Diritto Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20556 - pubb. 02/10/2018
La lesione alla sfera sessuale va risarcita anche se il danneggiato non ha una stabile relazione affettiva
Cassazione civile, sez. III, 31 Maggio 2018, n. 13770. Est. Antonella Di Florio.
Risarcimento del danno – Danno non patrimoniale – Risarcibilità sotto ogni profilo – Affermazione – Rilevanza delle ripercussioni sulla vita privata del danneggiato – Sussiste – Lesione alla sfera sessuale – Risarcibilità in quanto lesione del diritto alla salute
Il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane nei suoi vari aspetti inclusi quelli che attengono alla sfera sessuale) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili. Il giudice di merito, in relazione ad una visione complessiva della persona e sulla base di prove anche presuntive, deve determinare il ristoro del pregiudizio subito senza incorrere in vuoti risarcitori, riferibili anche al mancato riconoscimento delle ripercussioni sulla vita privata, contrastanti con l’art.32 Cost. e con i principi affermati dagli artt.3 e 7 della Carta di Nizza recepita dal Trattato i Lisbona e dall’art.8 della CEDU.
La sfera sessuale non dee essere valutata solo nell’ottica della funzione procreativa, ma come un aspetto rilevante dell’espressione della personalità e tutelabile come componente del diritto alla salute.
[Nella fattispecie, i giudici d’appello non avevano ravvisato la risarcibilità del danno derivato al ricorrente dall’ipogonadismo seguito ad un incidente stradale, in ragione della mancata dimostrazione della sua concreta condizione affettivo-relazionale.] (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -
Dott. DI FLORIO Antonella - rel. Consigliere -
Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere -
Dott. POSITANO Gabriele - Consigliere -
Dott. DELL’UTRI Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
1. T.G. evocò in giudizio dinanzi al Tribunale di Cosenza V.M. e la Nuova MAA Assicurazioni (poi Milano Ass.ni Spa ed ora Unipolsai Ass.ni Spa) per sentirli condannare in solido al risarcimento dei gravissimi danni da lui subiti a seguito di un sinistro stradale occorso nel (OMISSIS) del quale riteneva esclusivo responsabile il V..
Il giudice accolse parzialmente la domanda e, dichiarata la concorrente responsabilità delle parti ex art. 2054 c.c., condannò i convenuti a corrispondere all'attore la somma di Euro 450.000,00.
2. La Corte d'Appello di Catanzaro, adita dalla Milano Ass.ni Spa in via principale e da T.G. in via incidentale, mantenendo fermo il dichiarato concorso di colpa riformò parzialmente la pronuncia impugnata con esclusivo riferimento al quantum debeatur che veniva ridotto sia nella misura complessiva che in relazione alle voci di danno riconosciute.
3. T.G. ricorre per la cassazione della predetta sentenza affidandosi ad otto motivi.
La Unipolsai Ass.ni Spa ha resistito.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie di cui all'art. 380bis c.p.c..
Motivi della decisione
1. I primi tre motivi devono essere congiuntamente esaminati per lo stretto collegamento logico-giuridico.
Con il primo ed il secondo, il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 148 e D.P.R. n. 393 del 1959, art. 106 con riferimento all'art. 2054 c.c.: deduce che la Corte aveva erroneamente applicato una norma non ancora vigente all'epoca del sinistro in cui la manovra di sorpasso oggetto di valutazione era disciplinata da una diversa disposizione (richiama il D.P.R. n. 393 del 1959, art. 106 che, oltre tutto, conteneva prescrizioni meno stringenti per la manovra di sorpasso) in base alla quale doveva giungersi ad una valutazione di totale illegittimità della condotta del conducente del veicolo antagonista.
Con il terzo motivo, deduce, sempre ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell'art. 2967 c.c. e degli artt. 1227 e 2054 c.c.: assume, al riguardo, che era stata mal valutata la sua condotta, in quanto, escluso che fosse stata raggiunta la prova di velocità elevata o la violazione certa di altre norme di cautela (quali l'obbligo di procedere sulla mano destra della strada), gli era stato ingiustamente attribuito il 50% di responsabilità nella causazione dell'evento.
2. Le tre censure sono inammissibili.
Le prime due, infatti, risultano incoerenti con la ratio decidendi della statuizione criticata.
Infatti, pur vero che il richiamo normativo contenuto nella sentenza impugnata è erroneo perchè all'epoca dei fatti (luglio del 1992) non era ancora vigente il "nuovo" codice della strada (D.Lgs. n. 285 del 1992 entrato in vigore il 1 gennaio 1993) e la regolamentazione della manovra di sorpasso era disciplinata dal D.P.R. n. 393 del 1959, art. 106 si rileva che detta norma, per ciò che interessa in relazione alla dinamica del sinistro in esame, conteneva disposizioni per lo più sovrapponibili a quella successivamente emanata, e che l'improprio richiamo della Corte non assume alcuna significativa incidenza sulla valutazione complessiva della dinamica del sinistro rispetto ai vizi che possono trovare ingresso in sede di legittimità.
Infatti (e si passa con ciò all'esame del terzo motivo) a seguito di una lunga motivazione sulla condotta delle parti, i giudici d'appello hanno valutato che le risultanze processuali non avevano consentito di accertare con sufficiente chiarezza la condotta di entrambi i conducenti dei veicoli coinvolti nell'incidente, ed hanno affermato, a sostegno di tale convincimento e del mancato superamento della presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054 c.c., che quanto allo sconfinamento del V. nell'altra corsia, la segnaletica orizzontale volta a delineare i sensi di marcia era assente; e, quanto alla condotta del T., che la velocità eccessiva denunciata non aveva trovato sufficiente sostegno probatorio così come l'assenza del casco di protezione.
Ha pure affermato, con motivazione logica e coerente con gli elementi istruttori raccolti, che era rimasta indimostrata la circostanza che il veicolo sorpassato fosse fermo o in movimento, e che non era emersa con certezza neanche l'esatta la velocità del conducente dell'autovettura. La censura contenuta nel terzo motivo, pertanto, pur apparentemente riferita al vizio di violazione di legge, maschera una richiesta di riesame del merito della controversia, non consentita in questa sede.
3. Con il quarto motivo, il ricorrente critica sotto altro aspetto la motivazione: deducendo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per la decisione, assume che non era stata raggiunta la prova della sua eccessiva velocità, indicata come fonte della condotta colposa a lui ascritta.
Il motivo è infondato perchè la questione è stata esaminata (cfr. pag. 6 della sentenza), giungendo alla convinzione, sopra riportata, del mancato accertamento di una velocità idonea ad arrestare il motoveicolo in relazione alle condizioni di tempo e di luogo, dovendosi tener conto, al riguardo, che l'onere della prova era a suo carico e non era stato correttamente assolto.
4. Con il quinto e sesto motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., art. 32 Cost., artt. 2 ed 8 Cedu e art. 185 c.p.: lamenta, al riguardo:
a. una impropria applicazione delle norme sopra richiamate con conseguente violazione dell'integrità del ristoro che gli era stato riconosciuto, visto che nella quantificazione del danno la Corte d'Appello non aveva tenuto conto dell'incidenza del disturbo depressivo e dell'accertato ipogonadismo sulla sua sfera relazionale e sessuale, affermando che tale sofferenza non era apprezzabile in quanto egli non aveva fornito una adeguata dimostrazione della sua concreta condizione affettivo - relazionale;
b. la mancata liquidazione del danno morale soggettivo e dell'incidenza dinamico relazione del complesso patologico riscontrato.
5. Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 5 e sempre in relazione alla ridotta quantificazione del danno, l'omesso esame di fatti decisivi per la discussione con riferimento alla immotivata esclusione di lesioni considerate dal CTU di primo grado, e cioè il danno estetico per asimmetria facciale, la lesione del nervo ulnare con perdita di sensibilità del 4^ e del 5^ dito, la frattura e la deviazione delle ossa del naso, la riduzione respiratoria ed incidenza dell'ipogonadismo sulla sua generale condizione psicofisica.
6. I tre motivi devono essere congiuntamente esaminati in quanto contengono una complessiva critica alla decisione della Corte d'Appello che ha ridotto la percentuale del danno biologico complessivamente riscontrato (che, sempre parametrato alle tabelle del Tribunale di Milano, è stato diminuito dal 65% al 46%): essi sono parzialmente fondati.
In particolare, l'esame della settima censura costituisce antecedente logico delle altre.
Con essa il T. lamenta un incompleta valutazione del quadro patologico riscontrato dal CTU di primo grado ed una immotivata esclusione di alcune patologia accertate; censura (altresì la sentenza della Corte d'Appello in quanto aveva recepito acriticamente la consulenza d'ufficio rinnovata nel secondo giudizio, senza affatto spiegare perchè il nuovo accertamento era stato ritenuto più convincente del primo che non era stato affatto nè menzionato nè analizzato nè, tantomeno, posto a confronto con l'altro.
Il motivo è fondato.
Questa Corte, infatti, ha avuto modo di chiarire che "il mancato esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risolvendosi nell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti". (cfr. Cass. 13922/2016).
Ed, in precedenza, è stato anche affermato, con orientamento al quale questo Collegio intende dare seguito, che "le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. Qualora, poi, nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche, in tempi diversi e con difformi soluzioni prospettate, il giudice, ove voglia uniformarsi alla seconda consulenza, è tenuto a valutare le eventuali censure di parte e giustificare la propria preferenza, senza limitarsi ad un'acritica adesione ad essa; egli può, invece, discostarsi da entrambe le soluzioni solo dando adeguata giustificazione del suo convincimento, mediante l'enunciazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificamente seguiti, nonchè, trattandosi di una questione meramente tecnica, fornendo adeguata dimostrazione di avere potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizioni proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione." (cfr. Cass. 5148/2011).
Nel caso in esame, la Corte di Catanzaro, in merito alla quantificazione dei danni, ha ridotto la percentuale di invalidità riconosciuta dal primo giudice avvalendosi acriticamente della CTU rinnovata ed omettendo del tutto non solo di sviluppare un'analisi comparativa, ma perfino di menzionare le diverse conclusioni cui era giunto l'ausiliare di primo grado.
Più specificamente (v. pag. 12 della sentenza), i giudici d'appello si sono limitati ad elencare le patologie riscontrate dal secondo CTU con le relative percentuali di danno biologico, precisando che era stata applicata, per la quantificazione complessiva, la formula di Balthazard; ma, pur precisando che il disturbo depressivo evidenziato dal CTP non aveva trovato conforto in nessuna certificazione medica (sulla specifica censura, dunque, il motivo è infondato), hanno del tutto omesso di confrontare le conclusioni cui erano arrivati i due ausiliari, difformi sia in relazione alla diversa descrizione delle condizioni dell'arto superiore sinistro (nella prima consulenza, oltre ad essere descritte cicatrici di notevoli dimensioni, viene anche evidenziato che il gomito è notevolmente deformato con ipotonia, deficit funzionale ed escursione della flesso estensione non superiore a 65^ anestia del 4^ e 5^ dito per lesione del nervo ulnare (cfr. pag. 10 elaborato primo grado) mentre nella seconda (cfr. pag. 18 elaborato secondo grado) si parla genericamente di una lesione funzionale articolare dell'omero sinistro) sia rispetto all'incidenza dell'ipogonadismo sulla condizione complessiva del paziente.
Infine, la Corte ha immotivatamente condiviso la percentuale di invalidità, inferiore di circa 20 punti, riscontrata dal secondo ausiliare.
7. E, tanto premesso, anche il quinto e sesto motivo risultano fondati.
Il pregiudizio subito dal ricorrente è stato, infatti, valutato dalla Corte d'appello senza alcuna personalizzazione del danno riscontrato, sia in relazione alle singole patologie che in relazione alle complessive condizioni residuate.
In particolare, risulta condivisibile la censura riguardante l'omessa considerazione delle negative ricadute dell'ipogonadismo sulla sfera relazionale, rispetto alla quale la Corte ha erroneamente disconosciuto l'esistenza di un pregiudizio apprezzabile in ragione della mancata dimostrazione di una attuale condizione di coniugio o di paternità, affermazione dalla quale risulterebbe che la sfera sessuale debba essere valutata solo nell'ottica della funzione procreativa e non come un aspetto rilevante dell'espressione della personalità e tutelabile come componente del diritto alla salute: non sono stati affatto esaminati, in funzione della necessità di garantire un ristoro giusto e pieno del pregiudizio subito, gli aspetti della sofferenza collegati alla impossibilità di realizzare una vita sessuale senza l'apporto di farmaci, circostanza che, sulla base di prove anche presuntive, rendeva necessaria una adeguata personalizzazione, assente nella motivazione in esame.
8. Questa Corte ha ripetutamente affermato che "il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; nè tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacchè quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti" (cfr. Cass. 20292/2012); e che "in tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l'aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell'accertamento e della quantificazione del danno risarcibile - alla luce dell'insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla Legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) - è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali" (cfr. Cass. 901/2018).
8bis La Corte d'Appello di Catanzaro, pur applicando le tabelle del Tribunale di Milano (notoriamente costruite attraverso un valore punto comprensivo anche di un aumento percentuale standardizzato), ha del tutto omesso di tener conto degli aspetti sopra evidenziati ed oggetto di specifica censura, con ciò incorrendo in una liquidazione del danno inosservante del principio secondo il quale è necessario garantire l'integralità del ristoro.
9. Con l'ottavo motivo, infine, il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione dell'art. 2043 c.c. per l'erronea determinazione del danno da capacità lavorativa generica: assume che la liquidazione fosse irrisoria rispetto alla percentuale di invalidità riscontrata e che la giurisprudenza di legittimità richiamata dalla Corte (Cass. 12211/2015) non era trasponibile al caso in esame perchè riferita ad una percentuale di invalidità ben inferiore.
Il motivo è infondato.
La Corte d'appello, infatti, in mancanza di allegazioni e prove concrete di un maggiore pregiudizio (di cui lo stesso ricorrente era onerato), ha utilizzato in via equitativa il parametro del triplo della pensione sociale per l'anno 1992, ritenendolo idoneo a quantificare le ricadute patrimoniali negative dell'invalidità riscontrata: la decisione è supportata da sufficiente e logica motivazione e dal puntuale richiamo alla giurisprudenza di legittimità che ha chiarito che l'invalidità di gravità tale da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell'aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. (cfr. Cass. 12211/2015; sulla valutazione equitativa cfr. Cass. 14465/2015).
E, al riguardo, è evidente che rispetto al principio enunciato la maggiore percentuale riscontrata nel caso in esame rispetto a quella presa in considerazione dal primo arresto citato (circostanza che costituisce il principale oggetto del motivo in esame) non sposta in alcun modo - ma anzi lo rafforza - il collegamento logico delle argomentazioni utilizzate. Non è pertanto ravvisabile la violazione dell'art. 2043 c.c. denunciata.
10. In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione all'accoglimento del quinto, sesto e settimo motivo con rinvio alla Corte d'Appello di Catanzaro, in diversa composizione, che dovrà riesaminare la controversia in ordine alla quantificazione del danno attenendosi ai seguenti principi di diritto: "Qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche, in tempi diversi e con difformi soluzioni prospettate, anche soltanto in punto di quantificazione del danno, il giudice, ove voglia uniformarsi alla seconda consulenza abbandonando le conclusioni della prima, è tenuto a valutare le eventuali censure di parte e giustificare la propria preferenza, senza limitarsi ad un'acritica adesione ad essa; egli può, anche, discostarsi da entrambe le soluzioni solo dando adeguata giustificazione del suo convincimento, dando conto dell'enunciazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificamente seguiti".
"il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane nei suoi vari aspetti inclusi quelli che attingono alla sfera sessuale) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili. Il giudice di merito, in relazione ad una visione complessiva della persona e sulla base di prove anche presuntive, deve determinare il ristoro del pregiudizio subito senza incorrere in vuoti risarcitori riferibili, anche al mancato riconoscimento delle ripercussioni sulla vita privata, contrastanti con l'art. 32 Cost. e con i principi affermati dagli artt. 3 e 7 della Carta di Nizza recepita dal Trattato di Lisbona e dall'art. 8 della CEDU".
La Corte di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE dichiara inammissibile il primo, secondo e terzo motivo di ricorso; rigetta il quarto e l'ottavo; accoglie per quanto di ragione il quinto, sesto e settimo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Catanzaro per un nuovo esame in relazione ai motivi accolti ed anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2018.