Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 330 - pubb. 01/07/2007

Risoluzione del contratto-quadro e nullità degli ordini

Tribunale Firenze, 18 Ottobre 2005, n. 0. ..


Doveri informativi dell’intermediario – Natura contrattuale – Violazione – Risoluzione del contratto-quadro


Violazione dei doveri informativi dell’intermediario – Risoluzione del contratto-quadro – Nullità degli ordini di negoziazione e dei negozi di trasferimento dei titoli – Sussistenza



Gli obblighi di informazione dell’intermediario hanno natura contrattuale e, pur essendo, da un punto di vista funzionale, indirizzati alla conclusione dei singoli contratti relativi alle operazioni di investimento, da un punto di vista genetico, nascono dal contratto-quadro, che tali singoli contratti deve necessariamente precedere. I doveri relativi ai flussi informativi devono quindi ritenersi ricollegati al contratto-quadro, per cui, una volta ricondotta la violazione delle regole di condotta dell’intermediario sul piano della responsabilità per inadempimento, deve ammettersi, ove l’inadempimento sia di non scarsa importanza, la risolubilità del contratto-quadro.


Alla dichiarazione di risoluzione del contratto-quadro per violazione dei doveri informativi dell’intermediario consegue la nullità degli ordini di negoziazione (qualificabili come proposte di contratto di mandato che si conclude mediante la loro esecuzione) e quindi il venir meno della causa gestoria che ha giustificato il trasferimento dei titoli. La nullità degli ordini di negoziazione, pertanto, non consegue direttamente alla violazione degli obblighi di comportamento, ma, in via indiretta, alla risoluzione del contratto quadro.



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto di citazione notificato il 26.4.2004 il sig. B. S. esponeva testualmente:

«1. Con n. 2 ordini di “compera titoli” del 18.2.1998 (docc. 1-2) l’odierno attore ha acquistato presso la Filiale di ** del Monte dei Paschi di Siena, Ag. **, su sollecitazione del funzionario e in contropartita diretta, obbligazioni argentine denominate “Obbligazioni argentina 03.8.75 codice titolo DXS0084071421” per il prezzo complessivo di vecchie lire 242.450.875 regolato mediante addebito sul conto corrente.Tale operazione costituisce ai sensi della normativa vigente in materia di intermediazione finanziaria “servizio d’investimento” ed in particolare servizio di negoziazione per conto proprio “che, infatti, si sostanzia nella conclusione di contratto di compravendita tra l’intermediario e il cliente” ……..

2. In occasione delle operazioni di vendita delle obbligazioni argentina perfezionatesi il 18.2.1998 (cfr. Docc.1-2) il Monte dei Paschi di Siena non ha fornito all’odierno attore che all’epoca dell’acquisto aveva la veneranda età di ben 81 anni (cfr. carta identità Doc. 3) sufficienti informazioni in ordine al prodotto finanziario acquistato e soprattutto non ha suggerito le opportune cautele circa il rischio di insolvenza della Repubblica Argentina e dei soggetti correlati ma anzi ha dichiarato espressamente che l’investimento era sicuro ed esente da rischi, trattandosi di titoli di Stato.

È noto che per quanto riguarda i titoli “pubblici” argentini la crisi argentina non è arrivata improvvisamente ed inaspettatamente ma è stata viceversa il risultato “delle riforme economiche attuate a partire dal marzo 1991 attraverso un programma di provvedimenti (denominato “plan de convertibilidad”) tendenti a ristabilire il funzionamento dell’economia dopo un decennio caratterizzato da una profonda instabilità ed incertezza, sfociato in un’area di iperinflazione” …..

Il debito estero argentino è passato da 70.000 milioni di US $ del 1991 a oltre 140.000 milioni del 2001. Il deficit finanziario che ne è derivato è stato sempre finanziato mediante una continua emissione di titoli: da oltre 5-6.000 milioni di dollaro all’anno nel triennio 1993-1995, ad oltre 14-14.000 milioni di dollari all’anno tra il 1997 e il 2000. Questi fattori si ritiene fossero tutti ben noti alle banche italiane tant’è che è stata proposta di recente l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta ad hoc sui “Tango-bond” argentini di cui è stata data notizia dalla stampa (vedi Il Sole 24 Ore del 13 aprile 2004).

In data 23 dicembre 2001 l’Argentina ha dichiarato una moratoria sul debito pubblico, con conseguente interruzione del pagamento degli interessi e sospensione del rimborso dei capitali in scadenza.

A seguito di tale dichiarazione, in data 3 gennaio 2002 non è stata pagata la cedola (10%) di un prestito con scadenza 2007 e, a partire dalla fine di febbraio 2002, sono stati registrati casi di prestiti in scadenza e non rimborsati.

Infine, il Presidente della Repubblica Argentina con decreto 6 febbraio 2002, n. 256, ha attribuito facoltà al “Ministero de Economia” di intraprendere azioni di ristrutturazione del debito argentino e come noto le proposte di ristrutturazione del debito avanzate dal Governo argentino prevedono tutte un haircut e cioè un taglio in conto capitale pari al 75% del valore nominale.

Pertanto, allo stato attuale, sia il pagamento degli interessi che il rimborso del capitale dei titoli della Repubblica Argentina sono sospesi cosicché le obbligazioni argentine, attualmente, hanno sul mercato un valore pari al 20-25% del valore nominale del titolo con totale cancellazione degli interessi, così come più volte riportato dalla stampa (cfr. Il Sole 24 Ore 27 marzo 2004 doc. 9).

3. L’estratto conto al 30.6.2002 (doc. 4) del MPS indica che le obbligazioni argentine “codice titolo DXS0084071421” acquistate dall’attore per il prezzo complessivo di vecchie lire 242.450.875, pari ad euro 125.215,43 presentavano a tale data il valore effettivo di euro 27.000,00, con un danno economico già a tale data quantificabile in euro 98.215,43».

L’attore faceva presente di aver chiesto e ottenuto decreto ingiuntivo per la consegna del contratto e di tutti i documenti sottoscritti in occasione delle operazioni d’acquisto, ma che il Monte dei Paschi di Siena, in sede di esecuzione del decreto, aveva dichiarato di non aver reperito tale documentazione, ciò che lo aveva costretto a intraprendere un’azione ‘al buio’ senza poter disporre del contratto e altra documentazione che ‘di regola’ la Banca sottopone alla firma del cliente.

L’attore quindi si doleva della violazione da parte della Banca dell’obbligo di “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”, della violazione degli obblighi informativi nei confronti dell’investitore - previsti a tutela non solo degli interessi del cliente ma anche dell’integrità del mercato - e dell’obbligo di non effettuare operazioni in strumenti finanziari non adeguate al profilo finanziario del Cliente e/o in conflitto di interessi.

Ha sostenuto che la violazione di tali regole di condotta, aventi carattere di norme imperative, determini la nullità del contratto relativo all’operazione di negoziazione in conto proprio delle obbligazioni argentine ai sensi dell’art. 1418 CC o la risolubilità del contratto ai sensi dell’art. 1453 CC per inadempimento dell’intermediario, con obbligo di risarcimento di tutti i danni subiti dall’investitore a causa dell’investimento effettuato (il Monte dei Paschi di Siena Spa aveva venduto in contropartita diretta al Sig. B. Gino S. obbligazioni argentine detenute nel proprio portafoglio titoli).

Il danno emergente subito dall’attore è stato indicato nella somma al valore attuale di euro 98.215,43 quale differenza di valore dei titoli all’atto della vendita e alla data attuale[1].

Sulla base delle deduzioni di cui sopra l’attore rassegnava le seguenti conclusioni:

Voglia il Tribunale di Firenze, contrariis reiectis:

1) In tesi, dichiarare la nullità ex art. 1418 CC dei contratti inter partes 18 febbraio 1998 concernenti le operazioni di negoziazione nn. 20679 e 20686 delle Obbligazioni argentina 3.8.75 codice titolo DXS0084071421 per violazione dell’art. 17 D.L.vo 23.7.1996 n. 415 comma 1 lett. a) ora art. 21 comma 1 lett. a) D.L.vo 24.2.1998 n. 58, e/o per violazione dell’art. 17 D.L.vo 23.7.1996 n. 415 comma 1 lett. b) ora art. 21 comma 1 lett. b) D.L.vo 24.2.1998 n. 58, dell’art. 5 comma 1 lett. a) e b) e comma 2 della Delibera CONSOB 30 settembre 1997 n. 10943 ora art. 28, comma 1 lett. a) e b), comma 2 Delibera CONSOB 1 luglio 1998 n. 11522, e/o per violazione dell’art. 6 Delibera CONSOB 30 settembre 1997 n. 10943 ora art. 29 Delibera CONSOB 1 luglio 1998 n. 11522 e/o per violazione dell’art. 4 Delibera CONSOB 30 settembre 1997 n. 10943 ora art. 27 della Delibera CONSOB 1 luglio 1998 n. 11522 e per l’effetto condannare Banca Monte dei Paschi di Siena Spa a restituire ex art. 2033 CC a S. B. Gino la somma di euro 125.215,43 riscossa a titolo di prezzo oltre interessi legali dal dì del versamento (23.2.1998) sino all’effettivo rimborso;

2) in ipotesi, pronunciare la risoluzione ex art. 1453 CC dei contratti inter partes 18 febbraio 1998 concernenti le operazioni di negoziazione nn. 20679 e 20686 delle Obbligazioni argentine 3.8.75 codice titolo DXS0084071421per grave inadempimento di Banca Monte dei Paschi di Siena Spa agli obblighi dettati dalle norme di cui all’art. 17 D.L.vo 23.7.1996 n. 415 comma 1 lett. a) ora art. 21 comma 1 lett. a) D.L.vo 24.2.1998 n. 58, e/o all’art. 17 D.L.vo 23.7.1996 n. 415 comma 1 lett. b) ora art. 21 comma 1 lett. b) D.L.vo 24.2.1998 n. 58, all’art. 5 comma 1 lett. a) e b) e comma 2 della Delibera CONSOB 30 settembre 1997 n. 10943 ora art. 28, comma 1 lett. a) e b), comma 2 Delibera CONSOB 1 luglio 1998 n. 11522, e/o all’art. 6 Delibera CONSOB 30 settembre 1997 n. 10943 ora art. 29 Delibera CONSOB 1 luglio 1998 n. 11522 e/o all’art. 4 Delibera CONSOB 30 settembre 1997 n. 10943 ora art. 27 della Delibera CONSOB 1 luglio 1998 n. 11522, e per l’effetto condannare Banca Monte dei Paschi di Siena spa a restituire a S. B. Gino la somma di euro 125.215,43 riscossa a titolo di prezzo oltre interessi legali dal dì del versamento (23.2.1998) sino all’effettivo rimborso;

3) in ogni caso, condannare Banca Monte dei Paschi di Siena Spa a corrispondere a S. B. Gino a titolo di risarcimento danni, per le causali e violazioni di legge indicate in narrativa, la somma di euro 98.215,43 ovvero quella maggiore o minore somma che risulterà dovuta per accertamento di Giustizia, oltre interessi legali dalla mora (18.6.2003) sino all’effettivo rimborso;

4) condannare Banca Monte dei Paschi di Siena spa al pagamento delle spese, diritti ed onorari del presente procedimento, con distrazione a favore del procuratore antistatario ex art. 93 cpc”.


- La Banca si costituiva in giudizio e contrastava la domanda asserendo che al momento dell’acquisto (1998) le obbligazioni argentine avevano un andamento assolutamente regolare e quindi non esisteva motivo perchè la Banca dovesse prevedere l’insolvenza dello Stato argentino e informare di questa previsione parte attrice o addirittura segnalare l’inadeguatezza dell’operazione.

- Negava che ricorresse un conflitto di interessi in quanto il fatto di vendere titoli attingendo ad un proprio ‘paniere’ non era riferibile a tale ipotesi normativa (art. 21 TUF). Negava, in diritto, che potesse derivare la nullità dalla eventuale e denegata violazione delle norme imperative che attenevano alla fattispecie formativa del negozio e non al suo contenuto. Contestava anche la domanda di risoluzione del contratto perché sosteneva che l’esecuzione del contratto (i.e. il trasferimento dei titoli) era avvenuto regolarmente (gli obblighi che l’attore riteneva violati avrebbero comunque riguardato una fase precedente alla conclusione del contratto).

Contrastava infine la domanda di risarcimento dei danni asserendo che il danno sarebbe stato comunque meramente ipotetico perché avrebbe potuto verificarsi solo quando, alla scadenza dei titoli, non fosse stato rimborsato. Chiedeva quindi  il rigetto delle domande.


Con istanza depositata nella cancelleria del Tribunale il 5.7.2004, l’attore chiedeva al giudice di fissare l’udienza di discussione Con decreto depositato in cancelleria il 7.1.2005 il giudice non ammetteva le prove orali chieste dall’attore, differiva la decisione sulla ctu chiesta dall’attore all’esito del tentativo di conciliazione che disponeva per l’udienza di discussione collegiale del 15.2.2005.

Con memoria conclusionale depositata il 9.2.2005 la Banca reiterava le conclusioni di cui alla comparsa. Con memoria depositata il 9.2.2005 anche l’attore replicava alla comparsa avversaria e reiterava le conclusioni della citazione. Con ordinanza depositata il 6.7.2005 il Tribunale confermava il decreto del giudice relatore e fissava l’udienza per la discussione al 20.9.2005.

La causa veniva assunta in decisione all’udienza del 20.9.2005 nella quale si costituivano, in prosecuzione, gli eredi dell’attore, deceduto nel frattempo.


MOTIVI DELLA DECISIONE


1. La violazione degli obblighi di informazione nel caso di specie

1.1 Come risulta dalla narrativa, nel caso di specie l’attore si duole della violazione da parte della Banca degli obblighi di diligenza, dettati dall’art. 21 del T.U.F. e specificati negli articoli da 26 a 30 del Regolamento (obbligo di informazione passiva ed attiva, divieto di astenersi ad operare in situazione di conflitto d’interessi, divieto di porre in essere operazioni non adeguate). Si duole anche che la Banca non abbia mai consegnato la documentazione relativa alle obbligazioni argentine - contratto, prospetto rischi generali, etc – nonostante avesse ottenuto un decreto ingiuntivo al riguardo.

1.2 In punto di fatto, va rilevato che nel caso di specie è pacifico che la Banca abbia radicalmente violato gli obblighi di informazione attiva e passiva e gli obblighi di informarsi: non è contestato da parte della convenuta che tali informazioni siano mancate e nemmeno è contestata la mancata consegna al cliente del prospetto relativo ai rischi generali (la difesa della Banca è infatti incentrata sulla considerazione che, vertendosi in tema di titoli a basso rischio, non vi erano, a suo dire, i presupposti per l’osservanza dei predetti obblighi.). Deve anche ritenersi che nessun contratto - quadro ex art. 23 T.U.F. sia stato sottoscritto e che l’unica documentazione esistente siano i due documenti prodotti dall’attore relativi alla ‘conferma d’ordine di acquisto‘ delle obbligazioni argentine.

1.2 Occorre dunque, in primo luogo, verificare le conseguenze in diritto dei fatti accertati, ricordando che l’attore, richiamata la natura imperativa delle norme che prevedono i predetti obblighi di comportamento a carico della convenuta, ne trae la conseguenza della nullità degli ordini per violazione di norme imperative in forza della cosiddetta nullità virtuale (art. 1418 primo comma del codice civile). In subordine chiede la risoluzione degli ordini secondo le regole generali e, comunque, il risarcimento del danno.


2. Le conseguenze della violazione degli obblighi informativi sul piano giuridico

2.1  Per motivi di chiarezza appare anzitutto utile indicare quella, tra le molte ricostruzioni prospettate da dottrina e giurisprudenza, che il Collegio ritiene preferibile per inquadrare i casi di acquisto di titoli avvenuti con la violazione di molteplici obblighi posti a carico del venditore dalla normativa di settore.

2.2 Va in primo luogo tenuto presente che distinguendo tra loro i vari passaggi negoziali è possibile individuare specificamente gli atti giuridici che compongono la fattispecie e verificare quindi quale sia il rimedio contrattuale tecnicamente più corretto e nello stesso tempo qualificare le domande, avuto riguardo ai criteri elaborati al riguardo (vedi infra). In particolare, considerando la normativa speciale in tema di prestazioni di servizi di investimento e accessori, è bene distinguere: a) il “contratto relativo alla prestazione dei servizi d’investimento” (art. 23 del TUF); b) l’ordine di acquisto rivolto alla Banca dal cliente, al quale consegue la negoziazione dei titoli; c) l’atto di negoziazione, che è l’atto di acquisto (negoziazione per conto terzi:art. 1, comma 5, lett. b, del T.U.F.), ovvero il mero trasferimento (negoziazione per conto proprio, art. 1, comma 5, lett. a, del T.U.F.), dei titoli effettuato dalla banca (questi sono quelli che interessano nel caso in esame, ovviamente altri possono essere i servizi di investimento: vedi l’art. 1, comma V, T.U.F.).

2.3 Per il contratto relativo alla prestazione di servizi d’investimento, che dottrina e giurisprudenza definiscono contratto-quadro,l’art. 23 del T.U.F. prescrive, a pena di nullità (relativa), il requisito della forma scritta. Il contenuto del contratto è invece disciplinato dall’art. 30 del Regolamento Consob che prevede alcune indicazioni obbligatorie.[2]

2.4 L’ordine, con il quale il cliente domanda all’intermediario autorizzato la prestazione di un servizio finanziario di negoziazione,non deve, invece, necessariamente rivestire la forma scritta. L’art. 29 del Regolamento Consob impone un requisito formale per l’ordine solo nel caso di operazione non adeguata, in relazione alla quale il requisito formale è soddisfatto dalla registrazione telefonica dell’ordine verbale (che è ammesso in alternativa alla forma scritta[3]). Nelle operazioni di negoziazione adeguate al profilo di rischio dell’investitore è valido l’ordine verbale anche non documentato su nastro magnetico o su supporto equivalente mentre l’ordine relativo ad operazioni che siano giudicate non adeguate deve quantomeno essere registrato su tali supporti.[4]

2.5 Nel caso di specie, come anche nella maggior parte delle controversie venute all’attenzione dei giudici in questo settore, uno dei problemi centrali è di verificare quale rilevanza assuma la violazione degli obblighi di diligenza posti a carico della Banca dettati dall’art. 21 del T.U.F. (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria)[5] e specificati negli articoli da 26 a 30 del Regolamento (obbligo di informazione passiva ed attiva, divieto di astenersi ad operare in situazione di conflitto d’interessi, divieto di porre in essere operazioni non adeguate),[6] obblighi che, secondo la tesi preferibile, costituiscono espressione dei principi di correttezza e buona fede in materia contrattuale, di cui agli artt. 1175, 1337, 1338, 1375 cc. Con riferimento particolare ai doveri di informazione, le tesi che sono state affermate sono di varia natura, ma due sono quelle che appaiono più rilevanti perché si confrontano sulla tradizionale distinzione tra regole di validità e regole di comportamento  in campo contrattuale.


3. La tesi della nullità degli ‘ordini’ e successivi negozi di attuazione per violazione di norma imperativa

3.1 Una parte della giurisprudenza ritiene che la violazione di tali obblighi determini la nullità degli ‘ordini’ di acquisto degli strumenti finanziari negoziati - non sempre specificamente qualificati  – ovvero la nullità dell’‘operazione di investimento’. Si fa discendere tale conseguenza dalla natura imperativa, ex art. 1418 cc, delle norme che vengono in campo, in considerazione della natura generale degli interessi tutelati (tutela del risparmio, diligenza degli intermediari, regolarità ed integrità dei mercati).[7]

3.2 Alcuni dei precedenti relativi a tale filone giurisprudenziale si richiamano alle sentenze della Corte di Cassazione pronunciate con riferimento all’analoga disciplina contenuta nella legge 2 gennaio 1991, n. 1, recante la disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sui mercati mobiliari (Cass. 7 marzo 2001, n. 3272; Cass. 5 aprile 2001, n. 5052). La fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione riguardava la conclusione da parte di una società per azioni di un contratto di Domestic Indixed Swap, la cui stipulazione è riservata dalla legge (art. 2 della legge n. 1 del 1991) alle società dette S.I.M.; in relazione a tale fattispecie la Corte di Cassazione affermò la nullità “virtuale” del contratto, intesa quale strumento di controllo normativo utile, insieme ad altri, a non ammettere alla tutela giuridica interessi in contrasto con valori fondamentali del sistema. La Corte, in tali decisioni, affermò che la violazione di una regola di comportamento può riflettersi sull’atto compiuto in violazione della norma rendendolo nullo: a queste decisioni si sono richiamate molte delle sentenze di merito favorevoli alla tesi della nullità.[8]


4. La tesi della responsabilità per inadempimento

Secondo un diverso filone di pensiero la violazione degli obblighi di dilgenza di cui si discute costituisce violazione degli obblighi sorti dall’esecuzione del cd contratto–quadro o contratto generale di investimento e quindi sarebbe più agevolmente inquadrabile nel tema della responsabilità da inadempimento e non della nullità.[9] Rientra in questo secondo filone di pensiero la ricostruzione secondo cui, partendo dalla qualificazione del cd contratto cd quadro, ossia del “contratto relativo alla prestazione di servizi di investimento”, di cui all’art. 23 T.U.F. e 30 reg. Consob, come un mandato a comprare e vendere prodotti finanziari, si afferma che l’ordine e l’atto di negoziazione dei titoli non avrebbero un’autonoma causa negoziale ma troverebbero il loro fondamento causale nel contratto d’investimento. In sostanza, secondo tale prospettiva, l’ordine sarebbe una direttiva del mandante al mandatario (art. 1711, II co. cc) e l’atto di negoziazione si configurerebbe come un atto di attuazione del mandato: questo consentirebbe di configurare la violazione degli obblighi di informazione come violazione di obblighi assunti con il contratto-quadro, <>.[10]


5. Introduzione alla tesi accolta

5.1 Il Tribunale ritiene di aderire in primo luogo alla prospettiva che riconduce la fattispecie sul piano della responsabilità per inadempimento, con alcune precisazioni in ordine alle conseguenze che ne discendono.

5.2. In primo luogo va rilevato che sulla questione interpretativa non rileva il carattere imperativo o meno delle norme in questione, carattere che comunque nessuno pone seriamente in discussione in quanto si tratta di norme volte a tutelare interessi di carattere generale, che vanno dalla tutela dei risparmiatori uti singuli a quella del risparmio pubblico, come elemento di valore dell’economia nazionale, a quella stabilita della stabilità del sistema finanziario, come considerata dalla Dir. 93/22/CEE del 10 Maggio 1993; (...) a quella di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari con vantaggio per le imprese e per la economia tutta, interessi tutti prevalenti su quelli del privato, che pure di riflessone rimane tutelato[11])

5.3 Ribadita la natura imperativa delle norme di cui si tratta  resta tuttavia da verificare come la violazione si rifletta rispetto al negozio: il Tribunale ritiene che non sia condivisibile l’affermazione, pure contenuta espressamente in alcune decisioni, secondo cui la violazione della regola di comportamento inciderebbe sul momento genetico del contratto di investimento, minandone sin dall’inizio la sua legittimità.[12] Va infatti rilevato che, per affrontare la questione, occorre: a) distinguere le regole di validità dei contratti dalle regole di comportamento che attengono alla fase pre-contrattuale o alla fase esecutiva del contratto; b) verificare su quale negozio vada ad incidere la violazione degli obblighi informativi di cui si tratta.

5.4 La violazione è sicuramente successiva alla stipulazione del contratto-quadro disciplinato dall’art. 23 T.U.F. e 30 del reg. Consob e, a volte, anche agli ordini di investimento (ad esempio, la violazione della regola che impone alla Banca di segnalare la inopportunità di effettuare le operazioni ordinate dal cliente quando non siano adeguate: art. 29, co. 3 del reg Consob); in ogni caso, anche avuto riguardo al negozio di attuazione del contratto di investimento (l’acquisto dei titoli o il mero trasferimento dei medesimi al cliente nel caso di negoziazione in conto proprio) la violazione dei doveri informativi – che precede il negozio stesso - non riguarda il modello normativo perché non concerne gli elementi soggettivi, oggettivi e formali dell’atto: il richiamo alle sentenze della Suprema Corte in tema di contratti stipulati da società non abilitate perché non iscritte nell’albo delle S.I.M. non appare pertanto pertinente: in quei casi la Corte ha potuto svolgere un raffronto tra la fattispecie e il modello legale per desumerne la nullità (virtuale) in quanto ha potuto ravvisare la mancanza di un elemento della fattispecie (ad esempio il requisito soggettivo); nel caso in esame invece la violazione dell’obbligo di informazione cade al di fuori del modello negoziale: la fattispecie è conforme a quella legale dal punto di vista strutturale; la violazione riguarda invece un comportamento che attiene alla fase di formazione del singolo negozio in cui si concretizza l’investimento e che anzi, se si accede alla prospettiva indicata oltre al punto 7, attiene, ancor prima, anche alla fase di esecuzione del contratto di servizi di investimento previsto dall’art. 23 T.U.F.: in ogni caso si configura, non come violazione di una regola di validità, ma come inadempimento ad obblighi di condotta.

5.5 Tale conclusione è ora avvalorata da una recente sentenza della Corte di cassazione (29 settembre 2005, n. 19024[13]) che, pur con riferimento alla normativa di settore del 1991,[14] ha affermato un principio che appare valido anche nel vigore di quella attuale: «La nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell'art. 1418, comma 1, c.c., postula che siffatta violazione attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contratto, e quindi l'illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative per la formazione del contratto, ovvero nella sua esecuzione, non determina la nullità del contratto, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento a detta ipotesi, come accade nel caso disciplinato dal combinato disposto degli art. 1469 ter, comma 4, e 1469 quinquies, comma 1, c.c., in tema di clausole vessatorie contenute nei cd. contratti del consumatore, oggetto di trattativa individuale.» In applicazione di questo principio, la S.C. ha escluso che l'inosservanza degli obblighi informativi stabiliti dall'art 6 della legge n. 1 del 1991, concernente i contratti aventi ad oggetto la compravendita di valori mobiliari, cagioni la nullità del negozio.[15]

 

6. La responsabilità nella formazione del contratto (art. 1440 cc)

Esclusa la nullità, per i motivi anzidetti, si tratta ora di approfondire su quale piano – diverso da quello della validità del contratto - assuma rilevanza la violazione degli obblighi di informazione. Al riguardo, la pronuncia della SC menzionata al punto che precede, dopo aver ricollegato la violazione dell’obbligo informativo alla violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, stabilito dall'art. 1337 cc, ha affermato che tale violazione assume rilievo, non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche, quale dolo incidente (art. 1440 c.c.), se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto,[16] ha quindi stabilito che, in tale ipotesi, il risarcimento del danno debba essere commisurato al "minor vantaggio", ovvero al "maggior aggravio economico" prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l'esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.Come si vede la sentenza considera l’obbligo informativo in relazione alla conclusione del negozio di acquisto dei titoli e dunque in una fase pre-contrattuale (fase delle trattative e della formazione del contratto): data tale impostazione la tutela della parte danneggiata, che sarebbe compromessa se si facesse valere il principio secondo cui la valida conclusione del contratto escluderebbe il risarcimento del danno, viene raggiunta richiamando la figura del dolo incidente (art. 1440 cc).


7. La responsabilità contrattuale per inadempimento agli obblighi di informazione

7.1 Il collegio ritiene che la tesi per cui il comportamento contrario a buona fede possa fondare una pretesa risarcitoria anche in caso di validità ed efficacia del contratto (come nel caso dei cd vizi incompleti del negozio che, pur nella validità ed efficacia del medesimo, generano una responsabilità per danni: tipico esempio è appunto il dolo incidente) sia di per sé condivisibile. Tuttavia, nel caso di specie, trascura la natura contrattuale degli obblighi di informazione: da un punto di vista funzionale questi sono indirizzati alla conclusione dei singoli contratti relativi alle operazioni di investimento; da un punto di vista genetico, però, nascono dal contratto-quadro, che tali singoli contratti deve necessariamente precedere.

Va ricordato, in generale, che il movimento di tutela del consumatore, con riferimento alla esigenza di porre rimedio alla asimmetria informativa che caratterizza sempre più il rapporto tra il consumatore e i soggetti della catena di produzione e distribuzione di prodotti e servizi, ha portato in molti casi - in particolare proprio nel settore bancario, creditizio e finanziario - a ricondurre nell’alveo contrattuale gli strumenti di informazione precontrattuale.

L’esigenza di ovviare alla ‘debolezza conoscitiva’ da parte di uno dei contraenti è alla base del neo-formalismo di protezione (la forma funzionale all’informazione, la cui mancanza genera una nullità relativa: art. 23 T.U.F.) e induce alla conformazione del contratto (art. 30 Reg. Consob), in particolare, attraverso la previsione di un contenuto obbligatorio circa le modalità con cui l’investitore può impartire ‘ordini e istruzioni’, le caratteristiche dei servizi forniti, etc.: in tale contesto, l’adeguata informazione (indicata ora come oggetto di un diritto fondamentale del consumatore dal cd codice del consumo di cui al D. lgs. 6.9.2005, n. 206) non è più attinente alla fase anteriore alla formazione del contratto ma diviene oggetto di obblighi inerenti la prestazione contrattuale, previsti ex lege al momento della conclusione del contratto sui servizi di investimento. Certamente gli obblighi sono funzionali a informare in vista dell’operazione economica di riferimento e incidono anche in una fase anteriore al compimento di questa: tuttavia, anche indipendentemente dalla qualificazione giuridica di quest’ultima,[17] quello che rileva è che il comportamento di reticenza, disinformazione, omissione dell’acquisizione di informazioni necessarie da parte dell’informante e così via costituiscono prima ancora comportamenti di esecuzione del contratto di prestazione di servizi di investimento previsto dall’art. 23 TUF e 30 reg. Consob.In altri termini, il legislatore richiede obbligatoriamente, per i servizi di investimento, che questi siano prestati nell’ambito di un regolamento contrattuale di tipo normativo, che, secondo quella che appare la qualificazione preferibile, disciplina le modalità da osservare nella stipulazione dei singoli contratti di mandato collegati al cd contratto-quadro: l’ordine appare qualificabile come proposta contrattuale di un contratto di mandato che si perfeziona con l’inizio dell’esecuzione ex art. 1327 cc: la negoziazione costituisce l’attuazione del mandato (o più precisamente commissione) e, nel caso sia svolta per conto terzi, porterà all’acquisto da parte del mandatario dei titoli da terzi: ai sensi dell’art.1706, I co., cc con tale atto si verifica l’immediato trasferimento dei titoli in capo al mandante (effetto reale del mandato ad acquistare cose mobili); nel caso di negoziazione in conto proprio l’intermediario-commissionario è contraente in proprio e trasferisce, in attuazione del mandato, i titoli che sono già di sua proprietà (art. 1735 cc).

In ogni caso, gli obblighi di comportamento che il mandatario deve osservare quanto all’informazione nascono già al momento in cui viene perfezionato il regolamento normativo di cui vengono a far parte ex art. 1374 cc:[18] al di là delle espressioni letterali usate nelle regole relative ai doveri informativi (ricondotti genericamente alle prestazioni di servizi di investimenti: art. 21 T.U.F.; oppure al momento che precede l’inizio dei servizi di investimento: art. 28 Reg. Consob), appare ragionevole, sotto il profilo sistematico e teleologico, ricollegare al momento di stipulazione del contratto-quadro, che presiede allo svolgimento dei servizi di investimento (tanto rilevante da dover avere forma scritta, al contrario dei successivi ‘ordini’), anche i doveri relativi ai flussi informativi. Può osservarsi, a questo proposito, che, nella maggior parte dei casi, gli obblighi di informazione sarebbero stati, comunque, qualificabili come obblighi contrattuali - perché inerenti alla complessa prestazione assunta dall’intermediario con il singolo contratto di mandato ad acquistare o vendere prodotti finanziari – anche nell’ipotesi che essi non fossero stati dettagliatamente indicati dalla normativa di settore e non fosse stato previsto il contratto-quadro quale condizione per lo svolgimento dei servizi di investimento: tali obblighi, infatti, sarebbero stati, comunque inquadrabili, tenuto conto della asimmetria informativa tra cliente e professionista, fra gli obblighi di correttezza che presiedono la materia contrattuale ex artt.1375, 1175 cc, specie tenuto conto della tendenza ad estendere gli obblighi contrattuali sulla base, appunto, del criterio di buona fede come dovere di solidarietà.[19] Appare pertinente, al riguardo, anche il richiamo al dovere del professionista sanitario di informare adeguatamente il paziente sull’iter terapeutico o chirurgico da seguire e i relativi rischi e alla natura contrattuale di tale obbligo informativo, che consegue alla fase diagnostica dell’attività medica ed è inerente alla complessa prestazione professionale assunta dal medico. [20]

7.3 D’altronde, la norma dell’art. 1440 cc non sembra si presti del tutto a qualificare  la vicenda sotto il profilo della formazione del consenso.Al riguardo è vero che la SC ha avuto modo di affermare che in tema di dolus incidens (art. 1440 c.c.), e con riguardo all'azione di risarcimento del conseguente danno, l'attore, una volta provata l'esistenza di un raggiro su un elemento non trascurabile del contratto, non è tenuto a provare altro ai fini dell' an debeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum che senza la condotta illecita, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi per lui più favorevoli.[21] Tuttavia, la natura del contratto nel caso di specie è tale da rendere difficilmente operante la presunzione, potendosi escludere che, con una diversa e adeguata informazione, il contratto sarebbe stato stipulato a condizioni diverse: lo scenario ipotetico che si apre è piuttosto quello di un’alternativa tra la stipulazione del contratto alle stesse condizioni (con consapevole assunzione del rischio) ovvero il rifiuto di stipulazione di quel contratto e la negoziazione di un contratto diverso (ad esempio, perché avente ad oggetto titoli o prodotti finanziari di altra natura).[22]


8. La risolubilità del contratto-quadro e la nullità dei successivi contratti di mandato

In base a quanto osservato, la violazione degli obblighi informativi non potrebbe portare alla dichiarazione di nullità del contratto-quadro, né, di per sé, dei successivi contratti, ma rileverebbe quale inadempimento del mandatario ai fini della risoluzione del contratto.

Va infatti sottolineato che, una volta percorsa la via di ricondurre la violazione delle regole di condotta al piano della responsabilità per inadempimento, occorre trarne tutte le conseguenze, a cominciare dall’applicazione delle norme di cui agli artt 1453, 1455 cc: quindi, ricorrendo la non scarsa importanza dell’inadempimento, deve ammettersi la risolubilità del contratto-quadro perché è rispetto a questo contratto che l’intermediario risulta inadempiente. Una volta travolto il contratto-quadro, non ricorre, però, alcuna ragione per ritenere, come pure è stato sostenuto, che ne consegua la risolubilità ’a cascata’ dei negozi che sono attuativi del regolamento normativo, ossia degli ‘ordini’ e i conseguenti ‘atti di acquisto’ dei titoli.

Rispetto ai singoli ordini, accettati ex art. 1327 cc - cioè ai singoli contratti di mandato - non si ravvisa infatti la violazione di regole di comportamento: la violazione del dovere di informazione va valutata in relazione all’esecuzione del contratto-quadro, mentre, rispetto ai successivi atti negoziali, non v’è inadempimento di obbligazioni contrattuali che legittimi l’applicazione dell’art. 1453 cc.

Il meccanismo con cui la risoluzione del contratto-quadro riverbera i suoi effetti sui contratti stipulati sul suo fondamento sembra invece diverso: secondo la ricostruzione qui accolta, come si è già detto, il singolo ‘ordine’ è in realtà una vera e propria proposta di contratto di mandato, che si conclude poi, ex art. 1327 cc, mediante l’esecuzione, consistente nell’acquisto, o trasferimento, dei titoli: tuttavia i contratti stipulati al di fuori della precedente stipulazione del contratto-quadro appaiono nulli perché manca un requisito imposto obbligatoriamente dalla legge: qui sì che può operare il raffronto, di cui si è detto sopra, tra la fattispecie legale delineata dalle norme imperative e la fattispecie concreta e può ravvisarsi una deficienza strutturale, ben potendo questa essere attinente, non solo al contenuto, alla forma, alla causa del negozio, ma anche ai requisiti soggettivi o a particolari presupposti indicati dalla legge. Se il presupposto imperativamente richiesto dalla disciplina speciale viene meno per effetto della risoluzione, consegue la nullità dei singoli contratti di mandato: questo, a sua volta, comporta che il trasferimento dei titoli, verificatosi ex art. 1706 I co. cc, venga meno e la proprietà dei beni torni in capo all’intermediario (rectius: al mandatario),[23] egualmente verrà meno l’effetto traslativo conseguente alla negoziazione in proprio che trovava nel mandato, dichiarato nullo, il suo fondamento (anche in tal caso i titoli rientreranno nella titolarità dell’intermediario); in entrambi casi, venendo meno la causa gestoria, è eliminata la causa dell’attribuzione patrimoniale effettuata dal cliente investitore che ha diritto alla restituzione delle somme versate per l’acquisto dei titoli (art.1719 cc).

La nullità dei singoli contratti di mandato – ordini - pertanto non consegue direttamente alla violazione degli obblighi di comportamento, ma, in via indiretta, alla risoluzione del contratto-quadro.


9. La mancanza del contratto-quadro

 Quanto sin qui osservato conduce agevolmente a risolvere anche la questione che si pone quando nessun contratto scritto ex art. 23 T.U.F., con il contenuto prescritto dall’art. 30 del Regolamento Consob, risulti essere stato stipulato.

Secondo alcuni , in tal caso, le operazioni di negoziazione poste in esecuzione degli ordini emessi in assenza del contratto – quadro sarebbero nulle per mancanza di causa perché poste in essere in attuazione di un mandato inesistente o nullo per difetto di forma e dunque in assenza di una causa gestoria.[24]

Secondo la ricostruzione qui accolta, in una prospettiva solo parzialmente dissimile, la mancanza del contratto-quadro, sia originaria, sia quando  consegua alla pronuncia di risoluzione, determina la nullità virtuale dei singoli mandati e fa venir meno la causa dell’attribuzione patrimoniale di quanto il mandante abbia versato per l’esecuzione del mandato e l’adempimento delle obbligazioni che il mandatario ha assunto.


10. Accoglimento della domanda di nullità nel caso di specie

10.1 Nel caso in esame è pacifico che il contratto-quadro non sia mai stato stipulato.La domanda di nullità degli ordini va dunque accolta in base alle ragioni che si sono esposte (ed appare superfluo, a questo punto, esaminare l’ulteriore profilo del conflitto d’interessi dedotto dall’attore).

10.2 Per completezza va solo ricordato che di recente la Corte di Cassazione ha precisato i limiti del rilievo officioso della nullità affermando il seguente principio: «Il principio della rilevabilità d'ufficio della nullità dell'atto va necessariamente coordinato con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e trova applicazione soltanto quando la nullità si ponga come ragione di rigetto della pretesa attorea (ad esempio: di esecuzione di un contratto nullo), non anche quando sia invece la parte a chiedere la dichiarazione di invalidità di un atto ad essa pregiudizievole, dovendo in tal caso la pronuncia del giudice essere circoscritta alle ragioni di illegittimità denunciate dall'interessato, senza potersi fondare su elementi rilevati d'ufficio o tardivamente indicati, giacché in tal caso l'invalidità dell'atto si pone come elemento costitutivo della domanda attorea (nella specie, riferita a domanda di simulazione assoluta di un contratto per insussistenza del credito, la SC ha confermato la sentenza d'appello, che aveva dichiarato inammissibile la domanda perché proposta per la prima volta in sede di impugnazione)». [25]

Il collegio ritiene che, nel caso di specie, non possa porsi una questione di corrispondenza tra chiesto e pronunciato anche se la nullità viene dichiarata in base ad una ricostruzione parzialmente diversa da quella prospettata dall’attore. Questi infatti ha posto a base della domanda di nullità, non solo la violazione degli obblighi informativi, ma anche tutti gli altri profili indicati come violazione delle norme imperative che presiedono la materia degli investimenti mobiliari, tra cui la mancanza del contratto-quadro di cui all’art. 23 T.U.F.

Pertanto, indipendentemente dal percorso logico seguito o dalla formulazione letterale delle conclusioni, il collegio, avuto riguardo ai criteri di interpretazione della domanda giudiziale,[26] ritiene che la pronuncia di nullità sia conforme a quanto richiesto, in proposito, dall’art. 112 cpc (al riguardo la SC ha spesso affermato che uno dei fondamenti della regola di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, posta dall'art. 112 cpc, deve essere individuato nel rispetto del principio del contraddittorio, garantito solo dalla possibilità per il convenuto di cogliere l'effettivo contenuto della domanda formulata nei suoi confronti e di svolgere dunque una effettiva difesa.[27] Ora, la domanda dell’attore, articolata e complessa, ha consentito certamente alla convenuta di cogliere l’essenza della domanda, volta a porre nel nulla gli atti in cui si sono concretizzate le operazioni che hanno portato all’acquisto delle obbligazioni argentine e ad ottenere, in via principale, la restituzione delle somme versate per l’acquisto.

10.3. Va dunque dichiarata la nullità dei mandati conferiti dall’attore Gino B. S. alla Banca Monte dei Paschi di Siena spa volti all’acquisto delle obbligazioni argentine di cui alle operazione di negoziazione n. 20679 e n. 2068 e di conseguenza, in accoglimento della domanda di restituzione, la convenuta va condannata a restituire la somma di euro 125.215,43 versata dall’attore alla Banca per l’acquisto, oltre ad interessi legali dal dì del versamento alla data di pubblicazione della sentenza. Gli interessi vanno restituiti dal giorno del pagamento in quanto la Banca non può essere considerata soggetto possessore di buona fede ex art. 2033 cc, essendo dimostrato che non era stato stipulato il contratto-quadro (mentre la disciplina ricordata vieta agli intermediari di effettuare operazioni di investimento senza un tale regolamento preventivo).

10.4 L’attore (e, per lui, i suoi eredi) è, a sua volta, tenuto alle restituzioni dei titoli alla Banca per effetto della declaratoria di nullità di mandati che travolge il trasferimento dei titoli. Tuttavia il collegio non può pronunciare la condanna alla restituzione in quanto la Banca convenuta si è limitata a chiedere il rigetto delle domande dell’attore e non ha formulato alcuna domanda riconvenzionale, nemmeno in via subordinata e conseguenziale. 10.5. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.


P.Q.M.


definitivamente pronunziando nella causa in epigrafe:

1) dichiara la nullità dei contratti di mandato stipulati in data 18.2.1998 tra l’attore Gino B. S. e la Banca Monte dei Paschi di Siena spa volti all’acquisto di Obbligazioni argentine 03.8.75 codice titolo DXS0084071421 e dichiara la mancanza di causa dell’attribuzione patrimoniale effettuata in base a tali negozi dall’attore;

2) per l’effetto, condanna la Banca a restituire a Susanna e Niccolò S. Ricci, quali eredi di Gino B. S., la somma di 125.215,43 euro, oltre interessi al saggio legale dal 18.2.1998 alla data di pubblicazione della sentenza;

3) condanna la convenuta a rifondere al difensore degli attori, dichiaratosi antistatario, le spese di lite, che liquida in complessivi euro 12386,74, oltre iva e cpa, come da nota professionale prodotta.


Così deciso nella camera di consiglio del 18.10.2005. Il Presidente estensore

 


[1] Si legge al riguardo in citazione: «3.8.75 codice titolo DXS0084071421 e tali obbligazioni hanno attualmente sul mercato un valore di euro 27.000,00 pari al 21,5% del valore nominale, con una perdita secca del 78,50% del capitale investito e la totale cancellazione degli interessi, così come indicato nell’estratto conto al 30.6.2002 del MPS (Doc. 4)».  

[2] Art. 30: (Contratti con gli investitori) 1. Gli intermediari autorizzati non possono fornire i propri servizi se non sulla base di un apposito contratto scritto; una copia di tale contratto è consegnata all'investitore. 2. Il contratto con l'investitore deve: a) specificare i servizi forniti e le loro caratteristiche; b) stabilire il periodo di validità e le modalità di rinnovo del contratto, nonché le modalità da adottare per le modificazioni del contratto stesso; c) indicare le modalità attraverso cui l'investitore può impartire ordini e istruzioni; d) prevedere la frequenza, il tipo e i contenuti della documentazione da fornire all'investitore a rendiconto dell'attività svolta; e) indicare e disciplinare, nei rapporti di negoziazione e ricezione e trasmissione di ordini, le modalità di costituzione e ricostituzione della provvista o garanzia delle operazioni disposte, specificando separatamente i mezzi costituiti per l'esecuzione delle operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati e warrant ; f) indicare le altre condizioni contrattuali eventualmente convenute con l'investitore per la prestazione del servizio. 3. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alla prestazione dei servizi: a) di collocamento, ivi compresi quelli di offerta fuori sede e di promozione e collocamento a distanza; b) accessori, fatta eccezione per quelli di concessione di finanziamenti agli investitori e di consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari».

[3] Art. 29 (Operazioni non adeguate) 1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 2. Ai fini di cui al comma 1, gli intermediari autorizzati tengono conto delle informazioni di cui all'articolo 28 e di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi pre