Crisi d'Impresa e Insolvenza


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 26890 - pubb. 11/01/2021

Crediti del professionista per rivalsa IVA e per rimborso del contributo integrativo da versarsi alla Cassa di previdenza avvocati e procuratori

Cassazione civile, sez. I, 26 Marzo 1992, n. 3715. Pres. Favara. Est. Borrè.


Fallimento - Passività fallimentari (accertamento del passivo) - Ammissione al passivo - Crediti del professionista per rivalsa IVA e per rimborso del contributo integrativo da versarsi alla Cassa di previdenza avvocati e procuratori - Collocazione come crediti per prestazioni professionali - Esclusione



Ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare, i crediti del professionista per rivalsa I.V.A. e per il rimborso del contributo integrativo da versarsi alla Cassa di previdenza avvocati e procuratori (sugli affari soggetti ad I.V.A.) hanno una collocazione diversa da quella spettante al credito per le corrispettive prestazioni professionali, atteso che i primi due crediti non costituiscono semplici accessori di quest'ultimo, ma conservano rispetto ad esso una loro distinta individualità, che è confermata dalla diversa disciplina dei privilegi che li assistono. (massima ufficiale)


Massimario Ragionato



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I

 

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Francesco FAVARA Presidente

" Alfredo ROCCHI Consigliere

" Giuseppe BORRÈ Rel. "

" M. Gabriella LUCCIOLI "

" Giulio GRAZIADEI "

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

FRANCESCON AVV. VITTORINO, di Treviso, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Sansovino n. 6, presso l'avv. Ettore Mario Verino, difeso da se medesimo.

Ricorrente

contro

FALLIMENTO "OFFICINE FRANCHIN S.P.A.", in persona del curatore Renato Zorzi.

Intimato

Avverso il provvedimento del Tribunale di Treviso del 24.6.88. Udita la relazione della causa svoltasi nella Pubblica Udienza del 07.03.91 dal Cons. Rel. Dott. Borrè.

Udito l'avv. Francescon.

Udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Domenico Iannelli che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel fallimento delle Officine Franchin s.p.a., dichiarato dal Tribunale di Treviso, l'avv. Vittorino Francescon fu ammesso al passivo per crediti professionali verso tale società. Prevedendo il primo progetto di riparto il pagamento integrale dei soli crediti assistiti dal privilegio di cui agli artt. 2751 bis e 2777 c.c., il Francescon presentò osservazioni, chiedendo che fosse disposto il pagamento anche della rivalsa i.v.a. e c.p.a. (cassa previdenza avvocati) relativamente ai crediti professionali predetti. Il giudice delegato rigettò l'istanza.

Con provvedimento del 24 giugno 1988 il Tribunale, in sede di reclamo, confermò la decisione sfavorevole al professionista, osservando che gli accennati crediti di rivalsa non erano ancora azionabili, per non essere stata emessa la fattura dall'avv. Francescon, e che comunque essi dovevano previamente essere insinuati al passivo, anche se fosse stata loro riconoscibile (e non lo era) la qualità di crediti da soddisfarsi in prededuzione.

Contro tale provvedimento l'avv. Francescon ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi illustrati con memoria. Il curatore del fallimento non si è costituito.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 111 n. 1 legge fall. e falsa applicazione dell'art. 93 stessa legge, in rapporto agli artt. 6 e 18 d.P.R. 633-1972 e 2751 bis n. 2 c.c., osservando che dalle richiamate disposizioni tributarie emerge che le prestazioni di servizi "si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo" e che la fattura, emessa in tale momento, "deve addebitare la relativa imposta a titolo di rivalsa al committente". Ciò implica, secondo il ricorrente, che, agli effetti i.v.a., il momento impositivo coincide e trova causa nel pagamento del corrispettivo, talché la fattura deve obbligatoriamente comprendere sia questo che l'imposta. Conseguentemente non sarebbe necessaria l'ammissione al passivo del credito di rivalsa, perché il pagamento di esso è imposto all'atto del versamento del corrispettivo e ne costituisce un accessorio, configurabile come una spesa inerente al pagamento del credito professionale. Aggiunge il ricorrente che tale interpretazione, agganciando il credito in questione al privilegio di cui all'art. 2751 bis n. 2 c.c., supera l'aporia per la quale, essendo previsti gradi diversi di privilegio per il compenso del professionista e per il credito di rivalsa i.v.a. (v., per quest'ultimo, gli artt. 2758 secondo comma e 2778 n. 7 c.c.), non è garantito a tale soggetto il recupero dell'imposta, sebbene egli, ricevendo il pagamento del suo credito, sia obbligato a corrisponderla.

Il motivo è infondato.

Nucleo centrale della tesi del ricorrente è, infatti, una forte concezione di accessorietà del credito di rivalsa i.v.a. rispetto a quello per corrispettivo, nel senso (come si legge nel ricorso) che "la corrispondenza cronologica fra le due obbligazioni e la loro interdipendenza importano la indifferenza della disamina delle rispettive causa e nature per puntualizzare la soluzione sul momento effettuale dell'obbligazione principale, donde scaturisce la rivalsa i.v.a. addebitabile a chi concretamente paga". Ma tale prospettiva questa Corte ha respinto (sentenza n. 5623 del 1982), osservando che i due crediti conservano una loro diversa disciplina dei privilegi che li assistono.

Il ricorrente non può essere seguito nemmeno là dove, ai fini della tesi della prededucibilità, enfatizza il dato testuale secondo cui le prestazioni dei servizi "si considerano effettuate all'atto del pagamento del corrispettivo". L'eccessiva accentuazione della norma costringerebbe infatti a concludere che gli stessi crediti per le prestazioni non sono ne' concorsuali ne' prededucibili, in quanto considerati successivi al fallimento e relativi a servizi di cui questo non è destinatario.

Va inoltre rilevato che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 25 del 1984, ha considerato la possibilità che il professionista, in sede di ripartizione dell'attivo nelle procedure fallimentari, riesca, per la disparità dei privilegi, a realizzare il suo credito per le prestazioni ma non quello di rivalsa i.v.a.; ed ha escluso che la conseguente definitività dell'onere costituisca incidenza del tributo su soggetto non portatore della relativa capacità contributiva, non dovendo confondersi fra "risultato economico derivante dalla rivalsa" e "presupposto cui è collegata la prestazione tributaria".

2. Per le stesse ragioni è infondato il secondo motivo, con cui il ricorrente, lamentando violazione dell'art. 111 legge fall. e falsa applicazione dell'art. 93 stessa legge, in rapporto agli artt. 11 d.P.R. 20 settembre 1980 n. 576 e 2751 bis n. 2 c.c., estende la tesi sopra riferita al contributo integrativo da versarsi alla Cassa di previdenza avvocati sugli affari soggetti ad i.v.a. 3. Poiché l'intimato non si è costituito non v'è da provvedere sulle spese.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

- Così deciso in Roma il 7 marzo 1991.