Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 27443 - pubb. 08/06/2022

Assicurazione: differenze tra 'mala gestio' nei confronti del danneggiato e 'mala gestio' nei confronti dell’assicurato

Cassazione civile, sez. III, 07 Aprile 2022, n. 11319. Pres. Travaglino. Est. Spaziani.


“Mala gestio” dell’assicuratore - Differenze tra “mala gestio” nei confronti del danneggiato e “mala gestio” nei confronti dell’assicurato - Conseguenze - Differenze in ordine al contenuto della domanda introduttiva del giudizio - Domanda di manleva dell’assicurato per importi eccedenti il massimale - Formulazione espressa - Necessità



La responsabilità per "mala gestio" dell'assicuratore c.d. impropria - che deriva dal ritardo nell'adempimento dell'obbligazione di pagamento diretto verso il danneggiato - ha come conseguenza l'obbligo di corrispondere gli interessi ed eventualmente il maggior danno ex art. 1224, comma 2 c.c., anche in eccedenza rispetto al massimale; la responsabilità per "mala gestio" c.d. propria - derivante dal ritardo nell'adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti dell'assicurato per violazione dell'obbligo dell'assicuratore di comportarsi secondo correttezza nell'esecuzione del contratto ex artt. 1175 e 1375 c.c., comporta il diritto dell'assicurato al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi oltre il massimale di polizza, ma l'ammissibilità di tale pretesa, avente specifici "petitum" e "causa petendi", postula la proposizione di una specifica domanda, con allegazione dei comportamenti che sostanziano la "mala gestio", sin dall'atto introduttivo del giudizio e non può ritenersi contenuta nella domanda di garanzia, avente diverso "petitum" e "causa petendi". (massima ufficiale)


 


 Fatti

Nel (*), g.d., ricoverata presso la (*) per "travaglio da parto", morì alcuni giorni dopo aver partorito a causa di insufficienza respiratoria da "pneumonite interstiziale". A.A., medico curante, tratto a giudizio per omicidio colposo, fu condannato definitivamente in sede penale nel 1997.

Nel 2000, G.P., Ge.Do., G.A., G.A.M., G.D., C.S. e C.J., rispettivamente fratelli, coniuge e figlia della deceduta, lo convennero, unitamente alla Casa di cura, dinanzi al tribunale di Catania per ottenerne la condanna anche in sede civile risarcitoria.

Il convenuto resiste alla domanda e propose domanda di garanzia condizionata all'eventuale soccombenza nei confronti della (*) s.p.a., successivamente (*) s.p.a., oggi (*) s.p.a., chiedendo che, ove fosse stata accertata la sua responsabilità, la compagnia assicurativa fosse condannata a corrispondere agli attori le somme da lui dovute in forza della polizza con essa intercorrente.

Nel 2004, il tribunale rigettò la domanda risarcitoria con assorbimento di quella di garanzia.

Nel 2011, La Corte di appello di Catania - adita con impugnazione principale da G.P., Ge.Do., G.A., G.A.M. e C.S., nonché con impugnazione incidentale da G.G., G.G.M. e S.A., eredi di G.D., deceduto nelle more - previa declaratoria di inammissibilità di quest'ultima impugnazione, accolse, invece, la prima, condannando i convenuti, in solido tra loro, a pagare agli altri germani della deceduta g.d. la somma di Euro 25.822,00 ciascuno, oltre accessori, e al coniuge la somma di Euro 75.000,00, oltre accessori.

La Corte di merito omise però di provvedere sulla domanda di garanzia, ritenendo che essa fosse stata tardivamente riproposta solo in memoria di replica, e tale omissione fu rilevata dalla Corte di cassazione, la quale, con sentenza n. 5588 del 2015, in parziale accoglimento del ricorso proposto da A.A., cassò in relazione la sentenza di appello, sul rilievo che la domanda di garanzia era stata invece debitamente riformulata nella comparsa di risposta, e rinviò alla stessa Corte territoriale, in diversa composizione, per nuovo giudizio sul punto.

Con sentenza del 13 dicembre 2018, la Corte di appello premesso che "dopo il deposito della sentenza di Cassazione la compagnia si è attivata, adempiendo alla propria obbligazione contrattuale" (p. 4 sentenza cit.) - ha dichiarato inammissibile la domanda di pagamento ultra massimale proposta da A.A. nei confronti della (*) s.p.a., ponendo in capo a quest'ultima le spese del giudizio di cassazione e in capo al ricorrente quelle del giudizio di rinvio.

Avverso questa sentenza A.A. propone nuovo ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Rispondono con controricorso la (*) s.p.a., nonché C.S. e G.A.M.. Gli altri intimati non svolgono attività difensiva.

Il ricorrente ha depositato memoria per l'udienza.

 

Motivi

1. Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 112,392 e 384 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4), il ricorrente denuncia l'omessa pronuncia della Corte territoriale sulla domanda di garanzia da lui proposta nei confronti della (*) s.p.a.; deduce che questo vizio era stato rilevato in sede di cassazione della sentenza di appello del 2011 e che, sebbene il giudizio di rinvio fosse stato disposto proprio per rimediare a tale omissione, la Corte territoriale sarebbe nuovamente incorsa nel medesimo errore, con conseguente violazione, oltre che dell'art. 112 c.p.c., anche degli artt. 384 e 392 c.p.c., non essendosi uniformata alle statuizioni contenute nella sentenza n. 5588 del 2015 di questa Corte di legittimità.

 

1.1. Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, adita in sede di rinvio, dopo aver dato atto della riproposizione della domanda di garanzia (formulata come domanda di condanna a rivalere l'assicurato di quanto pagato ai danneggiati), nonché della proposizione dell'ulteriore domanda risarcitoria per mala gestio "propria" (formulata come domanda di condanna al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, oltre il limite del massimale), ha evidenziato che, dopo il deposito della sentenza della Corte di cassazione, la compagnia assicurativa si era attivata, adempiendo alla propria obbligazione di garanzia, ed ha statuito espressamente solo sulla seconda domanda, dichiarandola inammissibile.

La Corte di appello, pertanto, non ha omesso di delibare la domanda di garanzia, della cui riproposizione ha dato debitamente conto, ma, richiamando la circostanza dell'avvenuto adempimento dell'obbligazione scaturente dalla polizza, ha ritenuto estinta la relativa obbligazione, pervenendo, correttamente, ad una pronuncia di rigetto implicito.

Corrisponde, del resto, ad un principio affermato da questa Corte con orientamento consolidato - cui deve darsi ulteriore continuità - il rilievo che, per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, deve ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto della domanda o della eccezione formulata dalla parte quando l'accoglimento della pretesa non espressamente esaminata risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia, anche se manchi, al riguardo, una specifica argomentazione (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718; Cass. 4 giugno 2019, n. 15255; Cass. 29 gennaio 2021, n. 2151).

Nel caso di specie, dopo essersi dato atto dell'avvenuta estinzione dell'obbligazione di garanzia già prima dell'introduzione del giudizio di rinvio, la necessità di una statuizione esplicita residuava solo per l'ulteriore domanda formulata con l'atto di riassunzione, consistente nella domanda risarcitoria per mala gestio.

Il motivo in esame va pertanto rigettato, dovendosi escludere sia la dedotta omessa pronuncia sia la violazione dell'obbligo di uniformarsi alle prescrizioni contenute nella sentenza n. 5588 del 2015 di questa Corte.

 

2. Con il secondo motivo (violazione degli artt. 1175,1176,1218,1224,1375 e 1917 c.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3), il ricorrente critica la sentenza di appello nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la sua domanda di essere tenuto indenne dalla compagnia assicurativa oltre i limiti del massimale di polizza.

Deduce che questo massimale, già incapiente al tempo dell'illecito, era divenuto del tutto insufficiente al tempo della condanna, per effetto della cattiva gestione del sinistro (mala gestio) da parte della società assicuratrice, nonché del colpevole ritardo con cui essa aveva proceduto al pagamento delle somme dovute ai danneggiati.

Osserva che la (*) s.p.a., dopo essersi in un primo momento detta disposta a mettere a disposizione il massimale di polizza (pari a Lire 150.000.000), in seguito all'esito favorevole del giudizio di primo grado aveva revocato tale disponibilità, omettendo di corrispondere l'indennizzo sebbene la responsabilità dell'assicurato e l'ammontare del danno fossero determinabili alla stregua dell'ordinaria diligenza e del principio di buona fede, con ciò causando un allungamento dei tempi, imputabile al suo inadempimento, che aveva comportato il deprezzamento della somma prevista dalla polizza e l'aggravamento degli oneri dell'assicurato.

Sostiene che, pertanto, doveva ritenersi senz'altro configurabile la dedotta responsabilità dell'assicuratore per mala gestio, con conseguente diritto, da parte sua, di essere tenuto indenne oltre i limiti del massimale.

Evidenzia, infine, che la domanda di essere tenuto indenne dall'assicuratore oltre i limiti del massimale, specificamente formulata nell'atto introduttivo del giudizio di rinvio, oltre che fondata, doveva ritenersi anche ammissibile, non integrando domanda nuova rispetto a quella già proposta con la chiamata in garanzia nel giudizio di primo grado.

 

2.2. Anche questo motivo è infondato.

Al riguardo va premesso che, secondo una classificazione ormai risalente nella giurisprudenza di questa Corte, si distinguono due diverse ipotesi di responsabilità dell'assicuratore per c.d. mala gestio: la prima (c.d. mala gestio "impropria") è quella derivante dal ritardo nell'adempimento dell'obbligazione di pagamento diretto verso il danneggiato, la quale ha per effetto l'obbligo di corrispondere gli interessi ed, eventualmente, il maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, anche in eccedenza rispetto al massimale; la seconda (c.d. mala gestio "propria") è quella derivante dal ritardo nell'adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti dell'assicurato (cfr. già Cass. 8 luglio 2003, n. 10725; Cass. 4 febbraio 2005, n. 2276; Cass. 9 febbraio 2005, n. 2653).

Questa seconda ipotesi di responsabilità, corrispondente a quella invocata nella vicenda in esame, trova fondamento nella violazione dell'obbligo dell'assicuratore di comportarsi secondo correttezza nell'esecuzione del contratto, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., ed è configurabile non solo nel caso in cui l'assicuratore, senza un apprezzabile motivo, rifiuti di gestire la lite o se ne disinteressi in modo da recare pregiudizio all'assicurato o ancora la gestisca in maniera impropria, ma altresì in tutti i casi in cui sia comunque ravvisabile un colpevole ritardo dell'assicuratore nella corresponsione dell'indennizzo al danneggiato, ritardo dal quale sia derivato all'assicurato un danno (Cass. 28 giugno 2010, n. 15397; Cass. 11 luglio 2014, n. 15917; Cass. 17 febbraio 2016, n. 3014).

Il danneggiante-assicurato può pretendere il ristoro di questo danno (costituito dal maggior onere economico rispetto a quanto coperto dal massimale assicurativo) chiedendo la condanna dell'assicuratore al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi oltre il massimale di polizza, ma l'ammissibilità di tale pretesa, avente specifici petitum e causa petendi (la responsabilità contrattuale dell'assicuratore per violazione del dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto) postula la proposizione, da parte sua, di una specifica domanda, con allegazione dei comportamenti che sostanziano la mala gestio, sin dall'atto introduttivo del giudizio (o comunque in seguito alla manifestazione dell'inadempimento dell'assicuratore nella forma del colpevole ritardo) e non può ritenersi contenuta nella domanda di garanzia, avente diversi petitum e causa petendi (Cass. 31 luglio 2006, n. 17460; Cass. 28 giugno 2010, n. 15397; Cass. 27 gennaio 2014, n. 1606; Cass. 11 luglio 2014, n. 15917).

Nel caso di specie, la Corte di merito non ha delibato nel merito la domanda intesa a far valere la responsabilità dell'assicuratore per mala gestio, ma si è limitata ad una declaratoria di inammissibilità, sul rilievo che la richiesta del ricorrente di essere tenuto indenne dalla società assicurativa oltre i limiti del massimale di polizza era stata proposta per la prima volta nel giudizio di rinvio.

Il rilievo trova conferma dal confronto tra le conclusioni formulate dal ricorrente nella comparsa di risposta depositata nel precedente giudizio di appello e quelle contenute nell'atto di citazione introduttivo del giudizio di rinvio, per come trascritte nel ricorso per cassazione, in ossequio al canone dell'autosufficienza. Da tale confronto emerge, infatti, che solo nel giudizio di rinvio il ricorrente aveva proposto la domanda di essere tenuto indenne "oltre i limiti del massimale" (p. 8 del ricorso per cassazione), mentre nelle conclusioni rese nella comparsa di risposta depositata nel precedente giudizio di appello si era limitato ad invocare il pagamento delle somme eventualmente dovute ai danneggiati, con interessi e rivalutazione monetaria sino al soddisfo, "in forza della polizza n. (*)" (p. 7 ricorso cit.).

La statuizione di inammissibilità della domanda di pagamento ultra massimale, emessa dalla Corte territoriale, si mostra, pertanto, perfettamente conforme a diritto, in quanto rispettosa del principio ripetutamente affermato da questa Corte in ordine alla necessità che la domanda diretta a far valere la responsabilità dell'assicuratore per mala gestio "propria" sia tempestivamente e specificamente formulata sin dall'atto introduttivo del giudizio.

Anche il secondo motivo di ricorso va, pertanto, rigettato.

 

3. Con il terzo motivo (violazione degli art. 91 e 92 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3), A.A. censura il capo della sentenza di merito contenente la regolazione delle spese del giudizio.

Deduce che, dovendo essere accolta la sua domanda di garanzia, sulla quale era stata indebitamente omessa la pronuncia nel precedente giudizio di appello, tanto le spese di tale giudizio quanto quelle del giudizio di rinvio avrebbero dovuto essere poste a carico della (*) s.p.a., quale parte soccombente.

Concede che, al limite, la declaratoria di inammissibilità della sola domanda di pagamento ultra massimale, comportando la soccombenza reciproca, avrebbe potuto autorizzare una statuizione di compensazione, totale o parziale, delle spese del solo giudizio di rinvio.

Esclude, tuttavia, che la Corte territoriale avrebbe potuto spingersi a condannarlo al pagamento delle spese del giudizio di rinvio e del precedente giudizio di appello, non potendo emettersi una simile pronuncia in confronto della parte vittoriosa.

 

3.3. Anche questo motivo è infondato.

Premesso che le spese del giudizio di appello erano state oggetto di compensazione e che tale pronuncia non è stata riformata in sede di rinvio, il regolamento delle spese del giudizio di cassazione e di quelle del giudizio di rinvio, operato dalla Corte di merito, si mostra perfettamente conforme a diritto, avendo essa fatto corretta applicazione dei principi della soccombenza e della causalità.

Dopo avere ottenuto il parziale accoglimento del ricorso per cassazione, infatti, A.A. ha dato causa al successivo giudizio di rinvio non ostante il sopravvenuto adempimento dell'obbligazione di garanzia ed è rimasto del tutto soccombente all'esito di tale giudizio, in cui è stata implicitamente rigettata la domanda di garanzia (in ragione dell'avvenuta estinzione della relativa obbligazione prima dell'introduzione del giudizio) ed è stata dichiarata inammissibile la domanda risarcitoria per mala gestio della compagnia assicurativa.

 

4. In definitiva, il ricorso proposto da A.A. deve essere rigettato.

 

5. In applicazione dell'art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo antecedente alle modifiche apportate con la L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, applicabile alla fattispecie in esame in ragione dell'epoca di inizio del procedimento (25 luglio 2000), sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese del presente giudizio di legittimità sia in relazione al rapporto processuale intercorrente tra la (*) s.p.a. e A.A. sia in relazione al rapporto processuale intercorrente tra quest'ultimo, G.A.M. e C.S..

 

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dallaL. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 9 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2022.