Deontologia
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 20443 - pubb. 11/09/2018
L’avvocato non può avere cariche amministrative in società di capitali anche se di natura sportiva
Cassazione Sez. Un. Civili, 01 Giugno 2018, n. 14131. Est. Bisogni.
Avvocato – Procedimento disciplinare – Qualità di amministratore di società di capitali – Incompatibilità – Sussiste – Natura di società sportiva dilettantistica – Irrilevanza
Ai fini dell’incompatibilità tra la carica di amministratore di S.r.l. e l’iscrizione all’albo professionale degli avvocati, l’affermazione secondo cui la società non ha finalità lucrativa non è comunque rilevante a fronte dell’attività commerciale svolta da una società di capitali come è la S.r.l.
[Nella fattispecie, era stata dedotta in giudizio l’attività ludico-sportiva della società, svolta nell’ambito di una federazione dilettantistica.] (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CANZIO Giovanni - Primo Presidente f.f. -
Dott. PETITTI Stefano - Presidente di Sezione -
Dott. CRISTIANO Magda - Consigliere -
Dott. CIRILLO Ettore - Consigliere -
Dott. BISOGNI Giacinto - rel. Consigliere -
Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -
Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -
Dott. CIRILLO Francesco Maria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Rilevato che:
1. Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Matera, con provvedimento del 13 dicembre 2013, ha inflitto all'avv. R.P. la sanzione disciplinare della cancellazione dall'albo R.D.L. n. 1578 del 1933, ex art. 40, n. 4, ritenendolo responsabile della violazione del dovere di evitare incompatibilità, di singolare trascuratezza nell'adempimento del mandato difensivo e dei relativi obblighi di lealtà, diligenza, puntualità e correttezza nella gestione delle pratiche affidategli dal sig. C., della richiesta e del percepimento dal sig. C. di compensi e rimborsi non dovuti, dell'appropriazione di somme che non gli competevano, della violazione del dovere di difendere gli interessi della parte assistita nel miglior modo possibile nei limiti del mandato e nell'osservanza della legge e dei principi deontologici.
2. L'avv. R.P. ha proposto ricorso al Consiglio Nazionale Forense avverso la decisione del Consiglio dell'Ordine di Matera impugnando la mancata sospensione dei procedimenti disciplinari in attesa della definizione di quelli penali aventi ad oggetto gli stessi fatti, e contestando: a) l'erroneità della decisione del C.O.A. laddove ha ritenuto l'incompatibilità con l'iscrizione all'albo della carica di amministratore unico della Pallavolo S. s.r.l., trattandosi di società che ha ad oggetto esclusivamente attività ludico-sportive nell'ambito di una federazione dilettantistica, b) la mancata considerazione della scadenza della affiliazione della società nel 2007 e della cessazione della sua carica di Presidente dal 2008 nonchè conseguentemente della intervenuta prescrizione della violazione, c) la nullità della decisione del C.O.A. per genericità dei capi di incolpazione, d) la nullità del procedimento disciplinare per mancata escussione dei testi indicati dal ricorrente, e) l'utilizzazione di documenti già disconosciuti dall'avv. R. in seguito all'apertura del provvedimento disciplinare.
3. Il Consiglio Nazionale Forense con decisione n. 56/2017 ha accolto parzialmente il ricorso e rideterminato la sanzione disciplinare sostituendo la sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per tre anni alla cancellazione inflitta in primo grado dal C.O.A.
4. Ricorre per cassazione l'avv. R.P. che ripropone le difese già svolte con il ricorso al Consiglio Nazionale Forense e in particolare contesta le ragioni della mancata sospensione del procedimento disciplinare, la sussistenza della incompatibilità della carica di Presidente di società sportiva non avente fine di lucro con la iscrizione all'albo, il mancato rilievo della prescrizione dell'incolpazione relativa alla predetta incompatibilità, la mancata valutazione della genericità dei capi di incolpazione basati su un mero riferimento all'esposto di un terzo, il mancato rilievo della nullità del procedimento per l'omessa escussione dei testimoni, infine la erroneamente ritenuta minor gravità della sanzione della sospensione rispetto alla cancellazione dall'albo.
Ritenuto che:
5. Il ricorso è inammissibile in quanto i motivi o meglio i punti in cui si articola il ricorso sono privi di specificità e di autosufficienza. In particolare quanto alla lamentata mancata sospensione del procedimento il ricorrente non specifica perchè ritiene infondata la affermazione del C.O.A., ribadita dal C.N.F., secondo cui nè i fatti oggetto del procedimento penale e di quello disciplinare, nè l'oggetto delle incolpazioni ritenute fondate (incompatibilità, violazione del dovere di autonomia, di accuratezza dello svolgimento del mandato) e le imputazioni contestate in sede penale possono ritenersi coincidenti.
6. Allo stesso modo rimane del tutto indeterminata la censura relativa alla pretesa genericità dei capi di incolpazione a fronte della ritenuta analitica esposizione, nei capi di incolpazione e nelle decisioni, dei fatti che sono stati contestati e ritenuti effettivamente sussistenti.
7. Quanto alla contestata sussistenza della incompatibilità fra la citata carica sociale e la iscrizione all'albo professionale la decisione del C.N.F. ribadisce che la affermazione secondo cui la s.r.l. non avesse finalità lucrativa è rimasta indimostrata e non è comunque rilevante a fronte della attività commerciale svolta da una società di capitali come è la s.r.l.. Mentre, quanto alla eccezione di prescrizione, la decisione rileva che dal certificato camerale risulta la conservazione da parte del ricorrente della carica di amministratore sino all'attualità.
8. La censura relativa alla mancata ammissione delle prove non è assistita da alcun riferimento al contenuto delle stesse e si basa sostanzialmente sull'affermazione di un inesistente diritto all'escussione dei testimoni cui sostanzialmente dovrebbe fare riscontro la esclusione di qualsiasi potere di valutazione della ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova da parte del C.O.A. e del C.N.F..
9. Quanto infine alla sostituzione della sanzione irrogata in primo grado il C.N.F. ha fatto applicazione del principio già affermato da queste Sezioni Unite (cfr. Cass. civ. S.U. n. 18394 del 20 settembre 2016 e n. 21289 del 27 ottobre 2015) secondo cui il nuovo codice deontologico forense non prevede più la sanzione della cancellazione dall'albo, sicchè, trattandosi di disciplina più favorevole per l'incolpato rispetto al regime previgente, quella sanzione è inapplicabile, giusta la L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, anche nei procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore (cfr. anche Cass. civ. S.U. n. 30993 del 27 dicembre 2017 secondo cui In tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, le norme del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014 si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato, avendo la L. n. 247 del 2012, art. 65, comma 5, recepito il criterio del favor rei, in luogo di quello del tempus regit actum, con la conseguenza che la sanzione della cancellazione dall'albo, in quanto non più prevista, è inapplicabile e, in luogo di essa, deve essere comminata la sospensione dall'albo nella durata prevista dal nuovo codice deontologico, anche ove in concreto superiore rispetto a quella dettata dal precedente, poichè, nel caso di successione di leggi, non si può procedere ad una combinazione delle disposizioni più favorevoli della nuova legge con quelle più favorevoli della vecchia, in quanto ciò comporterebbe la creazione di una terza legge, diversa sia da quella abrogata, sia da quella in vigore, ma occorre applicare integralmente quella delle due che, nel suo complesso, risulti, in relazione alla vicenda concreta oggetto di giudizio, più vantaggiosa). Nella specie il ricorrente fa esclusivamente e genericamente riferimento alla prassi che sarebbe correntemente seguita di consentire la reiscrizione all'albo dopo 18 mesi dalla cancellazione, in conseguenza del buon comportamento successivo alla violazione disciplinare da parte dell'avvocato. Affermazione che non consente comunque di ritenere più vantaggiosa neanche in concreto la applicazione della sanzione non più in vigore della cancellazione rispetto a quella della sospensione per la durata di tre anni.
10. Il ricorso va dichiarato inammissibile senza statuizioni sulle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Dispone omettersi in caso di pubblicazione del presente provvedimento ogni riferimento identificativo della parte ricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 dicembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 1° giugno 2018.