CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/10/2020 Scarica PDF
Il workers buyout quale possibile strumento di risoluzione della crisi della piccola e media impresa italiana
Eleonora Pagani, Dottore di ricerca di diritto commerciale e assegnista di ricerca nell'Università degli Studi di BolognaSommario: 1. Introduzione: verso un nuovo diritto della crisi d’impresa? - 2. Il workers buyout sul piano comparato. - 3. La disciplina italiana del workers buyout: la Legge Marcora. - 4. Le ulteriori agevolazioni al processo di conversione. - 5. Il diritto di prelazione a favore delle società cooperative costituite da lavoratori dipendenti di imprese sottoposte a procedure concorsuali. – 6. Le cifre del workers buyout in Italia.
1. Introduzione: verso un nuovo diritto della crisi d’impresa?
Le prime previsioni diffuse da istituti italiani e internazionali sul fatturato delle imprese italiane per gli anni 2020 e 2021 ([1]) lasciano purtroppo presagire che l’emergenza sanitaria da Covid-19 rischi di trasformarsi in una altrettanto grave crisi economica ([2]), in vista della quale Stati e imprese sono chiamati ad adottare precocemente un approccio quanto più possibile resiliente e ad approntare adeguati strumenti, anche di diritto societario e fallimentare, per far fronte agli scenari futuri ([3]).
La conseguente necessità di istituti che assicurino un precoce rilevamento della crisi e il suo efficace superamento, così evitando la mera espulsione dell’impresa dal mercato ([4]), ha condotto gli studiosi a confrontarsi sull’opportunità di rimeditare la disciplina concorsuale ([5]), anche considerato l’intervenuto differimento al primo settembre 2021 dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e d’Insolvenza e delle nuove misure d’allerta ivi contenute.
L’occasione sembrerebbe peraltro propizia per non limitarsi alla ricerca di – pur necessarie – soluzioni emergenziali e temporanee, ma per ricollegare tale acceso dibattito a quello avente ad oggetto un più generale ripensamento dell’impresa, chiamata a prestare maggior attenzione agli interessi dei propri stakeholders([6]), a “democratizzare il lavoro” ([7]) e a perseguire, per usare le parole del nuovo Codice di Corporate Governance di Borsa Italiana per le società quotate, un “successo sostenibile” ([8]).
D’altronde la recente Direttiva (UE) 2019/1023 sembrerebbe indicare proprio questa direzione per il futuro del diritto concorsuale europeo, laddove nelle premesse afferma che “tutte le operazioni di ristrutturazione, in particolare quelle di grandi dimensioni che generano un impatto significativo, dovrebbero basarsi su un dialogo con i portatori di interessi” ([9]), sebbene tale considerando rimanga una mera petizione di principio, dal momento che l’art. 13 della medesima Direttiva, rubricato “Lavoratori”, e dunque riguardante i principali stakeholders interni dell’impresa, si limita a specificare che la ristrutturazione preventiva non debba interessare i preesistenti diritti individuali e collettivi dei lavoratori ([10]).
In tale quadro ci si propone quindi di analizzare il workers buyout quale strumento che, al contempo, risponde sia all’esigenza di intercettare tempestivamente la crisi dell’impresa, preservando la continuità aziendale ed evitando una dispersione del patrimonio aziendale ([11]), sia alla volontà di assicurare un ruolo attivo ai suoi lavoratori dipendenti nella gestione dell’uscita dell’impresa dalla fase di crisi ([12]).
La possibilità di fare ricorso al workers buyout per fronteggiare la crisi d’impresa generata dalla pandemia da Covid-19 è d’altronde stata presa in considerazione anche dal legislatore, che nel “Decreto Rilancio” (art. 39, co. 5-bis, decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) ha previsto lo stanziamento di 15 milioni di euro al Fondo per la crescita sostenibile ([13]), destinato all'erogazione di finanziamenti agevolati per la costituzione di nuove imprese, anche in forma di società cooperative, da parte di lavoratori di imprese in crisi o provenienti da imprese in crisi, nonché per la promozione di società cooperative che gestiscono aziende confiscate alla criminalità organizzata e di cooperative sociali per la salvaguardia dei livelli di occupazione ([14]).
2. Il workers buyout sul piano comparato.
E’ bene chiarire sin dal principio che dietro all’espressione workers buyout (di seguito anche solo ‘WBO’), si cela per vero un mondo multiforme, caratterizzato da operazioni che a vario titolo determinano l’acquisto della proprietà dell’azienda o di un suo ramo da parte dei dipendenti che ivi prestano la propria opera e che consentono il perseguimento tanto di tentativi di salvataggio dell’impresa in crisi quanto di soluzione di problematiche di successione aziendale.
Sul piano comparato si registra la presenza di tre differenti modelli di workers buyout: il primo, di carattere “conflittuale” ([15]), ha trovato larga diffusione in America Latina, nella forma delle Empresas Recuperadas por sus Trabajadores, sviluppatesi in Argentina in seguito alla crisi economica del 2001, ove in una situazione di aperto conflitto tra imprenditori, autorità locali e lavoratori, questi ultimi hanno occupato sine titulo le fabbriche per poi costituire società cooperative di lavoro volte alla conservazione del complesso produttivo ([16]). Ciò, anche grazie alle previsioni del Capitolo IV, Sezione II della Ley Nacional de Concursos y Quiebras (Legge 24.522 del 1995), da ultimo riformato ad opera della Ley 26.684 del 2011, che prevede il diritto della cooperativa di lavoro costituita da almeno i due terzi dei lavoratori dell’impresa in crisi di chiedere all’organo giudiziario l’autorizzazione alla continuazione dell’attività d’impresa per conservare i posti di lavoro (artt. 189 – 190 – 191 – 191 bis Legge 24.522 del 1995) ([17]).
Negli Stati Uniti, invece, la realizzazione di workers buyout avviene per il tramite di Employee Stock Ownership Plans (ESOP) ([18]), istituti di carattere previdenziale riconosciuti ufficialmente solo con l’emanazione nel 1974 dell’Employee Retirement Income Security Act (ERISA), che vedono la presenza di una società, Society Sponsor o Sponsoring Employer, la quale apporta nuove azioni o conferisce denaro, in una quantità solitamente rapportata ai profitti, ad una società fiduciaria, Employee Share Ownership Trust, dalla stessa costituita a tale scopo e con personalità giuridica autonoma ([19]). Il trust utilizza quindi i contributi per acquistare azioni della Society Sponsor e amministrarle in nome e per conto dei dipendenti ([20]), può inoltre ottenere prestiti esterni da banche o intermediari finanziari per comprare azioni della società di nuova emissione o già in circolazione, con l’impegno della società a rendersi garante del prestito e versare periodicamente al fondo somme (generalmente rapportate ai profitti) per ripagarlo (c.d. Leveraged ESOP) ([21]).
Il modello dei Leveraged ESOP ha dunque svolto negli Stati Uniti una funzione fondamentale nelle operazioni di employee buyout, consentendo il passaggio del controllo della società in crisi nelle mani dei lavoratori ([22]).
In Europa è, infine, diffuso il c.d. “WBO negoziato”, che scaturisce da un processo di confronto tra autorità, lavoratori e proprietari dell’impresa e gode molto spesso di una legislazione di sostegno ([23]).
E’ quanto avviene in Spagna, ove si consente al lavoratore disoccupato di richiedere la corresponsione in un’unica soluzione di tre anni di sussidio di disoccupazione (c.d. “pago único”) e di utilizzare detta somma per la realizzazione di workers buyout in forma cooperativa, ovvero in Francia, ove la legge 856/2014 ha riconosciuto ai lavoratori il diritto di essere informati in caso di cessione d’azienda o di un suo ramo e ha garantito loro la possibilità di costituire “società cooperative di transizione” (“scop d’amorcage”), che superano l’obbligo di detenere ab origine almeno il 51% del capitale sociale imposto ai lavoratori dalla disciplina delle société coopérative ouvrière de production, consentendo a questi ultimi di acquisire la maggioranza delle partecipazioni sociali nell’arco di sette anni, durante i quali i lavoratori hanno comunque la maggioranza dei diritti di voto, grazie alla presenza di soci investitori che sottoscrivono quote di capitale prive di diritto di voto e con l’impegno di venderle ai lavoratori decorsi i sette anni ([24]).
Il fenomeno ha peraltro ricevuto in diverse occasioni il sostegno delle Istituzioni Europee: la Commissione Europea ha invero sottolineato che “i dipendenti sono particolarmente interessati alla sopravvivenza della loro impresa e hanno spesso una buona conoscenza del settore in cui lavorano. Spesso, però, non dispongono di mezzi finanziari adeguati e dell'assistenza necessaria per riprendere e gestire un'impresa. Una preparazione attenta e graduale dei trasferimenti ai lavoratori, organizzati in forma di cooperativa, può migliorare i tassi di sopravvivenza” ([25]), mentre il Parlamento Europeo con la Risoluzione del 2 luglio 2013 sul contributo delle cooperative al superamento della crisi ha rimarcato come “il trasferimento di un’impresa ai dipendenti mediante la creazione di una cooperativa e altre forme di azionariato dei dipendenti possano essere la soluzione migliore per garantire la continuità aziendale” ([26]), identificando specialmente nei modelli spagnolo, francese e italiano alcuni esempi di buone prassi meritevoli di incentivo.
3. La disciplina italiana del workers buyout: la Legge Marcora.
In Italia, la legge 27 febbraio 1985, n. 49, c.d. “Legge Marcora” ([27]), ha introdotto la prima forma di sostegno economico di portata generale al workers buyout ([28]), incentivando la costituzione di società cooperative da parte di lavoratori licenziati, cassaintegrati o dipendenti di aziende in crisi o sottoposte a procedure concorsuali attraverso l’istituzione di due fondi alimentati da disponibilità statali: un Fondo di rotazione per il finanziamento di progetti presentati da società cooperative, chiamato Foncooper e disciplinato nel Titolo I agli artt. 1 – 13, e un Fondo Speciale per gli interventi a salvaguardia dei livelli occupazionali, al quale era dedicato il Titolo II, artt. 14 – 19.
Il primo fondo, all’epoca istituito presso la Sezione Speciale per il Credito alla Cooperazione costituita presso la Banca Nazionale del Lavoro, era finalizzato alla promozione e allo sviluppo della cooperazione attraverso la concessione di finanziamenti agevolati per le cooperative che realizzassero programmi di investimento finalizzati ad aumentare la produttività, l’occupazione e la manodopera attraverso l’incremento e/o l’ammodernamento dell’apparato produttivo, dei servizi tecnici, commerciali e amministrativi dell’impresa ovvero programmi destinati alla ristrutturazione e riconversione degli impianti. Le risorse e la gestione del Foncooper sono state successivamente devolute alle Regioni ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. n. 112/1998 e dal D.P.C.M. attuativo 6 agosto 1999 ([29]).
Il Fondo Speciale, invece, istituito presso la Sezione Speciale per il Credito alla Cooperazione e gestito dal Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, prevedeva l’erogazione di contributi a fondo perduto a beneficio di società cooperative di produzione e lavoro ispirate ai principi di mutualità e iscritte all’apposito albo, costituite da lavoratori ammessi alla cassa integrazione guadagni straordinaria ([30]) ovvero dipendenti da imprese sottoposte a procedure concorsuali ([31]) oppure licenziati per cessazione dell’attività d’impresa o per riduzioni di personale, e che al contempo realizzassero in tutto o in parte la salvaguardia dell’occupazione dei lavoratori di tali imprese “mediante l’acquisto, l’affitto, la gestione anche parziale delle aziende stesse o di singoli rami d'azienda o di gruppi di beni della medesima, oppure mediante iniziative imprenditoriali sostitutive” (art. 14, co. 1).
Si stabiliva, tuttavia, che l’erogazione dei contributi a fondo perduto, in misura non eccedente il limite di tre annualità dell’onere di cassa integrazione speciale per ogni lavoratore associato alla cooperativa ([32]), non sarebbe avvenuta direttamente nei confronti della società cooperativa, ma per il tramite di società finanziarie, antecedenti del socio finanziatore attualmente regolato dall’art. 2526 c.c. ([33]), partecipate almeno all’80% da cooperative di produzione e lavoro echiamate a utilizzare tali fondi per assumere partecipazioni nelle cooperative di salvataggio in misura almeno pari all’ammontare dei contributi ([34]).
Per beneficiare di detti fondi, i lavoratori erano tenuti a conferire nella cooperativa una somma non inferiore a 4 milioni di lire, ciò che poteva avvenire anche mediante cessione totale o parziale del credito relativo al trattamento di fine rapporto maturato alle dipendenze dell’impresa.
La normativa consentiva inoltre di “associare altri lavoratori in cassa integrazione guadagni”, espressione che sembrava riferirsi a lavoratori non dipendenti dell’azienda in crisi ([35]), oltre a personale tecnico e amministrativo in misura non superiore al 20 per cento e persone giuridiche in misura non superiore al 25 per cento del capitale sociale.
Secondo quanto previsto dall’art. 14 comma 2 della Legge Marcora, le cooperative così costituite e che avessero avuto in gestione anche parziale le aziende, avrebbero inoltre potuto esercitare il diritto di prelazione nell’acquisto delle medesime ([36]).
La disciplina citata delineava, dunque, una particolare forma di società cooperativa di produzione e lavoro, che, pur godendo dei requisiti tipologici del capitale variabile senza l’obbligo di un minimo legale e del voto capitario, requisiti particolarmente adatti alla costituzione di una società animata da spirito di solidarietà tra i lavoratori aderenti ([37]), deviava dal modello legale tipico per l’imposizione di limiti alla composizione della compagine sociale, al numero minimo dei componenti, all’oggetto sociale perseguibile dalla cooperativa ([38]).
L’operatività della legge 49/1985 è proseguita regolarmente sino al 1993 ([39]), quando la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per violazione delle norme sugli aiuti di stato ([40]), così determinando l’arresto dell’erogazione dei finanziamenti sino all’approvazione della legge 5 marzo 2001, n. 57, che ha adeguato la disciplina previgente alla legislazione comunitaria.
E’ stata dunque radicalmente riformata la l. 49/1985, con l’abrogazione dell’art. 14, che prevedeva il diritto di prelazione in favore delle cooperative costituite da lavoratori dipendenti di aziende in crisi ([41]), l’eliminazione del meccanismo di contribuzione pubblica a fondo perduto e la previsione che il Ministero delle Attività Produttive potesse utilizzare le risorse del Fondo Speciale per partecipare al capitale sociale delle società finanziarie,aventi natura di investitori istituzionali, ispirate ai principi di mutualità e costituite in forma cooperativa, partecipate da almeno cinquanta cooperative distribuite sull’intero territorio nazionale e comunque in non meno di dieci regioni.
Si è inoltre stabilita la possibilità per le predette società finanziarie di assumere partecipazioni temporanee di minoranza nelle cooperative, in misura inferiore al capitale di rischio, con priorità per quelle costituite da lavoratori provenienti da aziende in crisi, nonché di concedere alle cooperative stesse finanziamenti e agevolazioni finanziarie per la realizzazione di progetti di impresa, i quali dal 2013, in ragione della natura pubblica delle risorse investite, godono del privilegio “sugli immobili, sugli impianti e su ogni loro pertinenza, sui macchinari e sugli utensili della cooperativa, comunque destinati al suo funzionamento ed esercizio”, già previamente riconosciuto dall’art. 4 della legge 49/1985 ai crediti derivanti dai finanziamenti concessi dal Foncooper ([42]).
Il decreto 4 aprile 2001 del Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, successivamente modificato dal d.m. 16 aprile 2003 e dal d.m. 13 dicembre 2005 del Ministero delle Attività Produttive, ha quindi chiarito che la partecipazione del Ministero al capitale sociale delle società finanziarie debba avvenire mediante sottoscrizione di azioni di socio sovventore emesse dalle medesime, e ha previsto che le società finanziarie siano tenute a remunerare obbligatoriamente detta partecipazione, in presenza di utili, con un dividendo superiore di due punti a quello previsto per gli altri soci ordinari, oltre a rivalutazione.
Quanto alla durata della partecipazione delle società finanziarie nelle cooperative di salvataggio, essa è stata fissata da tale decreto in un massimo di 10 anni dall’assunzione: sulla base di appositi accordi con le società finanziarie, le cooperative partecipate sono invero tenute a rilevare sulla base dei valori di bilancio e comunque ad un prezzo di norma non inferiore a quello di acquisizione almeno il 25 per cento delle quote delle società finanziarie nei cinque anni dall’assunzione della partecipazione e la residua quota entro i successivi cinque anni. Ove ciò non avvenga, le società finanziarie sono in ogni caso obbligate a recedere ai sensi dell’art. 2526 c.c. dalle cooperative partecipate.
Infine, la Legge di Bilancio 2017 (l. 11 dicembre 2016, n. 232) ha ulteriormente novellato la Legge Marcora consentendo alle società finanziarie di sottoscrivere, anche successivamente all’assunzione delle partecipazioni nelle cooperative di salvataggio, “prestiti subordinati, prestiti partecipativi e gli strumenti finanziari di cui all’articolo 2526 del codice civile”, con facoltà di intervenire anche nelle società cooperative costituite da meno di nove soci.
4. Le ulteriori agevolazioni al processo di conversione.
Il quadro normativo delineato è stato peraltro affiancato negli anni da ulteriori disposizioni volte ad agevolare il reperimento del capitale necessario al processo di conversione: inizialmente si è consentito ai lavoratori in mobilità intenzionati ad associarsi in cooperativa di ottenere la corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità (l. 23 luglio 1991 n. 223, art. 7, co. 5) ([43]); successivamente, l’articolo 2, comma 19, della legge 28 giugno 2012, n. 92, ha previsto che, per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, il lavoratore avente diritto alla corresponsione dell'indennità ASpI potesse richiedere la liquidazione degli importi del relativo trattamento pari al numero di mensilità non ancora percepite per associarsi in cooperativa; infine, il d.lgs. 4 marzo 2015 n. 22 ha introdotto la facoltà per il lavoratore avente diritto alla corresponsione della NASpi di richiedere la liquidazione anticipata dell’importo complessivo del trattamento che gli spetta per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio([44]).
Il decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 4 dicembre 2014 e il decreto direttoriale 16 aprile 2015 hanno poi istituito un regime di aiuti (c.d. Nuova Legge Marcora) volti a promuovere nascita e sviluppo di imprese cooperative di piccola e media dimensione, mediante la concessione di finanziamenti agevolati per la nascita sul territorio nazionale di cooperative costituite in misura prevalente da lavoratori provenienti da aziende in crisi, cooperative sociali o che gestiscono aziende confiscate alla criminalità organizzata, nonché per la nascita, lo sviluppo o la ristrutturazione di cooperative del Sud Italia ([45]). Detto regime si affianca a quello previsto dalla legge n. 49 del 1985 e prevede la concessione di un finanziamento agevolato alle società cooperative nelle quali le società finanziarie partecipate dal Ministero dello sviluppo economico hanno assunto delle partecipazioni.
Da ultimo, come previamente ricordato, il c.d. “Decreto Rilancio” (art. 39, co. 5-bis, decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) ha previsto lo stanziamento di 15 milioni di euro al Fondo per la crescita sostenibile ([46]), destinato – tra l’altro – all’erogazione di finanziamenti agevolati per la costituzione di nuove imprese, anche in forma di società cooperative, da parte di lavoratori di imprese in crisi o provenienti da imprese in crisi.
5. Il diritto di prelazione a favore delle società cooperative costituite da lavoratori dipendenti di imprese sottoposte a procedure concorsuali.
L’intervento più significativo degli ultimi anni è però rappresentato dall’art. 11, commi 2 e 3, del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito in legge 21 febbraio 2014, n. 9, che ha riconosciuto il diritto di prelazione per l’affitto o l’acquisto dell’azienda o di un suo ramo a favore delle cooperative costituite da lavoratori dipendenti di un’impresa sottoposta a fallimento, concordato preventivo, amministrazione straordinaria o liquidazione coatta amministrativa, nonché il diritto dei soci – lavoratori che ne facciano richiesta di ottenere, all’atto dell’aggiudicazione dell’affitto o della vendita, l’anticipazione in un’unica soluzione delle somme altrimenti destinate all’integrazione salariale per il caso di interruzione del rapporto di lavoro, così consentendo loro di capitalizzare l’indennità di mobilità senza passare per il licenziamento e la conseguente messa in mobilità ([47]).
La norma ha quindi introdotto una prelazione legale a favore delle cooperative di salvataggio, a parità di offerta e di condizioni con altri soggetti concorrenti ([48]), nell’affitto o nell’acquisto di aziende ammesse a procedura concorsuale.
La ratio della disposizione sembrerebbe duplice: innanzitutto essa risponde a finalità di conservazione della continuità aziendale e dei livelli occupazionali, comune ad altre note disposizioni della legge fallimentare e del Codice della Crisi di Impresa. L’interesse alla continuazione dell’attività di impresa in pendenza di una procedura concorsuale è infatti perseguito anche dagli artt. 104 l. fall. e 211 CCII in tema di esercizio provvisorio, dagli artt. 104-bis l. fall. e 212 CCII, che permettono l’affitto dell’azienda del fallito ed espressamente impongono di tener conto, nella scelta dell'affittuario, della sua capacità di conservazione dei livelli occupazionali, dagli art. 105 l. fall. e 214 CCII che consentono la liquidazione dei singoli beni aziendali solo laddove la vendita unitaria dell’intero complesso aziendale non garantisca la miglior soddisfazione dei creditori, e dalla disciplina del concordato preventivo, in particolare dagli artt. 186 bis e 84 CCII in materia di concordato con continuità aziendale.
Tale obiettivo non sembra però sufficiente per giustificare la scelta di favorire affittuari o acquirenti selezionati sulla base di loro qualità di carattere soggettivo - identitario, ossia l’essere lavoratori dell’impresa in crisi riuniti in una società cooperativa, anziché dai criteri “oggettivi” dell’entità del canone offerto, delle garanzie prestate e dell’attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali di cui all’art. 104-bis l. fall. ([49]).
Si ritiene quindi che il diritto di prelazione legale trovi una migliore spiegazione ove letto anche alla luce del favor costituzionale per la cooperazione (art. 45 Cost.) e, soprattutto, per la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori al capitale e alla gestione delle imprese (artt. 46 e 47 Cost.).
La Relazione Illustrativa della legge di conversione ha d’altra parte chiarito che “la norma si colloca nell’alveo di applicazione dell’articolo 46 della Costituzione che, nel riconoscere il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, è teso a favorire la partecipazione e il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione aziendale” ([50]), per quanto, nel caso in esame, la partecipazione dei lavoratori al capitale e alla gestione dell’impresa sembri sfociare in una ipotesi di vera e propria autogestione ([51]).
La disposizione di favore, richiamata anche dall’art. 191 del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza in punto di effetti del trasferimento d’azienda sui rapporti di lavoro ([52]), considerata la sua ratio e la sua correlazione con il diritto all’anticipazione dell’indennità di mobilità di cui al comma 3 dell’art. 11 ([53]), sembrerebbe dunque applicabile alle sole cooperative costituite successivamente all’ingresso della società in procedura concorsuale da persone fisiche che, a tale data, abbiano un rapporto di lavoro dipendente in corso con essa, che consenta loro di beneficiare dell’anticipazione dell’indennità. Parrebbero invece escluse dall’ambito dell’applicazione della norma le cooperative preesistenti all’apertura della procedura, di cui potrebbero essere parte anche terzi estranei, e le persone giuridiche, in quanto in detti casi il diritto di prelazione non troverebbe giustificazione alcuna ([54]).
Per le medesime ragioni, dovrebbe invece essere possibile per i dipendenti della società in crisi che non abbiano concorso inizialmente alla costituzione della cooperativa diventarne soci anche in un secondo momento ([55]).
Quanto alla concreta operatività della prelazione legale ex art. 11 d.l. 145/2013, che si differenzia da quella previamente prevista dall’art. 14 comma 2, l. n. 49/1985 e dall’art. 3, comma 4, l. n. 223/1991 nella misura in cui introduce un diritto di prelazione non solo per l’acquisto dell’azienda, ma anche per il suo affitto ([56]), si ritiene che essa risulti pienamente compatibile con l’esperimento di procedure competitive prescritto dagli artt. 163-bis, 182, 105 – 108 ter l. fall. (artt. 91, 114, 214 – 218 CCII). In questo senso si è implicitamente espresso il Tribunale di Milano, che, recentemente chiamato a vagliare una proposta di concordato preventivo in continuità aziendale indiretta che prevedeva la cessione dell’azienda in esercizio a una società cooperativa neocostituita dai lavoratori dell’impresa in crisi, ha disposto la pubblicazione dell’invito a manifestare interesse all’acquisto dell’azienda ex art. 163-bis l. fall. e, solo in seguito alla scadenza del relativo termine senza che fossero pervenute manifestazioni di interesse, ha disposto l’esecuzione del workers buyout ([57]).
D’altronde, la compatibilità della prelazione con il procedimento competitivo è sancita dall’art. 104-bis l. fall., che consente, in caso di fallimento, di concedere la prelazione convenzionale in favore dell’affittuario laddove vi sia un’autorizzazione del giudice delegato e il previo parere favorevole del comitato dei creditori.
A questo proposito, non si condivide quel timore paventato da parte della dottrina, secondo la quale il riconoscimento ex lege di una prelazione a un soggetto predefinito deprimerebbe in maniera rilevante l’interesse di potenziali affittuari o acquirenti a partecipare a procedure competitive o comporterebbe l’affitto o la vendita del complesso aziendale a un prezzo inferiore a quello che potrebbe essere raggiunto in assenza di prelazione ([58]).
Se infatti è vero che al titolare del diritto di prelazione è attribuita la facoltà di decidere se pareggiare o meno l’offerta migliore ricevuta all’esito della procedura competitiva e che, una volta esercitata la prelazione, non si potrà procedere a rilanci, che comporterebbero una sostanziale violazione del diritto di prelazione attribuito ex lege ([59]), è anche vero che gli offerenti realmente interessati a partecipare alla procedura competitiva potrebbero essere incentivati ad offrire sin da subito il prezzo più alto che sarebbero disposti a corrispondere per l'acquisto dell’azienda, onde evitare che il titolare della prelazione eserciti il proprio diritto, ciò che comporterebbe in ogni caso il raggiungimento del miglior prezzo di vendita e, pertanto, il miglior soddisfacimento dei creditori ([60]).
Quanto, poi, al momento entro il quale debba essere costituita la società cooperativa affinché essa possa validamente esercitare il proprio diritto di prelazione, si condivide l’opinione di chi ha ritenuto che sia compito degli organi della procedura fissare un apposito termine, che potrà anche essere successivo alla data della pubblicazione dell’aggiudicazione provvisoria, a condizione che i terzi che partecipano alla gara siano stati previamente informati di tale possibilità mediante apposita comunicazione inserita all’interno del bando di gara ([61]).
Risulta evidentemente particolarmente opportuno che gli organi della procedura siano informati quanto prima possibile dell’interesse dei dipendenti alla costituzione di una cooperativa di salvataggio al fine di poter adattare il bando di gara alle esigenze concrete del caso e così garantire la massima trasparenza nei confronti di tutti gli interessati.
Qualora poi la costituzione della società avvenga prima della pubblicazione del bando e di ciò siano stati informati gli organi della procedura, si reputa che questi ultimi debbano specificamente comunicare alla cooperativa l’apertura del procedimento competitivo; nel caso in cui, invece, la costituzione della cooperativa avvenga dopo la pubblicazione del bando, ma pur sempre entro il termine fissato dal tribunale, non dovrebbe esservi alcun onere di comunicazione in capo al tribunale, considerata la pubblicità del bando.
6. Le cifre del workers buyout in Italia.
Grazie alle previsioni normative qui brevemente descritte, all’assistenza tecnica e al sostegno finanziario – anche attraverso il ricorso ai fondi mutualistici – fornito dalle associazioni del settore cooperativo ([62]), in sinergia con le società finanziarie CFI S.c.p.A. e, sino al maggio 2019, Soficoop S.c. ([63]), che valutano la fattibilità dei progetti di workers buyout e guidano i lavoratori nel processo di conversione, il fenomeno ha trovato una significativa applicazione in Italia, ove le società cooperative esito di WBO attualmente attive impiegano oltre 4.000 dipendenti e generano un fatturato totale di circa 490 milioni di euro.
Il ricorso allo strumento in esame non è stato, tuttavia, costante negli anni, ma è dipeso dalla congiuntura economica generale, con un trend fortemente influenzato dal tasso di disoccupazione, oltre che dalla temporanea inoperatività della l. 49/1985 nel periodo 1993 – 2003 a causa della procedura di infrazione promossa dall’Unione Europea.
In particolare, ai primi casi di conversione in occasione dell’aumento della disoccupazione nei primi anni Ottanta, ha fatto seguito una temporanea flessione negli anni dal 1993 al 2003 determinata dal quadro macro-economico nazionale di ripresa e dal ricordato blocco della Legge Marcora, e un successivo nuovo incremento dei casi di WBO per effetto della crisi economico – finanziaria iniziata nel 2008 ([64]): la sola CFI ([65]) ha finanziato 108 progetti di conversione nel periodo dal 1986 al 1993, 67 nel periodo dal 1994 al 2007 e 83 dal 2008 al 2016 ([66]).
Interessante è poi il dato relativo al tasso di sopravvivenza delle imprese recuperate: in uno studio pubblicato nel marzo 2020 Legacoop ha infatti identificato 323 imprese “recuperate” da cooperative di lavoratori dal 1985 ad oggi e ha stimato che circa il 35% di esse siano ancora attive, con un tasso di longevità media delle cooperative costituite prima del 2003 superiore ai 15 anni ([67]). E’ peraltro possibile scomporre tale numero e rilevare come il 75% delle 105 imprese recuperate a partire dal 2003 sia tuttora operante e impieghi 2.060 addetti.
Quanto alle dimensioni delle imprese interessate da operazioni di workers buyout, uno studio Euricse del 2015 relativo a 218 WBO realizzati in Italia tra il 1986 e il 2014 ha evidenziato come quasi il 70% delle imprese recuperate avesse dai 10 ai 49 dipendenti, poco più del 22% dai 50 ai 249 dipendenti, quasi il 7,5% meno di 10 dipendenti e solo due imprese avessero invece più di 250 dipendenti ([68]).
Negli ultimi anni è tuttavia significativamente aumentato il numero delle imprese con meno di dieci dipendenti che scelgono il workers buyout quale strumento per risolvere la crisi d’impresa: i dati alla base dello studio riportato, ove suddivisi nei periodi 1986 - 2002 e 2003 – 2014, vedono infatti un incremento del numero delle imprese con meno di dieci dipendenti dal 4,9% al 14,6%.
Tale trend sembra peraltro confermato dai numeri diffusi da CFI e relativi a 73 WBO dalla medesima finanziati negli anni 2011 – 2020, i quali attestano che 13 delle imprese coinvolte abbiano meno di 10 dipendenti (17,80%), 52 tra i 10 e i 49 dipendenti (71,23%), 8 tra i 50 e i 249 dipendenti (10,95%) e che nessuna impresa abbia più di 250 dipendenti.
Trattasi dunque di un istituto di elezione della piccola e media impresa e, più specificamente, di quella appartenente al settore manifatturiero, al quale risulta riconducibile il 79,6% delle cooperative di salvataggio, con prevalente diffusione del fenomeno negli ambiti dell’industria tessile, meccanica e del legno ([69]).
Quanto alla collocazione geografica dei WBO, come prevedibile, essi risultano prevalentemente diffusi nelle Regioni del Centro e del Nord Est del Paese, ove il tessuto cooperativo è più sviluppato: il numero più elevato di imprese recuperate si riscontra infatti in Toscana (20,1%), Emilia-Romagna (16,7%), Lombardia (12,4%), Umbria (9,9%) e Marche (9,9%) ([70]).
Le cifre sinora esposte non possono, però, ritenersi esaustive senza considerare il rapporto tra il costo del sostegno pubblico alla conversione e il relativo ritorno economico.
Ebbene, secondo quanto riportato nella Risoluzione approvata il 29 marzo 2017 dalle Commissioni riunite X (Attività produttive, commercio e turismo) e XI (Lavoro pubblico e privato) del Parlamento Italiano, il fenomeno ha assicurato un saldo attivo di finanza pubblica: le risorse che il Ministero dello sviluppo economico ha destinato alla partecipazione in CFI negli anni 2007 – 2015 ammontano infatti a 84 milioni di euro e hanno generato un ritorno economico per lo Stato italiano stimato in 576 milioni di euro, pari a 6,8 volte il capitale impiegato, al netto delle imposte corrisposte da lavoratori e imprese e del minor ricorso agli ammortizzatori sociali.
Alla luce dei dati considerati sembra dunque auspicabile nel contesto macroeconomico attuale un’incentivazione del workers buyout quale meccanismo di risoluzione della crisi della piccola e media impresa, atteso che il fenomeno ha sinora dato buona prova di sé specialmente in periodi di contrazione del mercato e aumento della disoccupazione ([71]), così confermando la funzione economicamente anticiclica svolta dalle società cooperative, in particolare dalle cooperative di lavoro, e il loro alto tasso di sopravvivenza in periodi di crisi economica ([72]).
[1]https://know.cerved.com/wp-content/uploads/2020/03/Cerved-Industry-Forecast_COVID19-.pdf; https://know.cerved.com/wp-content/uploads/2020/07/Rapporto_regionale_PMI_5.pdf; v. anche G. Minervini, Il rischio di “insolvenza diffusa”. Spunti di riflessione per la “fase 2” (e una proposta operativa), www.ilcaso.it, 4.05.2020; Banca d’Italia, Bollettino Economico 2/2020, p. 26, sul sito https://www.bancaditalia.it/.
[2] Vd. Centro Studi Confindustria, Le previsioni per l’Italia. Quali condizioni per la tenuta ed il rilancio dell’economia?, primavera 2020, disponibile su https://www.confindustria.it/home/centro-studi/temi-di-ricerca/congiuntura-e-previsioni/tutti/dettaglio/rapporto-previsione-economia-italiana-scenari-geoeconomici-primavera-2020
[3] F. Fimmanò, La resilienza dell'impresa di fronte alla crisi da Coronavirus mediante affitto d’azienda alla newco-start up, auto-fallimento e concordato “programmati”, 1 aprile 2020, www.ilcaso.it. Si consideri che Confidustria, nel rapporto menzionato in nt. 2, a p. 21, ritiene che il Covid-19 abbia determinato un aumento dell’1.9% della probabilità di fallimento delle imprese italiane.
[4] Cfr., senza pretesa di esaustività, F. Benassi, Brevi spunti per un’agile procedura di “sostegno” alle imprese in crisi da corona virus, in www.ilcaso.it, 20.04.2020; F. Benassi – F. Cesare – D. Galletti – G. Limitone – P. Pannella, Appello al legislatore, in www.ilcaso.it, 12.05.2020; G. Corno – L. Panzani, Proposta di legge per una moratoria straordinaria volta a gestire l’emergenza, tramite l’istituzione della procedura di “amministrazione vigilata”, in www.ilcaso.it, 7.05.2020; P. Felice Censoni, La gestione delle crisi sistemiche delle imprese da COVID-19 fra Legge fallimentare e Codice della crisi e dell’insolvenza: il ritorno dell’Amministrazione controllata?, in www.ilcaso.it, 03.06.2020; D. Galletti, Il diritto della crisi sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, in www.ilfallimentarista.it, 14.04.2020; G. Limitone, L’accompagnamento fuori della crisi con l’aiuto dell’OCC-Covid-19, in www.ilcaso.it, 18 aprile 2020; A. Rossi, Accordi di ristrutturazione dei debiti accelerati, in www.ossservatorio.oci.org, maggio 2020; G. Schiavo, Il piano attestato rafforzato” – COVID19, in www.ossservatorio.oci.org, aprile 2020; Studio Gnudi – Studio Maffei Alberti e Associati, Una procedura agevolata temporanea di concordato in continuità, Il Sole 24 Ore, 23.04.2020.
[5] G. Di Cecco, Spunti per una riflessione collettiva sulle misure adottate ed adottabili per il contrasto alla crisi economica “da pandemia”, in www.ilcaso.it, 3.05.2020.
[6] Sul punto, vd. anche Libro Verde della Commissione Europea “Il quadro dell’Unione europea in materia di governo societario” del 2011 e il “Piano d’Azione sul diritto delle società e sul governo societario” approvato dalla Commissione Europea il 12 dicembre 2012; in dottrina, cfr. F. Vella, Una ricerca di esperienze per sperimentare, in Fondazione Unipolis (a cura di), La Partecipazione dei lavoratori nelle imprese. Realtà e prospettive, verso nuove sperimentazioni, Il Mulino, Bologna, 2017, p. 9: “diventano sempre più forti le istanze di ripensamento dell’impresa secondo canoni (…) comunitari, innervati su una ricomposizione dei rapporti con tutti gli stakeholders; ed è evidente il ruolo di inevitabile protagonista ricoperto dal fattore lavoro, da un lato principale destinatario dei tristemente noti effetti della crisi, e dall’altro prioritario riferimento per uscirne il prima possibile (…)”; vd. anche F. Vella, L’impresa e il lavoro: vecchi e nuovi paradigmi della partecipazione, in Giur. Comm., 2013, n. 6, p. 1140 ss.
[7] Si veda il manifesto internazionale intitolato “Democratizing work”, in cui oltre 5.500 studiosi, tra i quali Thomas Piketty, Saskia Sassen, Nadia Urbinati e James Galbraith, hanno invitato i governi ad approfittare della crisi da Covid-19 per democratizzare il lavoro: https://democratizingwork.org/, commentato da G. Scancarello, 5 mila economisti di tutto il mondo: è ora di democratizzare il lavoro, largo ai modelli di cogestione dei lavoratori nelle aziende, in https://it.businessinsider.com/, 01.06.2020; D. Tambasco, Democratizzare il lavoro: tre proposte a 50 anni dallo Statuto dei Lavoratori, in MicroMega 20.05.2020, http://temi.repubblica.it/micromega-online/democratizzare-il-lavoro-tre-proposte-a-50-anni-dallo-statuto-dei-lavoratori/.
[8] Si veda M. Ventoruzzo, Il nuovo Codice di Corporate Governance 2020: le principali novità, in Soc. 2020, 4, 439.
[9] Considerando 10 della Direttiva.
[10] Cfr. art. 13 della Direttiva: “1. Gli Stati membri provvedono affinché il quadro di ristrutturazione preventiva non interessi i diritti individuali e collettivi dei lavoratori, ai sensi del diritto del lavoro dell'Unione e nazionale, quali i seguenti:
a) il diritto alla negoziazione collettiva e all'azione industriale; e
b) il diritto all'informazione e alla consultazione conformemente alle direttive 2002/14/CE e 2009/38/CE, in particolare:
i) l'informazione dei rappresentanti dei lavoratori sull'evoluzione recente e quella probabile delle attività dell'impresa o dello stabilimento e della situazione economica, sulla cui base possono comunicare al debitore le preoccupazioni sulla situazione dell'impresa e sulla necessità di prendere in considerazione meccanismi di ristrutturazione;
ii) l'informazione dei rappresentanti dei lavoratori su tutte le procedure di ristrutturazione preventiva che potrebbero incidere sull'occupazione, ad esempio in relazione alla capacità dei lavoratori di recuperare la propria retribuzione e qualsiasi pagamento futuro, compresi i diritti pensionistici dei lavoratori;
iii) l'informazione e la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori sui piani di ristrutturazione prima che siano presentati per adozione a norma dell'articolo 9, o per omologazione da parte di un'autorità giudiziaria o amministrativa a norma dell'articolo 10;
c) i diritti garantiti dalle direttive 98/59/CE, 2001/23/CE e 2008/94/CE.
2. Qualora il piano di ristrutturazione comprenda misure suscettibili di comportare cambiamenti nell'organizzazione del lavoro o nelle relazioni contrattuali con i lavoratori, tali misure sono approvate da tali lavoratori se in questi casi il diritto nazionale o i contratti collettivi prevedono tale approvazione”.
[11] In questo senso vd. anche le “15 proposte per la giustizia sociale” pubblicate dal Forum Disuguaglianze e Diversità (https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/le-15-proposte/) e, in particolare, la proposta n. 14: “Quando il lavoro controlla le imprese: più forza ai Workers Buyout”.
[12] Così valorizzando il “ruolo della solidarietà come soggetto attivo non solo nei momenti fisiologici della vita dell’impresa, ma anche come valore a cui ricorrere in caso di crisi”, F. Cavazzuti, Il socio lavoratore fra disciplina speciale e codice civile, in Giur. Comm., 2004, 2, 229 ss.
[13] Fondo istituito dall'articolo 23 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
[14] R. Genco – P. L. Morara – F. Vella, Lavoratori che “si ricomprano” l’azienda, modello per la crisi, 23.07.2020, in www.lavoce.it.
[15] M. Vieta, Workers’ buyout, in A. Bernardi - S. Monni (a cura di), The co-operative firm. Keywords, Roma-Tre Press, 2016.
[16] In relazione al fenomeno delle “empresas recuperadas” argentine, si vedano M. Vieta, op. cit., nt. 15; G. Di Cecco, Il diritto di “prelazione” previsto dalla disciplina italiana del “workers buyout” a favore delle cooperative costituite dai lavoratori delle imprese in crisi, in Fall., 2016, n. 6, p. 633 ss.; M. Howarth, Worker Co-operatives and the Phenomenon of Empresas Recuperadas in Argentina: An Analysis of Their Potential for Replication, Manchester, 2007; E. Magnani, The Silent Change: Recovered Businesses in Argentina, Buenos Aires, 2009.
[17] G. Di Cecco, op. cit., nt. 16, p. 636.
[18] Ex multis, A. Alaimo, La partecipazione azionaria dei lavoratori. Retribuzione, rischio e controllo, Giuffrè, Milano, 1998, p. 59 ss.; H. C. Blackiston III – L. E. Rappaport – L. A. Pasini, ESOPs: what they are and how they work, in The Business Lawyer, nov. 1989, p. 85; R. Caragnano, Il Codice della partecipazione. Contributo allo studio della partecipazione dei lavoratori, Milano, Giuffrè, 2013; R. Caragnano e G. Caruso (a cura di), L’ESOP, uno strumento per l’impresa minore, Dossier Adapt, 2010, n. 1, p. 3 ss.; H. Hansmann, When does worker ownership work? ESOPs, Law firms, codetermination and economic democracy, in Yale Law Journal, 1990, p. 1797 ss.; C. S. Mishkind – D. E. Khorey, Employee stock ownership plans: fables and facts, in Employee Relations Law Journal, summer 1985, p. 89 ss.; A. Pendleton, Employee Ownership, Participation and Governance: A Study of ESOPs in the UK, Routledge, 2000; R. Russo, La partecipazione azionaria dei dipendenti: valutazioni comparative, in A. V. Izar, La partecipazione azionaria dei dipendenti, Giappichelli, Torino, 2003.
[19] R. Caragnano e G. Caruso (a cura di), L’ESOP, uno strumento per l’impresa minore, Dossier Adapt, 2010, n. 1, p. 3 ss.
[20] I quali ne ottengono la disponibilità solo alla cessazione del rapporto di lavoro (per dimissioni, licenziamento, raggiungimento dell’età pensionabile), momento in cui possono venderle allo stesso modo degli altri azionisti, cfr. R. Caragnano, Il Codice della partecipazione. Contributo allo studio della partecipazione dei lavoratori, Milano, Giuffrè, 2013, p. 232. Gli ESOP possono, poi, diversificare gli investimenti, ma sono tenuti, in virtù di uno specifico obbligo previsto dalla legge, ad investire “primarily” in azioni della società promotrice: almeno il 51% delle risorse del fondo deve quindi essere investito in azioni della Society Sponsor, vd. ERISA, section 407 (d)(6): «The term “employee stock ownership plan” means an individual account plan— (A) which is a stock bonus plan which is qualified, or a stock bonus plan and money purchase plan both of which are qualified, under section 401 of the Internal Revenue Code of 1986, and which is designed to invest primarily in qualifying employer securities, and (B) which meets such other requirements as the Secretary of the Treasury may prescribe by regulation».La facoltà per le società che istituiscono ESOP di dedurre dall’imponibile fiscale l’equivalente della contribuzione azionaria e per i dipendenti partecipanti di non essere sottoposti a tassazione sulle relative somme finché i titoli permangono nel trust, ha, poi, garantito grande diffusione all’istituto.
[21] Solo una volta ripagato il prestito, le azioni sono gratuitamente assegnate ai dipendenti in conti individuali e i relativi dividendi possono essere utilizzati per l’estinzione del debito.
[22] Ed è in questa accezione che al modello degli ESOP si è guardato anche nell’Unione Europea, per favorire la successione aziendale nelle piccole e medie imprese, che attraverso gli ESOP potrebbe avvenire in maniera graduale e senza l’apporto di capitale proprio da parte dei dipendenti, così da non comportare rischi per questi ultimi, cfr. R. Caragnano, op. cit., nt. 20, p. 241; R. Caragnano – G. Caruso, Relazione al convegno “La partecipazione finanziaria dei lavoratori in Italia e nella UE” 29 ottobre 2009, Cesos e Centro Inter-Universitario Berlin/Spalato, Libera Università di Berlino, Bollettino Adapt, 2 novembre 2009, p. 3.
[23] M. Vieta, The Italian Road to Creating Worker Cooperatives from Worker Buyouts: Italy’s Worker-Recuperated Enterprises and the Legge Marcora Framework, Euricse Working Paper n. 78, 2015; S. Monni – G. Novelli – L. Pera – A. Realini, Workers’ buyout: definizioni e caratteristiche, in P. De Martini – S. Monni (a cura di), Workers buyout corporate governance e sistemi di controllo, Roma Tre Press, 2017, pp. 11 – 12.
[24] C. Di Stefano, The Business Transfer through the Cooperative Model. A Comparative Analysis Italy-France, in Journal of Entrapeneurial and Organizational Diversity, Volume 7, Issue 2 (2018), 62-86, disponibile anche in www.euricse.eu.
[25] COM (2004) 18. Sulla promozione delle società cooperative in Europa. Vd. anche COM (2006) 117. Attuazione del programma comunitario di Lisbona per la crescita e l'occupazione. Il trasferimento di proprietà delle imprese – La continuità grazie a un nuovo avvio: “se non è possibile trovare un successore nella famiglia, il trasferimento ai dipendenti può spesso garantire la continuità dell’impresa”. Sul punto si sofferma pure il Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Cooperative e ristrutturazione» del 25 aprile 2012 (2012/C 191/05).
[26] Risoluzione del Parlamento europeo del 2 luglio 2013 sul contributo delle cooperative al superamento della crisi (2012/2321(INI)), clausola 25.
[27] In materia vd. M. Biagi, Cooperative e relazioni industriali della crisi; prime note alla legge 27 febbraio 1985, n. 49, in Riv. it. dir. lav., 1985, I, p. 287 ss.; F. Dandolo, Giovanni Marcora e la legge sulla partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese in crisi (1981-1985), in Storia economica, 2006, p. 263; A. Pandolfo - M. Rispoli Farina - V. Santoro, (a cura di), Commentario alla legge 27 febbraio 1985, n. 49, in Nuove leggi civ. comm., 1986, p. 490 ss.; C. Picozza, La “Marcora” come job creation?, in Politica ed economia, 1986, p. 31; P. Verrucoli, Prime osservazioni sulla legge 27 febbraio 1985, n. 49 (proposta Marcora e “Foncooper”), in Riv. coop., 1985, p. 167 ss.; F. Vigiani, La riforma della “Marcora”: una proposta, in Riv. coop., 1992, p. 20 ss.
[28] La legge è infatti stata preceduta dalla l. 5 agosto 1981, n. 416 in tema di acquisto delle testate giornalistiche da parte delle cooperative costituite da giornalisti, come ricordato anche da G. Di Cecco, op. cit., nt. 16, p. 634. Sul punto si veda la dottrina ivi citata alla nota 7.
[29] https://temi.camera.it/leg17/post/interventi_di_sostegno_alle_societ__cooperative.html?tema=temi/001sostegno_alle_imprese.
[30] Dipendenti da imprese per le quali fossero stati adottati i provvedimenti di cui alle leggi 675/1977, 787/1978 e 95/1979.
[31] Secondo A. Pandolfo, Commentario alla legge 27 febbraio 1985, n. 49, in Nuove Leggi Civili Commentate, 1986, I, 517, il riferimento a queste imprese “rileva soprattutto in quanto vale ad includere lavoratori di settori in cui non opera la cassa integrazione guadagni”.
[32] Il lavoratore, per un pari periodo, perdeva il diritto ad usufruire dei sussidi previdenziali previsti in ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro.
[33] In questi termini, vd. E. Cusa, Il socio finanziatore nelle cooperative, Giuffrè, 2006, p. 18.
[34] In forza di tali disposizioni, nel 1986, dunque, è stata costituita per iniziativa di AGCI, Confcooperative e Legacoop la società finanziaria ‘Cooperazione Finanza Impresa’ (CFI), partecipata dal Ministero dello Sviluppo Economico e da 270 cooperative. Come chiarito nel sito istituzionale “CFI, nella sua funzione di investitore istituzionale, partecipa al capitale sociale delle imprese, finanzia piani di investimento a lungo termine e assiste i lavoratori nella fase di elaborazione del piano industriale e nell’avvio della nuova azienda. Per tutta la durata della partecipazione, controlla la situazione economico/finanziaria e le performance aziendali per prevenire potenziali situazioni di rischio”, cfr. www.cfi.it
[35] Così M. Biagi, op. cit., nt. 27, p. 291.
[36] Sul punto vd. M. Naldini, Il diritto di prelazione come istituto premiale per gli affittuari: un caso controverso, in Fall. 1998, 4, 402ss.: “A ben vedere il citato art. 14 non richiede, quale presupposto indispensabile per il riconoscimento della prelazione, il fatto che l'impresa in crisi possa accedere al trattamento C.I.G.S.: infatti la lettera a) del primo comma prevede che le cooperative (cui viene riconosciuta la titolarità della prelazione) siano costituite, alternativamente da: lavoratori ammessi alla cassa integrazione guadagni; dipendenti di imprese sottoposte a procedure concorsuali; dipendenti licenziati per cessazione dell'attività dell'impresa o per riduzione del personale. Ulteriore condizione (questa volta oggettiva) richiesta dalla lettera b) della medesima norma è che le cooperative realizzino, in tutto od in parte, la salvaguardia dell'occupazione dei lavoratori delle imprese di cui alla lettera a) mediante l'acquisto, l'affitto, la gestione anche parziale delle aziende stesse o di singoli rami d'azienda o di gruppi di beni della medesima, oppure mediante iniziative imprenditoriali sostitutive”.
[37] Vd. E. Di Tomaso, Il workers buyout: i dipendenti salvano l’azienda, in Il Sole 24 Ore, 20 novembre 2014, il quale sottolinea: “Nel contesto italiano, in assenza dello strumento dell’ESOP, per le operazioni di WBO si fa generalmente ricorso alle società cooperative: tale scelta è determinata dai vantaggi collegati alle caratteristiche di tale tipo di società, quali: -l’assenza dell’obbligo di capitale sociale minimo (fatta eccezione per quanto previsto da leggi speciali per le cooperative di credito e le cooperative di assicurazione), nonché la variabilità dello stesso capitale sociale, che permette più agevolmente l’ingresso e l’uscita di soci dalla società; -il principio di voto capitario nelle deliberazioni dell’assemblea sociale, che permette di garantire un trattamento paritario di ciascun socio, a prescindere dal valore delle quote o del numero di azioni possedute, coerentemente con lo spirito solidaristico che fa spesso da collante alle iniziative di WBO; -l’obbligo di nominare il collegio sindacale solo in casi limitati (cfr. art. 2543 c.c.); -da ultimo, ma non per ordine di importanza, la possibilità di godere delle agevolazioni fiscali previste per le cooperative a mutualità prevalente in genere, nonché quelle previste nello specifico a favore delle cooperative di produzione e lavoro (cfr. art. 11 d.P.R. n. 601/1973). Il ricorso alla società cooperativa nel contesto delle operazioni di WBO è reso, quindi, ancora più congeniale dalla possibilità di affiancare, ai soci cooperatori, soci finanziatori della società cooperativa”.
[38] M. Biagi, op. cit., nt. 27, p. 292.
[39] AGCI Emilia Romagna, La cooperazione come risposta alle crisi aziendali, disponibile all’indirizzo www.agci-emr.org/562-2/, p. 58.
[40] Comunicazione della Commissione ai sensi dell’art. 93, par. 2, del trattato CE, C 309/3, pubblicata sulla G.U. delle Comunità europee del 9 ottobre 1997.
[41] E con l’abrogazione – tra l’altro – degli articoli 15, 16, 18, 19, e la rilevante modifica dell’art. 17.
[42] Vd. anche R. Genco, Le cooperative finanziarie e i confidi, in G. Bonfante, La società cooperativa, Cedam, 2014, p. 548; N. Baccini, Nuova disciplina del prestito sociale, tipo cooperativo e postergazione, in Nuove Leggi Civili Commentate, 2019, n. 3, p. 602, che evidenzia come la previsione di tale privilegio deroghi alla regola della postergazione dei finanziamenti dei soci, “motivata dai profili di specialità del credito erogato dai soci che, in definitiva, sono collegati all’uso di fondi pubblici per interventi volti a salvaguardare e incrementare l’occupazione di piccole medie imprese organizzate in forma di società cooperativa”.
[43] L'articolo 15, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133, prevede che l'indennità di mobilità di cui all'articolo 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223, debba essere considerata non imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche per la parte reinvestita nella costituzione di società cooperative.
[44] La legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Legge di Bilancio 2020), art. 1, comma 12, ha peraltro previsto che “La liquidazione anticipata, in un'unica soluzione, della NASpI, di cui all'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, destinata alla sottoscrizione di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorativa da parte del socio, si considera non imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i criteri e le modalità di attuazione del presente comma, anche al fine di definire le opportune comunicazioni atte a consentire l'esenzione della NASpI anticipata in un'unica soluzione nonché ad attestare all'Istituto erogatore l'effettiva destinazione al capitale sociale della cooperativa interessata dell'intero importo anticipato”.
[45] Possono beneficiare delle agevolazioni le società cooperative che risultino regolarmente costituite e iscritte nel Registro delle imprese, si trovino nel libero esercizio dei propri diritti e che non siano sottoposte a liquidazione volontaria o procedure concorsuali.
[46] Fondo istituito dall'articolo 23 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
[47] Il comma 3 della medesima legge ha stabilito che “L'atto di aggiudicazione dell'affitto o della vendita alle società cooperative di cui al comma II, costituisce titolo ai fini dell'applicazione dell'art. 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223, nonché dell'art. 2, comma 19, della legge 28 giugno 2012, n. 92, di soci lavoratori della medesima, ferma l'applicazione delle vigenti norme in materia di integrazione del trattamento salariale in favore dei lavoratori che non passano alle dipendenze della società cooperativa”.
[48] La relazione di accompagnamento del disegno di legge n. 1920, di conversione del d.l. n. 145/2013 ha in proposito precisato che “La norma si rende necessaria al fine di sostenere soluzioni della crisi o dell’insolvenza di imprese, privilegiando, a parità di condizioni con altri eventuali soggetti concorrenti, le società cooperative costituite da lavoratori dipendenti dalle stesse imprese sottoposte alla procedura concorsuale, consentendo ai medesimi soci lavoratori di capitalizzare l’indennità di mobilità senza passare per il licenziamento e la conseguente messa in mobilità che costituiscono invece il presupposto per l’applicazione del predetto articolo 7, comma 5”. In materia, vd. G. Di Cecco, op. cit.,nt. 16, p. 633 ss.
[49] Vd. anche G. Di Cecco, op. cit., nt. 16, p. 639.
[50] “La norma si colloca nell’alveo di applicazione dell’articolo 46 della Costituzione che, nel riconoscere il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, è teso a favorire la partecipazione e il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione aziendale”.
[51] Cfr. M. Pedrazzoli, voce Democrazia industriale, in Digesto delle Discipline Privatistiche, sez. commerciale, vol. IV, Utet, Torino, 1989, p. 241 ss., il quale bene rimarca come, la democrazia industriale non sia “solo e tanto «opposizione al governo dell’industria» (dell’impresa, dell’economia, dei servizi pubblici), ma è in ispecie «opposizione che non potrà mai andare al potere»”.
[52] Art. 191 CCII: “Al trasferimento di azienda nell'ambito delle procedure di liquidazione giudiziale, concordato preventivo e al trasferimento d'azienda in esecuzione di accordi di ristrutturazione si applicano l'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, l'articolo 11 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito nella legge 21 febbraio 2014, n. 9 e le altre disposizioni vigenti in materia”.
[53] A. Rocchi – S. Bugiardi, Il workers buy out nel mondo cooperativo: analisi e criticità della normativa in vigore, in Cooperative e dintorni, 2018, n. 10, p. 10: “una risposta plausibile la possiamo trovare tra le righe della Relazione accompagnatoria, dove la correlazione tra il diritto di prelazione e l’anticipazione dell’indennità di mobilità sembra voler presupporre una totale coincidenza tra la base sociale della new coop e il gruppo di dipendenti in forza all’azienda al momento dell’apertura della procedura”.
[54] Così F. Lamanna, La prelazione a favore delle cooperative di ex dipendenti, 09.06.2017, in www.ilfallimentarista.it.
[55] F. Lamanna, op. cit.,nt. 54. L’Autore sottolinea inoltre che, in mancanza di specifici obblighi informativi imposti dalla legge a carico degli organi della procedura, sembrerebbe onere della società cooperativa comunicare tempestivamente l’avvenuta sua costituzione ai predetti organi e attivarsi per l’esercizio del diritto di prelazione entro un termine da essi reputato congruo, anche considerato che non sussiste un obbligo per la cooperativa di partecipare alla gara per potersi avvalere del diritto di prelazione, che comunque dovrà essere esercitato a parità di offerta e condizioni con gli altri offerenti.
[56] Sul punto si rinvia a G. Di Cecco, op. cit., nt. 16, p. 637.
[57] Si veda il decreto del Tribunale di Milano del 3 ottobre 2019, Presidente relatore Dott.ssa Paluchowski, di ammissione del concordato preventivo della Spotlight s.r.l., pubblicato su www.tribunale.milano.it. Il concordato è stato omologato con decreto del Tribunale di Milano depositato in data 14.07.2020, inedito.
[58] G. Di Cecco, op. cit.,nt. 16, 640.
[59] Vd. anche F. Lamanna, op. cit., nt. 54.
[60] Così M. Bianca – G. Sansone, “Right to match” e procedure competitive ai sensi dell’art. 163-bis legge fallim.: un interessante banco di prova per la prelazione convenzionale, Dir. Fall., 2016, n. 5, p. 1314 ss.
[61] Vd. F. Lamanna, op. cit., nt. 54.
[62] AGCI, Confcooperative e Legacoop, dal 2011 riunite nell’Alleanza delle Cooperative Italiane.
[63] Nel maggio 2019 Soficoop s.p.a. è stata infatti incorporata in CFI.
[64] Così M. Vieta – S. Depedri, Le imprese recuperate in Italia, in C. Borzaga, Economia cooperativa. Rilevanza, evoluzione e nuove frontiere della cooperazione italiana. Terzo rapporto Euricse, 2015, in www.euricse.eu, p. 7ss.
[65] Non esiste ad oggi un database che riporti tutte le operazioni di WBO realizzate in Italia dall’entrata in vigore della Legge Marcora ad oggi.
[66] S. Monni – G. Novelli – L. Pera – A. Realini, Workers’ buyout: l’esperienza italiana, in A. Bernardi - S. Monni (a cura di), The co-operative firm. Keywords, Roma-Tre Press, 2016.
[67] Cfr. Legacoop Area Studi, Nota 8 – Le imprese recuperate in Italia, marzo 2020, in http://areastudi.legacoop.coop/note-brevi-2/. Lo studio, come ivi chiarito, è il risultato dell’analisi e dell’elaborazione dei dati forniti da CFI, COOPFOND, SOFICOOP, Federazione Trentina della Cooperazione, e della raccolta dei dati disponibili sul portale di Banca Etica e della Rete Italiana Imprese Recuperate. Le fonti sono poi state ulteriormente integrate da Legacoop con i dati di bilancio, della situazione giuridica delle imprese e dell’occupazione presenti nella Banca dati Aida Bureau van Dijk/Area Studi Legacoop. Vd. anche M. Vieta – S. Depedri, op. cit., nt. 64, p. 20: “L’analisi dei dati dei WBO esistenti in Italia dagli anni ‘80 pone in luce un buon tasso di sopravvivenza di queste cooperative, con una vita media di poco inferiore ai 13 anni. Tale dato (anche se inferiore alla vita media di tutte le cooperative italiane, pari a 17 anni) è quasi pari alla vita media delle imprese italiane (13,5 anni). Inoltre (…) ben il 35,3% delle cooperative di lavoro recuperate ha avuto una vita attiva superiore ai 16 anni (…) più del 36% dei WBO (per un totale di 63 cooperative) sorti durante il periodo pre-Legge Marcora ed il periodo Legge Marcora I esistono ancora oggi. Essi corrispondono al 25% dei 252 casi di WBO presenti all’interno del database utilizzato. La resistenza dei WBO in Italia è ulteriormente confermata se si considera che quasi l’85% dei WBO nati durante il secondo periodo della Legge Marcora sono ancora attivi. Dato significativo se accompagnato anche dalla lettura dell’andamento numerico degli ultimi anni: nei sette anni dall’inizio della crisi (tra il 2007 e il 2013) si è passati da 81 WBO attivi a 122 WBO, con un importante ruolo nel salvataggio di posti di lavoro nei periodi di gravi difficoltà economiche (si veda anche Zevi et al., 2011)”.
[68] M. Vieta – S. Depedri, op. cit., nt. 64, p. 11.
[69] Lo studio di Legacoop già citato chiarisce, invero, che “la maggior parte delle imprese recuperate (79,6%) rientra nel comparto dell’industria manifatturiera. Questo dato è in linea con quanto riscontrato nel database costruito nel lavoro di Vieta e Monni (Vieta et al., 2015; Monni et al., 2017) ed è probabilmente dovuto alla peculiare composizione del settore manifatturiero italiano, costituito principalmente da PMI ad alta intensità di lavoro e bassa intensità di capitale e costi di entrata (Ben-Ner, 1988), che facilitano la nascita dei WBO (Vieta et al., 2015). All’interno del settore manifatturiero risulta più alta complessivamente la presenza dei WBO in comparti più tradizionali e che caratterizzano il Made in Italy, ossia le filiere del tessile e quindi della moda, della lavorazione della pelle, del design e della grafica, del vetro e della ceramica. Tra gli altri settori spicca per numerosità quello dei servizi, principalmente focalizzato sulla logistica e i trasporti e i servizi legati all’industria cinematografica o di informazione e comunicazione”.
[70] Vd. Legacoop Area Studi, Nota 8 – Le imprese recuperate in Italia, marzo 2020, in http://areastudi.legacoop.coop/note-brevi-2/. Per quanto riguarda la Regione Emilia-Romagna, il Rapporto Biennale sullo Sviluppo della Cooperazione pubblicato nel 2018 afferma a p. 57 che: “in Emilia Romagna nel 2016 risultavano 56 nuove cooperative nate con il percorso del WBO, 1,200 posti di lavoro salvati: il fenomeno è distribuito un po’ su tutto il territorio regionale, ma spicca nella provincia di Forlì Cesena con 30 cooperative, seguita da Reggio Emilia con 8, Bologna con 6, Modena con 4, Ravenna con 3, Rimini e Ferrara con 2, infine Parma con una. Per quanto riguarda i comparti produttivi, emerge in misura maggiore l’industria, in cui si concentra il 60% dei WBO, seguita dai servizi (35%) e dall’agricoltura (5%)”.
[71] M. Vieta – S. Depedri, op. cit., nt. 64., pp. 7ss.
[72] Vd. M. Vieta – S. Depedri – A. Carrano, The Italian Road to Recuperating Enterprises and the Legge Marcora Framework’s: Italy’s Worker Buyouts in Times of Crisis, Research Report n. 15, 2017, Euricse, p. 9: “ The empirical evidence suggests that cooperatives are more resilient than conventional investor-owned firms (Bentivogli & Viviano, 2012; Zevi, Zanotti, Soulage, & Zelaia, 2011), responding more robustly to economic troughs (Fontanari & Borzaga, 2013), and experiencing much less job loss (Pérotin, 2006, 2012). Indeed, employment in cooperatives tends to remain steady or grow in periods of economic crisis (Birchall & Hammond Ketilson, 2009; EURICSE, 2013; Zanotti, 2011). Where cooperatives emerge, it is clear that jobs are saved and the productive capacities of communities are preserved or enhanced (Sanchez Bajo & Roelants, 2011). Cooperatives contribute to the prevention of the “desertification” of regions and act as shock absorbers for the socio-economic needs of entire communities (CECOP-CICOPA, 2013). These countercyclical trends have especially been the case historically with worker cooperatives (Craig, 1993; Estrin, 1985; Jones, 1984; Pérotin, 2006, 2012; Zevi et al., 2011)”; v. anche J. Birchall – K. L. Hammond, Resilience of the Cooperative Business Model in Times of Crisis, ILO, Geneva, 2009; P. Carnazza – A. Pasetto, L’andamento dell’occupazione nelle cooperative italiane negli anni della crisi: alcune evidenze a livello regionale, in Rivista di Economia e Statistica del Territorio, n. 2, 2014, p. 5 ss.; M. Vieta – S. Depedri, op. cit., nt. 64; M. Zoppini, Il nuovo diritto delle società cooperative: un’analisi economica, in Riv. Dir. Civ. 2004, 3, 20439ss.
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