Diritto Bancario e Finanziario
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24377 - pubb. 17/10/2020
Il mutuo fondiario non è un mutuo di scopo, perché manca l’elemento essenziale della destinazione della somma mutuata a determinate finalità
Cassazione civile, sez. II, 29 Settembre 2020, n. 20552. Pres. Rosa Maria Di Virgilio. Est. De Marzo.
Mutuo fondiario - Mutuo di scopo - Esclusione
Il mutuo fondiario non configura, alla luce della disciplina di cui al D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, artt. 38 seg., un mutuo di scopo, poiché di esso non è elemento essenziale la destinazione della somma mutuata a determinate finalità.
Nel mutuo di scopo, sia esso legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate entra nella struttura del negozio connotandone il profilo causale, sicché la nullità di un tale contratto per mancanza di causa sussiste solo se quella destinazione non sia rispettata, mentre è irrilevante che sia attuata prima o dopo l’erogazione del finanziamento, tanto più in mancanza, specificamente per il mutuo di scopo convenzionale cui sia collegato il cd. contratto di ausilio, di alcune norma imperativa, dal contrasto con la quale possa derivarne una nullità sotto quest’ultimo profilo. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Fatti
1. Con sentenza depositata in data 11 agosto 2008 il Tribunale di Latina ha dichiarato la nullità a) del contratto di mutuo concluso tra Banca di Roma s.p.a. e S.A.M. e b) dell’ipoteca iscritta sul bene della terza datrice D.B.G., condannando la banca alla restituzione delle somme percepite in esecuzione di tale negozio.
Con sentenza depositata in data 18 marzo 2016 la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado e in accoglimento dell’appello principale proposto da Unicredit Credit Management Bank s.p.a., mandataria della UniCredit Consumer Financing Banca s.p.a. (società incorporante Banca di Roma s.p.a.), ha rigettato tutte le domande proposte dalla S. e dalla D.B..
2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che esattamente il primo giudice aveva escluso che il contratto de quo fosse qualificabile come mutuo di scopo, dal momento che la somma erogata dall’istituto non doveva essere necessariamente destinata dal mutuatario ad una specifica finalità e che il mutuante non doveva controllare l’utilizzazione della stessa; b) che l’avvenuta erogazione della somma alla S. , contestualmente alla conclusione del mutuo, con iscrizione di ipoteca sul bene della D.B. , del quale la prima aveva acquistato la nuda proprietà, conduceva alla qualificazione dell’operazione come mutuo fondiario; c) che non risultava che l’intento voluto dalle parti fosse quello di realizzare, attraverso tale fattispecie negoziale, un fine diverso da quello legale tipico, fermo restando che i motivi del contratto sono di regola irrilevanti, salve le eccezioni previste dal legislatore; d) che non era configurabile alcuna nullità nè con riguardo agli interessi corrispettivi, espressamente pattuiti per iscritto dalle parti nella misura del 7,90% annuo, nè con riferimento agli interessi di mora, il cui saggio era stato determinato dal contratto, in conformità agli artt. 1815 e 1284 c.c.; e) che del pari rispondente al modello legale era la pattuizione degli interessi a natocistici.
3. Avverso tale sentenza la D.B. e la S. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. La Unicredit Credit Management Bank s.p.a., mandataria della UniCredit Consumer Financing Banca s.p.a. non ha svolto attività difensiva.
Motivi
1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di rilevare l’inammissibilità dell’appello della Banca, che non aveva investito l’autonoma ratio decidendi della sentenza di primo grado, rappresentata dalla ritenuta nullità del contratto di mutuo fondiario per motivo illecito comune ad entrambe le parti, ai sensi degli artt. 1345 e 1418 c.c.. Al contrario, l’impugnazione della Banca si era concentrata esclusivamente sulla ritenuta nullità del contratto per mancanza di causa, ai sensi dell’art. 1325 c.c., n. 2.
Con distinta articolazione si rileva che la Corte territoriale non aveva indicato le ragioni per le quali si era discostata dalla giurisprudenza di legittimità menzionata con riguardo all’indicato profilo processuale.
2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza, per avere la Corte territoriale omesso di indicare le ragioni per le quali non aveva recepito le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, con riguardo all’inammissibilità dell’impugnazione che non investa un’autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata.
3. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica.
Va premesso che la Corte di cassazione può persino rilevare d’ufficio una causa di inammissibilità dell’appello che il giudice di merito non abbia riscontrato, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado, non potendosi riconoscere al gravame inammissibilmente spiegato alcuna efficacia conservativa del processo di impugnazione (v., ad es., Cass. 19 ottobre 2018, n. 26525).
Tale considerazione vale a superare la lacunosità dell’esposizione del primo motivo che non riporta per intero nè la sentenza di primo grado nè l’appello, non consentendo di verificare il fondamento obiettivo della critica.
Ciò posto, il riferimento del Tribunale all’esistenza di un motivo illecito comune alle parti - illiceità individuata nella costituzione di un’ipoteca per debiti preesistenti non scaduti per ottenere l’applicazione della L.Fall., art. 67, comma 1, n. 3 - si inquadra nelle argomentazioni dedicate al vizio causale del contratto del quale si discute, apprezzato sotto lo specifico angolo visuale della causa concreta.
In altre parole, l’esame diretto della sentenza evidenzia che il comune motivo illecito alle parti è, nella decisione del primo giudice, il riflesso della dedotta non rispondenza della concreta operazione programmata alla causa tipica astratta.
Del resto, la non perspicuità del riferimento al motivo illecito comune alle parti emerge da altro luogo della sentenza, in cui lo stesso Tribunale riconosce che il contratto concluso in frode ai creditori non è nullo, ma abilita questi ultimi ad esperire l’azione revocatoria.
L’unitarietà delle considerazioni svolte dal Tribunale conferma, pertanto, l’esattezza della replica della Corte distrettuale, secondo la quale la Banca aveva impugnato la sentenza del Tribunale "in ogni sua parte".
Le superiori osservazioni escludono, in altre parole, l’esistenza di una ratio decidendi non oggetto dell’impugnativa (primo motivo) e privano di qualunque sostanza anche il secondo motivo.
Ciò senza dire, con riguardo a quest’ultimo, che, in ogni caso, quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (Cass. 13 agosto 2018, n. 20716).
4. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale errato nel ritenere che la S. avesse ricevuto l’effettiva disponibilità della somma erogata a titolo di mutuo: questa, infatti, nonostante l’art. 2 del contratto ne prevedesse l’erogazione dopo la stipula del contratto di acquisto della nuda proprietà dell’immobile, era confluita, il (omissis) , ossia nella stata data dell’erogazione del mutuo, sul conto corrente n. (…) della S. ed era stata impiegata per ripianare l’apparente scoperto di conto corrente.
Tali circostanze, aggiungono le ricorrenti, rivelavano che il mutuo non aveva realizzato la sua causa ed emergevano dall’estratto del conto corrente che confermava come il mutuo fosse stato stipulato non per concedere un credito, ma per costituire un’ipoteca a garanzia dell’asserito debito preesistente della mutuataria.
5. Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. e art. 1325 c.c., n. 2, per avere la Corte territoriale omesso di considerare che le clausole del contratto di mutuo esplicitavano la finalità dell’operazione, destinata a consentire l’acquisto di un immobile, con la conseguenza che, poiché le parti si erano accordate per dare al finanziamento una diversa finalità, il contratto doveva essere ritenuto nullo per difetto originario di causa.
Si aggiunge: a) che la somma mutuata era stata erogata non dopo la stipula del contratto di acquisto della nuda proprietà dell’immobile, come previsto nell’art. 2 del contratto di mutuo fondiario, ma contestualmente all’atto di compravendita del (omissis) ; b) che, come detto, la somma aveva determinato il ripianamento della posizione debitoria della S. ; c) che la stessa Banca, nella lettera del 19 novembre 2004, aveva qualificato il mutuo come di scopo.
6. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione.
Essi, sia pure in modo poco lineare, aspirano: a) ad escludere che la banca abbia messo a disposizione la somma oggetto del mutuo, in realtà destinata a ripianare l’esposizione pregressa, con contestuale costituzione di ipoteca a garanzia del rimborso ovvero b) a ottenere la qualificazione del contratto come mutuo di scopo, al fine di poter concludere nel senso che la realizzazione di un collegamento negoziale preordinato ab initio a rendere inattuata la causa concreta comporterebbe la nullità del mutuo e, in conseguenza, della iscrizione di ipoteca.
La risposta fornita dalla Corte d’appello è, per quanto sopra osservato: a) che la somma è stata messa a disposizione del mutuatario e che il ripianamento del debito preesistente, unitamente al sorgere del debito restitutorio garantito da ipoteca, non si accompagna ad alcuna illiceità, infatti non correlata dal primo giudice ad alcuna puntuale indicazione delle norme che comporterebbero la nullità dell’operazione; b) che il mutuo in esame non è un mutuo di scopo.
Sotto il primo profilo, si coglie talora nella giurisprudenza di questa Corte, un riferimento al carattere illecito del motivo.
Ad es., Cass. 15 ottobre 2012, n. 17650, dopo avere richiamato in motivazione vari precedenti, conclude nel senso che, in tema di revocatoria fallimentare, qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire, attraverso l’erogazione di somme, poi refluite in forza di precedenti accordi e prefinanziamenti, per il tramite di un terzo, nelle casse della banca mutuante, una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, è configurabile fra i negozi posti in essere - prefinanziamento, mutuo ipotecario e pagamenti infragruppo - un collegamento funzionale, ed è individuabile il motivo illecito perseguito, rappresentato dalla costituzione di un’ipoteca per debiti chirografari preesistenti; tale garanzia è, pertanto, revocabile, in quanto concessa per nuovo credito, la cui erogazione è finalizzata all’estinzione di credito precedente chirografario.
Ma in questo caso l’illiceità indica, in termini riassuntivi, la contrarietà dell’atto all’ordinamento, in ragione del fine di pregiudicare i creditori ossia, in altri termini, individua il presupposto dell’azione revocatoria, e non una causa di nullità del contratto.
Non casualmente, la stessa Cass. 17650 del 2012 cita altra giurisprudenza, secondo la quale l’erogazione di un mutuo fondiario ipotecario, non destinato a creare un’effettiva disponibilità nel mutuatario, già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, può astrattamente integrare le fattispecie del procedimento negoziale indiretto, della simulazione e della novazione: in tutti i casi predetti, è azionabile il meccanismo revocatorio L.Fall., ex art. 67, commi 1 e 2 (v., anche Cass. 20 marzo 2003 n. 4069).
Ma, posto che nel caso di specie non viene in questione la pretesa di un creditore che assuma di essere stato pregiudicato nelle sue ragioni, le ricorrenti avrebbero avuto l’onere di spiegare, nel loro caso, quale fattispecie sarebbe stata integrata e in cosa riposerebbe l’illiceità del motivo, una volta che sia stato accertato che la messa a disposizione sul conto corrente della somma ha portato ad un ripianamento dell’esposizione e che la S. ha effettivamente acquistato la nuda proprietà del bene sul quale è stata iscritta ipoteca.
Sotto il secondo profilo (b), le ricorrenti paiono muoversi nella prospettiva tracciata da Cass. 19 ottobre 2017, n. 24699, secondo la quale nel mutuo di scopo convenzionale si verifica una deviazione dal tipo contrattuale di cui all’art. 1813 c.c., che si configura quando il mutuatario abbia assunto espressamente un obbligo nei confronti del mutuante, in ragione dell’interesse di quest’ultimo - diretto o indiretto - ad una specifica modalità di utilizzazione delle somme per un determinato scopo. Ne deriva che l’inosservanza della destinazione delle somme indicata nel mutuo rileva, in tali casi, ai fini della validità o meno del contratto stesso (nella stessa cornice ricostruttiva, si veda Cass. 10 giugno 1981, n. 3752 citata dalle ricorrenti).
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente chiarito che il mutuo di scopo risponde alla funzione di procurare al mutuatario i mezzi economici destinati al raggiungimento di una determinata finalità, comune al finanziatore, la quale, integrando la struttura del negozio, ne amplia la causa rispetto alla sua normale consistenza, sia in relazione al profilo strutturale, perché il mutuatario non si obbliga solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo concordato, mediante l’attuazione in concreto del programma negoziale, sia in relazione al profilo funzionale, perché nel sinallagma assume rilievo essenziale proprio l’impegno del mutuatario a realizzare la prestazione attuativa. La destinazione delle somme mutuate alla finalità programmata assurge pertanto a componente imprescindibile del regolamento di interessi concordato, incidendo sulla causa del contratto fino a coinvolgere direttamente l’interesse dell’istituto finanziatore, ed è perciò l’impegno del mutuatario a realizzare tale destinazione che assume rilevanza corrispettiva, non essendo invece indispensabile che il richiamato interesse del finanziatore sia bilanciato in termini sinallagmatici, oltre che con la corresponsione della somma mutuata, anche mediante il riconoscimento di un tasso di interesse agevolato al mutuatario (Cass. 18 giugno 2018, n. 15929).
Ora, la risposta della Corte territoriale, come detto, è nel senso che il negozio in esame è un mutuo fondiario che, sempre alla stregua della giurisprudenza di legittimità, non configura, alla luce della disciplina di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, artt. 38 seg., non è mutuo di scopo, poiché di esso non è elemento essenziale la destinazione della somma mutuata a determinate finalità (Cass. 26 marzo 2012, n. 4792) Rispetto a tale conclusione, che si fonda su uno specifico accertamento della volontà delle parti, il ricorso è meramente reiterativo.
Al riguardo, va ricordato che l’attività di qualificazione del contratto richiede due distinte operazioni: la prima consiste nell’identificazione degli elementi costitutivi dell’attività negoziale e delle finalità pratiche perseguite dalle parti; la seconda consiste, invece, nell’attribuzione del nomen juris, previa interpretazione sul piano giuridico, degli elementi di fatto precedentemente accertati. Di tali operazioni, mentre la seconda è soggetta al sindacato di legittimità, la prima ne è sottratta, se correttamente motivata, giacché si risolve in un apprezzamento di mero fatto, riservato al giudice di merito (v., ad es., Cass. 10 aprile 2019, n. 9996).
Rispetto alla ricostruzione del contenuto del contratto che emerge dalla sentenza impugnata, come si diceva, le censure delle ricorrenti sono meramente reiterative.
Escluso che la menzione del contratto da parte della Banca, in una sua missiva, come mutuo di scopo possa vincolare l’attività qualificatoria del giudice, sì osserva che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c., Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (v., ad es., Cass. 15 novembre 2017, n. 27136).
A ciò deve aggiungersi che anche nel mutuo di scopo, sia esso legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate entra nella struttura del negozio connotandone il profilo causale, sicché la nullità di un tale contratto per mancanza di causa sussiste solo se quella destinazione non sia rispettata, mentre è irrilevante che sia attuata prima o dopo l’erogazione del finanziamento, tanto più in mancanza, specificamente per il mutuo di scopo convenzionale cui sia collegato il cd. contratto di ausilio, di alcune norma imperativa, dal contrasto con la quale possa derivarne una nullità sotto quest’ultimo profilo (Cass. 22 dicembre 2015, n. 25793).
E, nel caso di specie, la nuda proprietà del bene è anche stata acquisita dalla S. .
7. Con il quinto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dal contenuto della sentenza del 17 novembre 2011 del Tribunale di Latina, passata in giudicato, che aveva accertato illegittime appostazioni contabili sul conto n. (*) sopra menzionato per capitalizzazione trimestrale degli interessi, tassi ultralegali e commissioni di massimo scoperto non espressamente convenute. Tale accertamento, secondo il ricorso, sarebbe destinato a comportare la nullità del rapporto di finanziamento ad esso collegato.
La doglianza è inammissibile, giacché il collegamento negoziale, presupposto delle deduzioni difensive, è affermato dalle ricorrenti in termini assertivi e smentiti dalla ricostruzione della portata dell’operazione che emerge dalla sentenza impugnata.
8. Con il sesto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione di norme di diritto in relazione alle domande riproposte ai sensi dell’art. 346 c.p.c., con riguardo: a) alla dedotta nullità della clausola di pattuizione degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori; b) alla violazione del divieto di anatocismo.
Le ricorrenti si dolgono, altresì, della mancata declaratoria di invalidità dell’ipoteca conseguenza alla nullità del contratto di mutuo e del mancato rilievo del carattere indebito dei versamenti effettuati in forza di quest’ultimo, con conseguente sorgere di una pretesa restitutoria non paralizzabile dalla tardiva eccezione ex art. 2034 c.c., della quale difettavano, peraltro, i presupposti.
La censura, nelle sue plurime e confuse articolazioni, è inammissibile per assoluta assenza di specificità, rispetto ai rilievi della Corte territoriale, quanto all’esistenza di pattuizioni per iscritto della misura degli interessi e della clausola anatocistica.
Il rigetto dei restanti motivi rende priva di rilievo, del pari, la deduzione del carattere indebito dei pagamenti eseguiti.
9. In conclusione, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Dep. 29 settembre 2020.