Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6434 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 21 Novembre 1997, n. 11637. Est. Verucci.
Società - Di capitali - Società cooperative - Capitale sociale - Partecipazione dei soci - Esclusione del socio - In genere - Comunicazione degli addebiti - Mancata specificità - Irrilevanza - Condizioni.
La mancata specificità nella comunicazione al socio di una cooperativa degli addebiti che hanno generato il provvedimento di esclusione diviene irrilevante soltanto quando l'escluso dimostri di essere pienamente consapevole delle concrete situazioni addebitategli avendo fondato su di esse la propria difesa in sede di opposizione. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Alfredo ROCCHI - Presidente -
Dott. Vincenzo BALDASSARRE - Rel. Consigliere -
Dott. Giovanni OLLA - Consigliere -
Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO - Consigliere -
Dott. Giovanni VERUCCI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
CONFEZIONI FLY S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, presso l'avvocato GERARDO DI CIOMMO, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
DE BONIS DONATA;
- intimata.- avverso la sentenza della Corte d'Appello di POTENZA, depositata il 12/12/94 (n. 201/94);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'11/022/97 dal Relatore Consigliere Dott. Giovanni VERUCCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giovanni LO CASCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 22 aprile 1989, Donata De Bonis conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Potenza, la s.r.l. Cooperativa Confezioni Fly, proponendo opposizione avverso la delibera del 18 marzo 1989, comunicatale il 22 marzo, con la quale il consiglio di amministrazione della cooperativa l'aveva esclusa dalla compagine sociale, testualmente richiamandosi a "tutti i motivi contemplati nella lettera I" dell'art. 12 dello statuto. La De Bonis, sostenendo la nullità della delibera per riferimento generico ed incomprensibile alla normativa statutaria, senza possibilità di individuazione degli addebiti mossi nei suoi confronti, in tal modo non consentendole di esercitare efficacemente il diritto di opposizione, chiedeva che il Tribunale, ritenuta l'invalidità del provvedimento di esclusione, ordinasse l'immediata sua reintegrazione nella qualità di socio, con condanna della convenuta al risarcimento dei danni, di cui si riservava la quantificazione nel corso del giudizio.
Costituitasi, la soc. Cooperativa Fly deduceva, tra l'altro, l'infondatezza dell'opposizione, rilevando che il provvedimento impugnato, pur non contenendo una formale ed esplicita enunciazione degli addebiti, aveva comunque dato alla socia la possibilità di individuare le ragioni della sua espulsione, essendo stati richiamati gli estremi delle delibere del consiglio di amministrazione e dell'assemblea sociale dell'11 marzo 1989, in cui erano stati evidenziati sia un precedente carteggio tra la stessa De Bonis e la società, sia gli atti con i quali la socia aveva formulato accuse gravi ed infondate nei confronti della cooperativa. Il Tribunale adito, con sentenza del 25 maggio 1993, dichiarava la nullità del provvedimento di esclusione, rigettando la domanda di risarcimento dei danni.
Avverso tale sentenza la soc. coop. Fly proponeva impugnazione, resistita dalla De Bonis, che proponeva, a sua volta, appello incidentale in ordine al rigetto della domanda risarcitoria. La Corte d'Appello di Potenza, con sentenza del 12 dicembre 1994, rigettava l'impugnazione proposta dalla cooperativa e, in accoglimento dell'appello incidentale, condannava la stessa società al risarcimento dei danni in favore della De Bonis, nella misura di lire 1.000.000 mensili dal 22 marzo 1989 alla data di rientro nella compagine sociale.
Osservava la Corte, per quanto in questa sede rileva, che, in linea di principio, la deliberazione di esclusione del socio richiede chiarezza di motivazione, con precisa enunciazione dei fatti addebitati, a meno che non sussista la prova che il socio fosse già a conoscenza dei motivi dell'esclusione. Quanto ai requisiti ed al contenuto detta comunicazione della delibera, la Corte, richiamato adesivamente l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui della comunicazione deve ritenersi sufficientemente determinata quando, pur in difetto di una formale e rigorosa enunciazione degli addebiti, risulti in concreto idonea a consentire all'interessato di individuarli, osservava tuttavia che, nel caso di specie, non risultava alcun elemento, neppure indiziario, sulla pregressa conoscenza, da parte della De Bonis, delle ragioni che avevano indotto gli organi societari ad espellarla, ne' sull'integrale comunicazione dei verbali dell'assemblea (cui non aveva partecipato) e della riunione del consiglio di amministrazione; d'altro canto, dalla linea difensiva adottata dalla stessa De Bonis non poteva desumersi un implicito riconoscimento degli addebiti che, secondo la cooperativa, erano alla base del provvedimento di esclusione. In ordine all'appello incidentale proposto dalla De Bonis, la Corte territoriale osservava che i primi giudici avevano correttamente rigettato la domanda di risarcimento, non essendo stati tempestivamente indicati i danni ne' la relativa quantificazione:
tuttavia, in sede di gravame il pregiudizio era stato individuato con riferimento alla perdita del reddito spettante quale socia - lavoratrice di una cooperativa di produzione e lavoro, ossia nell'ingiusta privazione, a seguito dell'esclusione, del trattamento economico previsto dall'art. 16 dello statuto sociale, che richiama quanto stabilito dai contratti collettivi vigenti per per le categorie di lavoratori similari.
Secondo la Corte, tale allegazione, non incorrendo nel divieto posto dall'art. 345 c.p.c., era mera specificazione dei fatti concretamente rilevanti per il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni: inoltre, doveva ritenersi congrua, sotto il profilo d'una valutazione equitativa, la somma di lire 1.000.000 mensili, indicata dalla De Bonis e non contestata, come entità, dalla cooperativa, oltre ad essere corrispondente ai minimi salariali per operai dipendenti da aziende artigiane e industriali operanti nel settore della produzione e del commercio di capi di abbigliamento.
Ricorre per cassazione la soc. "Confezioni Fly" con due motivi. L'intimata De Bonis non si è costituita.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2527 c.c. e vizio di motivazione, la società ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia argomentato in ordine alla completezza del provvedimento di esclusione della De Bonis, mentre il contraddittorio si era incentrato sui requisiti formali della comunicazione: l'illegittimità del provvedimento è stata desunta dalla mera incompletezza della comunicazione stessa, senza tener conto che questa non richiede specifiche formalità, essendo sufficiente qualsiasi atto o fatto idoneo a portare a conoscenza dell'interessato il provvedimento, e che la De Bonis era stata messa in condizione di contrastarlo.
La censura è infondata.
Nella sentenza impugnata non è ravvisabile alcuna contraddittorietà, la Corte territoriale avendo correttamente stabilito ed inteso il rapporto tra la delibera di esclusione della De Bonis dalla compagine sociale ed il contenuto della relativa comunicazione. Rilevando, in via generale, l'esigenza di chiarezza e specificità della delibera di esclusione del socio, il giudice di merito, contrariamente all'assunto dell'odierna ricorrente, non ha disatteso il principio secondo cui sulla validità ed efficacia di detta delibera non incide l'eventuale incompletezza della sua comunicazione, purché il socio sia comunque in grado di proporre un'opposizione tempestiva e fondata su specifici motivi: si è, invece, espressamente richiamato a tale principio, ma ha enunciato le ragioni per le quali, nel caso di specie, la comunicazione del provvedimento alla De Bonis non le consentiva di individuare, neppure "per relationem", la natura degli addebiti che avevano portato alla sua esclusione dalla società.
Al riguardo, ha evidenziato come non vi fosse alcun elemento di prova, o soltanto indiziario, sulla pregressa conoscenza dei motivi che avevano portato all'esclusione della società, ne' sulla comunicazione dei verbali dell'assemblea (cui la De Bonis non aveva partecipato) e della riunione del consiglio di amministrazione, dai quali avrebbero dovuto desumersi tali motivi:
in altri termini e previa valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che, in mancanza di questi riscontri e di qualsiasi enunciazione del contenuto degli addebiti nella comunicazione, la De Bonis non fosse stata messa in condizione di proporre un'opposizione specifica, fondata sulla consapevolezza, comunque acquisita, delle ragioni poste a base del provvedimento di esclusione dalla compagine sociale.
Nella sentenza impugnata, quindi, non v'è confusione tra validità ed efficacia della delibera di esclusione e requisiti della comunicazione, ma puntuale applicazione del principio, già enunciato da questa Corte, secondo cui la mancata specificità, nella comunicazione al socio, dagli addebiti che hanno generato il provvedimento di esclusione, diviene irrilevante, solo quando l'escluso dimostri di essere pienamente consapevole delle concrete situazioni addebitategli, avendo centrato su di esse la sua difesa in sede di opposizione (tra le altre, cfr. Cass. 9577/93, 1448/93, 6298/87). Non è sufficiente, quindi, che sia adottata la forma statutariamente prevista per la comunicazione, occorrendo che questa consenta di svolgere un'opposizione adeguata in ordine sia all'esistenza della condotta addebitata, che agli effetti da essa derivati, in logica correlazione con il provvedimento di esclusione:
con la conseguenza che, in difetto, per un verso, dei requisiti minimi afferenti il contenuto della comunicazione e, per altro verso, di prova, sia pure indiretta (desunta, cioè, dalla linea difensiva seguita in sede di opposizione), che il socio fosse comunque a conoscenza degli addebiti mossigli, il provvedimento di esclusione non può produrre l'effetto voluto.
Con il secondo mezzo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 1226 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.:
secondo la ricorrente, il giudice di merito ha proceduto alla liquidazione equitativa del danno, senza che la De Bonis avesse fornito alcuna prova dell'esistenza e dell'ammontare di esso. Anche tale censura è priva di fondamento.
Premesso che l'esercizio in concreto del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa, nonché l'accertamento del relativo presupposto, costituito dall'impossibilità o rilevante difficoltà di precisare il danno nel suo esatto ammontare, non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità, quando la relativa decisione sia sorretta da motivazione immune da vizi logici o errori di diritto (SS.UU. 7067/92 e, più di recente, Cass. 7235/95), va rilevato che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che la prova sull'esistenza del danno subito dalla De Bonis emergesse direttamente dall'art. 16 dello statuto sociale, che, quanto al reddito spettante al socio-lavoratore della Cooperativa Confezioni Fly, richiama i minimi salariali previsti dai contratti collettivi per operai dipendenti da aziende operanti nel settore dell'abbigliamento. Una volta, infatti, che sia previsto statutariamente il diritto ad un determinato trattamento economico, non possono sussistere dubbi sul fatto che la privazione ingiusta (perché tale rivelatasi, a seguito dell'illegittimità dell'esclusione dalla compagine sociale) di detto trattamento configuri un danno concretamente risarcibile.
La sentenza impugnata si sottrae alla critica dell'odierna ricorrente anche sotto il profilo del ricorso al criterio equitativo per la liquidazione del danno, atteso che il giudice di merito, rilevando la sostanziale rispondenza dell'importo richiesto dalla De Bonis ai minimi salariali corrisposti a lavoratori del settore dell'abbigliamento, ha dato adeguata ragione del processo logico e valutativo mediante il quale è giunto, e con quale sufficiente approssimazione, a quantificare il danno medesimo, avendo avuto anche cura di osservare che l'entità della cifra non era stata oggetto di specifica contestazione da parte della Cooperativa. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Nessun provvedimento dev'essere adottato in ordine alle spese del presente giudizio, atteso che l'intimata non si è costituita. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 1997.