Diritto della Famiglia e dei Minori
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 24261 - pubb. 29/09/2020
Concezione soggettiva della condizione di intollerabilità della convivenza
Cassazione civile, sez. I, 05 Agosto 2020, n. 16698. Pres. Valitutti. Est. Solaini.
Intollerabilità della convivenza - Nozione - Concezione soggettiva - Disaffezione di uno solo dei coniugi - Sufficienza - Oggettiva apprezzabilità giuridica - Necessità - Fattispecie
In tema di separazione personale dei coniugi, la condizione di intollerabilità della convivenza deve essere intesa in senso soggettivo, non essendo necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di una sola delle parti, che sia verificabile in base a fatti obiettivi, come la presentazione stessa del ricorso ed il successivo comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze negative del tentativo di conciliazione, dovendosi ritenere venuto meno, al ricorrere di tali evenienze, quel principio del consenso che caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio - Presidente -
Dott. PARISE Clotilde - Consigliere -
Dott. CARADONNA Lunella - Consigliere -
Dott. FIDANZIA Andrea - Consigliere -
Dott. SOLAINI Luca - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24651/2017 proposto da:
D.C.L., elettivamente domiciliato in Roma, *, presso lo studio dell'avvocato P. G., che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato F. A., giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
G.A., elettivamente domiciliata in Roma, *, presso lo studio dell'avvocato R. G. F., che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato T. F., giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 202/2017 della CORTE D'APPELLO di TRENTO, depositata il 14/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/01/2020 dal cons. SOLAINI LUCA.
Svolgimento del processo
che:
La Corte d'appello di Trento con sentenza n. 202/17 ha accolto l'appello proposto da G.A. avverso la decisione del tribunale di Trento che, con sentenza parziale, aveva pronunciato la separazione dal coniuge D.C.L. disponendo la prosecuzione dell'istruttoria per le altre domande relative all'addebito e di natura patrimoniale.
A sostegno della decisione di accoglimento, la Corte territoriale ha rilevato l'assenza della volontà di separarsi in capo ai coniugi, in particolare, C.L. che era pienamente in grado di intendere e volere aveva spiegato che la sua scelta di chiedere la separazione era volta a sedare la conflittualità tra i figli. Questo, però, ad avviso della Corte, non costituisce un presupposto che consente di chiedere la separazione giudiziale, ex art. 151 c.c., con la conseguenza che la domanda di separazione doveva essere respinta.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso D.C.L. nei confronti di G.A. affidato a tre motivi, illustrati da memoria (nella quale si dà atto che, nelle more del giudizio, è stata aperta, in favore del ricorrente, un'amministrazione di sostegno), mentre, G.A. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
che:
Con il primo motivo, il ricorrente deduce il vizio di nullità della sentenza per violazione dell'art. 100 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte d'appello pronunciato nel merito della richiesta di separazione, quando avrebbe dovuto rigettare in rito l'appello proposto da G.A. avverso la sentenza del Tribunale, per mancanza di soccombenza della stessa e, conseguentemente, di interesse ad impugnare (art. 100 c.p.c.).
Con il secondo motivo, il ricorrente prospetta il vizio di violazione di legge, in particolare, dell'art. 151 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., nella parte in cui la Corte d'appello ha ritenuto che i fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza - che l'art. 151 c.c., prevede che possano essere anche indipendenti dalla volontà dei coniugi - non possano essere costituiti dalle continue liti tra i figli e tra i figli e i genitori.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta il vizio di violazione di legge, in particolare, dell'art. 151 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui ha ritenuto che il desiderio - riferito da D.C.L. in sede di libero interrogatorio - di tornare a vivere con la moglie è incompatibile con la volontà di separarsi, per sopravvenuta intollerabilità della convivenza.
Il primo motivo è infondato, in quanto, solo la vittoria totale in primo grado preclude, infatti, l'appello (cfr. Cass. 134/2017, in tema di ricorso per cassazione, da parte dell'appellante vittorioso che aveva visto alcune questioni assorbite), laddove - nella specie - la G. era rimasta soccombente - non sulla mera istanza di c.t.u., come assume il ricorrente - ma sulla domanda di accertamento dell'incapacità del marito nel proporre il ricorso per la separazione.
Il secondo motivo è infondato, infatti, in tema di separazione tra coniugi, la situazione di intollerabilità della convivenza va intesa in senso soggettivo, non essendo necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di una sola delle parti, verificabile in base a fatti obiettivi, come la presentazione stessa del ricorso ed il successivo comportamento processuale, (e, in particolarefialle negative risultanze del tentativo di conciliazione), dovendosi ritenere, in tali evenienze, venuto meno quel principio del consenso che, con la riforma attuata attraverso la L. 19 maggio 1975, n. 151, caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale (Cass. 1164/2014; Cass. 8713/2015).
Nella specie, la Corte territoriale ha accertato che, non solo la moglie si opponeva alla domanda di separazione - paventando che il consorte vi fosse stato spinto dal figlio, tanto che chiedeva accertarsi la sua libera volontà - ma che lo stesso ricorrente aveva ammesso che il figlio lo aveva portato via di casa contro la sua volontà, quasi a forza, e che "avrebbe voluto tornare a vivere con la moglie", circostanze certamente incompatibili con la intollerabilità della convivenza, certamente non ravvisabile - stante il tenore dell'art. 151 c.c. - nei "litigi tra i due figli" (p. 5 della sentenza di appello).
Il terzo motivo imane assorbito dal rigetto del secondo, che involge l'intero giudizio sull'intollerabilità.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare a G.A. le spese di lite del presente giudizio che liquida nell'importo di Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2020