esecutiva della Commissione europea 2015/1506 dell'8 settembre 2015. Ebbene, tali atti normativi comunitari impongono agli stati membri di riconoscere le firme digitali apposte secondo determinati standard tra i quali figurano sia il CAdES sia il PAdES. In sostanza, secondo il diritto dell'UE, le firme digitali di tipo CAdES, ovverosia CMS (Cryptographic Message Syntax) Advanced Electronic Signatures, oppure di tipo PAdES, ovverosia PDF (Portable Document Format) Advanced Electronic Signature, sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri, senza eccezione alcuna. In altri termini, al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell'UE, sono stati adottati degli standards Europei mediante il cd. regolamento eIDAS (electronic IDentification, Authentication and trust Services, ovverosia il Reg. UE, n. 910/2014, cit.) e la consequenziale decisione esecutiva (Comm. UE, 2015/1506), che impongono agli Stati membri di riconoscere le firme digitali apposte secondo determinati standards tra i quali figurano sia quello CAdES sia quello PAdES. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1293 del 2018, proposto da
3p Service S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocato Malatesta, domiciliata presso l’indirizzo PEC del difensore risultante dal Reginde, con domicilio fisico in Roma, via Eustacchio Manfredi 8;
contro
Ministero della Difesa non costituito in giudizio;
per l'ottemperanza del decreto ingiuntivo esecutivo n. 2203/10 (RG 74329/10) emesso in data 31.01.11 dal Tribunale di Roma;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2018 il dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Parte ricorrente otteneva il decreto ingiuntivo esecutivo n. 2203/10 (RG 74329/10) emesso in data 31.01.11 dal Tribunale di Roma, che ingiungeva al Ministero della Difesa di pagare alla parte ricorrente € 84.158,41, oltre interessi ex D.Lvo 231/02 e spese della procedura monitoria.
Stante il mancato pagamento, parte ricorrente ha proposto azione l’ottemperanza del decreto ingiuntivo in questione, nominando a tal fine se necessario un commissario ad acta che provveda al pagamento delle somme dovute, a cura e spese del Ministero inadempiente.
Il Ministero intimato non si è costituito in giudizio.
DIRITTO
1) In via preliminare il Collegio rileva d’ufficio che il ricorso inizialmente formato e depositato in formato digitale non risultava sottoscritto con firma digitale, anche se era stata depositata la notifica dell’atto effettuata all’amministrazione via PEC sottoscritto con firma digitale in formato CAdES (caratterizzata dall’estensione *pdf.p7m).
Ciò in difformità alle norme che disciplinano il processo amministrativo telematico ai sensi delle quali il ricorso deve essere sottoscritto con firma digitale e il formato di firma digitale da adoperare è il PAdES (caratterizzata dall’estensione *.pdf). Successivamente la parte ricorrente ha depositato il ricorso in formato nativo digitale sottoscritto con firma digitale PAdES.
Si pone, quindi, il triplice problema del verificare la validità del ricorso e della notifica, nonchè della regolarità del deposito.
Il Collegio, pur rilevando l’assenza della sottoscrizione digitale in formato PAdES al momento della notifica dell’atto e dell’iniziale deposito e che la copia notificata all’Avvocatura dello Stato ai fini dell’instaurazione del giudizio risulta sottoscritta con firma digitale CAdES, ritiene ammissibile il ricorso e non ravvisa alcuna necessità di procedere a una regolarizzazione, ancorchè l’amministrazione non si sia costituita in giudizio.
Al riguardo si evidenzia come il ricorso deve essere sottoscritto a pena di nullità ex art. 44, comma 1, lett. a) c.p.a. e in tal senso la necessità che il ricorso sia firmato attiene alla sua stessa genesi, in quanto la sottoscrizione deve essere presente al momento della notifica e del deposito dell’atto.
L’art. 136, comma 2 bis, c.p.a. e l’art. 9 del d.P.C.M. n. 40/2016 prevedono che la sottoscrizione del ricorso avvenga in via telematica mediante firma digitale.
Secondo il filone giurisprudenziale prevalente, iniziato con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 4 aprile 2017, n. 1541, la mancata sottoscrizione del ricorso in via telematica non comporta la nullità del ricorso ma costituisce una mera irregolarità sanabile ai fini di correntezza del processo ex art. 44 comma 2 c.p.a. (T.A.R. Reggio Calabria, ord. caut., 26 aprile 2017, n. 69; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 12 giugno 2017, n. 3201; T.A.R. Sardegna, sez. I, 12 settembre 2017, n. 580; Consiglio di Stato, sez. III, 11 settembre 2017, n. 4286). Ciò sul presupposto della tassatività delle cause di nullità degli atti processuali, in conformità al principio dettato dall’art. 156, comma 1, c.p.c. e in considerazione della circostanza che il mancato uso delle forme digitali, fra cui la firma in forma telematica, non è stato contemplato espressamente da alcuna norma quale requisito a pena di nullità.
Si deve sottolineare come, a leggere attentamente le pronuncia capostipite dell’orientamento citato, in questi casi, a differenza di quello in esame, esiste comunque una firma in modalità cartacea, in quanto il ricorso è stato sottoscritto in forma analogica e non digitale (come nel caso di ricorso depositato in forma cartacea). Quello che difetta è il solo carattere digitale della sottoscrizione, risultando il mancato rispetto della forma digitale dell’atto ma in presenza di una sottoscrizione analogica che consenta il rispetto dell’indicata previsione a pena di nullità della presenza della sottoscrizione di cui all’art. 44, comma 1, lett. a) c.p.a.. Secondo tale logica, in una ipotesi in cui il ricorso depositato priva di firma digitale e non “accompagnato” da un atto sottoscritto in cartaceo, è stato ritenuto necessario concedere l’errore scusabile (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 7 giugno 2017, n. 3065).
In sostanza, in questi casi l’affermazione della validità del ricorso, soggetto a regolarizzazione, viene basata sul presupposto che sia stata violata la sola forma digitale dell’atto, che non prevede alcuna sanzione espressa di nullità, ma non la norma sostanziale di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), c.p.a., che richiede la sottoscrizione al fine di attestare la sua provenienza del ricorso dal suo autore, a pena di nullità.
La sottoscrizione dell’atto, inoltre, deve essere apposta sin dal momento dell’instaurazione del processo, ovverosia al momento della notifica e conseguentemente del deposito.
Nel caso di specie, al momento dell’instaurazione del giudizio l’unica sottoscrizione era stata effettuata, ai fini della notifica, in formato CAdES e in tale formato depositata.
A parere del Collegio, al fine di considerare validamente apposta la firma sul ricorso è sufficiente la sottoscrizione digitale con formato CAdES, tra l’altro pienamente idonea ad assolvere la funzione di attestare la provenienza dell’atto in capo al suo autore.
La mancata conformità alle norme tecniche del PAT che prevede l’utilizzo del formato di firma digitale PAdES non impedisce la validità della sottoscrizione e può eventualmente rilevare ad altri fini (quale quello di rendere necessaria la regolarizzazione); né tantomeno può impedire la piena applicabilità della giurisprudenza succitata che riconosce a tali difformità consistenza di mere irregolarità sanabili, esulanti da profili di invalidità.
Non si vede, d’altra parte, come questa giurisprudenza possa essere applicata al caso di ricorso sottoscritto nel tradizionale formato cartaceo e non al caso di sottoscrizione digitale in formato CAdES. L’irregolarità del mancato utilizzo del formato PAdES riguarda, infatti, solo il momento del deposito dell’atto e non quello genetico della sottoscrizione.
Nel merito si evidenziano due profili, uno basato sulla specifica lettura delle regole tecniche del PAT, l’altra su più generali profili e sulla normativa di stampo comunitario.
Da un lato l’art. 6, commi 4 e 5, del D.P.C.M. n. 40 del 16.2.2016, si limita a prescrivere il formato di firma digitale PAdES per la sottoscrizione del modulo di deposito degli atti e non per gli atti stessi.
Dall’altro l’art. 12, comma 6, dell’Allegato A al D.P.C.M. n. 40 del 16.2.2016, ai sensi del quale “la struttura del documento con firma digitale è PAdES-BES”, può essere intesa come norma sul deposito dell’atto, che a questo fine deve soddisfare certe esigenze di formato, ma non quale norma volta a disciplinare la sottoscrizione dell’atto a livello genetico, né, ai fini di quanto diremo in seguito, per la sua notifica.
Stante, quindi, che il modulo di deposito deve essere sottoscritto in formato PAdES e che, comunque, ai fini della correntezza del processo è necessario il deposito dell’atto processuale in formato nativo digitale PAdES (eventualmente mediante regolarizzazione), non può dirsi che un atto sottoscritto in formato CAdES equivalga a un atto non sottoscritto.
In sostanza, la regolarizzazione dell’atto sottoscritto in CAdES, prevista dalla giurisprudenza richiamata, riguarda la fase del deposito dell’atto e non attiene all’aspetto della sottoscrizione vera e propria, né a quella della notifica.
Altro aspetto di carattere più generale che orienta l’interprete in questa direzione, riguarda la valenza della sottoscrizione in formato CAdES, e la sua sostanziale parificazione al formato PAdES, anche e soprattutto a livello di normativa comunitaria, sottolineata a più riprese dalla giurisprudenza amministrativa in occasioni di pronunce aventi ad oggetto la validità della notifica effettuata con firma digitale in formato CAdES (T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 4 aprile 2017, n. 1799; T.A.R. Abruzzo L’Aquila, Sez. I, 27 giugno 2017, n. 278; T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. II, 27 settembre 2017, n. 1174; T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez. I, 9 novembre 2017, n. 1704; Cons. Stato, Sez. III, 27 novembre 2017, n. 5504) e recentemente, sia pure nell’ambito del processo civile telematico, anche dalla giurisprudenza delle Sezione Unite della Corte di Cassazione (27 aprile 2018, n. 10266), secondo la quale per il diritto dell'UE e per le norme, anche tecniche, di diritto interno, le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni e devono, quindi essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile, senza eccezione alcuna.
Al riguardo, al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell’U.E., sono stati adottati degli standard europei mediante il cd. regolamento eIDAS (Regolamento UE n° 910/2014) e la decisione esecutiva della Commissione europea 2015/1506 dell'8 settembre 2015 (richiamati dal sito dell’Agenzia per l’Italia digitale, AgID, dal quale è anche possibile accedere alla procedura telematica di “validazione” delle firme medesime). Ebbene, tali atti normativi comunitari impongono agli stati membri di riconoscere le firme digitali apposte secondo determinati standard tra i quali figurano sia il CAdES sia il PAdES.
In sostanza, secondo il diritto dell'UE, le firme digitali di tipo CAdES, ovverosia CMS (Cryptographic Message Syntax) Advanced Electronic Signatures, oppure di tipo PAdES, ovverosia PDF (Portable Document Format) Advanced Electronic Signature, che qui interessano, sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri, senza eccezione alcuna. In altri termini, al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell'UE, sono stati adottati degli standards Europei mediante il cd. regolamento eIDAS (electronic IDentification, Authentication and trust Services, ovverosia il Reg. UE, n. 910/2014, cit.) e la consequenziale decisione esecutiva (Comm. UE, 2015/1506), che impongono agli Stati membri di riconoscere le firme digitali apposte secondo determinati standards tra i quali figurano sia quello CAdES sia quello PAdES (Cons. Stato, Sez. III, 27/11/2017, n. 5504).
Le norme tecniche che prescrivono il formato PAdES, di contro, sono di fonte regolamentare.
In sostanza, la citata giurisprudenza amministrativa prevalente ha affermato con riguardo alla sottoscrizione CAdES sul ricorso notificato che la stessa non può considerarsi una causa di inesistenza o un vizio di nullità della sottoscrizione ma, tutt'al più, un’irregolarità della notifica da considerarsi sanata, nel caso di costituzione degli enti intimati ai sensi dell’art. 44 co. 3 del c.p.a.
Infine, la firma digitale in formato CAdES non è certo estranea quale forma riconosciuta di sottoscrizione degli atti al nostro ordinamento processuale, essendo, anzi, il formato prescelto dal modello processuale – il processo civile e, segnatamente, il processo civile telematico - cui si ispira il processo amministrativo e a cui la disciplina di quest’ultimo rinvia (art.39 c.p.a.) (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, ord. 31 gennaio 2018, n. 673).
Il ricorso, pertanto, risultava validamente sottoscritto al momento della sua notifica ed è quindi valido, mentre per quanto riguarda la necessità del deposito di un atto in formato nativo digitale sottoscritto con firma digitale PAdES, non è necessaria, nel caso di specie, alcuna regolarizzazione, in quanto la parte ricorrente ha già successivamente depositato un atto in tale formato.
Allo stesso modo nel caso di specie non è necessaria alcuna regolarizzazione per la notifica del ricorso ancorché il Ministero intimato non si sia costituito.
Il Collegio richiama quanto indicato rispetto alla circostanza che le norme tecniche del PAT prevedono il formato CAdES per il deposito e non per la notifica del ricorso; la citata giurisprudenza amministrativa sulla sottoscrizione CAdES ai fini della notifica, così come le riportate considerazioni in ordine alla valenza della firma formato CAdES e alla sua sostanziale equivalenza con quella in formato PAdES, anche alla luce della normativa di matrice comunitaria. Indica, inoltre, come le norme tecniche del PAT inerenti alla notifica in via telematica si limitino a disciplinare il mezzo della notifica, ovverosia la PEC senza disporre in ordine al formato della sottoscrizione (art. 14 D.P.C.M. n. 40 del 16.2.2016 e art. dell’indicato Allegato A al D.P.C.M. n. 40 del 16.2.2016). Rileva, altresì, la piena fungibilità dei due formati di atto ai fini della perfezione della notifica anche con riferimento alla specifica fattispecie in esame. Al riguardo, infatti, non si può certo dire che la ricezione da parte dell’Avvocatura dello Stato della notifica in forma PEC di un atto sottoscritto in formato CAdES non sia sostanzialmente equivalente a un atto sottoscritto in formato PAdES, né che l’apertura del primo necessiti di specifici programmi non facilmente accessibili in forma gratuita e, anzi, già disponibili, in quanto il formato CAdES è peraltro quello d’elezione del processo civile telematico. In tale contesto la previsione di una regolarizzazione tramite una nuova notifica sarebbe del tutto ultronea e contraria al principio del raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156, comma 3, c.p.c., senz’altro applicabile anche al processo amministrativo, in quanto l’atto è stato portato, nella sua piena leggibilità, a conoscenza dell’intimato; così come sarebbe in difformità al principio, condiviso dalla giurisprudenza sia civile che amministrativa (Cass., Sez. Un., sent. n. 7665 del 18 aprile 2016; Cons. Stato, sent. n. 1541 del 4 aprile 2017), secondo cui il rilievo di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non è volto a tutelare l’interesse all’astratta regolarità del processo ma a garantire l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della rilevata violazione, in tutti i casi in cui tale pregiudizio non esiste, debba ritenersi conseguentemente esclusa la possibilità di sollevare eccezioni d’ufficio o comunque, pure su istanza di parte, dare rilievo a qualsivoglia eccezione (afferente o meno alle regole PAT) laddove l’atto, come nella specie, abbia raggiunto comunque il suo scopo.
Tale principio, volto a non considerare rilevanti le difformità da previsioni normative che non comportino effetti reali in termini di pregiudizio per le parti, deve applicarsi anche all’ipotesi di regolarizzazione che, comunque, comporta l’effettuazione di adempimenti a carico delle parti e, in ogni caso, l’effetto di dilatare i tempi processuali e va, quindi, disposta solo nell’ipotesi di effettiva necessità al fine di riparare a un vulnus del diritto di difesa della parte.
In sostanza, quindi, il ricorso sottoscritto, notificato e depositato in formato CAdES, anziché PAdES, è ammissibile e l’unica esigenza di regolarizzazione riguarda il deposito di un atto in nativo digitale sottoscritto in PAdES, ai fini della correntezza del processo, indipendentemente dalla circostanza se la parte intimata in giudizio si sia costituita. Nel caso di specie il ricorso notificato in formato CAdES è valido e il deposito di un atto nativo digitale sottoscritto in formato PAdES è già intervenuto.
2) Il ricorso si palesa fondato.
Sussistono difatti tutte le condizioni per l’accoglibilità del ricorso per ottemperanza in esame, in quanto il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, come attestato dalla dichiarazione di esecutività ex art. 647 c.p.c., e l’Amministrazione non risulta aver dato integrale esecuzione al titolo in oggetto.
Per quanto riguarda le spese successive al decreto ingiuntivo azionato, e come tali non liquidate nello stesso, il Collegio specifica che, in sede di giudizio di ottemperanza può riconoscersi l'obbligo di corresponsione alla parte ricorrente oltre che degli interessi sulle somme liquidate in giudicato, anche delle spese accessorie ma non di quelle relative ad atti di precetto e di infruttuose procedure di pignoramento presso terzi (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III Sent., 28/10/2009, n. 1798; T.A.R. Sardegna, 29/09/2003, n. 1094).
Infatti, nel giudizio di ottemperanza le ulteriori somme richieste in relazione a spese diritti ed onorari successivi al decreto ingiuntivo sono dovute solo in relazione alle spese necessarie ad ottenere la definitività del decreto (richiesta ed estrazione di copie, notificazione, apposizione della dichiarazione di definitività da parte della cancelleria), alla pubblicazione, all'esame ed alla notifica del medesimo, alle spese relative ad atti accessori, nonché le spese e i diritti di procuratore relativi all'atto di diffida, in quanto hanno titolo nello stesso provvedimento giudiziale; non sono dovute, invece, le non funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza quali quelle di precetto, che riguardano il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt. 474 ss., c.p.c., né quelle relative a procedure esecutive risultate non satisfattive, poiché, come indicato, l'uso di strumenti di esecuzione diversi dall'ottemperanza al giudicato è imputabile alla libera scelta del creditore (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 11 maggio 2010 , n. 699; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 22 dicembre 2009 , n. 1348; Tar Campania – Napoli n. 9145/05 ; T.A.R. Campania – Napoli n. 12998/03; C.d.S. sez. IV n. 2490/01; C.d.S. sez. IV n. 175/87).
Ciò in considerazione del fatto che il creditore della P.A. può scegliere liberamente di agire, o in sede di esecuzione civile, ovvero in sede di giudizio di ottemperanza, una volta scelta questa seconda via non può chiedere la corresponsione delle spese derivanti dalla eventuale notifica al debitore di uno o più atti di precetto (T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, 14.07.2009, n. 1268).
Le spese, i diritti e gli onorari di atti successivi alla sentenza sono quindi dovute solo per le voci suindicate ed, in quanto funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, vengono liquidate, in modo omnicomprensivo, nell’ambito delle spese di lite del presente giudizio come quantificate in dispositivo, fatte salve le eventuali spese di registrazione del titolo azionato il cui importo, qualora dovuto e versato, non può considerarsi ricompreso nella liquidazione omnicomprensiva delle suindicate spese di lite.
3) La presente domanda di esecuzione deve quindi essere accolta nei limiti e termini suesposti e deve essere dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione in epigrafe di dare esatta e integrale esecuzione al decreto ingiuntivo in questione, provvedendo al pagamento di quanto ancora dovuto, in favore del ricorrente, entro e non oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione – o notificazione, se anteriore - della presente sentenza, delle somme indicate nel decreto ingiuntivo stesso.
In caso di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina sin d’ora Commissario ad acta il Dirigente della Ragioneria Territoriale dello Stato di Roma, con facoltà di delega a funzionario dotato di adeguata competenza, che entro l’ulteriore termine di trenta giorni dalla comunicazione dell'inottemperanza (a cura di parte ricorrente) darà corso al pagamento, compiendo tutti gli atti necessari, comprese le eventuali modifiche di bilancio, a carico e spese dell’Amministrazione inadempiente.
4) Le spese per l’eventuale funzione commissariale andranno poste a carico dell’Amministrazione e vengono sin d’ora liquidate nella somma complessiva indicata in dispositivo.
Il commissario ad acta potrà esigere la suddetta somma all’esito dello svolgimento della funzione commissariale, sulla base di adeguata documentazione fornita all’ente debitore.
Le spese seguono la soccombenza, tenendo conto dei parametri stabiliti con il D.M. 10 marzo 2014 n. 55 e dal D.M. 20 luglio 2012, n. 140, con riferimento ai parametri dettati per le esecuzioni mobiliari, in relazione al valore della controversia (Cons. Stato, Sez. III 30.1.2015 n. 453) e vengono liquidate come da dispositivo.
A quest’ultimo riguardo il Collegio precisa che, come già indicato, tra le spese di lite liquidate in dispositivo per il presente giudizio di ottemperanza rientrano, in modo omnicomprensivo, le spese, i diritti e gli onorari relativi ad atti successivi al decreto ingiuntivo azionato e funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza, fatte salve le eventuali spese di registrazione del decreto azionato non ricomprese in detta quantificazione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) accoglie il ricorso indicato in epigrafe nei termini e limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, dichiara l’obbligo dell’intimata Amministrazione di dare esecuzione, in favore della parte ricorrente al decreto ingiuntivo in epigrafe nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione in forma amministrativa o dalla notifica della presente sentenza, nei termini indicati in parte motiva.
Per il caso di ulteriore inottemperanza, nomina Commissario ad acta il Dirigente della Ragioneria Territoriale dello Stato di Roma, con facoltà di delega a funzionario dotato di adeguata competenza, che provvederà ai sensi e nei termini di cui in motivazione al compimento degli atti necessari all’esecuzione del predetta sentenza.
Determina fin d’ora in euro 400,00 (quattrocento) il compenso, comprensivo di ogni onere e spesa, da corrispondere a tale Commissario ad acta per l’espletamento di detto incarico, qualora si dovesse rendere necessario lo svolgimento della funzione sostitutoria.
Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 500,00 (cinquecento), oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Concetta Anastasi, Presidente
Rosa Perna, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore