CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 07/06/2016 Scarica PDF

Rassegna di giurisprudenza (e spunti di dottrina) sul concordato preventivo in seguito al d.l. 83/2015

Eleonora Pagani, Dottore di ricerca di diritto commerciale e assegnista di ricerca nell'Università degli Studi di Bologna


I. Ratio della riforma del concordato e perimetro applicativo

La legge n. 132 del 6 agosto 2015, pubblicata sul supplemento ordinario n. 50 della Gazzetta Ufficiale del 20 agosto scorso ed entrata in vigore il giorno successivo, che ha convertito il d.l. n. 83 del 27 giugno 2015, ha introdotto importanti modifiche alla legge fallimentare, che hanno condotto i primi commentatori a parlare di “miniriforma”, termine in passato utilizzato in relazione alla riforma del 2005 alla legge fallimentare, così definita in quanto “prodromica alla riscrittura dell’intera disciplina del fallimento, che infatti avrebbe visto la luce l’anno successivo”([1]). Parimenti, la riforma dell’agosto scorso anticipa, o, meglio, si sovrappone ai lavori della Commissione Rordorf istituita nel gennaio 2015 dal Ministero della Giustizia e avente quale precipuo scopo quello di proporre le linee guida per una riforma organica della legga fallimentare, i cui lavori si sono conclusi con la presentazione di un disegno di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali a fine dicembre 2015.

Ebbene, la cd. miniriforma del 2015 pare ispirata, dall’un lato, all’esigenza di riequilibrare il rapporto tra debitore e creditori in favore dei secondi, tramite l’introduzione di strumenti di contendibilità dell’impresa in crisi ([2]), quali sono le proposte e le offerte concorrenti; dall’altro, dall’intenzione di porre un freno agli abusi dello strumento concordatario, tramite l’introduzione di una percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari nel concordato liquidatorio ([3]). E di ciò si ritrova espresso riconoscimento anche nelle prime sentenze emesse dai giudici di merito, in particolare, nella pronuncia del Tribunale di Ravenna del novembre 2015, la quale ha espressamente affermato che «la riforma del 2015 abbia lo scopo di portare ad un complessivo riequilibrio delle posizioni e degli interessi dei creditori rispetto a quelli dell’imprenditore in crisi, con il non nascosto fine di eliminare alcune “storture” applicative, quando non veri e propri “abusi” nell’utilizzo dello strumento concordatario» (Trib. Ravenna, 27 novembre 2015, in  www.ilcaso.it) ed in quella del Tribunale di Pistoia, che ha sostenuto che le disposizioni di cui agli artt. 160, 4° co. e 161, 2° co. lett. e) l. fall rappresentino «un filtro voluto dal legislatore per selezionare in senso restrittivo la presentazione delle proposte concordatarie, negando l’accesso a quelle che non apparissero idonee a consentire una congrua soddisfazione dei creditori, così reagendo alla tendenza emersa nelle prassi di offrire ai creditori percentuali irrisorie di soddisfazione poi destinate a vanificarsi del tutto nella fase esecutiva…In buona sostanza, è un intervento diretto ad impedire l’abuso dello strumento concordatario ed il suo progressivo svilimento attraverso una determinazione per via normativa di ciò che debba intendersi per riconoscimento ai creditori di una “sia pur minimale consistenza del credito…” quale requisito di idoneità della proposta a consentire il superamento dello stato di crisi e a realizzare la cosiddetta “causa concreta” del concordato (SSUU 1521/13)» (Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in  www.ilcaso.it).

Le rilevanti disposizioni così introdotte, hanno, come prevedibile, già sollevato una pluralità di problemi interpretativi, primo tra tutti la determinazione del perimetro applicativo della nuova disciplina.

L’art. 23 della l. 132/2015, infatti, prevede che le nuove disposizioni qui in esame, con eccezione di quelle previste dall’art. 182-quinquies l. fall. novellato, si applichino “ai procedimenti  di  concordato  preventivo  introdotti  successivamente all'entrata in vigore del presente decreto”, espressione che ha fatto sì che la giurisprudenza si interrogasse sulla sussumibilità del deposito della domanda di concordato in bianco nella nozione di “procedimento” e, dunque, sull’applicabilità o meno delle nuove disposizioni alle domande di concordato con riserva presentate prima dell’entrata in vigore della riforma, ma con proposta, piano e documentazione ex art. 161, 2 c° l. fall. depositate dopo l’entrata in vigore della medesima.

Si sono così formati due orientamenti giurisprudenziali contrapposti: il primo, guidato dalla pronuncia del 29 ottobre 2015 del Tribunale di Pistoia ([4]), ma seguito anche dal Tribunale di Firenze ([5]), ha negato al concordato in bianco la natura di “procedimento” concordatario, sostenendo che con la domanda di cui all'articolo 161, comma 6, l. fall. il debitore non introduca un procedimento concordatario, ma si riservi soltanto la possibilità di farlo, in alternativa, peraltro, al deposito di una domanda di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'articolo 182-bis legge fall. A mente di tale Tribunale, dunque, la causa del cosiddetto preconcordato si risolverebbe nella richiesta di un termine di riflessione protetto dalle iniziative dei creditori, ossia in una causa diversa da quella che caratterizza il procedimento di concordato preventivo, il quale si apre con il completamento della fase prodromica e che provoca la decisione del tribunale ai sensi degli articoli 162 o 163 legge fall.Per usare le parole di tale pronuncia,In definitiva, pare legittimo concludere che, con la domanda ex art. 161, co. 6, il debitore abbia prenotato il concordato (quando non altra procedura di ristrutturazione), ma che non perciò stesso abbia prenotato altresì la norma regolatrice.

Un secondo orientamento, condiviso dalla dottrina maggioritaria ([6]) ed espresso, tra l’altro, dai Tribunali di Trento ([7]), Benevento ([8]), Ravenna ([9]), Ancona ([10]), Alessandria ([11]), nonché dalla Corte di Appello di Torino ([12]), ha invece affermato che l’espressione “procedimenti di concordato” utilizzata ripetutamente dall’art. 23 della l. 132/2015 risulti sufficientemente generica da ricomprendere anche il preconcordato, «che rappresenta pur sempre una fase della stessa procedura concordataria che inizia con ricorso e comporta l’emissione di un provvedimento del tribunale con possibilità di nomina immediata del Commissario giudiziale ed una sorta di spossessamento minore quanto agli atti di straordinaria amministrazione. Allo stesso tempo, il verbo “introdotti” … sembra lasciare trasparire la sufficienza del semplice deposito del ricorso da parte dell’imprenditore… Può perciò ritenersi che le nuove norme si applichino totalmente ai procedimenti iniziati anche soltanto con ricorso ex art. 161 co. 6 l.f. depositato a partire dal 21 agosto scorso, mentre i ricorsi precedenti (siano essi “pieni” od “in bianco”) avranno un effetto per così dire “prenotativo” non soltanto ai fini della tendenziale cristallizzazione dell’attivo e del passivo concordatario, ma anche della stessa disciplina applicabile alla procedura» (Trib. Ravenna, 27 novembre 2015, in  www.ilcaso.it).

Il tema intercetta, tra l’altro, quello della modifica della proposta di concordato preventivo e dei confini tra modifica e nuova proposta, come evidenziato dal Tribunale di Asti lo scorso febbraio: “la recente novella legislativa, infatti, impone un rigoroso controllo in ordine alla disciplina applicabile, onde evitare che la mera formale pendenza di una procedura radicata prima dell’entrata in vigore dell’ultima riforma determini l’applicazione indiscriminata della disciplina previgente. Di contro, deve operare la disciplina attualmente in vigore tutte le volte nelle quali la proposta modificata non si saldi a quella originaria ma preveda suddivisione di crediti e attuazione del piano mediante modalità incompatibili con la permanente operatività della proposta originaria (previsione di classi di crediti, costituzione di newco, attribuzione di quote quale datio in solutum, attribuzione di beni in leasing e garante in luogo della mera liquidazione del patrimonio)” (Trib. Asti, 11 febbraio 2016, in  www.ilcaso.it).

 

II. Il contenuto della proposta: il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari, la rilevanza della distinzione tra concordati liquidatori e concordati con continuità, i riflessi sulla delimitazione dei poteri del Tribunale

II. a)

Ciò premesso, occorre dunque soffermarsi sul merito della riforma e sugli interrogativi da essa sollevati, prendendo le mosse dal nuovo quarto comma dell’art. 160 l. fall., in ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari. La disposizione di cui al presente comma non si applica al concordato con continuità aziendale di cui all'articolo 186-bis” e dall’ultimo lemma dell’art. 161, 2° co. lett. e) l. fall, “in ogni caso, la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”.

La dottrina ha in proposito già rilevato che con la riforma sia stata sostanzialmente reintrodotta, «una sorta di “meritevolezza oggettiva” per l’accesso al concordato liquidatorio» con l’imposizione di una soglia elevata di soddisfacimento (rectius pagamento) dei creditori chirografari, “in una logica punitiva per l’imprenditore che non riesca a raggiungerla, destinato per ciò solo al fallimento” e che essa abbia comportato, tra l’altro, “la speculare erosione della sfera di autonoma valutazione della convenienza del concordato, che le riforme avevano progressivamente inteso attribuire in via esclusiva ai creditori, ora invece esautorati dalla facoltà di ritenere più conveniente un concordato liquidatorio che li soddisfi nella misura del 19%, rispetto all’alternativa fallimentare” ([13]) nonché «il rischio che la predeterminazione di questa soglia “secca” di accesso al concordato preventivo liquidatorio mandi “in soffitta” la sofferta, criticata, ma ormai acquisita elaborazione giurisprudenziale … del concetto di “causa concreta” del concordato e delle connesse nozioni di fattibilità economica e giuridica» (P. Vella, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, in Crisi d’Impresa e Fallimento, 2.02.2016, in  www.ilcaso.it, p. 5).

Il vero rischio parrebbe infatti che “la reintroduzione di una percentuale minima sia verosimilmente destinata a comportare null’altro che un incremento dei fallimenti e con esso un ulteriore carico per la – già cronicamente affaticata – giustizia civile, senza apprezzabili vantaggi per i creditori, cui viene in tal modo sottratta la possibilità di scegliere fra un concordato con un soddisfacimento compreso, ad esempio, fra il 15% e il 19,9% (in sé non disprezzabile) e, appunto, un fallimento” (S. Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo alla luce della miniriforma del 2015, in Dir. Fall. 2015, 5, pp. 361 – 362).

Il tema, come prevedibile, ha sollevato numerosi interrogativi in giurisprudenza, chiamata ad interpretare un effettivamente ambiguo dettato normativo, che ha introdotto, come riconosciuto dalla circolare operativa n. 2/2016 del Tribunale di Bergamo, “una vera e propria condizione di ammissibilità della proposta di concordato”([14]),  nonché un parametro di riferimento cui ancorare la valutazione di integrale adempimento della proposta, o in caso di inadempimento, la sua qualificazione come di non scarsa importanza, al fine di determinare se sussistano i presupposti per la risoluzione.

Ebbene, la disposizione introdotta all'ultimo comma dell'articolo 160 legge fall., secondo la quale “in ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari”, ma idonea ad incidere in via indiretta anche sul trattamento dei creditori privilegiati oggetto di soddisfazione non integrale (cfr. Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in  www.ilcaso.it) e, in particolare, il riferimento al termine “assicurare” ivi contenuto, è stata generalmente interpretata nel senso che “il debitore deve proporre fondatamente il pagamento di almeno il 20% dell'ammontare dei crediti chirografari laddove per fondatamente deve intendersi una prospettazione a metà strada fra il concetto di garanzia e quello della ragionevole previsione” (Trib. Firenze, 8 gennaio 2016, in  www.ilcaso.it) ([15]), «del resto, che non si tratti di una semplice prospettazione, ma di un vero e proprio impegno soggetto a verifica da parte del commissario giudiziale, risulta, oltre che dal collegamento della nuova disposizione con l’utilità “specifica” che il debitore deve necessariamente impegnarsi ad assicurare in forza del novellato art. 161, comma 2, lett. e), dall’apertura tranchant della disposizione “In ogni caso”: trattasi infatti di elementi testuali rilevanti, destinati a saldarsi altresì con l’argomento teleologico fornito dalla relazione di accompagnamento alla riforma, secondo cui la modifica ha “la finalità di evitare che possano essere presentate proposte per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo che lascino del tutto indeterminato e aleatorio il conseguimento di un’utilità specifica per i creditori”» (Trib. Ravenna, 27 novembre 2015, in  www.ilcaso.it) ([16]).

Il verbo “assicurare” pare dunque esser stato utilizzato sì in senso atecnico, ma come sinonimo di impegno obbligatorio e non semplicemente descrittivo a formulare una proposta di concordato che preveda la cessione di beni tali da consentire un soddisfacimento del 20% dei chirografari (A. Farolfi, op. cit., p. 6).

Quanto, poi, alla nozione di “pagamento” contenuta nel medesimo comma 4° dell’art. 160 l. fall., se il Tribunale di Pistoia ha sostenuto che «il termine “pagamento” non debba intendersi in senso proprio, ma come equivalente di “soddisfazione”» ([17]), il Tribunale di Bergamo ha invece affermato che “nel concordato che non sia qualificabile come in continuità, la proposta deve assicurare, a pena di inammissibilità, il pagamento dell’ammontare del 20% dei crediti chirografari, il che significa che il debitore deve assumere necessariamente un’obbligazione di pagamento di carattere monetario” (Trib. Bergamo, circolare operativa 2/2016, in  www.ilcaso.it).

L’interpretazione del dettato normativo si complica poi ulteriormente ove l’articolo citato venga letto in combinato disposto con l’art. 161, comma 2 lett. e), che si riferisce genericamente al termine “utilità” (S. Ambrosini, ult. op. cit., p. 364), ciò che farebbe propendere alcuni commentatori per un’interpretazione estensiva del termine “pagamento” (A. Farolfi, op. cit.).

In caso di formazione di classi di creditori, si è poi posto il problema se la soglia del 20% sia destinata a valere per ciascuna classe, con conseguente impossibilità di configurare classi di chirografari con soddisfacimento inferiore al 20%, ovvero se detta soglia possa configuarsi come “criterio mediano”, nel qual caso basterebbe che ai creditori chirografari fosse assicurato in media il 20% (cfr. S. Ambrosini, ult. op. cit., p. 370) .

Su tale questione, la giurisprudenza risulta per ora essersi assestata sulla seconda soluzione proposta, ritenendo che “nel concordato che non sia qualificabile come in continuità la possibilità di assicurare pagamenti differenziati per classi autorizza che alcuni crediti (opportunamente classati), siano pagati in percentuale inferiore al 20%, a condizione che la media ponderata dei pagamenti, facendo riferimento al complessivo ammontare dei crediti chirografari ab origine e di quelli degradati al chirografo, sia pari o superiore alla soglia di legge” (Trib. Bergamo, circolare 2/2016, in  www.ilcaso.it; Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in  www.ilcaso.it: “ritiene il Collegio che la regola non si espanda, nel concordato con classi, fino a condizionare il trattamento della singola classe tanto da imporre che per ciascuna di esse debba necessariamente prevedersi un pagamento non inferiore alla soglia legale. Lo esclude, oltre alla ragionevolezza (ad esempio, è ragionevole prevedere un trattamento minimo per una classe composta da creditori con garanzie esterne), la lettera stessa della norma che si riferisce al complessivo “ammontare” dei crediti chirografari e non già al singolo credito”).

Sempre in materia di classi, il riferimento al concetto di “utilità” di cui all’art. 161, 2° co. lett. e) l. fall. ha fatto discutere sulla possibilità di istituire delle zeroklass (ammesse dal diritto tedesco) nel nostro ordinamento, ossia di classi di creditori il cui credito non è soddisfatto con il pagamento, ma con altre utilità. Tale ipotesi è stata ritenuta quanto meno “concepibile” da Paola Vella ([18]) e Stefano Ambrosini ([19]), esclusa invece Jorio ([20]) e dalla già citata circolare 2/2016 del Tribunale di Bergamo, la quale ha in proposito affermato che «dalla norma in parola non pare possa conseguire la legittimità delle cd. “classi a zero”, in cui venga prospettata una soddisfazione del creditore che non passi affatto per il pagamento, né per altra forma di soddisfazione tangibile del credito. Autorizzare una prospettazione del soddisfacimento del creditore (…) e non del credito, come richiesto espressamente dall’art. 160 comma primo lett. a), significherebbe infatti disattendere, oltre che il dato letterale di quest’ultima norma, anche il principio affermato dalla nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 1521/2013, che condiziona la legittimità della proposta di concordato, sotto il profilo della realizzazione della causa/funzione economica dell’istituto, alla previsione di soddisfacimento di tutti i crediti concorsuali».

 

II. b)

La nuova disciplina introdotta lo scorso agosto ha inevitabilmente reso fondamentale la distinzione tra concordato liquidatorio e concordato con continuità aziendale, considerato che il secondo beneficia – almeno sulla carta – dell’esenzione dall’applicazione della soglia minima di pagamento dei creditori chirografari.

La questione non è tuttavia di facile risolvibilità, in particolare sotto due punti di vista: il primo, rappresentato da quelle fattispecie di confine, id est la continuità aziendale indiretta, la cui riconducibilità alla disciplina del concordato con continuità non è per nulla pacifica, il secondo, dato dalle ipotesi di concordato cd. misto, nelle quali componente liquidatoria e componente di continuità convivono.

Di ciò si ha un inevitabile riflesso nella giurisprudenza pubblicata sino ad ora sull’argomento.

Tra le pronunce che hanno messo in luce la necessità, in seguito all’entrata in vigore della l. 132/2015, di attentamente qualificare il piano di concordato basato sull’affitto dell’azienda, si ricordano quella del Tribunale di Firenze del 1° febbraio 2016, che ha ritenuto che il concordato con continuità aziendale implichi una sopportazione del rischio di impresa da parte dei creditori concorsuali, la quale può giustificarsi e sussistere solo nell'ipotesi in cui l'impresa sia gestita dall'imprenditore e la gestione continui a presentare dei parametri di aleatorietà per i creditori concordatari, con conseguente impossibilità di applicare la disciplina del concordato con continuità aziendale qualora il piano preveda l'affitto dell'azienda quale strumento di transito verso il successivo trasferimento a terzi della stessa.

O, ancora, la pronuncia del Tribunale di Como del 29 aprile 2016, la quale ha affermato che “non vi sia, né possa esservi nel concordato con continuità aziendale, né un affitto d’azienda anteriore, né un affitto d’azienda interinale nella fase endoconcordataria, ma che, dal momento del deposito della domanda di concordato in avanti (almeno fino a cessione e conferimento, nel concordato misto), l’azienda in esercizio debba essere gestita direttamente dall’impresa in concordato, attraverso la diretta gestione e la conseguente assunzione diretta del rischio imprenditoriale” ([21]).

Di segno opposto si è invece rilevato il Tribunale di Alessandria, a mente del quale il presupposto per la continuità è costituito da una "continuità aziendale" di tipo oggettivo più che soggettivo, in quanto ciò che in definitiva rileva è che l'azienda sia in esercizio, non importa se ad opera dello stesso imprenditore o di un terzo, tanto al momento dell'ammissione che all'atto del successivo trasferimento, poiché non appare concretamente contestabile che il rischio di impresa continui comunque a gravare, seppure indirettamente, sul debitore in concordato e che l'andamento dell'attività incida quindi sulla fattibilità del piano (Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016, in  www.ilcaso.it).

Quanto, poi, alla questione del concordato misto, in dottrina (S. Ambrosini, ult. op. cit., p. 369) e giurisprudenza è stata proposta l’adozione del criterio cd. della prevalenza, “così ritenendo applicabile la regola di cui al IV comma, primo periodo dell’art. 160 ogni qual volta il ricavato dalla liquidazione dei beni estranei al segmento della continuità rappresentino la quota principale dell’attivo concordatario, rispetto ai flussi di cassa in tutto o in parte destinati alla soddisfazione dei creditori”, come riconosciuto dal Tribunale di Pistoia con pronuncia del 29 ottobre 2015, ma condiviso dal Tribunale di Alessandria nell’ambito del concordato Borsalino (Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016, in  www.ilcaso.it: «ritenuto quanto alla disciplina applicabile al concordato "misto" che, ad avviso del collegio, tra le due tesi della "combinazione" delle due discipline e dell'applicazione di un'unica disciplina e cioè di quella della componente "prevalente", nel senso dianzi indicato — sia economico che funzionale – , appare preferibile la seconda tenuto conto dei gravi risvolti che la tesi contraria, specie in conseguenza alle recenti modifiche apportate all'art. 160 l.f. in tema di percentuale di pagamento da assicurare in caso di concordato liquidatorio (20%), comporterebbe, non apparendo infatti sostenibile che la presenza di una componente liquidatoria, qualunque essa sia anche quindi se irrisoria, farebbe scattare l'obbligo del rispetto del suddetto pagamento di almeno il 20% dei creditori chirografari»).

Si riscontra tuttavia una isolata pronuncia del Tribunale di Siracusa, che ha “ritenuto che la prevalenza dell’apporto proveniente dalla liquidazione dei beni non muta la natura del concordato, correttamente qualificato come concordato con continuità aziendale ai sensi dell’art. 186 bis legge fall.” (Trib. Siracusa, 23 dicembre 2015, in  www.ilcaso.it).

La distinzione tra le due fattispecie esaminate, concordato liquidatorio e concordato con continuità aziendale, potrebbe perdere tuttavia – almeno in parte – di rilevanza ove si seguisse l’opinione espressa dal Tribunale di Pistoia nella già citata pronuncia del 29 ottobre scorso, che, implicitamente valorizzando la nozione di causa in concreto del concordato fornita dalla Cassazione a Sezioni Unite con la nota sentenza n. 1521 del 2013, che aveva fatto riferimento ad un pur minimale soddisfacimento dei creditori, ha affermato che «la regola generale sulla soglia minima di accesso determini un riflesso anche sulla percentuale minima di accesso alla specifica procedura ex art. 186-bis che, pur non codificata, sarà ritenuta idonea a realizzare la causa concreta del concordato in continuità, non potendosi ipotizzare la coerenza di un sistema che contestualmente preveda una tipologia concordataria con soddisfazioni minimali dei creditori (ad esempio l’1%), mentre per tutte le altre tipologie concordatarie pretenda percentuali di soddisfazione di almeno il 20%. Del resto, i rischi insiti nella continuità (creazione di prededuzioni in danno dei creditori anteriori) implica la necessità che, ai rischi, corrisponda una adeguata remunerazione, per cui è prevedibile che, per coerenza sistematica, la “sia pur minimale consistenza del credito” che sarà necessario proporre ai creditori affinché possa dirsi realizzata la causa in concreto del concordato in continuità si attesti su percentuali di almeno il 5%».

Affinché dunque una proposta di concordato superi il vaglio di ammissibilità, diverrebbe così necessario superare il requisito legale del pagamento del 20% dei chirografari in caso di concordato liquidatorio, di pagamento di almeno il 5% dei chirografari in caso di concordato con continuità aziendale.

 

II. c)

Come è ovvio, l’introduzione delle previsioni qui rapidamente esaminate ha posto in discussione la natura del vaglio di ammissibilità del concordato preventivo effettuato dal Tribunale ed i poteri di indagine del giudice in tale fase, conducendo dottrina e giurisprudenza a interrogarsi sulla perdurante stabilità o meno dei principi sanciti dalla ormai storica sentenza 1521/2013 della Cassazione, che aveva distinto tra giudizio di fattibilità giuridica, di competenza del giudice, e di fattibilità economica, di competenza dei creditori, limitando al vaglio sul rispetto della causa concreta del concordato l’ingerenza del tribunale sulla convenienza economica di quest’ultimo.

La giurisprudenza di merito, ancora una volta guidata dalla ormai nota pronuncia del Tribunale di Pistoia, confermata dal Tribunale di Firenze ([22]), ha però chiarito che la distinzione tra fattibilità economica e fattibilità giuridica non è stata superata, riconducendo al vaglio di fattibilità giuridica la verifica del rispetto della soglia minima di cui all’art. 160, 4° co. l. fall. In sostanza, “oggi, come in precedenza, si tratta pur sempre per il Tribunale di verificare che la soddisfazione indicata nella proposta rappresenti una seppur minimale soddisfazione dei creditori chirografari, così realizzando la causa concreta del concordato. Che per molte tipologie concordatarie vi sia una determinazione legale di ciò che debba intendersi per tale requisito, non muta la natura qualitativa dell’indagine, ma soltanto la semplifica non dovendosi più porre la questione se percentuali infime di soddisfazione siano idonee allo scopo” (Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in  www.ilcaso.it).

 

III. Proposte concorrenti

La miniriforma del 2015 ha, poi, per la prima volta introdotto nel nostro ordinamento la possibilità che un soggetto diverso dal debitore in crisi formuli una proposta di soddisfacimento dei creditori concorsuali.

Il comma IV dell’art. 163 l. fall., “senza modificare l’articolo 160, primo comma, che testualmente attribuisce ancora oggi la possibilità di proporre un concordato preventivo solo all’imprenditore che si trova in stato di crisi” (L. Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare. Terza parte, in Crisi di Impresa e Fallimento, 9 settembre 2015, p. 2, in  www.ilcaso.it, ma sul punto, si veda il disegno di legge delega della Commissione Rordorf), prevede infatti la possibilità per uno o più creditori che, anche per effetto di acquisti successivi alla presentazione della domanda di concordato, rappresentino almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell'articolo 161, secondo comma, lettera a), di presentare una proposta concorrente di concordato preventivo ed il relativo piano non oltre trenta giorni prima dell'adunanza dei creditori.

Le questioni inerenti la costituzionalità della riforma per violazione dell’art. 42 Cost. abbozzate dai primi commentatori ([23]) sono parse superabili sia sulla base delle teorie che riconoscono come nella fase di crisi dell’impresa il controllo della medesima spetti ai creditori, che ne divengono i reali proprietari  ([24]), sia ove si consideri che la presentazione di proposte concorrenti avviene in situazioni in cui il patrimonio netto delle imprese è negativo e dunque non vi è alcun rischio di esproprio della proprietà senza indennizzo ([25]).

Si è, dunque, parlato di una disciplina il cui “impatto sistematico è rilevante, nella misura in cui rompe anche nel concordato preventivo il monopolio del debitore nella legittimazione alla presentazione di una proposta da sottoporre all’approvazione dei creditori ed all’omologazione del tribunale. Monopolio del debitore che viene incrinato e limitato, ma non del tutto superato, perché egli rimane comunque l’unico soggetto legittimato a decidere se fare ricorso o meno alla procedura di concordato preventivo, depositando la domanda introduttiva” (G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fall. 2015, 11, p. 1163 ss.).

Si registra infatti una “dipendenza” della proposta concorrente dalla proposta del debitore, dipendenza che, in forza della previsione della possibilità per il creditore proponente di limitare la relazione ex art. 161, 3° co. l. fall. alla fattibilità del piano per gli aspetti che non siano già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale ovvero di omettere completamente tale relazione qualora non vi siano oggetti “nuovi” da verificare, ha condotto la dottrina a distinguere tra proposte concorrenti originali, derivate o parassitarie [A. Rossi, op. cit., passim].

In particolare, sarebbe “originale quella proposta che, per il reperimento della provvista concordataria, si affida ad un piano radicalmente innovativo rispetto a quello presentato dal debitore, anche (…) con un esito del concordato del tutto difforme rispetto a quello contemplato e previsto dall’imprenditore che si è affidato alla procedura di concordato preventivo per affrontare e risolvere lo stato di crisi” (A. Rossi, op. cit., p. 5). Tale proposta necessiterebbe di una relazione di attestazione che si esprima compiutamente sulla fattibilità del proprio piano, mentre, relativamente alla veridicità dei dati aziendali, potrebbe far affidamento sia sull’attestazione depositata dal debitore, sia sulla relazione del commissario giudiziale ex art. 172 c. 1° l. fall.

Lo scarso tempo a disposizione per il creditore proponente per presentare una proposta di carattere innovativo, renderebbe però, secondo l’autore, più probabile “una proposta derivata, che tragga spunto sia dalla proposta (e, soprattutto, dal piano) del debitore, sia dalle verifiche svolte dal commissario giudiziale nella propria relazione” ovvero una proposta parassitaria, “allorché adotti sic et simpliciter il piano del debitore e le risultanze della relazione del commissario” e, dunque, risulti “a costo zero” per il creditore proponente (A. Rossi, op. cit., pp. 6 – 7).

E sul rapporto tra proposta concorrente e relazione del commissario giudiziale ex art. 172 l. fall. – quindi, indirettamente, sul concetto di dipendenza al quale si è fatto riferimento – si è soffermata l’unica pronuncia registrata sino ad ora in tema di proposte concorrenti, quella del Tribunale di Bergamo del 28 gennaio 2016 ([26]), la quale ha ritenuto che “l’eventuale rinvio dell’adunanza dei creditori sortirà quale effetto lo spostamento del termine utile per la presentazione di proposte concorrenti da parte di soggetti a ciò legittimati, termine individuato dall’art. 163 l. fall. nel trentesimo giorno antecedente quello dell’adunanza dei creditori. Il legislatore ha infatti considerato essenziale che l’eventuale proposta concorrente sia preceduta ed in qualche modo orientata dalla relazione di cui all’art. 172 l. fall., donde la conclusione che lo spostamento in avanti del termine di quarantacinque giorni prima dell’adunanza, previsto dalla norma per il deposito della relazione del commissario, si porti con sé anche lo slittamento del termine per la presentazione della eventuale proposta concorrente” (conf. Trib. Bergamo, circolare operativa 2/2016, in  www.ilcaso.it).

La medesima pronuncia si è altresì soffermata sull’art. 185 l. fall., che, nel prevedere una serie di rimedi al comportamento ostruzionistico tenuto dal debitore nella fase esecutiva di un concordato in cui ad essere omologata sia stata una proposta concorrente, fa salvo quanto previsto dall’art. 173 l. fall. Ebbene in tale sede il Tribunale di Bergamo, riconoscendo che “quest’ultima norma non può avere applicazione nella fase esecutiva del concordato, ma soltanto nella fase che va dalla presentazione della domanda (anche in bianco) all’omologazione”, ha ritenuto di “riferire il riferimento al procedimento incidentale di arresto della procedura contenuto nell’art. 185 l. fall. ai comportamenti ostruzionistici tenuti dal debitore nella fase antecedente all’omologazione, e tra questi [al]la mancata ottemperanza all’obbligo di trasmissione delle scritture contabili e fiscali”.

Sulle proposte concorrenti si è, poi, espressa la già citata circolare operativa del 3 marzo 2016 del Tribunale di Bergamo, la quale ha colto l’occasione per fissare una serie di principi sull’argomento, che vale la pena ricordare in assenza – per ora – di altre interpretazioni giurisprudenziali in materia.

In particolare, in tale sede, il Tribunale di Bergamo ha affermato:

- che la legittimazione alla proposizione di una proposta concorrente spetti a qualsiasi soggetto, anche non facente parte inizialmente del novero dei creditori concorsuali, che rappresenti il 10% anche per acquisti successivi alla presentazione della domanda di concordato, opinione condivisa anche dalla dottrina maggioritaria (cfr. G. D’Attore, op. cit., p. 1165; P. Vella, op. cit., pp. 22 - 24);

- che il termine previsto dall’art. 163 l. fall. per la consegna al commissario giudiziale della copia informatica o del supporto analogico delle scritture contabili o fiscali obbligatorie vada inteso come termine acceleratorio e di obbligatorio rispetto per il debitore; in caso di inerzia di quest’ultimo potrà aprirsi il procedimento incidentale di revoca di cui all’art. 173 l. fall., come ricavabile dal richiamo a tale articolo contenuto nell’art. 185, 4° co. l. fall., che avrebbe introdotto il principio dell’inammissibilità del comportamento ostruzionistico del debitore nella fase antecedente l’omologazione. In tal senso anche la dottrina, che ha affermato come “prima dell’omologa, pare che – stando al testo della norma – in caso di ritardi o di omissioni da parte del debitore, sia applicabile solo l’articolo 173 (…), ovviamente sempreché l’ostruzionismo del debitore sia di fatto riconducibile ad una delle ipotesi previste dal citato articolo” (L. Varotti, op. cit., p. 11);

- che la proposta concorrente debba essere sottoposta ad un vaglio di ammissibilità giuridica del tribunale anche prima di essere comunicata ai creditori, persino nelle ipotesi in cui non occorra verificare la correttezza dei criteri di formazione delle classi;

- che, se la proposta del debitore assicuri il pagamento dei crediti concorsuali nella misura minima del 40% o 30% a seconda del tipo di concordato, l’attestazione del professionista debba riferirsi esplicitamente anche a tale profilo e che, pertanto, il professionista debba assumersi la responsabilità di attestare che, sulla base di quanto ha potuto verificare e salvo il verificarsi di eventi non prevedibili, detta misura minima sarà effettivamente corrisposta ai creditori chirografari;

- che la revoca ex art. 173 l. fall. dell’ammissione al concordato nonché la rinuncia della domanda da parte del debitore non comportino l’arresto della procedura ove nei termini di legge sia stata presentata una proposta concorrente, dovendo, in tal caso la procedura proseguire con riferimento alla proposta concorrente. Tale opinione risulta condivisa da Luciano Varotti, che afferma che dopo il deposito della domanda, lo sviluppo della procedura non rimanga una prerogativa esclusiva del solo debitore, “ma costituisce un diritto attribuito (anche) ai creditori concorrenti: diritto che si colloca perfettamente nel solco dell’articolo 2910 del codice civile, secondo il quale il «il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può far espropriare i beni del debitore …», anche quando vi sia sullo sfondo un intervento economico di terzi” (L. Varotti, op. cit., p. 14). Di diversa opinione è, invece, la dottrina maggioritaria: «Il legislatore consente ai creditori di presentare “proposte concorrenti”, ma non legittima gli stessi a presentare “domande” concorrenti, restando il debitore titolare del potere esclusivo di decidere se intraprendere la strada concordataria o restare esposto alle altre possibili alternative. Se è l’attuale presenza della domanda di concordato a consentire alla procedura di concordato di proseguire il suo cammino sino all’auspicata omologazione e se i creditori, pur potendo presentare proposte concorrenti, non sono legittimati a depositare domande concorrenti, ne consegue che l’eventuale rinuncia del debitore alla domanda di concordato impedisce alla procedura di proseguire il suo corso e determina, inevitabilmente, la caducazione anche delle proposte concorrenti(…). Contorni in parte differenti assume il connesso tema degli effetti della revoca dell’ammissione al concordato ex art. 173 l.fall. sulle proposte concorrenti. Qui l’interruzione della procedura non è voluta dal debitore, ma subita dallo stesso per effetto di un provvedimento del Tribunale che accerti la sussistenza degli elementi ostativi previsti dalla norma. L’effetto caducatorio della revoca dell’ammissione anche sulle proposte concorrenti appare, tuttavia, inevitabile anche in questo caso: le proposte concorrenti possono essere depositate, sottoposte all’approvazione ed omologate solo nell’ambito di una procedura di concordato aperta e non possono “sopravvivere” ad una procedura che si chiude per effetto della revoca dell’ammissione” (G. D’Attorre, op. cit., p. 1173 – 1175; cfr. anche S. Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in Crisi d’Impresa e Fallimento, 20.08.2015, pp. 20 – 21, in  www.ilcaso.it).

Quanto al possibile contenuto della proposta concorrente, l’art. 163, 5° co. l. fall. consente che essa preveda l’intervento di terzi e, quando il debitore abbia la forma di società per azioni o a responsabilità limitata, un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d’opzione.

La disposizione ha così previsto che la proposta concorrente possa incidere sulle partecipazioni sociali della società debitrice, senza sottoporre l’aumento di capitale al diritto di opzione dei soci e dei possessori di obbligazioni convertibili, diritto di opzione che, secondo alcuni autori, potrebbe essere escluso o limitato senza il rispetto dei vincoli degli artt. 2441 e 2481-bis c.c. [G. D’Attorre, op. cit., p. 1170; R. Guidotti, Misure urgenti in materia fallimentare (D.L. 7  giugno 2015, n. 83): le modifiche alla disciplina del fallimento e le disposizioni dettate in tema di proposte concorrenti, in  www.ilcaso.it, p. 12; M. Ratti, Commento all’art’art. 163 l. fall., nella Nuova riforma del diritto concorsuale – Commento operativo sul d.l. 83/2015 conv. in l. 132/2015, Torino, 2015], secondo altri, nel perdurante rispetto degli articoli citati (A. Rossi, op. cit., p. 20).

Sull’aumento di capitale nel concordato preventivo in seguito al d.l. 83/2015 è altresì intervenuto il Consiglio Notarile di Firenze con la massima n. 58 del 2015, articolata in tre precetti, che ha rinvenuto la ratio della previsione dell’art. 163, comma 5, ultimo periodo, l. fall., che consente l’esclusione del diritto d’opzione, nell’intenzione di evitare che, attraverso la sottoscrizione di percentuali minime di capitale da parte dei soci attuali, venga scoraggiata la creazione di un nuovo assetto proprietario basato sull’assunzione di una partecipazione totalitaria da parte del creditore proponente.

Detta previsione, secondo il Consiglio, avendo ad oggetto la proposta presentata dal terzo nella sua fase esecutiva, non può che riferirsi ad un aumento del capitale da eseguirsi dopo l’omologazione del concordato, quando la sospensione degli obblighi di riduzione del capitale ex art. 182-sexies l. fall. è ormai cessata. Ne consegue che l’aumento di capitale debba essere tale da consentire alla società, dopo la sua esecuzione, di operare regolarmente nel rispetto delle regole sul mantenimento del capitale. Il Consiglio Notarile di Firenze ha, quindi, sostenuto che “in caso di proposta di concordato preventivo presentata dai creditori, qualora il patrimonio netto risulti perduto, l’aumento di capitale con esclusione del diritto d’opzione previsto dalla medesima proposta può essere preceduto da un azzeramento del capitale sociale”.

Interrogandosi poi sul significato da attribuire alla mancata menzione della medesima possibilità per la società debitrice, il Consiglio ha sostenuto che in situazioni in cui l’investimento dei soci sia da ritenere totalmente perduto, sia ammissibile una ricapitalizzazione che attribuisca ai nuovi soci la totalità delle azioni da emettere. La perdita dell’investimento per gli azionisti in tali ipotesi è, infatti, in ogni caso (anche in caso di mancata ricapitalizzazione) totale e sostanzialmente certa, non essendovi alcuna aspettativa di avanzi di liquidazione, sì che l’unico interesse leso dal mancato compimento dell’operazione è quello dei creditori e dei terzi che hanno rapporti con la società.

A fronte di tali considerazioni, il Consiglio Notarile di Firenze ha dunque ritenuto che: “anche la proposta di concordato presentata dalla società debitrice può prevedere un aumento di capitale con esclusione del diritto d’opzione a favore dei creditori o di terzi non soci (eventualmente preceduto da un azzeramento del capitale sociale qualora il patrimonio netto risulti perduto)”.

Infine, il Consiglio Notarile di Firenze ha ritenuto che le previsioni dettate dall’art. 185 l. fall. debbano applicarsi anche in caso di proposta della stessa società debitrice e che, pertanto, qualora gli amministratori abbiano presentato una proposta di concordato che poi, dopo l’approvazione del concordato, i soci si rifiutino di eseguire, possano scattare i meccanismi sostitutivi previsti per l’esecuzione della proposta presentata dal terzo: “qualora la proposta di concordato presentata dalla società debitrice preveda un aumento di capitale, con o senza esclusione del diritto d’opzione, a seguito dell’omologazione l’aumento, in caso di sua mancata approvazione da parte dell’assemblea, può essere attuato senza il voto dei soci, ai sensi dell’art. 185 comma 6 l. fall.”.

 

IV. Offerte concorrenti

Il d.l. 83/2015, convertito in l. 132/2015, ha, inoltre, introdotto il nuovo art. 163-bis l. fall., volto ad accrescere, “la competitività e la concorrenza e creare un mercato degli assets stressati, così ponendo fine a una prassi largamente diffusa: spesso il debitore in crisi decideva di cedere la propria azienda (o un ramo della stessa o un cespite significativo) ancora appetibile, ad un soggetto predeterminato” (M. Greggio, Le offerte concorrenti nel nuovo art. 163-bis l. fall.: l’eteronomia prevale sull’autonomia?, 21.01.2016, p. 2, in www.ilfallimentarista.it). Sostanzialmente, il debitore concludeva con soggetti ad esso direttamente o indirettamente riconducibili un contratto d’affitto di azienda con patto di futura cessione sospensivamente condizionata all’omologa, che veniva recepito nel piano concordatario e sottoposto all’approvazione dei creditori, ai quali non rimaneva che scegliere tra l’accettazione di un piano siffatto e l’alternativa fallimentare. In  tali casi, infatti, il tribunale si trovava nell’impossibilità di applicare la disciplina dell’art. 182 l. fall. sulle vendite da eseguirsi nella fase esecutiva del concordato, imperniata sui principi della pubblicità e della natura competitiva del procedimento di individuazione dell’acquirente.

Di ciò ha dato pienamente conto il Tribunale di Bolzano, con pronuncia del 17 maggio 2016: «l’art. 163 bis lf è intervenuto a regolare una prassi, per la quale il debitore insolvente o in crisi decideva di cedere la propria azienda, un ramo o un immobile o comunque beni particolarmente appetibili ad un soggetto da lui preventivamente individuato e ad un prezzo prestabilito. L’accordo fra debitore e acquirente veniva, quindi, trasfuso nel piano concordatario, cosicché i creditori si trovavano a dover approvare un “pacchetto preconfezionato” dal debitore, con conseguente aggiramento delle procedure competitive previste in via generale per le vendite fallimentari e applicabili anche al concordato preventivo, con potenziale effetto lesivo della concorrenza. Infatti, la proposta di concordato preventivo determinava in tali casi l’impossibilità per il Tribunale di applicare l’art. 182 lf per le vendite da eseguirsi in sede esecutiva. Di qui la mancata applicazione dei due noti principi che da sempre connotano le vendite coattive in ambito concorsuale, ossia quella della pubblicità e della natura competitiva intesa ad individuare il miglior acquirente. Con l’introduzione dell’art. 163 bis lf, ad opera del decreto legge 83/2015, convertito con modifiche nella legge 132/2015, si è posto fine alle proposte vincolate, sancendo il principio di necessaria pubblicizzazione dell’offerta pervenuta al debitore e della natura competitiva del procedimento» ([27]).

Parallelamente, è stato integrato l’art. 182 l. fall., prevedendo che alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applichino gli articoli da 105 a 108-ter l. fall. in quanto compatibili.

Si è così positivizzata una prassi giurisprudenziale minoritaria, rappresentata dalla pronuncia del Tribunale di Milano in occasione del concordato della Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor (cfr. Trib. Milano, 28 ottobre 2011, in Foro it. 2012, 1, I, p. 136) nonchè dal Tribunale di Bologna nel concordato della società La Perla (cfr. Trib. Bologna, 4 giugno 2013), che avevano previsto la necessaria competitività delle vendite anche in presenza di piani chiusi in virtù dell’art. 182 l. fall., e si sono introdotti «tre principi cardine, ovvero (1) l’accelerazione delle vendite per la conservazione del valore dei beni (art. 182), così evitando di dover ricorrere necessariamente all’affitto finalizzato alla vendita (strumento comunque spesso indispensabile per salvare il complesso aziendale ed evitare l’accumulo di prededuzioni all’imprenditore in crisi); (2) l’obbligo di pubblicità; (3) l’obbligo di competitività in qualsiasi fase della procedura concordataria, ed ora anche in quella “ante ammissione”» (Trib. Bolzano, 17 maggio 2016 in  www.ilcaso.it; ma anche Trib. Livorno, 11 maggio 2016, in  www.ilcaso.it: “Com’è noto, il D.L. 83/2015, nell’introdurre la norma dell’art. 183-bis, fa tesoro dell'esperienza di alcuni Tribunali che, rilevando un potenziale conflitto di interesse con i destinatari del ramo d'azienda secondo la proposta concordataria, disposero l’organizzazione di una gara competitiva, riuscendosi, in tal modo, a spuntare un prezzo di vendita superiore a quello previsto dal piano originario. Con l'introduzione dell'art. 163 bis l. fall., il legislatore ha, dunque, inteso porre fine al fenomeno delle proposte concordatarie chiuse e vincolate ed ha recepito un principio non derogabile che impone sempre la necessaria pubblicizzazione dell'offerta pervenuta al debitore e la altrettanto necessaria natura competitiva del procedimento mirato ad individuare l'acquirente”) .

Quanto all’ambito di applicazione dell’articolo in questione, ritenuto “norma inderogabile destinata a regolare le vendite e le cessioni in ambito concordatario” (Trib. Ravenna, 27 novembre 2015, in  www.ilcaso.it),la giurisprudenza ha sostenuto che esso si applichi a qualsiasi trasferimento di beni in ambito concordatario e dunque non solo ai concordati di natura liquidatoria, ma anche ai concordati con continuità mista e con continuità funzionale alla cessione dell’azienda (cfr. Trib. Forlì, 3 febbraio 2016, in  www.ilcaso.it).

Più specificamente, si è affermato che la disciplina delle offerte concorrenti trovi “necessaria applicazione non solo nel caso in cui il piano di cui all'art. 161, comma 2, lettera e) comprenda un'offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell'omologa, verso corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso i predetti beni, ma anche quando il debitore ha stipulato un contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato dell'azienda, del ramo d'azienda o di specifici beni e quindi quando il debitore abbia concluso prima del deposito del ricorso un contratto le cui obbligazioni non hanno avuto ancora esecuzione come nel caso del contratto preliminare, con conseguente evidente inopponibilità dello stesso alla massa concordataria e deroga alla disciplina dettata per i contratti pendenti dall'art. 169 bis l.f. tenuto conto, tra l'altro, che il risarcimento conseguente al mancato adempimento è regolato dall'art. 163 bis in modo diverso rispetto a quanto previsto dall'art. 169 bis; ritenuto peraltro che nella formulazione della norma rientri non solo il caso del contratto preliminare ma anche più in generale l'ipotesi di ogni contratto già concluso dal debitore, in vista della formulazione del piano concordatario, che abbia comunque lo scopo del trasferimento non immediato dell'azienda, di un ramo d'azienda o di specifici beni quale è indubbiamente proprio l'affitto d'azienda ove sia stata pattuita la cessione della stessa al termine dell'affitto o sia stato concesso il diritto di prelazione a favore dell'affittuario stesso, ipotesi questa del resto espressamente richiamata dal legislatore nell'ultimo comma, oppure un contratto di locazione di immobile di cui sia poi prevista la cessione al locatario con imputazione dei canoni nel frattempo corrisposti in conto prezzo” (Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016; ma anche Trib. Forlì, 3 febbraio 2016, Trib. Bolzano 17 maggio 2016, Trib. Udine, 15 ottobre 2015, tutte in  www.ilcaso.it).

In proposito, il Tribunale di Bergamo, nella circolare operativa del marzo 2016, ha affermato che: “Il principio (di cui all’art. 163-bis l.fall.) integra una significativa eccezione a quello generale secondo cui i contratti pendenti proseguono in costanza di concordato, salvo domanda di sospensione o scioglimento da parte del debitore ex art. 169 bis l. fall.. La sua applicazione va quindi riservata ai contratti preliminari conclusi prima della pubblicazione della domanda di concordato, che abbiano come oggetto l'azienda, un ramo d'azienda o specifici beni facenti parte dell'azienda, con conseguente esclusione dei contratti preliminari che siano stati conclusi in coerenza con l'attività di gestione caratteristica della società debitrice (es.: preliminari di compravendita di appartamenti stipulati da una società immobiliare)”.

Il principio è stato seguito dal Tribunale di Livorno, che ha ritenuto che “non rientrino nell’ambito applicativo delle offerte concorrenti i contratti (preliminari) stipulati prima del concordato di cessione di singoli beni ricollegabili alla normale attività di gestione dell’impresa (…) sempreché, ovviamente, gli “impegni preconfezionati” di vendita di beni assunti dal debitore siano effettivamente coerenti con la normale attività di gestione (sotto il profilo qualitativo e quantitativo) e, dunque, non celino l’intenzione di cedere i beni aziendali, magari con l’intenzione di sottrarre attivo ai creditori o di alterare i criteri della par condicio creditorum” (Trib. Livorno, 11 maggio 2016, in  www.ilcaso.it).

A quanto sin qui affermato deve aggiungersi che «l’applicazione della predetta disciplina, peraltro, non è condizionata all’esistenza di un piano concordatario, essendo sufficiente l’apertura di una procedura concordataria a seguito di deposito di domanda di concordato “in bianco”, sempre che via sia un’offerta d’acquisto di un bene concordatario o un contratto preliminare» (Trib. Bolzano, 17 maggio 2016, conf. Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016; Trib. Rovigo, 17 novembre 2015, tutte in  www.ilcaso.it) e che, dunque, “la vendita concorsuale può avvenire anche nella fase preconcordataria, cioè prima della scadenza del termine concesso dal Tribunale ex art. 161, 6° c., l. fall., in assenza di piano, proposta e relazione attestatrice, come lascia chiaramente intendere il combinato disposto degli artt. 163 bis, ultimo comma, e 182, 5° c., l. fall.” (Trib. Forlì, 3 febbraio 2016).

Il legislatore ripone così fiducia nella capacità del mercato di valorizzare al meglio l’oggetto della vendita, rendendo irrilevante l’eventuale mancanza del piano concordatario (cfr. Trib. Bergamo, circolare operativa 2/2016, in  www.ilcaso.it).

In tal caso, secondo il Tribunale di Palermo, la vendita da attuarsi mediante modalità competitive ai sensi dell'articolo 163-bis l. fall. di beni dell'impresa proponente durante la fase di concordato con riserva può essere ricondotta nel novero degli atti di straordinaria amministrazione a carattere di urgenza di cui all'articolo 161, comma 7, legge fall. (cfr. Trib. Palermo, 4 maggio 2016, in  www.ilcaso.it)

Si segnala una, allo stato, isolata pronuncia del Tribunale di Bergamo che, durante la fase di concordato con riserva, ha ammesso la possibilità di autorizzare in via d’urgenza l'affitto del ramo di azienda, e di differire ad un momento successivo l'esperimento della procedura competitiva per l'individuazione del soggetto affittuario, ove ciò risponda alla necessità di salvaguardare l'integrità e il valore del ramo aziendale al fine della migliore soddisfazione dei creditori (nel caso di specie, si doveva provvedere alle manutenzioni ed al pagamento dei fornitori di energia indispensabili per impedire l'arresto del processo produttivo; il Tribunale ha quindi autorizzato la stipula dell'affitto di azienda con assunzione da parte dell'affittuaria degli oneri di manutenzione degli impianti e dalla rimessa in esercizio dell'attività d'impresa e con l'impegno di mantenere l'efficacia dell'offerta d'acquisto della stessa anche nell'ipotesi di fallimento del debitore) (cfr. Trib. Bergamo, 23 dicembre 2015, in  www.ilcaso.it). Tale pronuncia, con una scelta condivisa anche da chi ha ritenuto «auspicabile che, in casi di estrema e comprovata urgenza, allorché possa derivare un ritardo pregiudizievole all’interesse dei creditori, qualche coraggioso tribunale autorizzasse l’affitto in favore dell’offerente senza disporre la competitiva in quanto “non compatibile”» (M. Greggio, op. cit., p. 11), limitandosi a differire l’esperimento delle procedure competitive, parrebbe comunque rispettare l’orientamento della giurisprudenza maggioritaria nonché delle linee guida in materia di offerte concorrenti di cui alla circolare 2/2016 dello stesso Tribunale, secondo le quali “la nuova disciplina delle offerte concorrenti comporta che debbano essere ritenute sempre inammissibili le proposte cd. chiuse o vincolate, il che non esclude che la proposta possa essere accompagnata da un’offerta da parte di un soggetto già individuato, fermo restando l’obbligo da parte del tribunale di attivare la ricerca di altri interessati all’acquisto”.

Quanto al coordinamento tra le disposizioni di cui all’art. 163-bis l. fall. e dell’art. 182, 5° co. l. fall., che rinvia agli artt. da 105 a 108-ter l. fall., si segnala il provvedimento del Tribunale di Bolzano del 17 maggio scorso. In tale sede, partendo dal presupposto che la disciplina derivante dal combinato disposto di cui agli artt. 182 e da 105 a 108-ter l. fall. trovi applicazione a tutte le vendite competitive che si rendono necessarie in qualsiasi fase della procedura, prima o dopo l’omologa, e a tutte le procedure concordatarie, che siano liquidatorie o in continuità aziendale, diretta o indiretta, ad esclusione della fase “ante ammissione concordataria”, regolamentata ora dalla disciplina dell’art. 163-bis l. fall., il Tribunale citato ha ritenuto di “poter affermare che, sotto il profilo degli effetti, la vendita competitiva di cui all’art. 163 bis lf, pur in assenza di un richiamo degli artt. da 105 a 108 ter lf comporti 1. gli effetti cd. purgativi di una vendita forzata (art. 108), eseguita con decreto di trasferimento del giudice o con atto notarile previa autorizzazione del giudice, in quanto (i) fatta dall’autorità giudiziaria (ii) indipendentemente dalla volontà del debitore, in quanto soggetta a procedura competitiva, oltretutto soggetta all’aumento minimo del prezzo base; (iii) nell’interesse del ceto creditorio e (iiii) con distribuzione del ricavato nel rispetto delle cause legittime di prelazione ai sensi dell’art. 2741 cc; 2. gli effetti liberatori dalla responsabilità dell’acquirente per i debiti sorti prima del trasferimento dell’azienda e risultanti dai libri contabili obbligatori (105 lf)”.

Quanto alla disciplina, il medesimo Tribunale ha sottolineato la diversità delle procedure competitive previste dagli artt. 163-bis e 182, 5° co. l. fall.: “infatti, l’art. 163 bis prevede l’obbligatorietà, a differenza del combinato disposto degli artt. 182 e 107 a) dell’aumento (non rilancio) minimo dell’offerta originaria; b) della gara, con ciò imponendo una procedura competitiva più restrittiva e meno libera rispetto a quella prevista dall’art. 107 lf. Di conseguenza il Tribunale sarà obbligato a stabilire l’aumento minimo, andando così ad incidere, limitandola, sulla libertà negoziale di offerente ed imprenditore in concordato, per consentire la presentazione di “offerte migliorative”, come previsto dal terzo comma dell’art. 163 bis lf. Il Tribunale auspicabilmente fisserà un aumento esiguo per limitare quanto più possibile il suo potere di incidere sull’autonomia negoziale delle parti, considerato che deve incidere sulla sfera patrimoniale di un soggetto, il debitore, che non è spossessato del proprio patrimonio, mantenendo oltre alla proprietà, l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni, salve le limitazioni connesse alla natura della procedura.

Sulla questione dell’aumento minimo si è soffermato anche il Tribunale di Udine, che, in un caso di procedimento competitivo avente ad oggetto l’acquisto di un’azienda da parte dell’affittuario sulla base di un contratto d’affitto stipulato prima del deposito della domanda di concordato, ha ritenuto che l’aumento minimo del corrispettivo andasse riferito esclusivamente al prezzo per l’acquisto dell’azienda (cfr. Trib. Udine, 15 ottobre 2015, in  www.ilcaso.it).

Il Tribunale di Bolzano ha poi affermato che, laddove “alla gara non dovesse partecipare alcuno, oppure le offerte depositate, compresa quella dell’originario offerente, si dovessero ritenere inefficaci in quanto non conformi al decreto del Tribunale oppure condizionate, il bene andrà comunque aggiudicato a colui il quale aveva fatto l’offerta originaria, iniziale”, opinione conforme a quanto affermato dal Tribunale di Udine, che ha «ritenuto, per quanto riguarda l'interpretazione delle nuove disposizioni, che l'obbligatorietà del procedimento competitivo anche quando il debitore ha stipulato un contratto finalizzato alla vendita differita dei beni comporta necessariamente il potere/dovere del giudice di sciogliere il debitore dagli obblighi contrattualmente assunti, per permettergli di "modificare la proposta e il piano di concordato in conformità all'esito della gara" (…) con la precisazione che tale scioglimento avviene solo al momento dell'aggiudicazione ad un diverso soggetto» (Trib. Udine, 15 ottobre 2015, in  www.ilcaso.it).

Quanto alla competenza per la gestione della procedura competitiva, sembra prevalere l’opinione secondo la quale la ricerca di offerte concorrenti e la conseguente eventuale gara non possano che essere gestite dall’organo giurisdizionale, con impossibilità di delega al commissario giudiziale, essendo riservata al tribunale in composizione collegiale la determinazione dei contenuti del bando e al giudice delegato la gestione della gara (cfr. Trib. Bergamo, circolare operativa 2/2016; Trib. Bolzano, 17 maggio 2016, entrambe in  www.ilcaso.it).

 

V. Finanziamenti prededucibili e contratti pendenti

Infine, per quanto attiene al novellato art. 182-quinquies l. fall., che trova applicazione anche in relazione ai procedimenti di concordato preventivo introdotti anteriormente all’entrata in vigore del d.l. 83/2015, e alle modifiche all’art. 169-bis l. fall. sui contratti pendenti, ci si limita a richiamare quella che pare essere la, sino ad oggi, più significativa pronuncia che ha affrontato entrambi i temi, quella emessa dal Tribunale di Bolzano in data 5 aprile 2016 (in  www.ilcaso.it).

Il provvedimento richiamato, invero, innanzitutto prende atto della nuova formulazione dell’art. 169-bis l. fall., che “scioglie in modo chiaro i dubbi interpretativi con riferimento alla necessità del contraddittorio in caso di richiesta di scioglimento dei contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data della presentazione del ricorso”, mentre non si esprime altrettanto chiaramente in merito alla richiesta di sospensione dei contratti pendenti.  In tal caso, ad avviso del Tribunale di Bolzano, l’instaurazione del contraddittorio fra le parti è, tuttavia, oltremodo opportuna ed utile ai fini di una decisione destinata comunque ad incidere a svantaggio di una parte contrattuale, quella in bonis; ciò, a maggior ragione, se si tiene conto della speditezza, della celerità e della informalità con cui il Tribunale o il G.D. possono convocare le parti interessate e discutere nel dettaglio su rapporti giuridici complessi.

Ritenendo poi che gli strumenti dello scioglimento e della sospensione dei contratti pendenti di cui all'articolo 169-bis l. fall. siano stati previsti dal legislatore allo scopo di favorire le procedure concorsuali alternative al fallimento ed agevolare l'imprenditore nella predisposizione di un piano di ristrutturazione che sia più favorevole ai creditori e comunque finalizzato a superare la crisi d’impresa, il Tribunale di Bolzano ritiene altresì possibile autorizzare durante la fase di concordato con riserva non solo la sospensione, ma anche lo scioglimento dei rapporti pendenti, a condizione che il giudice, grazie ad una adeguata disclosure offerta dal ricorrente, sia sulle scelte del tipo di concordato sia sugli elementi strutturali del piano in corso di predisposizione, possa svolgere una più approfondita analisi del contesto.

Ciò premesso, il Tribunale esamina i contratti bancari, affermando che anche ad essi si applichi l’art. 169-bis l. fall. sui contratti pendenti, per poi affrontare la questione delle linee di credito auto liquidanti, che si caratterizzano per l’anticipo effettuato dalla banca, entro un determinato plafond, di crediti commerciali a fronte della presentazione di idonea documentazione da parte del soggetto richiedente, con rimborso dell’anticipazione in un secondo momento attraverso l’incasso diretto dalla banca. Il Tribunale di Bolzano, dunque, afferma che i contratti bancari autoliquidanti che prevedano il patto di compensazione o il mandato all'incasso siano il frutto di un complesso di negozi tra loro strettamente connessi e collegati durante lo svolgimento dei quali permane a carico della banca l'obbligo di provvedere all'incasso dei crediti oggetto di anticipazione e di dare esecuzione alla compensazione, garantendo un comportamento diligente nella gestione dei rapporti ed il perdurare di un servizio di cassa nel limite dell'importo pattuito; detti contratti rientrano, pertanto, secondo il Tribunale, nel perimetro di applicazione dell'articolo 169-bis l. fall., con la precisazione che l'autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento dei medesimi coinvolgerà anche i rapporti giuridici ad essi strettamente connessi, quali il mandato in rem propriam o il patto di compensazione che siano opponibili alla massa dei creditori in quanto notificati al debitore in data anteriore alla pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese (conf. Trib. Bergamo, 28 gennaio 2016, in  www.ilcaso.it).

Dopo avere così cercato di sistematizzare il quadro normativo relativo ai contratti bancari cd. autoliquidanti, il Tribunale si interroga su come si inserisca in tale quadro la nuova previsione normativa di cui all’art. 182-quinquies l. fall., secondo la quale “la richiesta [di contrarre finanziamenti] può avere ad oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda”.

Analizzando dunque la disciplina ante e post riforma in materia di finanziamenti nel concordato preventivo, il Tribunale di Bolzano chiarisce come prima della citata novella i finanziamenti nell’ambito della disciplina concordataria fossero distinti in 3 tipologie:

- finanziamenti in funzione del concordato preventivo (art. 182-quater, 2° co. l. fall.);

- finanziamenti in occasione del concordato preventivo (art. 182-quinquies, 1° co. l. fall.);

- finanziamenti in esecuzione del concordato preventivo (art. 182-quater, 1° co. l. fall.);

ciò che lasciava aperta la domanda, che ha avuto risposte contrastanti dalla giurisprudenza di merito, se i finanziamenti richiesti e concessi nella fase che va dal deposito della domanda di concordato e fino alla sua omologazione, potessero essere richiesti anche in assenza del piano concordatario.

Dà dunque conto dell’intervento del legislatore della riforma a chiarire tale aspetto, modificando il comma 1 dell’art. 182-quinquies e sovrapponendo tale disciplina a quella aggiunta al terzo comma del predetto articolo, con cui è stata introdotto un istituto cautelare e d’urgenza di finanziamento “in occasione” della predisposizione del piano concordatario, “funzionale a urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale fino alla scadenza del termine fissato dal tribunale ai sensi dell’art. 161 comma 6 lf.” .

Ritiene dunque il Tribunale che tale istituto d’urgenza sia riservato ai concordati che intendano garantire la continuità aziendale (solo per questo tipo di finanziamento il legislatore avrebbe infatti espressamente previsto il riferimento alla continuità aziendale) e che in fase prenotativa abbiano esigenze di reperire finanziamenti. In tali casi, pur in assenza di un’attestazione, incompatibile con i motivi d’urgenza, si afferma l’obbligo per il debitore di depositare una documentazione completa e corredata da un piano finanziario (l’opinione non è condivisa dalla dottrina, cfr. S. Ambrosini, Il diritto della crisi d’impresa nella legge n. 132 del 2015 e nelle prospettive di riforma, in Crisi d’Impresa e Fallimento, 30.11.2015, p. 45, in  www.ilcaso.it e C. Scribano, op. cit., p. 7, i quali ritengono che il finanziamento interinale d’urgenza possa essere autorizzato anche nell’ipotesi di concordato pieno).

Sostanzialmente, in seguito all’ultima modifica normativa si avrebbero quindi quattro tipologie di finanziamenti, previste dagli artt. 182-quater e 182-quinquies l. fall., tipologie che, seguendo un criterio cronologico, possono essere cosi individuate:

1. finanziamenti “in funzione” della predisposizione del piano (art. 182-quater, 2° co. l. fall.);

2. due tipi di finanziamenti contratti “in occasione” della procedura concordataria: il primo tipo, che copre tutta la fase concordataria (art. 182-quinquies, 1° co. l. fall.),

3. il secondo, che risponde ad esigenze d’urgenza insite nella fase prenotativa (art. 182-quinquies, 3° co. l. fall.), in presenza di una procedura necessariamente in continuità aziendale;

4. finanziamenti in esecuzione del concordato preventivo (art. 182-quater, 1° co. l. fall.).

E, secondo il Tribunale di Bolzano, è all’interno della terza tipologia di finanziamenti, quelli, appunto, che rispondono ad esigenze d’urgenza insite nella fase prenotativa in presenza di una procedura necessariamente in continuità aziendale, che si inserisce anche “il mantenimento delle linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda”, particolari forme di finanziamento il cui mantenimento “per la loro prededucibilità, oltre che per la loro natura complessa e derogatoria ai principi generali” richiede “un preventivo vaglio, e quindi un’autorizzazione del Tribunale” (Trib. Bolzano, 5 aprile 2016, in  www.ilcaso.it).

Si segnala, tuttavia, l’opinione del Tribunale di Rovigo, che ha ritenuto superfluala disposizione contenuta nell'articolo 182-quinquies l. fall., per cui il debitore può chiedere di essere autorizzato al mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda, alla luce del principio generale della regolare prosecuzione dei contratti pendenti, in mancanza di istanza di sospensione o di scioglimento ai sensi dell'articolo 169-bis l. fall. (Trib. Rovigo, 26 novembre 2015, in  www.ilcaso.it; conf., in dottrina, C. Scribano, op.cit., p. 8).



[1] S. Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo alla luce della miniriforma del 2015, inDir. Fall. 2015, 5, p. 359 ss.

[2] A. Jorio, La parabola del concordato preventivo: dieci anni di riforme e controriforme, in Giur. Comm. 2016, 1, p. 15 ss., afferma che “la novità forse più significativa introdotta dal decreto riguarda il principio di competitività”.

[3] S. Ambrosini, op. cit., p. 361; S. Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in www.ilcaso.it; A. Farolfi, Concordato preventivo: le novità di agosto, 11.12.2015, in www.ilfallimentarista.it; C. Scribano, La finanza interinale nel concordato preventivo fra nuovi interventi d’urgenza e urgenza del debitore in stato di crisi, in Crisi d’Impresa e Fallimento, 11.01.2016, in   www.ilcaso.it.

[4] In   www.ilcaso.it.

[5] Trib. Firenze, 8.01.2016, in   www.ilcaso.it; Trib. Firenze, 1.02.2016, in   www.ilcaso.it.

[6] A. Farolfi, op. cit.; A. Pezzano, Sul regime transitorio della novella concorsuale rispetto ai preconcordati   “pendenti” ex art. 23 d.l. 83/15. Nota a Tribunale di Pistoia 29 ottobre 2015, in www.ilcaso.it.

[7] Trib. Trento, 15 ottobre 2015, in www.ilfallimentarista.it.

[8] Trib. Benevento, 4 novembre 2015, in  www.ilcaso.it.

[9] Trib. Ravenna, 27 novembre 2015, in  www.ilcaso.it.

[10] Trib. Ancona, 26 novembre 2015, in  www.ilcaso.it, che ha ritenuto inammissibile la proposta concorrente depositata da un terzo nell’ambito di una procedura iniziata con il deposito di un ricorso prenotativo ex art. 161, 6° co. l. fall. depositato il 6 maggio 2015.

[11] Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016, in  www.ilcaso.it.

[12] App. Torino, 19 aprile 2016, n. 617, in  www.ilcaso.it.

[13] A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni), in Crisi d’Impresa e Fallimento, 23.11.2015, in  www.ilcaso.it, p. 1.

[14] Disponibile in  www.ilcaso.it; ma, nello stesso senso, si veda anche Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in  www.ilcaso.it: “Non vi sono dubbi che la prima disposizione (comma IV dell’art. 160) inserita all’interno di una norma che prevede i presupposti per l’ammissione alla procedura individui un nuovo requisito o fatto costitutivo del concordato preventivo, la cui assenza determinerà l’inammissibilità della proposta ai sensi dell’art. 162 l.f. (cosa diversa sarà poi accertare in cosa tale requisito consista)”. In dottrina, E. Sabatelli, La novellata disciplina della domanda di ammissione al concordato preventivo, 13.01.2015, p. 6, in www.ilfallimentarista.it: “la rilevanza attualmente riconosciuta all’attribuzione ai chirografari di un soddisfacimento precisamente delineato nell’entità minima…è tale da indurre a ritenere che ci si trovi di fronte ad un nuovo requisito di ammissibilità al procedimento, la cui ricorrenza, come avviene per ogni altro presupposti di ammissibilità, deve essere accertata dal Tribunale”.

[15] Cfr. anche Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in  www.ilcaso.it: “Sul significato del termine “assicurare” si potrà a lungo discutere, ma non è dubbio che esso presupponga un grado di certezza che, seppure relativo trattandosi di valutazioni prognostiche (non si parla, infatti, di “garantire), è del tutto estraneo alla mera previsione probabilistica. Il legislatore ha inteso alzare l’asticella della protezione dei creditori imponendo al debitore soluzioni della propria crisi con esiti per i primi connotate da ragionevole sicurezza in ordine alla pur limitata soddisfazione dei propri crediti (oltre che caratterizzate da maggiore trasparenza in ordine alle effettive prospettive di soddisfazione e, dunque, al contenuto della proposta). In qualche modo, il legislatore del 2015 ha completato il suo parziale ritorno al passato adottando una formula che riecheggia da vicino quella dell’originario art. 160, co. 1 n. 2 (“fondatamente ritenere” che…). Dunque, il comma IV dell’art. 160 novellato può essere letto nel senso che in ogni caso il debitore deve proporre fondatamente il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari. Pur con tutte le possibili sfumature del caso, il criterio di qualificazione della proposta adottato si pone a metà strada fra quello della garanzia e quello della ragionevole previsione: meno del primo, più del secondo”.

[16] In dottrina, E. Sabatelli, op. cit., p. 4, sostiene si tratti di una vera e propria obbligazione.

[17] Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015, in  www.ilcaso.it.

[18] P. Vella, op. cit., p. 10.

[19] S. Ambrosini, Il nuovo concordato preventivo alla luce della miniriforma del 2015, in Dir. Fall. 2015, 5, p. 363.

[20] A. Jorio, op. cit., p. 15 ss.

[21] In dottrina, S. Ambrosini, ult. op. cit., p. 368, ribadisce, come già aveva fatto in passato, che l’affitto stipulato prima della presentazione della domanda di concordato, così come quello da stipularsi in corso di procedura, non sia di ostacolo all’applicabilità dell’art. 186-bis l. fall.

[22] Trib. Firenze, 8 gennaio 2016, in  www.ilcaso.it.

[23] G. Bozza, Brevi considerazioni su alcune norme dell’ultima riforma, in www.fallimentiesocietà.it, 2015; G. Lo Cascio, Introduzione, in AA.VV., Decreto Giustizia: le novità in materia fallimentare, 2015, p. 4; P. Vella, op. cit., p. 19 ss.

[24] L. Stanghellini, Proprietà e controllo dell’impresa in crisi, in Riv. Soc. 2004, p. 1041 ss.

[25] Trib. Bergamo, circolare operativa 2/2016, in  www.ilcaso.it; G. D’Attorre, op. cit., p. 1064; L. Varotti, op. cit., p. 5.

[26] In  www.ilcaso.it.

[27] Trib. Bolzano, 17 maggio 2016, in  www.ilcaso.it.



Scarica Articolo PDF