Crisi d'Impresa e Insolvenza
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14618 - pubb. 01/07/2010
.
Cassazione civile, sez. II, 03 Ottobre 1991, n. 10320. Est. Garofalo.
Esecuzione forzata - Vendita forzata - Effetti - Vizi della cosa - Immobile aggiudicato difforme o privo delle qualità indicate negli atti della procedura - Ignoranza della situazione reale da parte dell'aggiudicatario - Diritto di quest'ultimo a far valere la mancanza di qualità o la consegna di "aliud pro alio" secondo le regole comuni - Sussistenza - Limiti
Qualora l'immobile aggiudicato, in esito ad esecuzione per espropriazione forzata, risulti difforme o privo delle qualità indicate negli atti della procedura, senza che l'aggiudicatario sia a conoscenza della situazione reale, deve riconoscersi a questi il diritto di denunciare la mancanza di quelle qualità, ovvero la consegna di "aliud pro alio", secondo le regole comuni, tenuto conto che tali regole trovano deroga nella vendita forzata, inclusa quella promossa da istituto di credito in base alla disciplina sul credito fondiario, solo con riguardo alla garanzia per vizi, esclusa dall'art. 2922 primo comma cod.civ., e che, inoltre, non è onere dell'aggiudicatario medesimo di controllare l'esattezza delle menzionate indicazioni. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Raffaele PARISI Presidente
" Filippo ANGLANI Consigliere
" Antonio PATIERNO "
" Gaetano GAROFALO Rel. "
" Antonio VELLA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
RICCARDI LORENZO dom. in Roma, Via Poggio Moiano, 32; elett. dom. in Roma, P.le Clodio, 22 c-o l'Avv. Della Valle Giorgio che lo rapp. e difende per delega a margine del ricorso;
Ricorrente
contro
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO Sez. Autonoma Credito Fondiario con sede in Roma Via Cristoforo Colombo 283-A in persona del Presidente Nerio Neri; elett. dom. in Roma, Via Domenico Chelini, n. 4 c-o l'Avv. Cosenza Franco che la rapp; e difende per delega in calce al controricorso,
Controricorrente
per l'annullamento della sentenza della C.A. di Roma in data 26.2 - 1.7.86.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30.10.90 dal Consigliere Garofalo.
Sentito l'Avv. Della Valle difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento.
Sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. dr. P. Leo che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Lorenzo Riccardi, aggiudicatario, nella procedura di esecuzione forzata promossa dalla banca nazionale del lavoro contro il debitore Antonio Boserman, di un immobile descritto come villino edificato su terreno di circa mq. 2'880, corredato da piscina, constatò, dopo aver preso possesso del cespite, che la superficie reale del terreno era inferiore per circa mq. 343 a quella indicata negli atti e che la piscina non esisteva. Chiese quindi che il tribunale di Roma condannasse l'istituto bancario al puntuale adempimento dell'obbligazione assunta nei suoi confronti od, in mancanza, al pagamento della differenza di prezzo ed al risarcimento del danno.
La convenuta resistette. La domanda venne successivamente rigettata dall'adito tribunale.
2. - La corte di appello di Roma respinse, con sentenza del 1 luglio 1986, l'appello proposto dal soccombente, osservando, tra l'altro, che: a) in base all'art. 49 del r.d. 16.10.1905 n. 646 (t.u. delle leggi sul credito fondiario) la banca, contrariamente a quanto aveva sostenuto l'appellante, non era obbligata ad eseguire particolari accertamenti in ordine alla consistenza dell'immobile espropriando, essendo essa facultata ad attribuire al bene il valore che gli era stato riconosciuto al tempo della stipulazione del mutuo ovvero quello determinato sulla base dei criteri indicati nell'art. 558 c.p.c., con esclusione, di norma, della perizia; b) pur volendo ammettere, in thesi, una negligenza della banca al tempo della stipula del contratto di mutuo fondiario, per non aver eseguito accertamenti in ordine alla reale consistenza del bene da sottoporre ad ipoteca, ciò non avrebbe avuto alcuna incidenza in tempi successivi e nei confronti dell'aggiudicatario, in quanto il danno che questi assumeva di aver patito sarebbe stato comunque evitabile facendo uso di ordinaria diligenza (ex art. 1227 c.c.) in particolare ispezionando preventivamente l'immobile ed effettuando una visura catastale; c) inconferente doveva poi essere ritenuto il richiamo alle norme di tema di compravendita volontaria ed, in particolare, all'art. 1476 c.c., in quanto l'obbligo di consegna del bene compravenduto era stato nella specie osservato, avendo l'aggiudicatario conseguito il possesso del bene; ed, inoltre, trattandosi di vendita forzata non erano applicabili al caso in esame le norme in tema di vizi della cosa (stante il disposto, sul punto, dell'art. 2922 c.c.) e quelle altre in tema di garanzia per mancanza di qualità e di risoluzione per inadempimento.
3. - Ha proposto ricorso per cassazione il Riccardi, sulla base di cinque censure.
L'intimata ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1181, 1197, 1218, 1476, 1346, 1429 c.c., nonché insufficiente motivazione dell'impugnata sentenza, in relazione all'art. 360 c.p.c., deducendo che la corte di appello erroneamente e senza adeguata motivazione aveva ritenuto adempiuto l'obbligo di consegna di cui all'art. 1476 c.c., mentre nella specie vi era stata una consegna soltanto parziale (come tale invalida) dell'immobile in questione; considerate l'autonomia della piscina, quale pertinenza, rispetto alla restante parte dell'immobile, nonché la mancata consegna di ben 343 mq. di terreno, erroneamente la corte del merito aveva ritenuto che il bene, sì come consegnato, fosse privo di qualità promesse; invece nel caso in esame si era trattato non di vizi o di mancanza di qualità ma di inesistenza dell'oggetto - parziale quanto al terreno e totale quanto alla piscina - con conseguente nullità parziale della vendita, per fatto e colpa del creditore espropriante.
Con il secondo motivo il Riccardi denuncia motivazione illogica e contraddittoria su punti decisivi della causa, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1176, 1337, 2037, 1227, 2141 c.c, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., deducendo che la corte di appello non aveva considerato che l'omesso accertamento, da parte del creditore espropriante, della reale consistenza dell'immobile posto in vendita costituiva un comportamento negligente ed inescusabile, produttivo di danno per l'aggiudicatario; tanto più che la stessa corte di appello, in altra parte della sentenza, aveva ritenuto colpevole il comportamento dell'istituto espropriante, quando, in sede di concessione del mutuo fondiario, aveva appunto omesso di espletare i necessari accertamenti; la banca, per aver posto in vendita un bene parzialmente inesistente, era pertanto obbligata ex art. 2043 c.c., a risarcire il danno arrecato all'aggiudicatario inconsapevole, il quale ragionevolmente aveva fatto affidamento sulle affermazioni dell'espropriante, successivamente convalidate dai successivi atti della procedura espropriativa.
Con le altre censure il ricorrente ribadisce che per l'autorità che promanava dagli atti pubblici del processo, nei quali la consistenza dell'immobile era stata analiticamente indicata, egli non aveva alcun obbligo (giuridico o soltanto prudenziale) di effettuare ricerche per proprio conto, quali visure catastali od ispezioni (essendo peraltro queste ultime concretamente impossibili perché i luoghi erano rimasti recintati e privi di custode); il comportamento di esso Riccardi non avrebbe comunque potuto interrompere il nesso causale riferibile alla negligente condotta della banca, trovando esso la sua origine nell'avviso di vendita contenente indicazioni non conformi a verità (avviso precedente gli accertamenti che egli avrebbe potuto eseguire); la corte di appello, inoltre, anche di ufficio avrebbe dovuto riconoscere la ricorrenza di un indebito arricchimento in favore del creditore espropriante, consistente nel maggior prezzo messo a sua disposizione in fase di distribuzione del ricavato della vendita.
2. Il ricorso è fondato e va accolto per quanto di ragione. Inconferente, innanzitutto, si palesa il richiamo, da parte del giudice del merito, alla norma di cui all'art. 49 del r.d. 16 luglio 1905 n. 646 (t.u. delle leggi sul credito fondiario) rilevato che detta norma riguarda le modalità di determinazione del prezzo base dell'immobile posto in vendita ma non anche l'ipotesi che l'immobile stesso, trasferito in proprietà al terzo aggiudicatario, sia diverso qualitativamente o quantitativamente da quello sottoposto a pignoramento e poi messo in vendita.
Per altro aspetto osserva questa corte che la norma di cui all'art., 2922, comma 1 , c.c. (per la quale nella vendita forzata non ha luogo la garanzia per i vizi della cosa) non è applicabile nè estensivamente ne' tanto meno analogicamente ad altre situazioni di fatto e pertanto rimane ferma la responsabilità dell'espropriante nel caso di mancanza di qualità del bene posto all'incanto, allorquando la carenza abbia inciso in maniera determinante nella formazione del consenso dell'aggiudicatario, sì che, risolvendosi detta mancanza in un vizio della volontà necessaria per la validità del negozio, essa è idonea a determinare l'annullamento; in tema di espropriazione forzata la norma limitatrice di responsabilità è, in altri termini, solo quella che riguarda i vizi e gli eventuali difetti strutturali dell'immobile messo in vendita; mentre la mancanza di qualità ed, a maggior ragione, la vendita di aliud pro alio (ravvisabile nel caso in cui la cosa sia qualitativamente ed, in certi limiti, quantitativamente diversa da quella offerta in vendita) non si sottraggono alle regole generali vigenti per la vendita volontaria, che, in particolare, tutelano l'affidamento dell'acquirente e danno rilievo ai vizi della volontà dello stesso ed alla diversità sostanziale del bene consegnato (cfr. sentenze 3.12.1983 n. 7233; 24.3.1981 n. 1698; e, più in generale, 21.7.1969 n. 2724 e 23.3.1964 n. 655 di questa corte); peraltro, il principio dell'affidamento deve essere ritenuto pienamente legittimo ed operante allorquando l'immobile posto in vendita sia analiticamente ed uniformemente descritto negli atti della procedura espropriativa (alcuni di parte, altri del giudice della esecuzione) potendo l'acquirente, senz'uopo di ulteriori indagini (irrilevanti nell'ottica dell'art. 1227 c.c.) fare legittimo affidamento sul contenuto di tali atti, ben sapendo che per il sistema vigente, può essere venduto (soltanto) il bene esattamente indicato nell'atto di pignoramento e nell'ordinanza di vendita del giudice dell'esecuzione;
peraltro l'art. 1227 cit., concernente il concorso del fatto colposo del creditore, si limita a fare applicazione concreta alla colpa del danneggiato del più generale principio di causalità (postulando che il fatto del debitore sia la causa unica ed efficiente dell'evento dannoso e che il creditore, se non fosse rimasto inerte, avrebbe potuto scongiurare od attenuare le negative conseguenze patrimoniali a suo carico) ma non implica l'affermazione di un dovere primario o generale del danneggiato di ovviare alla colpevole attività del danneggiante, accollandosi attività straordinarie o particolarmente onerose o sostituendosi allo stesso responsabile con il compimento di attività demandate ex lege ad altri soggetti (nella specie l'attività di accertamento della consistenza del bene riguardava, secondo legge, il creditore pignorante e, successivamente, lo stesso ufficio esecutivo).
La Corte del merito non ha fatto applicazione al caso in esame dei suddetti principi, ne' come premesso, in presenza di una situazione di fatto che poteva far ritenere la nullità parziale del negozio di vendita, ha accertato se l'aggiudicatario, al tempo dell'incanto, conoscesse la reale situazione di fatto dell'immobile, sostanzialmente accettandola e liberamente determinandosi all'acquisto.
La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio ad altro giudice.
3. il giudice del rinvio, all'uopo designato in altra sezione della corte di appello di Roma, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, a norma dell'art. 385, ult. p., c.p.c.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della corte di appello di Roma. Così deciso in Roma, il 30 ottobre 1990.