Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6396 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 14 Ottobre 1997, n. 10027. Est. Sotgiu.


Società - Di persone fisiche - Società in nome collettivo - Scioglimento - Liquidazione - In genere - Avvenuto scioglimento della società - Rappresentanza della stessa prima della nomina dei liquidatori - Amministratori in carica - Conservazione della rappresentanza - Fondamento.



Quando una società di persone sia stata sciolta, anche senza una dichiarazione formale, continuano a rappresentarla coloro che erano a ciò designati anteriormente allo scioglimento, come previsto, in via generale, dall'art. 2274 cod. civ.. Per quanto attiene, più in particolare, alle società in nome collettivo, gli amministratori che abbiano avuto conferita la rappresentanza della società, conservano tale rappresentanza, fino all'eventuale nomina dei liquidatori, poiché la società - sia essa di persone o di capitali - non rappresenta, dopo il suo scioglimento, nella fase di liquidazione, un ente diverso da quello originario. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Alfio FINOCCHIARO - Presidente -
Dott. Giovanni LOSAVIO - Consigliere -
Dott. Alessandro CRISCUOLO - Consigliere -
Dott. Ugo VITRONE - Consigliere -
Dott. Simonetta SOTGIU - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da.
FIGLI di GIOVANNI LOIACONO Snc, in persona dei soci nonché questi ultimi agiscono sia in proprio che nella qualità di socie e legali rappresentanti della stessa società, LOIACONO VITO, LOIACONO LEONARDO, elettivamente domiciliati in ROMA VIA CAIO CANULEIO 127 presso l'avvocato ALFONSO DELLARCIPRETE, che li rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrenti -
contro
MINISTERO DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis, - controricorrente -
contro
UFFICIO DISTRETTUALE DELLE IMPOSTE DIRETTE DI BARI, - intimato -
avverso la decisione n. 1536/95 della Commissione Tributaria Centrale, depositata il 13/4/95, udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/5/1997 dal Relatore Consigliere Dott. Simonetta SOTGIU, udito per il ricorrente, l'Avvocato Dellarciprete, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo GAMBARDELLA che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A carico della società in nome collettivo "Figli di Giovanni Loiacono" cessata nel 1981, fu nel 1984 effettuata rettifica in aumento dei redditi dichiarati per gli anni 1976, 1977 e 1978, basata sulla differenza fra le rimanenze dichiarate e quelle effettivamente riscontrate, differenze giustificate dalla società con i cali naturali di peso ed avarie delle merci.
I giudici tributari di merito hanno accolto la tesi della contribuente, mentre la Commissione Tributaria Centrale ha ritenuto legittima, per il solo anno 1976, la rettifica, giudicandola effettuata, pur in difetto di specifica indicazione nell'avviso di accertamento, à sensi dell'art. 39 2º comma lett. d), sul presupposto che rispetto alle differenze rimarcate fra rimanenze e indicazioni contabili, gli addotti cali ed avarie apparivano eccessivi rispetto ai valori medi naturali, e non provati. Per l'annullamento di tale decisione ha proposto ricorso la S.n.c. "Figli di Giovanni Loiacono" in persona dei soci, nonché questi ultimi in proprio e quali rappresentanti della società, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria.
L'Amministrazione delle Finanze resiste con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo di ricorso, adducendo la violazione degli artt. 39 e 42 D.P.R. n. 600 del 1973, 111 Cost. e difetto di motivazione, i ricorrenti censurano l'operato della Commissione Centrale, che, a fronte del generico richiamo contenuto nell'avviso di accertamento all'art. 39 D.P.R. n. 600/73, sarebbe andata oltre i limiti dei suoi poteri interpretativi e decisionali, ritenendo la fatti specie descritta nell'accertamento riconducibile all'ipotesi di cui al secondo comma, lett. d) dell'art. 39 cit. D.P.R. Infatti, la motivazione dell'avviso di accertamento delimita l'ambito delle ragioni dell'Ufficio e delle contestazioni dalle quali il contribuente deve difendersi.
Nella specie, non si comprenderebbe se l'Ufficio abbia inteso effettuare un accertamento analitico ex art. 39 1º comma D.P.R. n. 600/73, ovvero un accertamento induttivo, fondato su presunzioni, ex 2º comma della stessa norma.
Nè la Commissione, a fronte di due ipotesi di accertamento così diverse quanto a presupposti, strumenti d'indagine e difesa, poteva integrare le lacune dell'accertamento stesso, cui l'Ufficio avrebbe potuto ovviare soltanto rinnovando l'avviso.
Col secondo motivo di ricorso, adducendo la violazione degli artt. 26, 29, 35 e 39 del D.P.R. n. 636 del 1972, 30 del D.P.R. n. 600 del 1973, 112, 115, 132, 136 c.p.c., 2697 c.c., 111 Cost., nonché difetto di motivazione, la ricorrente censura la Commissione Centrale per non aver escluso, in presenza di una contabilità regolarmente tenuta e quindi suscettibile di accertamento analitico, la possibilità di ricorrere ad accertamento presuntivo (che rappresenta l'eccezione, quando la rettifica analitica non sia possibile per fatto del contribuente).
La Commissione Centrale non avrebbe inoltre tenuto conto della nutrita documentazione fornita, rispetto alla quale, nel negare la prova di cali e avarie, avrebbe tuttavia contraddittoriamente ammesso che tali elementi sussistevano (anche se indicati in eccesso rispetto ai valori medi), così in realtà omettendo di valutarli; del pari la Commissione Centrale non avrebbe considerato la sussistenza di palesi errori dell'ufficio, quali l'inclusione di fatture del 1975 nel conteggio del 1976.
Da ciò dovrebbe dedursi, secondo i ricorrenti, l'illegittimità del ricorso al metodo induttivo, non giustificato da gravi, numerose e ripetute omissioni.
Col terzo motivo di ricorso, infine, i ricorrenti adducendo la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonché difetto di motivazione, sottolineano che, indipendentemente dalla contestata legittimità ed esattezza dei metodi di indagine utilizzati dall'Ufficio, quest'ultimo era incorso in un errore di conteggio per L. 78 milioni, come da conteggio ritualmente prodotto e mai contestato dall'Ufficio, ma ignorato dalla decisione impugnata. Prima di esaminare i motivi di ricorso, occorre dare atto della eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente in ordine alla legittimazione processuale di una società pacificamente non più esistente.
L'eccezione non ha pregio. Infatti, quando una società di persone sia stata sciolta, anche senza una dichiarazione formale, continuano a rappresentarla coloro che erano a ciò designati anteriormente allo scioglimento, come previsto, in via generale, dall'art. 2274 c.c. (Cass. 3337/73); per quanto attiene, in particolare, le società in nome collettivo, gli amministratori che abbiano avuto conferita la rappresentanza dalla società, conservano tale rappresentanza, fino alla eventuale nomina dei liquidatori, poiché la società, sia essa di persone o di capitali, non rappresenta, dopo il suo scioglimento, nella fase di liquidazione, un ente diverso da quello originario, continuano ad esistere con una capacità soltanto più ristretta, comportante uno scopo diverso da quello per cui fu costituita, cioè quello di definire le posizioni debitorie e creditorie precedenti, liquidando i risultati della precedente gestione.
Respinta pertanto l'eccezione preliminare del controricorrente, e passando all'esame dei motivi di ricorso, non è fondato l'addebito di extrapetizione rivolto col primo di tali motivi, nei confronti della decisione impugnata, la quale, nel circoscrivere la contestazione contenuta nell'accertamento all'ipotesi di cui alla lettera d) del secondo comma dell'art. 39 D.P.R. n. 600/73, richiamato in via generale dall'Ufficio, ha svolto mera attività interpretativa della pretesa dell'Amministrazione, precisando il richiamo al citato art. 39, contenuto nell'atto di accertamento, mediante il riferimento ad elementi presenti negli atti di causa, e in particolare al processo verbale di constatazione e alla dichiarazione dei contribuenti.
Così operando, la Commissione Centrale si è mantenuta nell'ambito dei suoi poteri di qualificazione ed interpretazione del contenuto della controversia, poiché la domanda giudiziale deve essere interpretata dal giudice non soltanto nella sua formulazione letterale, ma anche e soprattutto nel suo sostanziale contenuto (Cass. 3143/93; 10272/95) e con riguardo alle finalità delle parti, il che implica valutazione anche di elementi impliciti nella domanda, in quanto ad essa connessi, col solo limite del divieto di rilevare fatti non dedotti dalle parti.
Infatti il giudice ha sempre il potere di qualificare giuridicamente i fatti dedotti in giudizio, essendogli soltanto vietato di deliberare oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni, e di attribuire beni non richiesti o diversi da quelli domandati (Cass. 1352/96). Il Primo motivo di ricorso deve essere dunque rigettato, mentre è parzialmente fondato, e può essere accolto per quanto di ragione il secondo motivo, col quale i ricorrenti hanno, per un verso, lamentato che, nel ritenere legittimo l'accertamento induttivo operato dall'Ufficio, la Commissione Centrale non abbia tenuto presente la documentazione prodotta a sostegno dei rilievi dei ricorrenti circa la regolare tenuta della contabilità; per altro verso, l'assenza dei presupposti per operare un accertamento basato su presunzioni, in presenza di contabilità regolare, segnalando infine l'inclusione nel conteggio del 1976, effettuato dai verbalizzanti, di fatture emesse nel 1975, relative ad acquisti precedenti al periodo oggetto di accertamento.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la censura e contraddetta dalla espressa valutazione operata dalla Commissione Centrale, che ha rilevato come gli elementi probatori forniti dai ricorrenti fossero di "limitato spessore", e quindi non idonei a contrastare l'entità delle differenze contabili sulle rimanenze evidenziate dall'Ufficio, anche con riferimento al sistema di calcolo dei valori medi, non convincentemente contestato dai ricorrenti. L'utilizzazione del metodo induttivo e delle presunzioni, appare peraltro ampiamente giustificata in presenza di incompletezza, falsità o inesattezze degli elementi indicati nella dichiarazione, sì da comportare una notevole alterazione delle risultanze in essa esposte.
La Commissione Centrale ha ritenuto legittime le presunzioni relative alle rimanenze accertate dall'Ufficio per il 1976, sul presupposto della eccessività delle perdite e dei cali denunciati dai contribuenti, fondando il proprio convincimento sulla documentazione esaminata, respingendo per gli anni successivi la tesi dell'Ufficio (che introduceva una presunzione "de praesumpto"), proprio perché non suffragata da analoghe risultanze. Nè è ammissibile la censura di difetto di motivazione della decisione impugnata, sollevata in proposito dai ricorrenti, in quanto non è denunciabile, à sensi dell'art. 111 Cost., un vizio di motivazione, che non si traduca in assenza della motivazione stessa (Cass. 11846/92; 9674/93). La totale assenza di motivazione è invece riscontrabile in relazione a quella parte della censura in esame, che si riferisce alla inclusione delle fatture del 1975 nel conteggio dell'esercizio sociale del 1976. Limitatamente a tale aspetto, dunque il secondo motivo di ricorso merita accoglimento, così come deve essere accolto, perché fondato, il terzo motivo, con cui si reitera la censura, ignorata dalla Commissione Centrale, relativa ad un errore materiale di computo delle rimanenze. Era infatti obbligo del giudice tributario di III grado occuparsi di tale rilievo che non si riferisce ad una questione di fatto relativa alla scelta di criteri di valutazione finalizzata ad estimazione semplice (Cass. 3315/95), ma all'esame di una questione di merito, cui si estende la competenza della Commissione Centrale, e che ben poteva essere rinviata, per il controllo del calcolo aritmetico, alla Commissione Tributaria di II grado (Cass. 5655/95). Non ha pregio, in proposito, la tesi del controricorrente secondo la quale la Commissione Centrale non avrebbe ignorato la questione, ma si sarebbe espressa comunque su di essa, avendo definito di "scarso spessore" le eccezioni dei contribuenti, e dovendosi tale apprezzamento ritenersi riferito non solo alle eccezioni, ma anche alle prove addotte a loro sostegno.
La Commissione Centrale si è infatti occupata soltanto delle prove relative alla differenza delle rimanenze, rispetto a quelle denunciate dai contribuenti per avarie e cali, mentre ha pretermesso ogni questione, da sempre denunciata, relativa agli evidenziati errori materiali.
Si impone pertanto sia in ordine al punto evidenziato del secondo motivo di ricorso, sia in ordine all'errore materiale denunciato col terzo motivo, la cassazione della decisione impugnata, con rinvio, per un nuovo esame in ordine alle censure accolte, alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, che deciderà anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M.
La corte accoglie per quanto di ragione il secondo motivo di ricorso e integralmente il terzo motivo.
Rigetta il primo motivo. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia.
Roma, 14 maggio 1997.