Crisi d'Impresa e Insolvenza
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21399 - pubb. 20/03/2019
Ammissione al passivo del credito della banca, produzione integrale degli estratti conto e onere di contestazione del curatore
Cassazione civile, sez. I, 03 Dicembre 2018, n. 31195. Est. Pazzi.
Fallimento – Insinuazione al passivo – Credito della banca derivante da saldo negativo di conto corrente – Onere della prova – Deposito degli estratti conto integrali – Onere di contestazione del curatore
Sebbene non operino nei confronti del curatore gli effetti di cui all'art. 1832 c.c., lo stesso procedimento di insinuazione al passivo e di successiva opposizione fungono da procedimento di rendicontazione al fine dell'individuazione della esatta consistenza del credito vantato dalla banca e contribuiscono a fornire all'estratto conto che rappresenti l'intera evoluzione storica dello svolgimento del rapporto un valore di prova a suffragio delle ragioni dell'istituto di credito che abbia presentato insinuazione al passivo.
Nell'insinuare al passivo fallimentare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente la banca ha dunque l'onere di dare conto dell'intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali; il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l'onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha a sua volta l'onere di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito relativamente alle contestazioni sollevate; il giudice delegato o, in sede di opposizione, il tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell'evoluzione storica del rapporto contrattuale come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d'ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti, che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
Fatti di causa
1. Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. presentava due istanze di ammissione al passivo del fallimento (*) s.p.a., l'una per l'importo di Lire 4.038.489.215 rispetto al saldo passivo del conto corrente n. (*) (su cui era confluito, mediante giroconto, il saldo passivo dei conti correnti (*) e (*)), l'altra per Lire 406.323.287 in relazione a una fideiussione prestata dalla società fallita in favore di Val C. soc. coop. a r.l..
Il Giudice delegato ammetteva al passivo della procedura la somma di Lire 2.056.229.488, corrispondente al saldo debitore del conto corrente n. (*) alla data del 31 marzo 1997, e respingeva le ulteriori pretese perchè non provate.
2. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 27 ottobre 2005, respingeva l'opposizione proposta dall'istituto di credito in quanto la consulenza tecnica espletata aveva quantificato lo scoperto del conto corrente della fallita in misura inferiore all'importo già ammesso al passivo, con una differenza superiore all'ulteriore credito vantato dalla banca per la fideiussione prestata dalla fallita in favore di Val C. soc. coop. a l..
3. La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 18 dicembre 2012, pur rilevando che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che le somme risultanti a credito della banca in base alla consulenza contabile espletata corrispondevano ai saldi negativi dei conti (*) e (*) e non rientravano nel saldo di Lire 2.056.229.488 per il quale l'appellante aveva già ottenuto l'ammissione al passivo fallimentare, rigettava comunque l'impugnazione proposta, in mancanza di idonea prova del credito da insinuarsi al passivo; infatti, a fronte della contestazione del curatore dell'inidoneità della documentazione prodotta a fornire la prova dell'esistenza del credito vantato, la banca, non potendo avvalersi nei confronti del curatore fallimentare del disposto dell'art. 2710 c.c., non aveva documentato di aver inviato al correntista gli estratti conto relativi ai rapporti in contestazione in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, onde consolidare la prova delle operazioni annotate, nè aveva dimostrato l'esistenza del proprio credito mediante la produzione di documentazione attestante l'effettivo svolgimento delle operazioni annotate in contabilità.
4. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia Prelios Credit Servicing s.p.a., quale mandataria di Elipso Finance s.p.a., già costituitasi nel giudizio di appello quale successore a titolo particolare nel rapporto controverso, affidandosi a tre motivi di impugnazione.
Ha resistito con controricorso la curatela del fallimento (*) s.p.a..
L'intimata Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. non ha svolto alcuna difesa.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c..
Ragioni della decisione
5.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 342 e 346 c.p.c., ed assume la conseguente nullità della sentenza impugnata, in quanto il giudice di appello, in violazione del principio di necessaria corrispondenza fra chiesto e pronunciato e del principio tantum devolutum quantum appellatum, avrebbe d'ufficio, oltre i limiti del gravame proposto, esaminato e posto a base della decisione questioni non specificamente devolute alla sua cognizione, concernenti l'inidoneità delle scritture contabili della banca a costituire prova contro il curatore ex art. 2710 c.c., la mancata dimostrazione dell'invio al cliente poi fallito degli estratti conto in epoca antecedente al fallimento e la carenza di prova rispetto al debito principale di cui il fallimento era chiamato a rispondere quale fideiussore; al contrario la corte territoriale, una volta riconosciuta la certezza della data, avrebbe dovuto accogliere l'appello, senza poter valorizzare eccezioni che, non essendo state specificamente riproposte, dovevano intendersi per rinunciate ai sensi dell'art. 346 c.p.c..
5.2 Il motivo non è fondato.
In vero secondo la giurisprudenza di questa Corte l'onere di espressa riproposizione in appello delle eccezioni non accolte in primo grado riguarda esclusivamente le eccezioni in senso proprio, attinenti cioè a fatti modificativi, estintivi o impeditivi, e non anche le contestazioni sull'esistenza del fatto costitutivo della domanda o di elementi dello stesso, le quali devono ritenersi implicitamente comprese nella richiesta di rigetto dell'appello formulata dall'appellato vittorioso nel giudizio di primo grado (cfr. Cass. n. 13218/2005, Cass. n. 927/1996).
Allo stesso modo il disposto dell'art. 346 cod. proc. civ. non riguarda le mere difese (Cass. n. 10811/2011, Cass. n. 27/2015), le argomentazioni giuridiche e le questioni di fatto e di diritto addotte a sostegno delle medesime, che devono viceversa ritenersi implicitamente richiamate con la semplice istanza di rigetto dell'impugnazione da parte dell'appellato (Cass. n. 1277/2005), nonchè i fatti dedotti dalle parti a fondamento della domanda e le inerenti deduzioni probatorie, i quali, sottoposti al giudice di primo grado, vengono di nuovo a costituire oggetto di esame, valutazione ed accertamento da parte del giudice di appello, in quanto questi, a causa della impugnazione, torna a doversi pronunciare sulla domanda accolta e quindi a dover esaminare fatti, allegazioni probatorie e ragioni giuridiche già dedotte in primo grado e rilevanti ai fini del giudizio sulla domanda o sull'eccezione (Cass. n. 6843/1993).
Non si prestano perciò a censure di sorta le valutazioni della corte territoriale laddove, dopo aver preso atto delle contestazioni della procedura, in entrambi i gradi, in merito all'idoneità della documentazione prodotta dal creditore istante ad assolvere l'onere della prova, ha proceduto al vaglio della congerie istruttoria verificando se la stessa, alla stregua delle regole che ne disciplinavano la valenza probatoria, fosse atta a suffragare le pretese dell'appellante.
6.1 Il secondo mezzo di impugnazione lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2710 c.c., di cui la corte territoriale avrebbe erroneamente escluso l'applicabilità malgrado si trattasse di provare, nell'ambito di un giudizio promosso non dall'organo fallimentare ma contro lo stesso, l'esistenza di un rapporto obbligatorio fra due imprenditori sorto in epoca anteriore al fallimento.
6.2 Il motivo è infondato.
In proposito è sufficiente richiamare la statuizione delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui l'art. 2710 c.c., che conferisce efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa, ai libri regolarmente tenuti, non trova applicazione nei confronti del curatore del fallimento il quale agisca non in via di successione di un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua funzione di gestione del patrimonio del medesimo, non potendo egli, in tale sua veste, essere annoverato tra i soggetti considerati dalla norma in questione, operante soltanto tra imprenditori che assumano la qualità di controparti nei rapporti d'impresa (Cass. n. 4213/2013).
La norma in questione, che individua l'ambito operativo della sua speciale disciplina nel riferimento, necessariamente collegato, all'imprenditore ed al rapporto di impresa, non può perciò trovare applicazione con riguardo al curatore del fallimento, il quale, essendo convenuto nel giudizio di opposizione allo stato passivo, opera nella sua funzione di gestione del patrimonio del fallito ed assume, rispetto ai rapporti tra quest'ultimo ed il creditore, la qualità di terzo.
7.1 Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 1832 c.c., poichè la corte territoriale, a seguito della produzione degli estratti conto relativi ai rapporti bancari facenti capo alla fallita, aveva ritenuto non adeguatamente dimostrata l'esistenza del credito pur in mancanza di circostanziate contestazioni dell'organo della procedura dirette contro le singole annotazioni; nessuna rilevanza rivestiva la mancata dimostrazione dell'invio degli estratti all'imprenditore fallito, essendosi trasferito nel processo l'onere di contestazione previsto nell'ordinario rapporto, da assolversi in maniera specifica nelle forme, nei limiti e nei tempi previsti dalle regole processuali.
7.2 Il motivo è fondato.
La corte territoriale ha ritenuto (a pag. 7, punto 2, della sentenza impugnata) che la mancata specifica contestazione da parte del curatore del contenuto degli estratti conto prodotti non valga ad attribuire agli stessi alcun valore privilegiato in ordine alla veridicità delle annotazioni ivi riportate e all'esistenza del credito.
Un simile assunto non può essere condiviso, non potendosi ritenere che in ambito di insinuazione al passivo l'estratto conto debba essere considerato in via generalizzata come privo di qualsiasi valore probatorio.
Questa Corte ha anche già avuto modo di osservare che, fermo il principio per cui l'istituto di credito ha l'onere di dare piena prova del suo credito, assolvendo lo stesso attraverso la produzione della documentazione relativa allo svolgimento del conto, il collegio dell'opposizione tuttavia non può prescindere "dalla valutazione, doverosa e necessaria, circa la completezza ed esaustività delle schede integrali prodotte dalla creditrice, che rappresenta(va) la premessa logica indispensabile per procedere al successivo consequenziale apprezzamento della ulteriore produzione documentale. E del resto non può trascurarsi di osservare che l'ammissibilità di prove atipiche, che proprio con riguardo al caso di specie è stata più volte sottolineata dalla giurisprudenza di merito oltre che in dottrina, imponeva all'organo giudicante di tenerne conto, in considerazione dell'assoluta mancanza di contestazioni provenienti dalla curatela fallimentare" (Cass. n. 19028/2013).
E' opinione di questo collegio che, sebbene non operino nei confronti del curatore gli effetti di cui all'art. 1832 c.c., lo stesso procedimento di insinuazione al passivo e di successiva opposizione fungano da procedimento di rendicontazione al fine dell'individuazione della esatta consistenza del credito vantato dalla banca e contribuiscano a fornire all'estratto conto che rappresenti l'intera evoluzione storica dello svolgimento del rapporto un valore di prova a suffragio delle ragioni dell'istituto di credito che abbia presentato insinuazione al passivo.
In linea generale ogni qual volta sia necessario rendere un conto il sistema (si pensi al meccanismo previsto dall'art. 1832 c.c., art. 119 T.U.B. e, più in generale, art. 263 c.p.c. e ss.) prevede che la parte onerata proceda alla rendicontazione tramite la precisa indicazione dell'evoluzione storica del rapporto, mentre la controparte ha l'obbligo entro un determinato termine di sollevare contestazioni, specificando le partite che intende porre in contestazione.
Un simile meccanismo vale, tramite lo sviluppo del procedimento di verifica delle insinuazioni al passivo, anche nei confronti della procedura fallimentare, a cui la banca, a prescindere dagli estratti inviati al fallito ed eventualmente approvati prima dell'apertura del concorso, è tenuta a dare conto dell'esistenza e dell'intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto nella loro completa consistenza.
A fronte di questa produzione non si può trascurare di considerare che sul curatore incombe il dovere di procedere a una verifica della documentazione prodotta dal creditore che si insinua al passivo e dunque di controllo delle emergenze dell'estratto conto secondo le risultanze in suo possesso.
Ed è proprio la pregnanza di questo obbligo di verificazione che consente il parallelismo con il procedimento di rendimento del conto e la valorizzazione dell'estratto conto integrale prodotto, così analizzato, quale prova.
A un simile, puntuale, controllo farà seguito un obbligo di specifica contestazione, in particolare, della verità storica delle singole operazioni oggetto di rilevazione contabile che non trovino adeguato riscontro.
In presenza di siffatte confutazioni da parte del curatore l'istituto di credito ha l'onere, in sede di verifica dello stato passivo o quanto meno in sede di opposizione, di arricchire la documentazione prodotta con atti idonei ad attestare l'effettivo svolgimento delle operazioni oggetto di rilevazione contabile in contestazione.
Per contro ove il curatore, costituendosi o meno in sede di opposizione, nulla abbia osservato in merito all'evoluzione del conto nel senso rappresentato negli estratti prodotti, il Tribunale non potrà che prendere atto dell'evoluzione storica del rapporto contrattuale nei termini rappresentati all'interno dell'estratto conto integrale depositato nè potrà pretendere ulteriore documentazione a suffragio dei fatti storici in questo modo risultanti, pur mantenendo, come per regola generale, ogni più ampia possibilità di sollevare d'ufficio le eccezioni, non rilevabili ad esclusiva istanza di parte, giustificate in base ai fatti in tal modo acquisiti in causa.
Il provvedimento impugnato non si è attenuto a questi principi assumendo l'inidoneità degli estratti conto prodotti, pur in mancanza di specifiche contestazioni del curatore, a fornire la prova dell'evoluzione del rapporto e dell'esistenza del credito finale e ha così addossato al creditore istante un onere di integrazione del materiale istruttorio già depositato non correlato al contenuto dei rilievi compiuti dal curatore rispetto alle risultanze degli estratti conto messi a disposizione della procedura.
La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio alla Corte d'Appello di Napoli, la quale si atterrà al seguente principio: nell'insinuare al passivo fallimentare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente la banca ha l'onere di dare conto dell'intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali; il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l'onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha a sua volta l'onere di integrare la documentazione, o comunque la prova, del credito relativamente alle contestazioni sollevate; il giudice delegato o, in sede di opposizione, il Tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell'evoluzione storica del rapporto contrattuale come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d'ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti, che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio.
La corte territoriale, nel procedere a nuovo esame della causa, avrà cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2018.