Tributario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 23/11/2016 Scarica PDF
Ancora in tema di prelevamenti nelle indagini finanziarie. Punto della situazione alla luce di recenti pronunce della Giurisprudenza di legittimità
Nicola D'Alessandro, Ufficiale Superiore della Guardia di FinanzaSommario: 1. Premessa. – 2. I Principi stabiliti dalla Consulta nell’ottica della successiva Giurisprudenza di legittimità. – 3. Ulteriori interessanti sviluppi di recente Giurisprudenza di legittimità. – 4. Considerazioni finali.
1. Premessa
L’intervento della Corte Costituzionale, in tema di presunzione di imponibilità dei prelevamenti non giustificati ascrivibili ai lavoratori autonomi, ha generato ampio ed interessante dibattito, sia in dottrina che in giurisprudenza, posto che, in virtù della sentenza n. 228, del 6 ottobre 2014, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale[2] dell’art.32, co.1, n.2), secondo periodo, del D.P.R. n.600/73, come modificato dall’art.1 della Legge n.311/2004, limitatamente alle parole “o compensi”.
Il decisum si fonda invero sull’assunto secondo cui è arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti e depositi, bancari e postali, effettuati da un lavoratore autonomo, siano destinati ad essere reinvestiti “in nero” nell’ambito della propria attività professionale e che tutto ciò, conseguentemente, generi reddito tassabile (occultato al Fisco).
L’impatto dell’intervento ablativo della Consulta, è chiaramente orientato a limitare l’operatività ed efficacia della presunzione (legale relativa) sui prelevamenti dei lavoratori autonomi, ex citato art. 32 del D.P.R. n. 600/73, nulla statuendo sia in tema di versamenti che in tema di ricaduta sull’I.V.A..
2. I Principi stabiliti dalla Consulta nell’ottica della successiva Giurisprudenza di legittimità
A seguito della decisione innanzi citata, la Suprema Corte[3] ha espresso non pochi principi interpretativi che, nel recepire la statuizione della Consulta, ne hanno tuttavia esteso inopinatamente gli effetti (di inoperatività della presunzione legale) anche ai versamenti effettuati sui conti e depositi riconducibili alo svolgimento di attività professionali.
L’“estensione” ai versamenti, che, come detto, non appare rinvenibile nella decisione in parola, sembrerebbe fondata, leggendo la parte motiva delle sentenze di Cassazione in rassegna, sul principio secondo cui proprio a seguito della citata pronuncia della Corte Costituzionale, non è più proponibile l’equiparazione logica (logico-presuntiva) tra attività d’impresa ed attività professionale, equiparazione fatta, ai fini dell’operatività della presunzione legale ex art. 32 D.P.R. 600/73, dalla Giurisprudenza di legittimità per le annualità anteriori al 2005, anno in cui entrò in vigore la Legge n. 311/2004 (cd. “Finanziaria 2005”) che introdusse il termine “o compensi”, ora cassato dalla Consulta.
Tuttavia, la correlazione logico-presuntiva tra costi e ricavi, tipica dell’esercente attività d’impresa[4] e caratterizzata dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi in vista di futuri ricavi, è stata ritenuta dalla Consulta, con la citata sentenza n. 228/2014, estranea all’attività del lavoratore autonomo, e, in particolare, dell’esercente attività libero-professionali, connotate, queste ultime, dalla preminenza del lavoro proprio e dalla marginalità dell’apparato organizzativo; marginalità degradante, sin quasi a sparire nelle professioni liberali.
Orbene, detta correlazione logico-presuntiva si riferisce chiaramente agli investimenti nell’ottica di conseguenti ricavi, e, quindi, ai prelevamenti, che costituirebbero eventuali investimenti “in nero”, non essendo invece in alcun modo riconducibile ai versamenti, i quali, per contro, costituiscono un’operazione di segno tecnicamente opposto al prelevamento e che fondano un’evidente presunzione (legale relativa) di ricavi/compensi “in nero”, se non transitati in contabilità.
Risulta, pertanto, incomprensibile a chi scrive, l’estensione dell’inefficacia della presunzione ex art. 32 D.P.R. 600/73 anche ai versamenti non transitati in contabilità, operati dai lavoratori autonomi sui propri conti e depositi bancari e/o postali; ciò, giova ribadirlo, proprio sulla base di quanto statuito dalla stessa Consulta che ha fondato tutta la sua pronuncia sulla irrazionalità, per i lavoratori autonomi, dell’applicazione della correlazione logico-presuntiva tra costi (prelevamenti/investimenti) e ricavi/compensi (redditi), e non tra versamenti e ricavi (redditi) del professionista/lavoratore autonomo.
3. Ulteriori interessanti sviluppi di recente Giurisprudenza di legittimità
Una recente pronuncia della Suprema Corte[5], nel confermare il non condivisibile, ad avviso di chi scrive, principio di non applicabilità della presunzione legale ex art. 32, co.1, n.2), secondo periodo, del D.P.R. n.600/73 anche ai versamenti non transitati in contabilità operati sui propri conti e depositi dai lavoratori autonomi, ha tuttavia introdotto un interessante assunto in base al quale, a prescindere dalle risultanze delle indagini finanziarie (bancarie, in particolare), sia comunque possibile fondare una legittima pretesa di recupero a tassazione di base imponibile IRPEF sottratta al Fisco, sulla base di presunzioni, anche semplicissime, operanti, nella fattispecie, in sede di accertamento induttivo ex art. 39, co. 2, D.P.R. n. 600/73.
In particolare, la Corte di Cassazione ha sostenuto che l’inoperatività, a seguito della dichiarata parziale illegittimità costituzionale, della presunzione ex citato art. 32 del D.P.R. n.600/73, e, quindi, degli accertamenti bancari esperiti a carico del contribuente, non è di per se sufficiente ai fini dell’accoglimento della tesi del contribuente/libero professionista circa la non legittima ricostruzione di una maggiore base imponibile ai fini IRPEF da parte dell’Agenzia fiscale.
In tal senso, infatti, devono essere adeguatamente valorizzati gli ulteriori elementi probatori, evidenzianti da soli maggiori ricavi/compensi, acquisiti in sede di accesso ed ignorati dai Giudici di merito; di conseguenza, la Suprema Corte ha rinviato la causa al Giudice di seconda istanza per un nuovo esame.
4. Considerazioni finali
Tali considerazioni, certamente, valgono ai fini delle Imposte sui redditi; quid iuris in materia di I.V.A.?
Sul punto, infatti, nulla statuisce la Corte Costituzionale (Sentenze n. 225/2005 e 228/2014) sull'applicabilità della presunzione legale in argomento ai prelevamenti dai conti correnti/depositi dei lavoratori autonomi in tema di I.V.A.
A tal riguardo, chi scrive è dell’avviso che, fino a quando non ci sarà un intervento dell'Agenzia delle entrate, detta presunzione, in via prudenziale, non vada applicata ai citati prelevamenti (e non anche ai versamenti, s’intende) in tema di I.V.A.
In caso contrario, infatti, si creerebbe
un’irrazionale e distorta applicazione dei principi sanciti dalla Consulta con
la citata sentenza n. 228/2014 circa la non omogeneità di trattamento tra
imprenditore e lavoratore autonomo, e, soprattutto, l’arbitrarietà dell’ipotesi
che un prelievo ingiustificato eseguito
da un lavoratore autonomo sia destinato ad un investimento nell'ambito della
propria attività professionale e che questo, a sua volta, sia produttivo di
reddito.
A ciò si
aggiunga che, la Camera dei Deputati,
a seguito di specifica approvazione da parte della Commissione bilancio e
finanze, in sede di esame per la conversione in Legge del D.L. 22 ottobre 2016,
n.193, ha approvato, il 16 novembre scorso, con voto di fiducia, un pacchetto
semplificazioni nel quale vi è un’importante novità in tema di indagini
finanziarie, e, in particolare, sulla questione dei prelevamenti.
Nel dettaglio, è stata approvata la modifica dell'articolo 32 del D.P.R. n. 600/73 che, oltre a recepire nel testo normativo il citato intervento ablativo della Consulta sul termine “o compensi”, ha escluso dalla necessaria giustificazione i prelievi degli imprenditori[6] che non superino 1.000,00 euro giornalieri e 5.000,00 mensili.
Sulla specifica questione degli importi di cui si poteva omettere la
giustificazione si era già espressa, in maniera isolata tra la giurisprudenza
di merito, la C.T.P. di Alessandria con Sentenza n. 61/1/2012, del 9 maggio
2012[7], la
quale aveva sostenuto una tesi identica nella sostanza ancorché diversa negli
importi (soglia per singoli prelievi pari ad Euro 1.500,00 per il singolo socio
ed Euro 500,00 per il familiare del socio, senza un tetto mensile).
Si evidenzia che nel provvedimento non si interviene in alcun modo sui versamenti, che, quindi, restano fuori dalla portata della novella legislativa; nè si interviene sui prelevamenti in tema di I.V.A. , e, in particolare sull’art. 51 del D.P.R. n.633/72, restando la modifica confinata alle imposte sui redditi.
La ratio di tale non estensione è fattuale: la norma in materia di I.V.A., dal contenuto più scarno rispetto all’omologa in tema di Imposte sui redditi, non fa alcun riferimento ai prelevamenti[8] il cui effetto presuntivo, di fatto, deriva dalla circostanza che il recupero a tassazione in materia di Imposte sui redditi dell’importo costituente il prelievo ingiustificato viene poi esteso dall’Organo accertatore automaticamente, e, ad avviso di chi scrive, ora[9] non correttamente ai fini I.V.A.
[1] Il contributo del Dott. Nicola D'Alessandro, Ufficiale Superiore della Guardia di Finanza, rappresenta l’opinione personale dell’autore sui temi trattati e non impegna, pertanto, l’Amministrazione di appartenenza). Lo scritto riproduce, con integrazioni e adattamenti, il testo della relazione tenuta dall’Autore il 5 novembre 2016 al “CORSO DI ALTA FORMAZIONE PROFESSIONALE IN DIRITTO TRIBUTARIO” organizzato in Bari dal Dott. Riccardo Pio Campana, accreditato dall’Ordine degli Avvocati di Bari e dall’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Bari.
[2] In violazione dell’art. 3 Cost. (Principio di ragionevolezza) e dell’art. 53 Cost. (Principio di Capacità contributiva).
[3] Cfr. Cassazione Sentenze. n. 23041- Sez V - del 11 novembre 2015 e n. 16440 – Sez. V – del 5 agosto 2016.
[4] Canonizzata dalla Consulta nella nota Sentenza n.225 depositata l’8 giugno 2005.
[5] Cfr. Sentenza Cassazione – Sez. 5ª n. 12781 pubblicata il 21 giugno 2016.
[6] Si pensi agli effetti che avrà la norma, in particolare, sulle piccole e medie imprese, sui soci di imprese a ristretta base societaria, nonché sugli agenti di commercio e sui procacciatori d’affari, per i quali la Sentenza della Consulta n.228/2014 non era applicabile.
[7] Sul punto, sia consentito rimandare a N. D’ALESSANDRO, “I prelevamenti nelle indagini finanziarie ante e post riforma della Consulta n. 228/2014. Riflessioni e spunti critici”, in questa Rivista, 16 novembre 2014, di cui il presente contributo costituisce il naturale seguito.
[8] L’art. 51, co.2, n.2) del D.P.R. n.633/72 si riferisce, infatti, soltanto ai “singoli dati ed elementi risultanti dai conti” e non anche ai “prelevamenti ed agli importi riscossi” contemplati nel secondo periodo dell’art. 32, co.1, n.2) del D.P.R. n.600/73.
[9] A seguito dell’intervento ablativo della Consulta con Sentenza n. 228/2014.
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