CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/04/2016 Scarica PDF

Il complesso processo (formativo ed attuativo) delle proposte concorrenti

Antonio Pezzano e Massimiliano Ratti, Antonio Pezzano, Avvocato in Bologna. Massimiliano Ratti, Avvocato in La Spezia


Sommario: Prologo; 1. Art. 163 Ammissione alla procedura e proposte concorrenti. – 1.1. Introduzione: le innovazioni normative. – 1.2. Proposte concorrenti: criticità operative e controversa tenuta costituzionale. – 1.3. Proposte concorrenti: i presupposti soggettivi. – 1.4. Proposte concorrenti: i presupposti oggettivi. – 1.5. Proposte concorrenti: voto e conflitto di interessi. – 1.6. La complessa interazione tra Proposte e Offerte concorrenti. – 2. Art. 185 L’esecuzione del concordato2.1. Le modifiche introdotte dal d.l. n. 83/2015. – 2.2. Un nuovo commissario per la fase esecutiva. – 2.3. Revoca del concordato ed art. 185: un dialogo possibile? – 2.4. La fase attuativa della proposta concorrente: questioni procedimentali, soci del debitore e dubbi di costituzionalità. – 2.5. Entrata in vigore e procedimenti in cui trova applicazione la norma.


     

Prologo

Il nuovo istituto delle proposte concorrenti è giunto come un fulmine a ciel sereno in un panorama in cui tutti gli operatori immaginavano ben altri orizzonti.[1]

E’ stato quindi naturale che abbia catalizzato l’attenzione dei primi interpreti.[2]

Nei paragrafi che seguono, dopo averne rappresentato i caratteri istituzionali, vedremo meglio alcune delle relative peculiarità, sia nella fase ante (art. 163) che post (art. 185) omologa.

 

In particolar modo, tra le molteplici questioni, ci siamo chiesti:

 

a) Nonostante il novellato art. 175 co. 3° paia attribuire solo alla fase di adunanza il generale vaglio di ammissibilità delle proposte concorrenti (e, peraltro, solo su istanza del debitore), non è forse più funzionale ad un corretto snodarsi della procedura concordataria che tale vaglio sia svolto pregiudizialmente, d’ufficio e non limitato, ex art. 163, co. 7°, ult.cpv., al  solo aspetto dell'eventuale suddivisione in classi?

 

b) Il suddetto vaglio collegiale può estendersi anche alla  fattibilità economica, considerato che il debitore, sempre in sede di adunanza, può esporre le ragioni per cui non ritiene “fattibili le eventuali proposte concorrenti”?

 

c) Il proponente concorrente, con una propria "contro attestazione" o invocando a suffragio la relazione ex art. 172, puo’ contestare la sussistenza dei limiti minimi di "assicurato" pagamento attestati dal professionista nominato dal debitore? Oppure l'aspetto potrà rilevare solo a fini risarcitori nei confronti del debitore e/o attestatore?


d) E' giuridicamente ammissibile una proposta concorrente che preveda subito dopo l’omologa ma prima dell'avvenuta esecuzione del concordato, il trasferimento a favore del proponente concorrente del compendio aziendale della società concordataria  ovvero del relativo capitale?

 

e) E tutto ciò ove anche la proposta concorrente  non preveda  il patto di immediata liberazione del debitore, diversamente esposto alla risoluzione del concordato e, soprattutto, al fallimento per inadempienza altrui? Ovvero tale patto è insito ex lege nella stessa  causa della proposta concorrente come potrebbe evincersi dal novellato art. 185?

 

f) Il proponente concorrente è figura assimilabile all'assuntore? Cioè si verifica un fenomeno di novazione soggettiva passiva  (ed esclusiva nel caso in cui venga dedotto il patto di immediata liberazione del debitore)?

 

g) A prescindere dalla (comunque facoltativa) attestazione, il concorrente può anche offrire una diversa relazione giurata ex art. 160, co. 2° sui beni e/o diritti incapienti per i prelatizi?

 

h) La rinuncia del debitore alla domanda provoca anche la caducazione della proposta concorrente? E, nel quale caso, ove anche già approvata dai creditori ?

 

i) Sempre in tema di possibile estinzione anticipata della procedura:  in ipotesi di arresto ex art. 173 in danno al debitore, consegue anche la declaratoria di inammissibilità della ancillare proposta concorrente?

 

l) Ed invece un fatto integrante l’avvio del procedimento ex art. 173, rinvenibile in questo caso nella proposta concorrente già approvata dai creditori (ad es. una falsa rappresentazione sulla titolarità di un bene offerto come quid pluris), fa venire meno la sola proposta concorrente? E in caso affermativo, con quali effetti rispetto alla proposta del debitore? Potrà ritornare al voto la sua proposta inizialmente bocciata?

 

m) Come si innesta la finanza esterna nelle proposte concorrenti?

 

n) Qualora si ritenga che il concordato in continuità indiretta (affitto d'azienda a favore di società controllata dalla società concordataria finalizzato alla vendita grazie a collegata proposta irrevocabile) sia da assoggettarsi al regime dell’art. 186-bis, una proposta del debitore, che assicuri il pagamento d’una percentuale pari al 30%, è al riparo dalle proposte concorrenti? E dalle offerte concorrenti?

 

o) Qual è il ruolo del socio della società concordataria nell’istituto delle proposte concorrenti? 

 

p) Nel caso di proposta concorrente “vincente”,  il perimetro del decreto di omologa, visto anche l'art.184 co. 1° parte prima, può estendersi sino al punto di ricomprendere le eventuali contese sollevate dai soci esclusi dal diritto d'opzione? O tali contese devono svolgersi dinanzi al Tribunale delle Imprese?

 

q) Quale significato può attribuirsi all'incipit sull'art. 173 contenuto nell'art. 185 co. 6°?

 

r) In caso di società concordataria ed inadempienze alla proposta concorrente omologata, il potere sostitutivo può riguardare la sola figura dell'Amministratore giudiziario o anche il Commissario?

 

s) Il novellato art. 185, facendo  riferimento ai soli rapporti tra concorrente e debitore e tra l'altro non attribuendo agli altri creditori alcun potere di attivazione, riguarda i soli adempimenti del debitore dovuti a favore del proponente concorrente ?

 

t) Come si innesta l'art. 169bis rispetto alla proposta concorrente omologata? Impone al debitore di attivare solo post omologa il sub-procedimento de quo? Ma è possibile in tale fase? Oppure, raggiunte le maggioranze già durante il giudizio d'omologa, tale sub-procedimento va azionato poiché l'avvenuta certezza sullo scioglimento del rapporto rappresenta un elemento della proposta concorrente e su cui, quindi, vi è necessità di certezza prima dell'avvenuta omologa? E se il debitore non vi da corso? È solo un caso di possibile arresto ex art. 173?

 

Ai predetti quesiti, gli scritti che seguono, frutto del continuo confronto degli autori, offrono solo alcune delle possibili risposte, ponendo anzi ulteriori interrogativi che solo la sedimentazione giurisprudenziale, tutta ancora da formarsi, potrà provare a dipanare.[3]



1. Art. 163.
Ammissione alla procedura e proposte concorrenti

1.1 Introduzione: le innovazioni normative

L'art. 3 del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, è intervenuto sulla struttura dell’art. 163 introducendo la previsione di “proposte concorrenti[4] nel concordato preventivo.

La significativa portata della novella legislativa[5], la si percepisce già dalla rubrica dell’articolo in commento, che è stata modificata, per l’appunto, con la formulazione (ad onore del vero, disomogenea), «Ammissione alla procedura e proposte concorrenti».

La relazione accompagnatoria alla Legge 132/2015 ha evidenziato quelle che sono le finalità della norma, ovvero sia quelle di massimizzare la recovery dei creditori concordatari e di mettere a loro disposizione un’alternativa al cram down,  una possibilità ulteriore rispetto a quella di accettare o rifiutare in blocco la proposta del debitore.  Gli obiettivi prefissati sono, dunque, quelli di ampliare il ventaglio degli strumenti di reazione dei creditori, in seno al conflitto generato dall’ostensione della crisi, creando contestualmente un mercato dei distressed debt.

La possibilità di formulazione di proposte concorrenti di concordato preventivo costituirebbe, poi, nelle medesime intenzioni legislative, una sorta di stimolo, per il reticente debitore, ad anticipare l’emersione dello stato di crisi[6]: le potenziali implicazioni dissuasive, in realtà, stanno a valle della determinazione di accedere alla procedura.

La contendibilità e, in termini più forti, “l’esproprio” dell’impresa, sono ben lontani dal rappresentare la base su cui poggiare validi strumenti di prevenzione ed allerta, già al vaglio della “Commissione Rordorf”, specificamente nella quarta sottocommissione, presieduta dal Consigliere L. Panzani: in sede di recente audizione parlamentare, l’autorevole componente, ne ha sollecitato l’introduzione, non, alla stregua d’un meccanismo inquisitorio, ma quale “meccanismo extragiudiziale di supporto[7].    

A tal riguardo, giova rammentare che, già nel novembre 2001 (con ristretta composizione reiterata nel 2004), era stata insediata altra “Commissione per l’elaborazione di principi e criteri direttivi di uno schema di disegno di legge delega al Governo, relativo all' emanazione della nuova legge fallimentare ed alla revisione delle norme concernenti gli istituti connessi” (“Commissione Trevisanato”) e, in quella sede, era stata discussa la possibilità di prevedere dei meccanismi di allerta che consentissero, per l’appunto, l’emersione anticipata o, comunque, tempestiva dello stato di crisi, sul modello dell’ordinamento francese[8]. I lavori della Commissione Trevisanato non furono mai portati a compimento, con il benestare di coloro che avevano osteggiato qualsiasi forma di controllo o di semplice moral suasion giudiziale.

Ciononostante, come poc’anzi anticipato, il dibattito sulla necessità di prevedere, anche nel nostro ordinamento, procedure di allerta non si è mai sopito; al contrario, da più parti, è stato evidenziato come la diagnosi della crisi sia una tappa essenziale per adottare soluzioni operative adeguate[9].

Il  Legislatore, quindi, nel solco tracciato dai lavori della Commissione Trevisanato e ripresi dalla Commissione Rordorf, avrebbe dovuto previamente approntare le basi su cui strutturare opportuni meccanismi di allerta, introducendo apposite procedure ad hoc (già, peraltro, capillarmente delineate nelle Commissioni), e, al contempo, fissando indici sintomatici e cogenti dell’insolvenza, senza per ciò solo spingersi fino alla previsione di un sistema asetticamente afflittivo che si mostra, in un’evidente eterogenesi dei fini, antitetico all’emersione della crisi.

La previsione di una soglia minima di pagamento dei crediti e la  potenziale perdita del controllo sull’impresa, vieppiù per come disorganicamente insediati, non possono, quindi, costituire un adeguato incentivo al coming out del debitore (che empiricamente ha mostrato di prediligere un lie hidden and die, nelle more d’una parossistica ricerca di utopistiche soluzioni del suo stato di dissesto).

Il meccanismo “sanzionatorio” (che, con opportuni correttivi ed in un organico contesto potrebbe arrecare anche effetti benèfici), per come introdotto dalla norma, sembra, più il frutto della significativa spinta moralizzatrice, che ha connotato i lavori anche delle commissioni parlamentari, talvolta fondata sull’assunzione che l’imprenditore che accede al concordato sia un bancarottiere[10], in virtù della quale l’imprenditore insolvente sia un soggetto pericoloso per il mercato e, come tale, vada “punito”, in quanto reo di aver tradito la fiducia del ceto creditorio[11].

Trattasi, peraltro, d’un paralogismo anacronistico e smentito, in radice, dai dati statistici, ove solo si consideri che “solo il 5% dei fallimenti risulta fraudolento e che il 79% dei cittadini dell’Unione sarebbe disposto a offrire una seconda possibilità all’imprenditore honest but unfortunate (il quale effettivamente risulta avere un superiore tasso di successo nel corso della nuova intrapresa economica)[12].  

 

1.2 Proposte concorrenti: criticità e controversa tenuta costituzionale

La previsione della possibilità per i creditori di presentare proposte concorrenti di concordato preventivo, subentrando così al debitore nella titolarità e gestione dei suoi beni, è stata identificata come una forma di esproprio extra ordinem[13].

L’istituto delle proposte concorrenti, ad una prima analisi, ha suscitato perplessità, tanto da porsi in potenziale antitesi con paradigmi costituzionali (con riferimento agli artt. 41-42 Cost.)[14] e con i principi che governano la Convenzione dei diritti dell’uomo, perché la nozione di credito verrebbe tutelata in maniera più rigorosa, rispetto al diritto di proprietà[15].

La lettera della legge ed i prodromici atti parlamentari, in effetti, non appalesano quale sia l’interesse generale che giustifichi il meccanismo di spossessamento di cui all’art. 163, posto che nel caso della norma in esame “l’espropriazione”, contrariamente al disposto costituzionale, avviene in favore di soggetti privati (in specie, i creditori), non già di un soggetto pubblico, ontologicamente deputato al perseguimento di un interesse generale. Inoltre, la stessa Corte Costituzionale, nel ribadire l’obbligatorietà della misura indennitaria nell’ipotesi di espropriazione per pubblico interesse, ha precisato come detto indennizzo vada considerato come «un ristoro serio e tale da non ledere il principio costituzionale di eguaglianza»[16].  

Non vale, ai fini della controvertibilità della censura di incostituzionalità, l’assunto che riconduce la ratio della previsione di proposte concorrenti nell’ambito del concordato preventivo alla medesima sottesa all’istituto del concordato fallimentare (ove, come noto, è già prevista la possibilità per i creditori – e per un terzo – di presentare proposte di concordato -anche concorrenti con quella del debitore fallito, a cui è temporalmente inibito ex art. 124, co. 1°, richiamato appunto dal novellato art. 165, co. 3°).

In tale ultima ipotesi, infatti, viene consentito «l’accesso del mercato e dei soggetti speculativi che vi operano al patrimonio del fallito, assoggettato ad una forma di spossessamento più marcata, in relazione non solamente alla immediata disponibilità e gestione dei beni, che passano nelle mani del curatore, ma anche in relazione alla possibilità di stabilire la sorte dei beni fallimentari»[17]. In altri termini, «il pieno spossessamento del patrimonio del fallito si correla alla natura esecutiva collettiva del fallimento»[18].

Quindi, nel concordato fallimentare, la possibilità accordata a terzi e creditori di presentare proposte di concordato non realizza una forma di espropriazione, poiché è con la dichiarazione di fallimento che il debitore insolvente ha già perduto l’amministrazione dei propri beni. Per tale via, la Giurisprudenza ha chiarito che «il divieto per il fallito diamministrare i suoi beni e di disporne ha lo scopo di soddisfare i creditori del fallimento e l'ingerenza in questione persegue quindi uno scopo legittimo e conforme all'interesse generale, ossia la tutela dei diritti altrui»[19].

Di contro, il concordato preventivo è uno strumento di attuazione della garanzia patrimoniale, volto a regolare la crisi d’impresa (“causa astratta”[20]), attraverso la soddisfazione dei creditori (quest’ultima intesa quale mezzo e non fine del concordato), che avviene attraverso un processo negoziato e non coattivo[21].

In tale ineludibile chiave prospettica, «il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno “spossessamento attenuato”[22], in quanto conserva, oltre ovviamente alla proprietà (come nel fallimento), l'amministrazione e la disponibilità dei propri beni»[23] che non possono essere oggetto di espropriazione, ai sensi dell’art. 168[24].

La diversità ontologica tra i due istituti porta, quindi, a ritenere non estendibile al concordato preventivo la ratio sottesa al concordato fallimentare, legittimante la previsione di proposte da parte di soggetti diversi dal debitore.

Più convincente, ai fini della tenuta costituzionale della norma, è comunque l’autorevole posizione dottrinaria che ha avuto modo di evidenziare come la previsione di proposte concorrenti, anche a mezzo di interventi estranei sul capitale, non ponga alcun problema, sul presupposto che l’impresa insolvente (o, in stato di crisi, in considerazione dell’equiparazione di cui all’art. 160, co. 3°), per la quale sia già stato giudizialmente accertato tale stato con un decreto di ammissione del tribunale, appartiene ai creditori[25], i quali, a loro volta, sono stati espropriati del loro credito[26]. In difetto, pertanto, d’una promessa di pagamento superiore al limite di soglia, l'imprenditore in crisi “confessa” l'incapienza del proprio patrimonio che, in base ai princìpi generali in tema di responsabilità patrimoniale, deve ritenersi a questo punto integralmente sottoposto a un vincolo di soddisfazione dei creditori[27].

La condivisibilità di detto approccio “sostanziale”[28] non sopisce, tuttavia,  alcune obiezioni alla tenuta sistematica con il sedime, su cui la Riforma poggia, e, con il correlato e vigente impianto normativo fallimentare.

In primo luogo, restando ancorati alla “concretezza” della forma, l’art. 152, co. 2° lett. b) (richiamato dall’art. 161 co. 4°), attribuisce esclusivamente (i) all’assemblea dei soci, nel caso di società di persone, e (ii) all’amministratore, nel caso di società di capitali, il potere/dovere di deliberare la proposta di concordato, escludendo così che la società sia di “proprietà” dei creditori sociali, i quali, solo nel caso di una insolvenza irreversibile e, obliterata, in qualunque sede legislativamente prevista, l’esperienza concordataria[29], potranno insistere per la dichiarazione di fallimento, sancendone così le sorti.

In secondo luogo, i soci, prima di accedere alla procedura concordataria, possono approntare i rimedi civilistici previsti nel caso di riduzione del capitale per perdite, ex artt. 2446-2447 c.c., finanziando l’impresa con apposito capitale di rischio, ovvero decretandone la trasformazione, anche subordinando sospensivamente l’efficacia di dette delibere all’omologazione del concordato[30].

Peraltro, il vigente disposto di cui all’art. 182 sexies  consente agli organi della società, in espressa deroga civilistica di sospendere ogni determinazione sino all’omologazione del concordato[31] ed è altresì normata la facoltà ai soci di intervenire sul capitale ricostituito (ai sensi dell’art. 182 quater, co. 1°) o da ricostituire (comma 2°), beneficiando d’un “ritorno prededuttivo” dell’ottanta per cento della somma erogata, se non viene spontaneamente convertita in capitale di rischio.

L’ingresso nella compagine sociale di creditori (prededuttivi), quali “finanziatori”, viene ammessa, dall’ultimo capoverso della suddetta norma, in una situazione impermeabilizzata dall’omologazione del concordato (o dell’accordo di ristrutturazione) ed a fronte di una pregiudizialmente logica intesa con la società debitrice (e dei suoi soci).

La previsione dell'art. 182 sexies  ha determinato, quindi, non soltanto il “ridimensionamento” del rilievo del capitale sociale, ma altresì il superamento (sino al momento dell'omologazione) della fondamentale regola organizzativa posta a tutela dei creditori (e tendenzialmente accolta anche negli ordinamenti che hanno abbandonato il legal capital system) secondo cui la consistenza dell'attivo patrimoniale deve almeno eguagliare quella del passivo[32].

In tale prospettiva, quindi, è stato evidenziato che, qualora nel piano di concordato siano previste modifiche organizzative che possano incidere anche sulle situazioni soggettive dei soci, deve necessariamente trovare applicazione l’autonoma disciplina societaria, con la conseguenza che la realizzazione del piano concordatario potrebbe richiedere la piena condivisione non già della sola maggioranza, ma del singolo socio[33]. 

Il diritto delle società e quello delle imprese in crisi intervengono, quindi, su piani autonomi e paralleli, incidenti, rispettivamente, sul piano del soggetto (oltre al suo scopo) e su quello della funzionalità dell’attività di impresa[34].

Ciò posto, la norma in commento sconta profili di conflittualità “sistemica”, laddove al comma quinto dispone che la proposta concorrente può prevedere «l’intervento di terzi e, se il debitore ha la forma di società per azioni o a responsabilità limitata, può prevedere un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto di opzione». 

I poteri e le funzioni degli organi della società in concordato preventivo che, sino ad oggi, avevano incontrato il solo limite esterno di essere “compatibili” con le finalità della procedura, arretrano ulteriormente il loro ambito d’azione deliberativo e gestorio, in ragione del fatto che le regole della procedura sono imposte ad inderogabile tutela dei creditori sociali, tanto dirompente da “rompere gli argini” dello schermo societario.  

In forza di detta previsione, quindi, nel caso di società di capitali, il creditore potrebbe obbligare i soci a deliberare un aumento di capitale[35], con esclusione o limitazione del diritto di opzione, conculcando così diritti, in particolare quelli dei soci di minoranza (che magari non hanno neppure avuto alcuna connivenza nel dissesto), che vengono repulsi da un sistema che, sino ad oggi, li aveva tutelati e che continua a ritenere operanti dette guarentigie[36].

In sostanza, le facoltà dei soci, con l’ammissione della società in concordato, vengono rimosse (o meglio, fortemente limitate), in quanto l’aumento del capitale potrebbe non essere più deliberato dall’organo assembleare, in seduta straordinaria, bensì verrebbe deciso dal creditore proponente il concordato o dagli amministratori, a ciò legittimati ai sensi dell’art. 152, o ancora dall’amministratore giudiziario all’uopo nominato ai sensi dell’art. 185, co. 6°[37] (a cui si rimanda, in merito alla cogente “adesione” da parte dei soci).

La norma in esame non chiarisce se l’aumento di capitale possa essere gratuito o a pagamento: nell’un caso si utilizzerebbero risorse già presenti nel patrimonio della società, le quali verrebbero imputate a capitale, nell’altro caso, invece, affluirebbe nel patrimonio della società nuovo capitale di rischio, da investire nell’impresa a fronte dell’emissione di nuove quote, per le S.r.l., o azioni, per le S.p.A.; nulla esclude, tuttavia, che l’aumento di capitale tragga linfa, a seguito dell’omologa, dalle sopravvenienze attive generatesi con la falcidia concordataria[38], senza il ricorso diretto ad interventi finanziari esogeni (a ciò vale la congiunzione “e” dopo “l’intervento di terzi”).

Verosimilmente, la norma intende, comunque, riferirsi all’effettivo aumento del capitale, posto che un’impresa in crisi, prima di accedere alla soluzione concorsuale, avrà già tentato di ripianare le perdite registrate utilizzando le risorse economiche presenti in patrimonio (id exemplum, riserve e fondi).

Viene, altresì, prevista una nuova causa di esclusione (o limitazione) del diritto di opzione[39], o, ancor più persuasivamente una sottospecie specificativa dell’art. 2441, co. 5°, c.c.[40], ove l’approvazione trasmigra soggettivamente, all’esito d’un processo di metempsicosi, dalla maggioranza assembleare dei soci a quella dei creditori concorsuali;  mentre “l’interesse” per la società viene ravvisato nella “convenienza” alle restrizioni del diritto di opzione[41], da ritenersi” assolutamente necessarie”[42]. Quindi impellente contingenza ed opportunità, presunte ex lege, e che, in quanto tali, legittimerebbero di sopravanzare il diritto individuale del socio a mantenere inalterata la propria partecipazione, a favore di pretese creditorie affrancate dalla conclamata insolvenza.  Conseguentemente, deve ritenersi che, a fronte dell’estromissione dei soci dalla compagine sociale attraverso un aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione, a tali soggetti il Tribunale debba comunque garantire una qualche forma di tutela. Nello specifico, i soci, in quanto soggetti interessati ex art. 180, comma 2°, saranno legittimati a presentare opposizione all’omologazione di una proposta concorrente ed “il tribunale dovrà negare l’omologazione laddove accerti che la suddetta proposta si risolva in un’espropriazione di fatto di partecipazioni sociali che abbiano ancora un  perdurante, effettivo e significativo valore economico[43].

Le proposte concorrenti, quindi, introducono una deroga all’interno dell’impianto in cui sono inserite, dovendo le “autotutele” concordatarie cedere il passo all’appalesarsi dell’insolvenza (o crisi) da parte del debitore, che, al ricorrere di determinate condizioni, viene così, “spossessato” (unitamente ai suoi soci) da una “nuova classe di portatori d’interesse, postergata nella gestione dell’impresa rispetto all’investimento di rischio finché l’impresa sia in bonis, privilegiata, rispetto ad ogni altro quando l’impresa sia caduta in crisi[44]. 

La norma in commento genera, quindi, un’ulteriore problema di coordinamento con l’art. 167, che ancora attualizza la regola dello”spossessamento attenuato[45].

La novella legislativa non ha modificato l’art. 167 e tale scelta, a prescindere da ogni indagine circa la sua volontarietà, o meno, amplia il solco della carenza ostensiva del Legislatore[46], generando contraddizioni sistemiche ed ermeneutiche.

L’inappropriata modalità di legiferazione schiude le porte alla conclusione che la permanenza della regola dello “spossessamento attenuato” (oltre all’inespropriabilità dei beni ex art. 168) e l’inalterato mantenimento di taluni benefici pro debitore, anche in deroga alle disposizioni civilistiche, più che risultare un oblivio del Legislatore della Riforma, in termini di difetto di coordinamento, rappresentino la cartina di tornasole della sua oscillazione. Certo è che è stato inferto un duro colpo ad uno dei capisaldi del concordato preventivo, che ha da sempre segnato la netta linea di confine tra la soluzione fallimentare e quella concordataria. 

Perché se è vero che, in caso di insolvenza, nulla possa essere riconosciuto ai soci a fronte dell’investimento in capitale di rischio è altrettanto indubitabile che, anche all’integrarsi d’una ipotesi di scioglimento della società, il soggetto collegiale deputato a dettare i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione, volta a massimizzare il realizzo, resta, ai sensi dell’art. 2487, co. 1°, lett. c) c.c., l’assemblea sociale e, ai sensi dell’art. 2486 c.c., gli amministratori, quali “fiduciari” dei soci e dei creditori, mantengono la gestione della società, nell’ottica conservativa del valore del patrimonio sociale.

La cesura tra l’organo amministrativo ed il potere gestorio sul patrimonio viene a realizzarsi per effetto dell’omologazione, quale momento elettivo in cui si assiste alla traslazione di detto potere, in forza del vincolo di destinazione apposto a favore dei creditori[47]. 

I suddetti precetti civilistici, connessi alle speciali disposizioni fallimentari (artt. 152, 182 quater e sexies e 186 bis), prestano, quindi, il fianco al rilievo di dubbia tenuta costituzionale, che potrebbe effettivamente annidarsi nel non avere previsto per i soci delle società di capitali (in particolare per quelli di minoranza), già esautorati dall’assunzione della delibera ex art. 152, co. 2°, lett. b), idonee contromisure di reazione allo “spoglio” della loro partecipazione.

Sotto un ultimo profilo, va evidenziato che la norma de qua, seppur in linea sul piano comparato,  non pare del tutto armonizzata con il diritto comunitario e, in  specie, con il Regolamento Europeo n. 848/15[48], che aggiorna ed estende la disciplina delle procedure d'insolvenza transfrontaliere, al fine di dare «una seconda opportunità agli imprenditori» che versino in uno stato di crisi.

Evidentemente, il Regolamento citato conferma l’assunto che vede la crisi dell’impresa non più una sconfitta, bensì un’opportunità (cd. fresh start) per apprendere dagli errori e per crescere[49]. Per tale via, quindi, il Legislatore Comunitario, in materia di crisi dell’impresa, ha manifestato preferenza per quelle procedure aventi funzione conservativa “dell’organizzazione esistente”[50], di talché la scelta legislativa effettuata dal nostro ordinamento, con l’innesto di poteri espropriativi attribuiti ai creditori sociali, anche se mitigata dalla previsione d’una soglia di sbarramento, ai fini dell’ammissibilità di detta ingerenza, potrebbe porsi in controtendenza con i suddetti paradigmi comunitari.   

Tirando le fila del complesso iter argomentativo, si perviene alla constatazione che le proposte concorrenti, più che essere tacciate di profili di incostituzionalità[51] o di mancato recepimento dell’incipit comunitario, paiono decontestualizzate (i) rispetto all’attuale scenario macroeconomico[52] nonché (ii) all’impianto strutturale normativo su cui poggiano, per non essere state accompagnate da sintoniche rivisitazioni di norme correlate (rimaste debtor oriented) e da organici innesti, quali, come detto, le procedure di allerta e prevenzione che, legittimerebbero, in colpevole difetto di adeguamento da parte del debitore insolvente, l’avvio di siffatte misure afflittive.

Per altro verso, di natura più pragmatica, non può effettivamente trascurarsi che al debitore viene, comunque, riservata (i) l’esclusiva legittimazione e, pertanto, una seconda chance, laddove assicuri percentuali inferiori alla metà della propria esposizione chirografaria (già in una situazione, quindi, di appalesato dissesto e di perdita del capitale sociale) e (ii) la possibilità di ottenere i benefici dell’esdebitazione, senza transitare per il tramite della maggiore delle procedure concorsuali[53].

Tuttavia, dette concessioni paiono oltremodo sperequate in relazione alla lesione di diritti, cui il debitore (ed altrettanti interessi collaterali che gravitano nell’orbita della sua impresa) e, come abbiamo avuto modo di appurare, i soci delle società di capitali,  devono giocoforza soggiacere; ciò avviene, in una sorta di nemesi, ad esclusivo vantaggio “riparatore” del ceto creditorio e per la tutela d’un diritto (appunto, il credito), che viene gerarchicamente “privilegiato” sull’onda d’una pressione, permeata da forti componenti moralizzatrici, che, tuttavia, non si attaglia ad un serio progetto riformatore.  

 

1.3. Proposte concorrenti: i presupposti soggettivi

L’art. 163, co. 4° ss., individua i presupposti oggettivi e soggettivi per la proposizione di proposte concorrenti.

La legittimazione attiva spetta ai creditori  uno o più», recita testualmente la norma) che rappresentano almeno il dieci per cento dei crediti. La soglia percentuale indicata, secondo il parere della Seconda Commissione Permanente Giustizia, svolgerebbe la funzione di “filtro”, per quelle iniziative non rilevanti, che rischierebbero di appesantire la procedura[54]. In altri termini, la ratio della predetta limitazione è espressione del timore del Legislatore a ché la proposta di concordato venga avanzata da concorrenti del debitore, interessati solamente a rilevare i complessi aziendali o, comunque, ad eliminare dal mercato un proprio competitore[55].

La disposizione in commento prevede, altresì, che il limite percentuale dei crediti vada computato con riferimento alla relazione patrimoniale di cui all’art. 161, co. 2°, lett. a)[56].

Tale previsione normativa fa, quindi, riferimento alla «relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa», la quale ha il precipuo scopo di informare il tribunale ed i creditori sulle dimensioni e sulle caratteristiche della crisi alla data della domanda; invero e più correttamente, il Legislatore della Riforma, al fine di individuare la percentuale di crediti legittimati alla presentazione di una proposta concorrente, avrebbe dovuto fare riferimento alla lett. b), co. 2° dell’art. 161, che prescrive al ricorrente il deposito dell’«elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti».

Detta documentazione «si sostanzia, di necessità, in un “indice” puntuale di tutti i creditori, comprensivo sia dei chirografari che dei prelatizi (non esclusi i creditori per tributi e contributi previdenziali, ai quali si proponga una “transazione fiscale” ex art. 182-ter, legge fallimentare), che riporti per ciascuno l'ammontare preciso e riscontrabile del credito, specificando la parte chirografaria e la parte prelatizia e, per questa seconda, il titolo della prelazione»[57]. Peraltro, tale elencazione deve individuare anche i crediti contestati in sede stragiudiziale o giudiziale[58].

Non è da escludere che, nella probabile ipotesi in cui la proposta concorrente venga depositata successivamente al deposito della Relazione ex art. 172 legge fall., ci si parametri, ai fini del computo, sull’elenco aggiornato dal Commissario Giudiziale.

L’art. 163, co. 4°, circoscrive la legittimazione soggettiva ai “soli” creditori concorsuali, precisando che, ai fini del computo della percentuale, sono da ricomprendervi anche quelli il cui credito abbia raggiunto la soglia del dieci per cento «per effetto di acquisti successivi alla presentazione della domanda di cui all’art. 161».

Nulla osta, tuttavia, ad ammettersi astrattamente la legittimazione  di creditori concorsuali risultanti dalla situazione (rectius elencazione) allegata, “elevati” a prededuttivi in ragione della funzionalizzazione della prestazione o del servizio (ex art. 111, co. 2°), nella sua più ampia accezione[59].

Pare, invece, da estromettere il creditore divenuto tale in forza d’un finanziamento “funzionale” (e, a fortiori, “in esecuzione”) ai sensi dell’art. 182 quater, co. 2°; potrebbe essere consentita, di contro, ai sensi del successivo comma terzo, la legittimazione del socio, privo del controllo del debitore, per il credito concorsuale del venti per cento.

In ogni caso, non paiono sussistere preclusioni al socio di minoranza che abbia erogato finanziamenti anteriori all’apertura della procedura, anche se avvenuti nel contesto imperativamente soggetto al dettame di cui all’art. 2467, co. 2°, c.c., qualora non eserciti il controllo (in forza di specifici patti parasociali o di clausole statutarie).

D’altronde, il riconoscimento di detta legittimazione fa da contraltare, da un lato, alle tutt’altro che infrequenti vessazioni che il socio di minoranza ha giocoforza subito quando la società era in bonis, e, dall’altro, all’invasiva ingerenza che viene legislativamente riservata con l’avvio della procedura, a favore di terzi soggetti, quali l’organo amministrativo e commissariale nonché i creditori interessati a formulare la proposta concorrente.

Sulla titolarità “per effetto di acquisiti successivi alla presentazione della domanda di cui all’art. 161”, la norma si allinea a quell’orientamento nomofilattico secondo cui “il pagamento con surrogazione, analogamente alle altre forme di successione – in senso ampio – del credito, quale la cessione del credito, da luogo ad una successione nel rapporto obbligatorio per cui, trattandosi di una vicenda concernente esclusivamente la posizione attiva del creditore originario, al quale si sostituisce il cessionario ovvero il solvens, resta immutato nella sua oggettività il rapporto obbligatorio[60]”, posto che l’inopponibilità stabilita dall’art. 45 legge fall. riguarda esclusivamente gli atti di disposizione suscettibili di vulnerare i diritti della massa dei creditori[61]”.

Con la previsione in parola, quindi, le cessioni di credito, che consentano ad uno o più creditori di raggiungere la soglia minima del dieci per cento dei crediti, sono pienamente efficaci ed opponibili, ancorché perfezionatesi successivamente al deposito del concordato (anche nei riguardi degli altri creditori, in deroga, in tal caso agli artt. 45 e 175, co. 2°).

I creditori divenuti tali successivamente alla presentazione della domanda di concordato, partendo da una originaria posizione di terzietà, non sono verbatim legittimati a concorrere con la proposta principale e ciò avviene in distonia, rispetto al concordato fallimentare, nonché avuto riguardo alla ratio che ha alimentato l’introduzione della norma in commento, volta a massimizzare la recovery, affidando quindi al mercato, sincreticamente inteso, la gestione della crisi[62]. 

La “formale” delegittimazione dei terzi è, quindi, incoerente, ove solo si consideri che se il fine ultimo del concorso concordatario è proprio quello di ottimizzare i risultati attesi dai creditori, non si comprende la ragione per la quale ad un terzo debba essere inibita la possibilità di formulare una proposta concorrente, preferibile rispetto a quella predisposta da altri legittimati, e che è, comunque, diretta ad un miglior grado di soddisfacimento per i creditori stessi.   

Tuttavia, si segnala come i dati letterali militino nel senso di escludere i “terzi” latu sensu dal novero dei soggetti titolati alla presentazione di proposte concorrenti[63].

A medesima conclusione conduce, a contrario, l’art. 163, co. 6°, che, nel disciplinare il diritto di voto, si riferisce ai soli creditori che abbiano presentato una domanda di concordato, chiarendo così, negativamente, il dubbio circa la possibilità accordata anche ai terzi di formulare proposte concorrenti.  

In realtà trattasi, sotto il profilo pratico, d’una preclusione formale agevolmente superabile, facendo, il terzo, veicolare la proposta concorrente attraverso un credito(re) acquisito, ed “autoindicandosi”, ai sensi dell’art.  160, co. 1°, lett. b), quale soggetto deputato a rilevare le attività o ad entrare nella compagine sociale nelle modalità previste dall’art. 163 co. 5°, ult. cpv..  

Il Legislatore della Riforma individua, altresì, un requisito negativo, necessario per la presentazione di una proposta concorrente, precisando, all’art. 163, co. 4°, legge fall., che ai fini del computo della soglia del dieci per cento «non si considerano i crediti della società che controlla la società debitrice, delle società da questa controllate e di quelle sottoposte a comune controllo»[64].

Vengono escluse dal novero dei soggetti legittimati alla presentazione di una proposta concorrente quelle società che appartengono al medesimo gruppo della ricorrente, in tal modo creando una profonda cesura con la società debitrice.

La previsione riprende, con connotati specificativi, la dizione dell’art. 124 co. 1°, ult. cpv. (ove la limitazione temporale è circoscritta), che viene specularmente innestata anche nell’art. 177 co. 4°, per l’ipotesi di esclusione dal voto.

Tuttavia, essa soffre del fatto di apparire orfana all’interno d’un impianto, quale quello fallimentare, notoriamente privo d’una disciplina positiva del concordato di gruppo.

L’agnostica attività legislativa sul trattamento delle crisi di gruppo risiede, essenzialmente, sulla circostanza in base alla quale le società appartenenti al gruppo sono delle realtà giuridiche distinte, sicché si sostiene che, in caso di insolvenza, il consolidamento dei patrimoni delle società componenti del gruppo sarebbe un handicap che incepperebbe l’utilizzazione dello strumento gruppo[65]: un manicheo sillogismo porterebbe ad affermare che se le società appartenenti al gruppo sono in una posizione di alterità giuridica rispetto alla società ricorrente, potrebbero presentare una proposta di concordato concorrente, quando rappresentino almeno il dieci per cento dei crediti.

Tuttavia ciò non pare sostenibile, poiché l’intangibile autonomia delle masse può coesistere con il riconoscimento d’una realtà unitaria (sotto il profilo giuridico ed economico) dei gruppi di imprese; sarebbe stato, allora, auspicabile colmare anche detta lacuna normativa, prevedendo, quale substrato, una disciplina positiva del concordato di gruppo, ammettendo forme di consolidamento forte, se non, più coerentemente, di vera e propria unificazione, delle procedure, già attuato sul piano giurisprudenziale[66].

A valle di detto ragionamento, si colloca, comunque, la disciplina concorsuale del gruppo di impresa, all’auspicabile varo dello schema del disegno di legge delega approvato dalla Commissione Rordorf, con particolare riguardo alla gestione unitaria della procedura di concordato preventivo (e di accordo di ristrutturazione), ove viene appunto prevista un’unica udienza di adunanza dei creditori, con l’individuazione di criteri di identificazione di un unico ufficio fallimentare (e dei suoi organi).  

 

1.4. Proposte concorrenti: presupposti oggettivi

L’art. 163 co. 5°recita testualmente che «Le proposte di concordato concorrenti non sono ammissibili se nella relazione di cui all’art. 161, terzo comma, il professionista attesta che la proposta di concordato assicura il pagamento di almeno il quaranta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari o, nel caso di concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186 bis, di almeno il trenta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari»[67].

Il testo innanzi riportato è il risultato delle modifiche proposte dalla II Commissione permanente (Giustizia), il 17 luglio 2015, che ha deliberato favorevolmente sul d.l. 27 giugno 2015, n. 83, emendando così i dubbi interpretativi emersi già all’indomani dell’entrata in vigore del decreto legge. Prima di tale intervento, la disposizione in commento appariva ancora più imprecisa e indeterminata, posto che nulla si diceva su come dovesse essere valutato il requisito del pagamento di almeno il quaranta per cento dei crediti: è stata, infatti, la Commissione a suggerire di far riferimento alla relazione del professionista attestatore[68].

L’attestata previsione (valevole quale specifico“impegno”[69]) di un piano sottostante alla proposta, idoneo ad attribuire[70] il pagamento d’una significativa percentuale di soddisfacimento per il ceto creditorio occlude la presentazione di proposte concorrenti.  Esclusivamente, al di sotto di detto limite minimo, diviene ammissibile l’ingresso di proposte di concordato concorrenti.

Rimane aperta la questione se rientrino nel novero dei crediti chirografari quelli così sorti ovvero anche quelli divenuti tali per l’incapienza, in considerazione, da un lato, dell’equiparazione normativa, valida ai fini del voto, ai sensi dell’art. 177, co. 3°, e, dall’altro, dell’omesso richiamo, da parte dell’art. 169 all’art. 54, co. 1°.

Le conseguenze sono di non poco conto, in considerazione dell’immutata inderogabilità[71] del disposto di cui all’art. 160, co. 2° (per cui si rimanda sub art. 160, così come per la problematica relativa alla portata della soglia minima, se attinente il solo pagamento in numerario od anche altre possibili modalità satisfattive).

Per quanto attiene l’ambito di operatività della soglia di sbarramento, pare agevole affermare che attenga esclusivamente la proposta del debitore. In altri termini, ci si chiede cosa accade se, in presenza di una proposta concorrente che assicuri il pagamento di almeno il quaranta per cento dei crediti chirografari (o il trenta per cento di detti crediti, nel caso di continuità aziendale), sia possibile per altri creditori formulare nuove proposte.

La lettera della norma sembrerebbe legittimare la portata restrittiva del limite percentuale, che, quindi, opererebbe solo per la proposta del debitore, liberi, pertanto, i creditori di aumentare le percentuali di soddisfacimento anche al di sopra d’una precedente proposta d’un omogeneo concorrente.

Nel più ampio ambito competitivo è possibile anche il rilancio del debitore (anche a mezzo il ricorso a risorse esogene), che può quindi modificare domanda e proposta sino a giorni quindici prima dell’adunanza dei creditori, ai sensi dell’art. 172, co. 2°.  

Detta ultima norma, nel fissare il termine per la modifica delle proposte, include, ovviamente, anche quella del debitore, che (unitamente all’assorbente domanda) deve preesistere e permanere, trattandosi di condizione di ammissibilità, in ogni fase, delle proposte concorrenti[72].

In sede nomofilattica è stato ripetutamente affermato che, in pendenza d’una procedura di concordato, non può essere presentata un’ulteriore domanda, autonoma rispetto a quella precedente[73].

Per tale via, quindi, è stato sostenuto che basterebbe una sola proposta concorrente per bloccare la possibilità per il debitore di presentarne una nuova[74], sul presupposto che, «con riguardo al medesimo imprenditore ed alla medesima insolvenza, il concordato non può che essere unico, e dunque unica la relativa procedura ed il suo esito»[75]. Parimenti, in presenza di più proposte, la rinuncia ad una di esse – ivi compresa quella del debitore – non potrebbe determinare l’inefficacia delle altre[76].

Invero siffatta opzione ermeneutica priverebbe il debitore di qualsiasi difesa «dal momento che, anche se ritira la domanda per cercare di risolvere la crisi in altro modo, rimarrebbe la possibilità di esproprio da parte dei creditori»[77]. In altri termini, «in un sistema in cui la proposta concorrente non può precedere, ma deve necessariamente seguire, l’iniziativa del debitore, la proposta del terzo sta e cade con la domanda presentata dall’imprenditore»[78].

A fronte di tali antitetiche disparità esegetiche, per fattispecie che possono venire a determinarsi anche nell’ipotesi in cui la domanda principale dovesse essere revocata ai sensi dell’art. 173, un’ulteriore soluzione del problema potrebbe ricondursi nel cono precettivo di cui all’art. 152, atteso che la delibera ivi disciplinata costituisce condizione formale e necessaria per la presentazione (e la permanenza) della domanda di concordato; il venir meno di detto elemento deliberativo, che accompagna la domanda con cui è stata presentata la proposta principale, comporta la caducazione dell’intero procedimento (salvo che, in detta sede deliberativa, l’organo amministrativo non preveda espressamente il mantenimento della “determina”, anche in caso di sostituzione della “proposta”).

D’altro canto la declaratoria d’inammissibilità afferisce alla domanda di concordato e non può che assorbire anche le proposte che, unitamente al piano, ne costituiscono una parte integrante nel suo sviluppo “negoziale”, che risulterebbero quindi prive di autonoma linfa vitale al di fuori del procedimento in cui vengono a generarsi.

Il Legislatore, quindi, consente ai creditori di presentare “proposte” concorrenti, ma non legittima gli stessi a presentare “domande” concorrenti, restando il debitore titolare del potere esclusivo di decidere se intraprendere la strada concordataria o restare esposto alle altre possibili alternative[79]. Conseguentemente, l’eventuale rinuncia del debitore alla domanda di concordato impedisce alla procedura di proseguire il suo corso, determinando così la caducazione anche delle proposte concorrenti.

Per converso, qualora il debitore non rinunci alla propria domanda di concordato, egli può certamente “effettuare un rilancio sulla proposta concorrente” ma con il limite temporale dei quindici giorni antecedenti all’adunanza e cioè entro il termine fissato per la modifica della proposta[80]. 

Per le proposte concorrenti fondate su di un piano liquidatorio, un ulteriore profilo di indagine di ammissibilità, intimamente connesso con quello appena esaminato, riguarda la previsione dell’impegno ad assicurare una soglia minima di soddisfacimento (rectius, pagamento) per il ceto chirografario, per come prevista all’ultimo comma dell’art. 160. 

La soluzione positiva appare preferibile e non si rinvengono particolari motivi per discriminare la posizione del debitore rispetto a quella dei creditori concorrenti.

Il sindacato del Tribunale in merito alle proposte concorrenti con cessione di beni non può essere circoscritto, come letteralmente previsto nel settimo comma, alla sola verifica della “correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi”, ove operata dal proponente, ma deve estendersi alla fattibilità giuridica del piano[81], anche se modulato alla stregua dei dati della Relazione ex art. 172: quindi, con valutazione, ai fini dell’ammissibilità, della insussistenza di profili di manifesta inattitudine di quel piano (riconducibili nell’alveo di oggettiva e non opinabile illogicità ed incoerenza), sotteso alla proposta, a sostenere un impegno economico volto ad assicurare il riconoscimento di quella predeterminata soglia minima di soddisfacimento per i creditori chirografari[82].

Diversamente opinando, verrebbero ad alterarsi le regole del gioco tra i contendenti, dovendo solo il debitore “subire” il filtro di ammissibilità della sua “proposta”.

Soggezione procedimentale, per altro verso, ancor più acuita dalla esenzione di attestazione, ai sensi dell’art. 161, co. 3°, riservata alle proposte dei concorrenti creditori, allorché rimanga ancorata ai rilievi commissariali (a differenza del debitore che, anche in tal caso, dovrebbe far ricorso all’ultimo capoverso della predetta norma nell’ipotesi di modifica che succede la relazione ex art. 172) nonché dal meccanismo di conteggio dei voti di adesione.

La Riforma intervenuta, peraltro, non scalfisce la fisionomia dei poteri giudiziali per come delineati dalla copiosa sedimentazione giurisprudenziale formatasi, in relazione ai limiti del sindacato del tribunale in sede di ammissione al concordato preventivo[83], non essendovi, quindi, spazio per forzature interpretative[84], connesse all’utilizzo del verbo “assicurare”[85].

Le proposte concorrenti dovranno, poi, essere oggetto di disamina anche comparativa con quella principale nella relazione del commissario giudiziale.

Giova, a tal riguardo, evidenziare che la formulazione dell’art. 172, ancor prima della Riforma, faceva erroneamente riferimento a più proposte di concordato e poco si conciliava con l’originario impianto della legge fallimentare, che imponeva, per una stessa insolvenza, la proponibilità di un’unica soluzione concordataria[86].

Con il novellato art. 172, co. 2°, cui si rimanda, viene chiaramente previsto il deposito d’una relazione integrativa che raffronti, in maniera particolareggiata, le proposte.

In argomento, è stato osservato che le proposte concorrenti debbano essere non solo comparabili ma anche omogenee (i.e. appartenenti allo stesso genus) rispetto a quella formulata dal debitore e, in particolare, nel concordato con continuità diretta, la possibilità di presentazione di proposte concorrenti sarebbe da escludere in radice: ciò in quanto il debitore, optando per il concordato con continuità aziendale diretta, “ha già ritenuto, sulla base delle attestazioni richieste dall’art. 186bis, rispondere al migliore interesse dei creditori”; la proposta concorrente, anche disomogenea, si tradurrebbe in un esproprio di beni, “senza, peraltro, neanche il vincolo della continuazione dell’attività[87].

In tale frangente il Legislatore ha, tuttavia, mostrato di voler in ogni caso privilegiare la recovery, a mezzo il ricorso al mercato dei distressed debt, rispetto ai principi tutelati dall’art. 42 Cost. ed alla prosecuzione diretta dell’attività di impresa, ivi inclusi gli interessi economici e sociali ad essa correlati.

Non a caso, è stato altrettanto autorevolmente sostenuto che la competizione nell’ambito d’una procedura di concorso è volta all’implementazione del soddisfacimento dei creditori, a differenza di ciò che avviene nell’amministrazione straordinaria negoziata, più ancorata ai valori della continuità; pertanto, “per i creditori meglio un concordato preventivo liquidatorio ricco (quanto basta), che un concordato in continuità povero”, e tanto basta ad escludere l’omogeneità tra le proposte concorrenti.[88]

In un simile contesto, è innegabile come il ruolo del Commissario Giudiziale sia divenuto “improbo”, considerato che, a norma dell’art. 172, egli sarà chiamato a redigere una relazione integrativa contenente “una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte concordatarie[89].

Chiarita, dunque, la possibilità di una proposta concorrente disomogenea rispetto a quella presentata dal debitore, è possibile immaginare una suddivisione delle proposte concorrenti che, a seconda del contenuto del piano sul quale poggiano, si possono convenzionalmente definire come (i) originali, (ii) derivate e (iii) parassitarie.

Le prime sono quelle proposte che si affidano ad un piano radicalmente innovativo rispetto a quello presentato dal debitore. La proposta derivata, invece, è quella che trae spunto  dalla proposta e dal piano del debitore, nonché dalle verifiche svolte dal commissario giudiziale nella propria relazione.

Infine, la proposta concorrente può essere parassitaria, allorquando adotti sic et sempliciter il piano del debitore e le risultanze della relazione del commissario giudiziale[90].  

 

1.5. Proposte concorrenti: voto e conflitto di interessi

Abbiamo avuto modo di rilevare che, sino a quando il debitore ha “il boccino in mano” (i.e. è in grado di “assicurare” il pagamento della percentuale minima di legge prevista per evitare intrusioni), l’iter procedimentale ha un percorso omogeneo ed una sua equilibrata regolamentazione che non si discosta più di tanto dalla previgente.

Lo scenario muta drasticamente, con una sensibile virata a favore dei creditori (concorrenti), nella più che probabile ipotesi in cui il debitore non riesca a confezionare una proposta che preveda le suddette percentuali di soddisfazione.

Ne costituisce la più plastica delle evidenze la titolarità del diritto di voto, attribuita ai creditori che presentino una proposta concorrente, quindi, in una consentita situazione di conflitto di interessi[91] e, nell’ipotesi di mancata approvazione di tutte le proposte, il loro voto viene computato ai fini del raggiungimento delle maggioranze relative per poter accedere e dare l’abbrivio al “barrage”.[92]

A tali fini, il creditore proponente deve appostare il relativo credito in un’autonoma classe, con la conseguenza che, in difetto, il voto non diviene computabile.

In relazione all’espressione del voto da parte del creditore proponente (quindi, in conflitto di interessi[93]), è prevalsa la tesi dottrinaria, sviluppatasi nell’ambito del concordato fallimentare, alla stregua della quale, la collocazione in autonoma classe dello stesso, non “annacquando” le maggioranze, esclude l’integrarsi di ipotesi di conflittualità[94], a discapito d’una posizione più rigida fondata sui principi generali di detto istituto[95].

Sempre a differenza di quanto è previsto per il concordato fallimentare (specificamente, all’art. 127, co. 7°[96]), vengono ammessi al voto anche i crediti acquisiti dopo la presentazione del concordato[97], proprio al fine di favorire il mercato dei distressed debt e massimizzare così la recovery, in un ambito, tuttavia, estraneo al concorso, con il risultato di ammettere trattamenti differenziati ed anche in violazione della graduazione, nella (per la verità) coerente logica dell’utilizzo di risorse esterne, per le quali viene confermata anche nell’ultima riforma l’ammissibilità d’un  “transito” anche nel patrimonio del debitore[98]. 

Infatti, laddove al quinto comma dell’art. 163 viene previsto nella proposta concorrente “l’intervento di terzi” e che questo possa perfezionarsi a mezzo d’un endogeno aumento di capitale (preferibilmente, con sovrapprezzo), viene implicitamente ribadito che l’apporto esterno possa condurre ad una “variazione dello stato patrimoniale del debitore” (a differenza, come detto, dell’assunto del citato arresto di Cass. 9373/2012) anche “con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori” (ai sensi dell’art. 182 quinquies, co. 4°, unica norma nel corpo della legge fallimentare a disciplinare la cd. “nuova finanza”).

 

1.6. La complessa interazione tra proposte ed offerte concorrenti

Il Legislatore non si è preoccupato di disciplinare i fenomeni di interazione che potrebbero ingenerarsi tra le “proposte concorrenti” e le “offerte concorrenti”.

In particolar modo, quid iuris nel caso in cui un terzo volesse formulare un’offerta di acquisto all’interno di una proposta concorrente prepackaged?

Si tratta, in altri termini, di comprendere se il procedimento competitivo possa innestarsi all’interno delle singole proposte concorrenti, sul presupposto che il terzo potrebbe preferire effettuare la propria offerta di acquisto sulla proposta di concordato di un terzo, nella prospettiva di avere maggiori chance in vista dell’aggiudicazione/acquisizione.

In argomento è stato osservato che «non vi è alcuna ragione sistematica per opporsi a tale possibilità»: diversamente opinando, infatti, si attribuirebbe al debitore proponente una “esclusiva” ingiustificata[99].

La risposta negativa al quesito posto appare preferibile per plurime ragioni.

Giova rammentare al riguardo che la lettera della legge, stante la formulazione del primo comma dell’art. 163 bis, sembra chiara e univoca nel prevedere che il procedimento competitivo possa innescarsi solo quando la domanda di concordato del debitore sia “chiusa”, nel senso di prevedere un’offerta irrevocabile di trasferimento dell’azienda.

D’altro canto, secondo il disposto del quinto comma, è il debitore – e non già un creditore proponente – a dover modificare la proposta ed il piano in base all’esito della gara.

Se l’intenzione del Legislatore era quella di prevedere il meccanismo competitivo anche all’interno delle proposte concorrenti, avrebbe dovuto porre anche in capo ai creditori l’obbligo di modificare la proposta di concordato secondo l’esito della gara, nell’ipotesi che questa si sia innestata all’interno della proposta concorrente medesima; invece, tale obbligo è stato posto solo in capo al debitore, con ciò escludendo che le offerte concorrenti possano essere formulate all’interno di una proposta di concordato concorrente.

Peraltro, ulteriori ragioni di ordine sistematico (e non meramente formale) militano nel senso della soluzione innanzi prospettata.

In primo luogo, la possibilità di prevedere il meccanismo competitivo anche all’interno delle proposte concorrenti produrrebbe, quale effetto immediato, il protrarsi ad libitum della procedura concordataria, la quale difficilmente potrà chiudersi entro i nove mesi dalla presentazione del ricorso, come prescritto dall’art. 181.

Ancora, sarebbe eccessivamente oneroso, per il tribunale, decretare l’apertura della procedura competitiva per ogni proposta concorrente preconfezionata, individuando per ciascuna di esse i tempi e i modi di presentazione delle offerte, nonché le garanzie e le forme di pubblicità delle stesse.

Correlativamente, ritenendo ammissibili le offerte concorrenti all’interno di ciascuna delle proposte concorrenti chiuse, anche il commissario giudiziale sarebbe gravato dall’onere di riferire ai possibili interessati tante informazioni quante sono le procedure competitive instaurate, con il rischio di ingenerare ulteriore confusione.

La possibilità di presentare offerte concorrenti – anche in sede di proposte concorrenti – sarebbe, inoltre, ostativa all’attuazione del requisito della comparabilità richiesto per le offerte medesime.

Infatti, se è pacifico che la comparabilità tra le offerte vada valutata prendendo quale parametro di riferimento l’offerta formulata nella proposta del debitore, qualora venissero presentate più offerte all’interno delle proposte concorrenti cd. chiuse, dette offerte non sarebbero più comparabili tra loro, posto che ognuna avrebbe, come riferimento, l’offerta di acquisto contenuta nella proposta concorrente all’interno della quale si è “inserita”.

Per tali ragioni, non v’è da dubitare che le offerte concorrenti debbano essere formulate solo all’interno della proposta di concordato del debitore, non già all’interno delle proposte concorrenti dei creditori sociali, benché quest’ultime siano anche prepackaged.  

Posto che, quindi, la procedura competitiva potrà aprirsi solamente all’interno della proposta del debitore, è possibile esaminare un ulteriore profilo di intersezione tra le proposte concorrenti e le offerte concorrenti.

Si è fatto cenno alla obbligatorietà per il debitore di conformare il piano e la proposta di concordato all’esito della gara. 

In conseguenza di tale previsione, quando il debitore “diligente” abbia modificato la proposta ed il piano e, al contempo, sia sopraggiunto il decreto di trasferimento, ai sensi dell'art. 586 c.p.c., in favore dell’offerente, quest’ultimo acquisterà definitivamente la proprietà (o un altro diritto reale/di godimento) dell’azienda.

Tuttavia, il perfezionamento della procedura competitiva non determina ovviamente la chiusura della procedura di concordato preventivo, la quale, quindi, continuerà il suo iter.

A questo punto, lo scenario che potrebbe ipotizzarsi potrebbe riservare effetti paradossali: infatti, le proposte concorrenti, compresa quella del debitore modificata secondo l’esito della gara (che ha decretato un acquirente dell’azienda), verrebbero sottoposte al voto dei creditori, i quali potrebbero preferire, alla proposta del debitore contenente l’offerta concorrente già perfezionatasi con la conclusione della gara, una proposta concorrente proveniente da un creditore.

Qualora, quindi, nell’insindacabile valutazione rimessa ai creditori, quest’ultimi manifestassero la loro preferenza nei confronti della proposta concorrente, quid iuris dell’effetto traslativo prodottosi in capo al terzo, in conseguenza della conclusione della procedura competitiva?

Si tratta di comprendere se il creditore, la cui proposta sia risultata vincente in sede di votazione del concordato, possa riappropriarsi dell’azienda acquisita dal terzo per effetto della conclusione del procedimento competitivo.

In tali casi, l’effetto traslativo derivante dalla vendita/aggiudicazione dell’azienda dovrebbe essere condizionato all’omologazione o, quantomeno, all’approvazione della proposta di concordato del debitore, che incorpora l’offerta di acquisto risultata vincente all’esito della procedura competitiva.

In definitiva, tra il debitore e l’acquirente, all’esito della procedura competitiva, si verrebbe a perfezionare una reciproca obbligazione, sottoposta a condizione sospensiva (consistente nell’approvazione del concordato), di talché tanto il debitore quanto l’acquirente non saranno tenuti alla realizzazione del programma contrattuale, ma rimarranno, ugualmente, impegnati dal negozio, in virtù del principio dell’esecuzione secondo buona fede, di cui all’art. 1375 c.c., e del divieto di impedirne l’avveramento ex art 1359 c.c..

In conseguenza di tale assunto, a fronte del mancato avveramento dell'evento condizionante, il negozio traslativo rimarrà privo di effetti e, al contempo, potrà eseguirsi la proposta di concordato che ha ottenuto il voto della maggioranza dei crediti.

Al contempo, il terzo (ex) acquirente non potrà pretendere alcunché né dal debitore, né dalla massa, in quanto, nel caso di contratto sottoposto a condizione sospensiva, solo la violazione dell’obbligo di buona fede (e della sua declinazione, ovvero dell’obbligo di impedire l’avveramento della condizione) può essere fonte di responsabilità contrattuale: ma, a ben vedere, nessuna delle dette violazioni ricorrerebbe nel caso prospettato.

Il suddetto iter risolutivo, tuttavia, non pare perseguibile, in considerazione dell’inefficacia delle offerte sottoposte a condizione, sancita dall’art. 163-bis, co. 3° ult. cpv.

Di conseguenza, logica imporrebbe di consentire l’ingresso di offerte concorrenti che incidono sulla proposta principale, solo allorquando non sia ancora stata presentata una proposta concorrente e, al verificarsi di tali ipotesi, limitatamente a quelle attività che hanno una comparativa proiezione traslativa nell’ambito delle proposte che vengono sottoposte all’approvazione dei creditori.

 

2. Art. 185. Esecuzione del concordato

2.1. Le modifiche introdotte dal d.l. n. 83/2015

La modifica dell’art. 185 sarebbe stata un’occasione da non perdere per riformulare la norma a supporto generale della fase attuativa di qualsiasi proposta omologata di concordato, attribuendo quindi al giudice concordatario (ovviamente attraverso una modulazione processuale rispettosa comunque dei principi sanciti dall’originario art. 111 Cost.) poteri che in tale fase non ha mai sostanzialmente avuto [100], tanto da far confinare ogni controversia afferente diritti soggettivi (anche) relativi alla fase esecutiva della proposta omologata alla (lunga) cognizione ordinaria [101].

Il legislatore avrebbe così riempito di valenza una norma che, soprattutto dopo l’abrogazione dell’originario art. 181, comma 3 [102], appariva “vuota” poiché, dinanzi agli inadempimenti del debitore ovvero contese sulle scelte attuative della proposta ad opera del liquidatore giudiziale, prevedeva solo effetti sanzionatori indiretti che si concretizzavano (recte e si concretizzano tutt’ora rispetto ai concordati non generati da proposte concorrenti) in un mero dovere di vigilanza del commissario giudiziale al quale corrispondevano e corrispondono limitati, per non dire assenti, poteri del giudice concordatario [103].

Tanto che plasticamente è stato affermato «Conseguentemente, le “modalità” cui fa riferimento l’art. 185 dovrebbero essere intese oggi [e già peraltro lo erano state in passato] come “modalità con cui il commissario giudiziale deve svolgere i suoi poteri di sorveglianza” e non come modalità di esecuzione del piano, che saranno quelle previste dal piano stesso, ovvero, in mancanza, quelle prescelte dal debitore o dagli altri soggetti interessati sotto il controllo diretto del c.g. ed indiretto del g.d. e del. trib [104].

La riforma sembra, però, non aver inciso sulla generale preesistente disciplina (neppure è stato corretto l’anacronistico riferimento alla sentenza – anziché decreto – di omologazione ovvero la mancata espunzione dell’implicitamente abrogato secondo comma della norma in esame) [105].

Difatti, le modifiche hanno riguardato esclusivamente la fase esecutiva del concordato da proposte [106] concorrenti ex art. 163.

Con la conseguenza che tutte le forme di coazione ivi previste non sembrerebbero invocabili nel caso di concordato “ordinario”, cioè di proposta omologata presentata dal debitore che comunque verosimilmente continuerà a rappresentare la stragrande maggioranza dei concordati.

Spinto appunto dalla necessità di garantire l’esecuzione del piano concorrente in caso di mancata collaborazione spontanea dell’originario proponente [107], il legislatore, dopo aver sancito all’art. 185, comma 3, un generico dovere del debitore di «compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato presentata da uno o più creditori, qualora sia stata approvata e omologata», ha stabilito nei tre commi successivi che il tribunale, su impulso del commissario giudiziale (art. 185, comma 4) o su ricorso del creditore concorrente (art. 185, comma 5), possa conferire al commissario giudiziale i poteri necessari per porre in essere gli atti esecutivi, nominando anche un amministratore giudiziario (art. 185, comma 6) qualora il debitore concordatario sia una società.

Merita in ogni caso ribadire, come evidenziato anche da autorevole dottrina [108], che, pur se nell’ottica della realizzazione della proposta concorrente, la finalità prima della norma (recte: della procedura di concordato e di ogni proposta che ne sta alla base, sia essa del debitore che di una parte dei creditori) deve restare sempre e comunque la corretta attuazione della proposta omologata nel­l’interesse, dei creditori concorsuali.

Come visto, la nuova disciplina dettata dall’art. 185 si applica ai soli concordati concorrenti già omologati (fatta forse parziale eccezione nel caso di cui al sesto comma, come fra poco vedremo).

Ed è indubbio che ciò determini una disparità con la proposta omologata del debitore [109], che non ci pare giustificabile neppure con la maggiore operatività di cui il medesimo gode già ante omologa (ad es. ex art. 161, comma 7, art. 167, comma 2, o art. 169-bis) rispetto ad eventuali proponenti concorrenti, atteso che tale differenza è connaturata alla tipologia di concordato posto in essere e trova la sua ragione d’essere nella prevalenza del diritto di proprietà ed all’impresa del debitore, alla luce del sempre vigente primo comma dell’art. 167.

Se, infatti, rispetto al concordato da lui stesso proposto egli ha tutto l’inte­resse ad attivarsi sin da subito per salvare la propria impresa, lo stesso non vale, e l’ordinamento non potrebbe pretenderlo, di fronte a una proposta concorrente ancora solo “sulla carta”, che cioè, magari anche approvata, non risulti poi omologata (e quindi vincolante) [110].

Ai limiti oggettivi di applicazione appena descritti, pare si sommino anche dei limiti soggettivi [111].

Difatti, stando alla lettera della norma, esclusivamente il commissario ed creditori proponenti (e quindi non gli altri creditori) sembrano i soli soggetti legittimati ad attivarsi contro l’inerzia del debitore e, tra l’altro, con modalità diverse.

Più precisamente: per il commissario giudiziale il comma quarto prevede un’in­formale comunicazione al tribunale, mentre, se l’iniziativa è presa dai creditori concorrenti, il quinto comma disciplina una sorta di mini procedimento, in virtù del quale essi devono presentare al tribunale un ricorso, notificato a debitore e commissario giudiziale, con il quale richiedere, in sostanza, di sostituire il commissario giudiziale al debitore nel compimento degli atti.

Non è chiaro se i creditori concorrenti nel ricorso possano limitarsi a domandare un generico intervento del tribunale, oppure debbano specificare gli elementi dai quali si deduce l’inerzia del debitore e indicare dettagliatamente per quali atti richiedono “la surroga” degli organi procedurali.

Sembra comunque preferibile la seconda soluzione, alla luce dell’incisività della norma e della tutela del principio del contraddittorio.

Restando in tema di contraddittorio, è opportuno segnalare che, mentre il quarto comma prevede espressamente che il tribunale, prima di attribuire al Commissario i poteri per provvedere in vece del debitore, debba sentire que­st’ultimo, il comma successivo (sostituzione su iniziativa dei creditori concorrenti) impone la notifica del ricorso al debitore, ma non la sua convocazione o comunque previa audizione.

Ancora una volta la fretta redazionale si è dimostrata foriera di mancati coordinamenti, ma parrebbe ovvio che, sulla base di un’interpretazione logico-sistematica e comunque costituzionalmente orientata (ex artt. 3 e comunque 111 Cost.), sia da ritenere che anche nel secondo caso il tribunale, prima di provvedere contro il debitore, lo debba quantomeno sentire.

L’ultimo comma dell’art. 185 prevede che, ove il debitore abbia forma societaria, il tribunale «fermo restando il disposto dell’art. 173» possa revocare l’or­gano amministrativo, nominando un amministratore giudiziario con ampi poteri, ivi incluso «qualora tale proposta preveda un aumento di capitale sociale del debitore, la convocazione dell’assemblea straordinaria dei soci avente ad oggetto la delibera di tale aumento di capitale e l’esercizio di voto nella stessa» .

L’amministratore giudiziario potrà essere lo stesso liquidatore giudiziale ove sussistente .

Tra l’altro, tale specifica ultima previsione della comma 6 dovrebbe lasciar supporre che nei casi di cui agli antecedenti commi 4 e 5, nei quali è prevista l’esclusiva figura sostitutiva del commissario (e non anche del liquidatore giudiziale), dovrebbe trattarsi di soli concordati in continuità. E di imprese individuali, vista la lettera del comma 6 «che tratta di società». Il che, almeno relativamente a tale ultimo presupposto, è francamente davvero poco credibile, almeno come volontaria scelta del legislatore estivo. Salvo ipotizzare che lo scenario dell’ultimo comma della norma in commento – e cioè la possibilità, in caso di società, di revoca dell’amministratore volontario con contestuale nomina di un amministratore giudiziario – rappresenti una maggiore misura “afflittiva” a carico del debitore collettivo rispetto alla “semplice” attribuzione di analoghi poteri al commissario (ovvero, ancor meglio, al liquidatore giudiziale ove sussistente oppure al curatore speciale ex art. 78, comma 2, c.p.c.), senza, però, decretarsi la predetta revoca. Tale soluzione, peraltro, avrebbe il vantaggio di risolvere ogni problematica nel caso in cui la società concordataria si trovi in fase di liquidazione, rispetto a cui non è pacifico, infatti, che possa ricorrersi alla nomina di un amministratore giudiziario in sostituzione del liquidatore volontario, almeno nell’ipotesi di cui all’art. 2409 c.c.

Vi è inoltre da chiedersi se tra tali poteri dell’amministratore giudiziario possa rientrare anche quello di proporre l’azione di responsabilità sociale eventualmente inserita nel piano della proposta concorrente. Riterremmo di no, non tanto perché l’amministratore giudiziario non abbia la legittimazione ad agire (forse, infatti, gli potrebbe analogicamente derivare dall’art. 2409, comma 5, c.c.), quanto piuttosto perché l’azione di responsabilità sociale è un diritto che per legge dovrebbe spettare esclusivamente alla società (concordataria nella specie) nel senso che dovrebbe essere solo la società l’unica legittimata a valutarne pregiudizialmente la sussistenza dei presupposti per deliberarne la proposizione contro i suoi organi gestori e di controllo, salve le espresse eccezioni di legge (oltre l’art. 2409 cit., v. artt. 2393, comma 3, 2393-bis, 2394-bis, 2476, comma 3 c.c.).Con la conseguenza che una ‘sì tale azione non potrebbe ammissibilmente far parte del “paniere” di una proposta concorrente, qualora la società debitrice non abbia scelto in primis lei di chiedere la punizione dei propri organi (fatta salva comunque l’eventuale azione penale ex art. 236)[112]. Ovviamente ferma la facoltà dei creditori concorrenti di inserire, fra i possibili maggiori vantaggi della proposta (forse alla stessa stregua di finanza terza essendo beneficio derivante non dal patrimonio del debitore), i diritti risarcitori che deriverebbero direttamente loro dall’azione di responsabilità ex art. 2394 c.c. (ovvero anche ex art. 2395 c.c.) ed equivalenti. Queste sì senz’altro attivabili dall’amministratore giudiziario ovvero dal liquidatore giudiziale ove si tratti di un concordato con cessione dei beni concorrente. Così come i singoli creditori potranno agire autonomamente qualora ritengano vi siano i presupposti per un’utile azione risarcitoria a loro esclusivo vantaggio. Opinare diversamente, cioè voler ritenere in tutti i modi che debba reputarsi anche quella concordataria preventiva (oltre quella fallimentare ed ex lege assimilabili) naturale sede delle azione collettive risarcitorie per responsabilità degli organi sociali, significherebbe piegare verso una deriva “giustizialista” e quindi disincentivante una procedura che invece va favorita ove ne sussistano i concreti e seri presupposti. Peraltro ponendosi proprio in senso opposto a quanto voluto dallo stesso nuovo legislatore che, oltre a non prevedere nulla in proposito (nonostante i forti dibattiti in tema degli ultimi tempi), oltre a non reintrodurre l’obbligo per il debitore di motivare le ragioni della crisi (e non riprescrivere il requisito della meritevolezza), ha chiaramente precisato, con il novellato art.172, co.1, che tale aspetto va valutato in sede fallimentare. [113]

 

2.2. Un nuovo commissario per la fase esecutiva

Come accennato, (pur se solo) con riferimento alle proposte concorrenti (ed eventualmente rispetto alle offerte concorrenti), il d.l. n. 83/2015 ha previsto la possibilità di attribuzione al solo commissario di una serie di poteri funzionali per il compimento degli atti necessari a dare esecuzione al concordato, determinando così la sostituzione di quest’ultimo al debitore, con conseguente stravolgimento della figura del commissario, che da organo di vigilanza diventa anche organo attuativo della proposta [114].

E pensare che anche successivamente alla pubblicazione del d.l. n. 83/2015 la Suprema Corte, pur con riguardo ad una fattispecie ratione temporis ante, ha avuto modo di chiarire che«deve infatti escludersi che l’azione [n.d.r.: di responsabilità contro il revocato liquidatore giudiziale] sia esperibile dal commissario giudiziale, organo cui sono attribuite (nella previgente cosi come nell’at­tuale disciplina) funzioni composite – di vigilanza, informazione, consulenza ed impulso, complessivamente finalizzate al controllo della regolarità del comportamento del debitore ed alla tutela dell’effettiva informazione dei creditori – ma non anche di amministrazione o gestione, né di rappresentanza del debitore o del ceto creditorio (Cass. nn. 4800/98, 11662/98).

Invero, come è stato già ripetutamente affermato da questa Corte (Cass. n. 4183/014, 22913/011, 19632/07) nel corso della procedura il commissario giudiziale, non è portatore di specifici interessi da far valere in sede giurisdizionale e non è abilitato all’esercizio di azioni, né in proprio né in veste di sostituto processuale.

Sarebbe dunque assai singolare riconoscere a tale organo la legittimazione ad agire in rappresentanza del debitore o dei creditori dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione (prevista nella disciplina applicabile ratione temporis), che determina(va) l’esaurimento della procedura di concordato e l’apertura di una fase meramente esecutiva (regolata dagli artt. 185 e 186 l. fall.), dalla quale discende(va) la cessazione delle sue funzioni di ingerenza attiva, destinate a trasformarsi in funzioni di mera sorveglianza sull’a­dempimento del concordato (Cass. n. 6859/95), comprendenti il potere/dovere di provocare l’intervento del tribunale ai fini della risoluzione o della revoca dello stesso» [115].

D’altra parte, pur comprendendo che vi possano essere ragioni di economicità di tempi e costi nell’attribuire al commissario, anziché ad un terzo, i predetti nuovi ruoli, è indubbio che il commissario mantenga anche la primaria funzione di organo di vigilanza.

Pertanto vi è il concreto rischio di violare il divieto del cumulo di incarichi, dal momento che il controllore diviene al contempo controllato [116].

Invero subito aggiunto che, vista la formulazione del sesto comma dell’arti­colo in commento, riguardante i concordati societari (a differenza degli antecedenti commi che sembrerebbero riferirsi allo scenario della procedura attivata dall’imprenditore individuale, si veda comunque sul punto anche la possibile di­versa chiave di lettura), il terzo, cioè l’amministratore giudiziario, potrà nominarsi nella stragrande maggioranza dei casi.

Anzi potrebbe concludersi che debba nominarsi, non prevedendo tale sesto comma l’alternativa delle attribuzioni sostitutive del commissario.

Ove così fosse, anche questa distinzione pare, francamente, poco comprensibile, nulla impedendo nel caso del concordato dell’im­prenditore individuale, di nominare di un curatore speciale ex art. 78, comma 2, c.p.c. (anziché il commissario), essendo evidente, una volta omologata la proposta dei creditori concorrenti, il conflitto di interesse tra costoro ed il debitore perdente nella gara concordataria.


2.3. Revoca del concordato ed art. 185: un dialogo possibile?

Come accennavamo, l’ultimo, sibillino, comma dell’art. 185 prevede che, ove il debitore abbia forma societaria, il tribunale «fermo restando il disposto dell’art. 173» possa revocare l’organo amministrativo, nominando un amministratore giudiziario con ampi poteri, ivi incluso «qualora tale proposta preveda un aumento di capitale sociale del debitore, la convocazione dell’as­sem­blea straordinaria dei soci avente ad oggetto la delibera di tale aumento di capitale e l’esercizio di voto nella stessa».

Il riferimento all’art. 173 genera non poche perplessità [117].

Difatti, come noto, tale norma opera solamente durante la procedura di concordato e quindi sino all’omologa, non anche nella successiva fase di esecuzione in cui il concordato può solo essere risolto o annullato (artt. 186/137 o 138), giammai revocato ex art. 173.

Quindi?

Se anche l’ultimo comma riguardasse esclusivamente la fase post omologa del concordato, risulterebbe evidente che il richiamo all’art. 173 sarebbe frutto di un macroscopico errore.

Diversamente, non potrebbe che concludersi che l’ultimo comma dell’art. 185 disciplini (anche) un’ipotesi esecutiva ante omologa.

Nel caso di tale seconda opzione interpretativa sarebbe comunque evidente che il riferimento non potrebbe riguardare le proposte concorrenti, che, come anche supra ricordato, non possono avere alcuna esplicazione ante omologa [118].

Pertanto l’unica possibile ipotesi di riferibilità all’art. 173 è data dalla violazione da parte del debitore degli obblighi ex art. 163-bis, com­ma 4, e collegati (ad es. vendita immediata, ora pienamente possibile grazie anche al novellato art. 182, comma 5) scaturenti dalle offerte concorrenti vittoriose ex art. 163-bis,comma 3 [119].

È evidente che dovrebbe previamente valutarsi se risulti più vantaggioso per i creditori andare verso la procedura di revoca ex art. 173 (eventualmente così provocando il ritorno in bonis/status quo ante, piuttosto che il fallimento, del debitore) ovvero nominare un amministratore giudiziario che modifichi piano e proposta e/o comunque attui l’offerta vincente.

Ma commissario e soprattutto tribunale [120] potranno mai effettuare questa preliminare valutazione, che invero l’art. 173 non sembrerebbe consentire?

Probabilmente no stando alla lettera della legge, ma una tale esegesi della norma non può certo apparire ragionevole su un piano di interpretazione logico-sistematica, poiché si arriverebbe al paradosso che il debitore, ogni qual volta non gradisse un’offerta concorrente (ma il discorso ovviamente vale anche per le proposte concorrenti nella fase ante omologa), potrebbe porre strumentalmente atti in frode, fidando così nella revoca del concordato in assenza di istanze di fallimento. D’altra parte, se pur vero che in tali casi quasi certamente avremmo l’iniziativa pre-fallimentare del P.M., è anche vero che far venir meno una soluzione concordataria “terza” potrebbe risultare un atto del tutto illogico/asistematico pensando al primario interesse dei creditori [121].


2.4. La fase attuativa della proposta concorrente: questioni procedimentali, soci del debitore e dubbi di costituzionalità

Altro delicato tema – e che rispetto ai soci/terzi [122] incisi nei loro diritti pone, come vedremo, dubbi di costituzionalità – è il regime delle tutele processuali dei nuovi mini-procedimenti previsti dal novellato art. 185.

Prima di affrontare l’aspetto più “sensibile” dei soci/terzi, va dedicato uno sguardo al regime delle impugnative avverso i provvedimenti del tribunale di cui ai nuovi commi quattro, cinque e sei della norma in commento.

Difatti, sotto la vigenza dell’antecedente art. 185, era sostanzialmente pacifico che:

i) gli invero pochi provvedimenti adottabili dal giudice delegato e dal commissario, essendo di regola meramente ordinatori e comunque non incidenti su diritti soggettivi, erano reclamabili ex artt. 164/26 ma non ricorribili per cassazione [123];

ii) qualunque controversia afferente diritti soggettivi relativa allo snodarsi della fase attuativa del concordato, non avendo tale procedura, a differenza del fallimento, una speciale fase dedicata ex lege all’accertamento dei crediti, al riparto dei pagamenti ed alla soluzione delle eventuali controversie, era da demandarsi alla decisione del giudice ordinario [124].

Con la recente novella senz’altro si andrà a dissertare di diritti soggettivi allorché il debitore assuma che un provvedimento del tribunale ex art. 185, commi 4, 5 o 6, risulti pronunciato, ad es., in contrasto con il decreto di omologa o comunque sia lesivo di un suo diritto soggettivo, se del caso riconosciuto nella proposta omologata.

Probabilmente, quindi, sarà ammesso sia il ricorso ex artt. 164/26 che quello di cassazione per violazione di legge.

Come si accennava, la questione diventa più complessa e delicata qualora si ritenga che i provvedimenti assunti in via camerale dal tribunale possano incidere anche su diritti di terzi (come ad es. su quelli dei soci di cui si voglia limitare o escludere il diritto d’opzione).

Difatti, ove anche l’aumento di capitale risultasse riportato nella proposta concorrente omologata, va ricordato che il perimetro del giudizio d’omologa, recte del relativo decreto, non dovrebbe poter andare oltre i chiari limiti soggettivi sanciti dall’art. 184, comma 1, che, infatti, fa espresso riferimento alla sola categoria dei creditori anteriori.

D’altra parte, sono solo tali soggetti gli unici chiamati a partecipare alle varie fasi dell’intero procedimento concordatario.

Quindi i terzi non potrebbero, recte: non possono essere, pregiudicati da statuizioni eventualmente contenute nel predetto decreto ex artt. 180/181.

D’altra parte, allorché il legislatore ha stabilito che soggetti diversi dai creditori possano risultar incisi nei loro diritti dal giudizio concordatario, ha creato un micro-procedimento ad hoc (il riferimento è evidentemente all’istituto di cui all’art. 169-bis) in cui il terzo – il contraente in bonis – grazie anche alla recente novella, vede tutelato il diritto al contraddittorio, il diritto ad un indennizzo risarcitorio (pur se concorsuale) ed alle prededuzioni per le prestazioni legalmente rese in procedura [125].

Pertanto, di fronte ad un provvedimento assunto come lesivo del proprio diritto di opzione [126], quale tutela potrebbe invocare il socio contro il decreto ex artt. 180-181 (ove anche non reclamato) oppure avverso il relativo provvedimento attuativo ex art 185, comma 6?

Reputiamo che la risposta sia quasi naturale: l’eventuale provvedimento assunto contro il socio/terzo dovrebbe considerarsi abnorme e quindi impugnabile in ogni tempo anche con l’actio nullitatis  dinanzi al competente Tribunale delle Imprese[127].

Soprattutto se si pensi che, tanto nella fase sino all’omologa, quanto in quella esecutiva della norma in commento, al socio/terzo non viene garantita alcuna forma di tutela del contraddittorio, senza peraltro verosimilmente consentirgli di formulare una proposta concorrente, né tantomeno il voto sulle proposte altrui, anche qualora (recte: nonostante) il socio risulti creditore (v. art. 163, comma 4) [128].

E pensare, come accennavamo, che potrà senz’altro verificarsi che il socio, in particolar modo ove di minoranza, neppure abbia inciso sulla scelta della via concordataria [129], tenuto conto che ex art. 152, comma 2, la determinazione sul punto è di autonoma competenza dell’organo amministrativo (nel caso di società di capitali, salvo che l’atto costitutivo o lo statuto preveda diversamente).

A questo punto viene quasi naturale chiedersi come risulti mai possibile che il legislatore “estivo 2015”, dopo aver definitivamente eliminato il requisito della meritevolezza (qualora mai traslabile sui soci, ancor di più ove di minoranza e non deliberativi ex art. 152), abbia ritenuto costituzionalmente corretto (v. artt. 41 e 42, ma anche gli artt. 24 e 111 Cost.) inibire l’esercizio del diritto d’opzione ai soci del debitore concordatario, viste anche le esperienze comparatistiche che hanno ispirato la recente riforma, tutte orientate a “punire” il solo socio strumentalmente ostile all’aumento di capitale [130].


2.5. Entrata in vigore e procedimenti in cui trova applicazione la norma

Alla luce del chiaro precetto dell’art. 23, comma 1, d.l. n. 83/2015, le modifiche riguardanti l’art. 185, come quelle concernenti l’art. 163, si applicano ai procedimenti di concordato preventivo «introdotti» (lemma utilizzato quale sinonimo di «pendenti» come recita la Relazione legis ovvero il comma 5 dello stesso articolo 23 ) successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione del predetto d.l. avvenuta il 21 agosto 2015.

Riteniamo che per “procedimento di concordato preventivo” di cui all’art. 23 debba intendersi già quello pendente a seguito della domanda di concordato con riserva pendente [131].

Infatti l’art. 161, comma 6, precisa che il c.d. pre-concordato necessita, per la relativa introduzione, della stessa (ed unica) domanda del concordato c.d. pieno, da proporsi con lo stesso (ed unico) ricorso di cui all’art. 161, comma 1.

Tanto che già dalla presentazione e pubblicazione al registro delle imprese della domanda di concordato con riserva si verificano tutta quella serie di effetti riguardanti, senza soluzione di continuità, la procedura di concordato preventivo sin dal suo inizio, compresi, ora, gli effetti ex artt. 163-bis ultimo comma e 185 comma 5.

D’altra parte, l’incipit del primo comma dell’art. 23 citato, individua come “procedimenti di concordato preventivo introdotti” proprio (solo) quelli di cui all’art. 161, comma 6, richiamati  dal nuovo terzo comma dell’art. 182 quinquies, introdotto dall’art. 1 del suddetto d.l.[132]

In conclusione, salvo tradire anche i più elementari principi di affidamento[133]   (e non solo del debitore ma anche di tutti gli altri soggetti interessati al buon esito della procedura concordataria)[134], al concordato preventivo presentato ante novella, sia esso ai sensi dell’art. 161 comma 1 che comma 6,  va applicata la sola disciplina anteriore vigente al momento del deposito della domanda[135].



* Il contributo dei due autori riproduce, integrandoli, i loro saggi pubblicati immediatamente dopo la legge di conversione n. 132/15 in AA. VV, La nuova riforma del diritto concorsuale – commentario operativo al d.l. n. 83/2015 conv. in l. n. 132/2015, Giappichelli, Torino, 2015, con la precisazione che il commento all’art. 163 sulle proposte concorrenti è attribuibile essenzialmente a Massimiliano Ratti, mentre quello relativo all’art. 185, sull’esecuzione del concordato,  ad Antonio Pezzano.

[1] L'ennesima riforma,  per decreto-legge e voti di fiducia, del diritto concorsuale, tanto parziale quanto incidente (anche regressivamente) su molti aspetti del concordato preventivo, non poteva non fomentare accesi dibattiti.

Soprattutto dopo che la legge di conversione n. 132/15 aveva modificato inaspettatamente lo stesso impianto originario del d.l. 83/15, inserendo nel concordato la percentuale minima di pagamento e il voto negativo in caso di astensione.

Ma, in particolare, dopo che le aspettative si stavano proiettando verso un  intervento finalmente sistemico attraverso la stesura di un Testo  Unico dell'Insolvenza, grazie al lavoro di un'autorevole Commissione ad hoc istituita.

Invece è andata come andata, offrendosi ancora una volta agli osservatori l'immagine di una "nave senza nocchiere in gran tempesta" (tra l’altro su materie a forte impatto economico), che vira in pochi anni da una direzione all'altra in cerca di un approdo sicuro, ma in assenza di una "bussola" (o, quanto meno, di un supporto statistico sui risultati che si vorrebbero modificare), con conseguente disorientamento degli interpreti, degli operatori e dei protagonisti (creditori e debitori), perennemente in cerca di una stabilità consustanziale al diritto commerciale e a quello concorsuale.

Comunque, la “terra”  sembra finalmente  intravedersi con la presentazione in data 11 marzo 2016 alla Camera dei Deputati  del Disegno di legge per delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza.

[2]Cfr. in tema, all’indomani della riforma, S. AMBROSINI, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015” in IlCaso.it del 20 agosto 2015; G. BOZZA, Le proposte e le offerte concorrenti, in  Fallimento&Società, 2015; G. D’ATTORRE, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fallimento, 2015, 1164; L. D’ORAZIO, Attestazioni e controllo giudiziario nelle procedure concorsuali, (a cura di) D’Orazio-Filocamo-Paletta, Ipsoa, 2015;  M. FABIANI  L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche  in IlCaso.it del 6 agosto 2015; D. GALLETTI,Speciale Decreto n. 83/2015 - le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema vigente saprà evitare il pericolo di rigetto?, in IlFallimentarista.it, 15 settembre 2015; L. GAFFURI, Esecuzione e risoluzione del concordato preventivo dopo la riforma, in IlFallimentarista.it, 2016; F. LAMANNA, Le nuove proposte concorrenti: è configurabile un concordato con continuità aziendale del creditore competitor?, in IlFallimentarista.it, 2015; F. LAMANNA, Proposte concorrenti di concordato preventivo, due diligence ed obblighi di riservatezza, in IlFallimentarista.it, 2015; E. M. NEGRO, Proposte concorrenti, rinuncia alla domanda e revoca della proposta di concordato preventivo, in IlCaso.it, 2016; F. PEDOJALa fase esecutiva post omologa del piano concordatario, in Fallimenti e Società.it, 2015; A. ROSSI, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni), in IlCaso.it, 2015; P. VELLA, in La contendibilità dell’azienda in crisi dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, 2 febbraio 2016, in IlCaso.it; L. VAROTTI, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare, in Il Caso.it; M. VITIELLO, Proposte concorrenti nel concordato preventivo: primissime questioni interpretative, in IlFallimentarista.it, 2015; V. ZANICHELLI, Il ritorno della ragione o la ragione di un ritorno?, Crisi d’Impresa e Fallimento, in IlCaso.it, 4 novembre 2015

[3] Allo stato si registrano solo pochissimi interventi editi che trattano il tema delle proposte concorrenti: Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015; Trib. Ancona 26 novembre 2015; Trib. Monza, Circolare 19 gennaio 2016; Trib. Bergamo, 28 gennaio 2016 (tutte in in IlCaso.it) eTrib. Bergamo, Circolare n. 2, 03 marzo 2016  in IlFallimentarista.it.

[4] Il Legislatore della Riforma, come per il precedente d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella l. 7 agosto 2012, n. 134, avrebbe tratto ispirazione dall’istituto del Chapter 11, in specie Subchapter II, § 1121, del Bankruptcy Code.

[5] S. Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015” in IlCaso.it del 20 agosto 2015, la definisce “miniriforma” avendo mantenuto pressoché inalterati i capisaldi del testo previgente; M. Fabiani  L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche  in IlCaso.it del 6 agosto 2015 adotta il termine “contro-riforma”. Entrambi convengono sulla rimodulazione del sistema “creditor oriented”)

[6]R. Guidotti, Misure urgenti in materia fallimentare (d.l. 27 giugno 2015, n. 83): le modifiche alla disciplina del fallimento e le disposizioni dettate in tema di proposte concorrenti, in IlCaso.it, 24 luglio 2015, p. 12.

[7] Seduta parlamentare n. 1 del 6 luglio 2015; sul tema è a più riprese intervenuto adesivamente  R. Fontana, nella seduta parlamentare n. 3 dell’8 luglio 2015; negli stessi termini, cfr., S. Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato, p. 4; M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale, p. 7.

[8] Secondo le procédures d’alertes francese, l’ “allarme” può essere dato da (i) soggetti interni all’impresa (revisore dei conti, soci o comitato d’impresa) ovvero da (ii) soggetti esterni (Tribunale de Commerce o de Grande Instance). Sul punto, v. M. J. Campana, L’impresa in crisi: l’esperienza del diritto francese, in Fallimento, 2003, p. 978 ss. 

[9] Cfr. P. Montalenti, Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. società, fasc. I, 2013, p. 42 ss. 

[10]M. Fabiani, op. cit. L’ipertrofica legislazione concorsuale, p. 5;

[11] A. Bonsignori, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, vol. IX, Padova, 1986, p. 3. 

[12] D. Benincasa, Una seconda opportunità va concessa (concretamente, quasi) a tutti. La Raccomandazione della Commissione sul nuovo approccio al fallimento in Diritticomparati.it/2014/06.

[13] L’espressione “esproprio extra ordinem” viene usata da F. Lamanna, La Miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento, in Il Fallimentarista.it. L’autore, tuttavia, ritiene che la tenuta costituzionale della norma in parola sia garantita dalla previsione di una situazione presupposto – l’impegno del debitore al pagamento di almeno il quaranta per cento dei crediti chirografari – la cui sussistenza inibisce la presentazione di proposte concorrenti.

[14] P. Vella, op. cit. La contendibilità dell’azienda in crisi p.8

[15] v. Seduta in commissione Camera n. 1 del 6 luglio 2015 L. Panzani, Indagine conoscitiva in merito all’esame del disegno di legge del governo c. 3201, di conversione in legge del decreto legge n. 83 del 2015”, ritiene possa potenzialmente configurarsi una sorta di esproprio senza indennizzo, allorché il presupposto di accesso sia costituito dallo stato di crisi; v. anche L. Panzani, Sorte della partecipazione dei vecchi soci in caso di ristrutturazione di società insolventi, in Società, 2014, p. 89 e ss.

[16] Corte cost.,  16 giugno 1993, n. 283, in Foro amm., 1994, p. 2677 .

[17]L. Ghia-C. Piccininni-F. Severini, in Il superamento della crisi e la conciliazione delle procedure in Trattato delle procedure concorsuali, vol. IV, Utet, Torino, 2011, p. 10.

[18] Id., Trattato, cit., p. 10.

[19] Cass., Sez. IV, 22 febbraio 2012, n. 2674, massimata in Codice del Fallimento e della Crisi di impresa, M. Gubitosi,2015, V, La Tribuna, p. 2264.

[20] Cass., Sez. Unite, 23 gennaio 2013, n. 1521 in Fall. 2013, p. 109, secondo cui il superamento dello stato di crisi dell’imprenditorecostituisce “obiettivo ritenuto meritevole di tutela sotto il duplice aspetto dell’interpretazione della crisi come uno dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata opportunità di privilegiare soluzioni di composizione idonee a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori aziendali, altrimenti destinati ad un inevitabile quanto inutile depauperamento. Ne consegue dunque che la proposta di concordato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione della crisi, la quale può assumere concretezza soltanto attraverso l’indicazione delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed i tempi di adempimento), rispetto alla quale la relativa valutazione (sotto i diversi aspetti della verosimiglianza dell’esito e della sua convenienza), è rimessa al giudizio dei creditori, in quanto diretti interessati”. Tra i vari commenti, G.B. Nardecchia, La fattibilità al vaglio delle Sezioni Unite, in IlCaso.it, 28 gennaio 2013.  

[21] M. Fabiani, Commentario del codice civile e codici collegati, Scialoja-Branca-Galgano, Libro quinto: Lavoro art. 2221, Volume II concordato preventivo, p. 74 e ss.; in termini simili, A. Maisano, Il concordato preventivo delle società, 1980, p. 74; A. De Martini, Il patrimonio del debitore nelle procedure concorsuali, Milano, 1956, p. 83, secondo cui “la funzione della procedura nella fase compresa tra la domanda e l’omologazione è quella di conservare e non di attuare coattivamente la garanzia patrimoniale”.

[22]R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, vol. IV,  Giuffrè, Milano, 1974, p. 2248.

[23] Cass., Sez. trib., 25 febbraio 2008, n. 4728, in Giust. civ. mass., 2008, fasc. II, p. 289. 

[24] In termini diversi M. Fabiani, in Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, p. 9, secondo cui “Il mantenimento della gestione dell’impresa in capo al debitore è, solo, una regola tecnica (…)Il fatto che la gestione resti del debitore, in ipotesi, non contraddice affatto che comunque la gestione abbia come oggetto un patrimonio segregato destinato al soddisfacimento dei creditori”.

[25] Sul punto, cfr. G. D’attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti,  cit. p. 1164. In particolare, l’Autore sostiene che «l’attribuzione ai fornitori di capitale di rischio (i creditori) della facoltà di porsi in concorrenza con il proprietario formale, nel caso in cui questi decida di far ricorso alla procedura cocnordataria, rappresenta, quindi, un modo per raccordare il profilo sostanziale (la sopportazione del rischio) con il profilo formale (la facoltà di avanzare – a determinate condizioni – una proposta di concordato)».

[26] M. Fabiani, op. cit. L’ipertrofica legislazione concorsuale”, p. 9 ss.; l’Autore, infatti, estende il principio “sostanzialistico” anche allo stato di crisi, per non essere questo compatibile con uno stralcio dei crediti del 60%, p. 10; negli stessi termini, F. Lamanna, op. cit. “La miniriforma del diritto concorsuale” p. 2; per un’antesignana presa di posizione in termini simili, v. B. Libonati, Prospettive di riforma sulla crisi di impresa in Giur. Comm., 2001, p. 327 e ss..

[27] Relazione orale 2ª Commissione permanente (Giustizia) in sede referente, 24 luglio 2015 – 5 agosto 2015.

[28] L. Stanghellini, Le crisi d’impresa tra diritto ed economia, 2007, Ed. Il Mulino, Bologna, p. 54 e ss., secondo cui la procedura concorsuale produce coattivamente il trasferimento del controllo dell’impresa ai soggetti, i creditori, che loro malgrado hanno fornito il nuovo capitale di rischio e crea un’organizzazione attraverso la quale i creditori-controllanti possono esercitare i poteri che spettano agli investitori.

[29] Cass., Sez. Unite, 15 maggio 2015, n. 9936, in IlCodicedeiconcordati.it.

[30] Cfr. sull’ammissibilità, Tribunale La Spezia, 5 novembre 2010 in Fall. 3/2011, con nota A. Perrino, Concordato preventivo e trasformazione.

[31] T. Ariani, Disciplina della riduzione del capitale per perdite in caso di presentazione di domanda di concordato preventivo, in Il Fallimento, fasc. I, 2013, p. 117. Per un’articolata disamina dell’istituto, cfr. A. Rossi, La governance dell’impresa in fase di ristrutturazione, in Orizzontideldirittocommerciale.it.

[32] G. Strampelli, Capitale sociale e struttura finanziaria nella società in crisi, in Rivista delle Società, fasc. IV, 2012, p. 605. 

[33] A. M. Leozappa, Concordato preventivo: fattibilità giuridica e modifiche organizzative, in Il Fallimento, fasc. VIII – IX, 2015, p. 885.

[34] G. Ferri jr, Fallimento e scioglimento delle società, in Riv. dir. Comm., 2009, I, p. 22.

[35] In ogni caso, restano non del tutto chiare le modalità di attuazione dell’eventuale aumento di capitale. Secondo una parte della Dottrina, la formulazione letterale dell’art. 163, comma 5°, «indurrebbe a ritenere che, in questi casi, in deroga alle norme degli artt. 2436, 2441 e 2443, c.c., l’aumento del capitale sia attuato senza una deliberazione dell’assemblea straordinaria o degli amministratori, ma operi automaticamente per effetto dell’omologazione». In tali termini, si esprime G. D’attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, op. cit., p. 1169.

[36] Va ribadito che lo stesso Legislatore (i) ha riconosciuto ai soci, che credono nel progetto di ristrutturazione, il regime della prededuzione ex art. 182 quater, co. 3° a fronte della erogazione d’un finanziamento in favore dell’impresa; (ii) ha “sospeso”, con l’innesto dell’art. 182 sexies, gli obblighi conseguenti alla riduzione o perdita del capitale sociale sin dal deposito del ricorso ex art. 161, co. 6°, considerato che, in tal caso, il loro credito beneficerebbe del regime della prededuzione; iii) ha ammesso che l’insolvenza possa essere eliminata dal debitore con l’attribuzione d’un diritto, non diretto ma di secondo grado, su una quota del proprio patrimonio, con l’art. 160, co. 1°  lett. a), laddove stabilisce che “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti” possa avvenire a mezzo dell’assegnazione di azioni, quote od obbligazioni.

[37] Per la verità, sotto il profilo comparato, va rilevato come già nell’ordinamento tedesco e francese è stata introdotta la possibilità per i creditori di presentare un piano di ristrutturazione, alternativo a quello del debitore, attribuendo agli stessi il potere di deliberare l’aumento di capitale della società, senza necessità della preventiva delibera assembleare (cd. cram down degli azionisti introdotto in Germania nel piano di ristrutturazione – Insovenzplan -; dall’ordinamento transalpino viene recepito il potere per il mandataire en justice di convocare l'assemblea e di votare al posto dei soci dissenzienti, alla stregua di quanto oggi avviene con il novellato art. 185).

[38] Sull’impatto fiscale, cfr. G. Buffelli, La riduzione dei debiti nelle procedure di gestione concorsuale e preconcorsuale delle crisi di impresa: le novità dell’art. 13 del DLgs recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione  delle imprese approvato dal Consiglio dei Ministri il 06/08/2015 in IlFallimentarista.it 14.09.2015.

[39] R. Guidotti, Misure urgenti in materia fallimentare (d.l. 27 giugno 2015, n. 83), cit. pag. 14.

[40] L’art. 2441, co. 5°, c.c. recita: “Quando l’interesse della società lo esige, il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento di capitale, approvata da tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale, anche se la deliberazione è presa in assemblea di convocazione successiva alla prima”.

[41] Cass. Civ. Sez. I, 23 marzo 1993, n. 3458 in Foro It. 1995, I, 257; Tribunale Milano 31 gennaio 2005, Il nuovo diritto, 2005, II, 884.

[42] Tribunale Udine, 7 luglio 1984 in Giur. Comm. 85, II, 526.

[43]G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, op. cit., p. 1171.

[44] B. Libonati, op. cit. “Prospettive di riforma sulla crisi di impresa” p. 328.

[45] Laddove prevede che “Durante la procedura di concordato, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale”.

[46] M. Fabiani, op. cit. L’ipertrofica legislazione concorsuale”, p. 2-4.

[47] F. Filocamo, sub art. 182, in La legge fallimentare, Commentario Teorico- Pratico, a cura di M. Ferro, 2014, Ed. Cedam, III, p. 2089.

[48] Regolamento (UE) 2015/848, considerando 10, del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015; Raccomandazione della Commissione del 12 marzo 2014 “su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza” (G.U.U.E. n. 74, 14 marzo 2014, serie L), consideranda nn. 1, 5 lett. b) e 6 lett. a) e b), è granitica nell’affermare che l'imprenditore onesto e tempestivo  possa avere  una seconda possibilità di ristrutturare direttamente il proprio debito, senza il rischio di essere “espropriato”.

[49] Documento “Entrepreneurship 2020 action plan” COM(2012) 795 della Commissione Europea.

[50] S. Pacchi, La raccomandazione della commissione ue su un nuovo approccio all’insolvenza anche alla luce di una prima lettura del regolamento ue n. 848/2015 sulle procedure d’insolvenza, in FallimentieSocietà.it, 2015.

[51] P. Vella, op. cit. La contendibilità dell’azienda in crisi p. 19.

[52] La soglia percentuale viene ripresa dall’art. 160, co. 2°, in vigore sino al 2005, quando imperava ancora un’economia di tipo dirigistica e la gestione dell’impresa in crisi era di impianto pubblicistico. Pertanto, detta soglia sembra del tutto avulsa (i) dal contesto storico ed economico attuale, posto che in casi rarissimi un concordato preventivo prevede una percentuale di soddisfacimento così elevata; (ii) dal quadro giurisprudenziale formatosi a seguito dell’incipit di Cass. Sez. Un. 1521/13, in relazione alla “causa concreta” ed alla soddisfazione “minimale”, da valutarsi in termini relazionali e non assoluti.

[53] In termini dissociativi, sotto il profilo esclusivamente etico, cfr. F. Lamanna, op. cit. “La miniriforma del diritto concorsuale” p. 13-14.

[54] Relazione orale 2ª Commissione permanente (Giustizia) in sede referente, 24 luglio 2015 – 5 agosto 2015. 

[55] G. D’attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, op. cit., p. 1165.

[56] In argomento, G. D’Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, op. cit., p. 1166, il quale rileva come la situazione patrimoniale di cui all’art. 160, comma 2°, lett. a), così come pure l’elenco di cui alla lett. c) «sono comunque di provenienza unilaterale, essendo predisposte dal debitore, e provvisorie, essendo soggette alla verifica del commissario giudiziale, alla possibile contestazione dei creditori ed al controllo del giudice delegato in sede di adunanza».

[57] Cfr. Tribunale Siracusa, 2 maggio 2012 in IlCaso.it, Sez. Giurisprudenza, 7232.

[58] Cass., Sez. I, 26 luglio 2012, n. 13284 in Fall. 2013, p. 576.

[59] Cass., Sez. I, 5 marzo 2012, n. 3402 in CED Cass. Civ., Rv. 621934.

[60] Cass. Sez. I, 12 febbraio 2013, n. 3402 in IlCaso.it - Sez. Giurisprudenza, 8894.

[61] Cass. Sez. I, 19 giugno 2008, n. 16669 in Fall. 2009, p. 689.

[62] M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale, cit., p. 9 e12.

[63] Contra, S. Ambrosini, Il diritto della crisi d’impresa, op. cit., p. 29. Secondo l’Autore, “La ratio della norma consiste invero, dichiaratamente, nell’ampliare il più possibile la platea dei soggetti legittimati, sicché un’interpretazione basata esclusivamente sulla successione delle singole parole e non sul significato complessivo della previsione (che non esclude, anzi consente, la soluzione qui propugnata) sembra porsi contra rationem legis (…). Ne consegue che deve ritenersi legittimato alla presentazione di una proposta concorrente, con ogni probabilità, anche chi sia diventato creditore per effetto di acquisti successivi al deposito della domanda da parte dell’imprenditore”. 

[64] La giurisprudenza era invece attestata su posizioni diametralmente opposte; cfr. Cass., Sez. I, 18 maggio 2015, n. 10086 in IlCodicedeiConcordati.it

[65] A. Nigro-A. Gommellini -G. Terranova-F. Vassalli, I presupposti dell'apertura delle procedure concorsuali, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, vol. I, Giappichelli, Torino, 2013, p. 124 ss..

[66]Contra Cass., Sez. I, 13 ottobre 2015, n. 20559; in tema di unitarietà del ricorso di concordato preventivo, cfr. tra gli altri, Appello L’Aquila, 9 dicembre 2015 in Osservatoriooci.org; Tribunale Teramo, 5 gennaio 2016, in IlCaso.it; Appello Genova, 23 dicembre 2011 in Fall. 4/2012 p. 437-449; Tribunale Palermo, 4 giugno 2014 in IlCaso.it; Tribunale La Spezia 2 maggio 2011 in Unijuris.it; Tribunale Terni 30 dicembre 2010 in IlCaso.it; Tribunale Crotone, 28 maggio 1999, in Giust. civ., 2000, I, 1533; cfr. anche in ipotesi di piano unitario a mezzo il ricorso ex art. 182 bis legge fall., Tribunale Milano, 17 giugno 2009; Tribunale Bologna, 17 novembre 2011 in Fall. 5/2012. In tali pronunce, i giudici hanno previsto la predisposizione di un unico ricorso di concordato preventivo per tutte le società del gruppo, nonché il deposito di una somma unica ed indistinta per le spese di procedura. Correlativamente, hanno ammesso le diverse società (o imprese) alla procedura di concordato preventivo con unico decreto, designando il medesimo giudice delegato ed un unico commissario giudiziale.

[67]Condivisibile appare anche la previsione di soglie differenziate tra conordati liquidatori e concordati con continuità, che si pone in coerenza con la progressiva divaricazione di disciplina applicabile e con l’accentuarsi di un atteggiamento di favor per i concordati con continuità e di disvalore per i concordati liquidatori”. Così, G. D’attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, op. cit., p. 1167. In senso conforme, cfr. S. Ambrosini, Il diritto della crisi d’impresa nella legge n. 132 del 2015 e nelle prospettive di riforma, in Il Caso.it, sez. Crisi d’Impresa e Fallimento, 30 novembre 2015, p.5, il quale tuttavia rileva che tale previsione (quella sull’inammissibilità delle proposte concorrenti) non appare una misura concretamente idonea a provocare la tempestiva emersione della crisi.

[68] Di seguito, si riporta il testo dell’art. 163, legge fall., precedente alle modifiche apportate dalla Commissione e accolte dalla l. 6 agosto 2015, n. 132: «Le proposte di concordato concorrenti non sono ammissibili se non risulta che la proposta del debitore assicura il pagamento, ancorché dilazionato, di almeno il quaranta percento dell’ammontare dei crediti chirografari».

[69] S. Ambrosini, op. cit. La disciplina della domanda di concordato preventivo”, p. 7.

[70] G. Bozza, Brevi considerazioni su alcune norme della ultima Riforma (D.L. 83/2015), in Fallimenti e Società.it, 2015, p. 16.

[71] Cass. Sez. I, 8 giugno 2012 n. 9373 in Fall. 12/2012, p. 1409-1416.

[72] In termini interrogativi, G. Bozza, Brevi considerazioni su alcune norme della ultima Riforma, p. 14

[73] Cfr. Cass., Sez. I,  14 gennaio 2015, n. 495 in IlCodicedeiconcordati.it

[74] F. Lamanna, La Miniriforma (anche) del diritto concorsuale, cit., p.7.

[75] In tali termini, si esprime Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2006, n. 2594 in CED Cass. Civ. n. 588026.

[76] Id., La Miniriforma (anche) del diritto concorsuale, cit., p.7. Nello stesso senso, cfr. G.M. Nonno, La concorrenza nel concordato preventivo: proposte competitive, in Il quotidiano giuridico.it, 16 luglio 2015.

[77] G. Bozza, op. cit. Brevi considerazioni, p. 14.

[78]S. Ambrosini, op. cit. La disciplina della domanda di concordato preventivo”, p. 21; negli stessi termini, M. Fabiani, op. cit. “L’ipertrofica legislazione concorsuale”, p. 13-14.

[79] D’attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, op. cit., p. 1173.

[80] M. Fabiani, in Riflessioni sistematiche, op. cit., p. 16. In ogni caso, è stato osservato che, in realtà, “il rischio delle proposte ostili dovrebbe costituire un incentivo  che il debitore  formuli, sin da subito, la sua migliore proposta possibile, così evitando stucchevoli rilanci endoconcordatari che il più delle volte incardinano inappropriati negoziati tra il debitore e gli organi della procedura”, ivi, p. 12.

[81] Sul giudizio di fattibilità giuridica del piano, cfr. Cass., Sez. Un., 1521/2013 cit..

[82]Conforme, G. D’attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, op. cit., p. 1172. 

[83] In particolare, è stato osservato che “molto è cambiato per quanto attiene alla qualità del controllo laddove questo può e deve essere esercitato; nulla è cambiato per quanto attiene alla latitudine del controllo”. Così, V. Zanichelli, Il ritorno della ragione o la ragione di un ritorno?, in IlCaso.it, 4 novembre 2015, p. 10. Per una panoramica ad ampio respiro della giurisprudenza di legittimità sul vaglio del Tribunale in sede di ammissione, cfr. P. Vella, La giurisprudenza della Cassazione sul controllo di fattibilità del concordato preventivo dopo le Sezioni Unite del 2013, in Fall. 4/2015 e in IlCaso.it del 10 marzo 2015.

[84] S. Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo” p. 8-9.

[85] Cfr. Tribunale Pistoia 29 ottobre 2015, in IlCaso.it. Negli stessi termini, V. Zanichelli, , Il ritorno della ragione, op. cit., in IlCaso.it, 4 novembre 2015, p. 5, secondo cui “assicurare non significa obbligarsi, posto che altrimenti dovrebbe leggersi «si obbliga ad obbligarsi».

[86] Cfr. Cass., Sez. I,  14 gennaio 2015, n. 495, cit..

[87] G. Bozza., Brevi considerazioni, cit. p. 12 ss.

[88] M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale, cit., p. 11.

[89]A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti, op. cit., p. 3.

[90] Per un approfondimento sul punto, v. cit. A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni).

[91] G. Bozza., Brevi considerazioni, cit. p. 21, ritiene “anomalo che un soggetto voti sulla proposta da lui presentata in un sistema, che, peraltro, esclude dal voto e dal computo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado ecc.”; per un’articolata disamina dell’istituto cfr. G. D’Attorre, Il conflitto d’interessi fra creditori nei concordati in Giur. Comm., 2010, I, 419.

[92] Espressione tratta da M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale, cit., p. 13; l’Autore, benché richiami il precedente costituito da Cass. 3274/2011, ritiene che sarebbe stato preferibile elidere il voto, poiché, ancora una volta, nel sistema è stato ripudiato un principio sacrosanto, quello del divieto di agire in conflitto di interessi.    

[93] In ambito fallimentare “il conflitto di interessi” viene disciplinato in fattispecie autonome (v. artt. 28, 37bis, 40) e del tutto decontestualizzate rispetto alla fattispecie, regolamentata, ai fini del voto, nelle tassative ipotesi previste negli artt. 127 e 177, ove, a differenza di quanto avviene nella norma in commento, vengono esclusi determinati creditori, in ragione d’una presunzione assoluta di conflitto con gli altri creditori concorsuali; v. S. Pacchi, “Il concordato fallimentare, in Fallimento e altre procedure concorsuali”, (a cura di) Fauceglia-Panzani, Utet, Torino, 2009, p. 1446.    

[94] L. Stanghellini, Art. 124 l.f. in Comm. Jorio-Fabiani, II, p. 1954 

[95] S. Sanzo, Voto e approvazione del concordato in De Marchi P.G., Il concordato fallimentare, 2008, p.166.

[96] L’art. 127, co. 7°, recita: “I trasferimenti di crediti avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento non attribuiscono diritto di voto, salvo che siano effettuati a favore di banche o altri intermediari finanziari”. La ratio di detta norma risiede nel voler evitare una fittizia proliferazione di voti compiacenti o l’incetta di voti, cfr. M. Ferro, La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, III, 2014, p. 1782.

[97] La norma richiederebbe peraltro anche una coordinata “rivisitazione” dell’art. 233 legge fall..

[98] F. Lamanna, Le insidie logiche della finanza esterna in caso di prelazioni incapienti, in IlFallimentarista.it, 20 gennaio 2014, ove viene ammesso un “transito” all’interno del patrimonio del debitore successivamente alla presentazione della domanda di concordato; in termini dissimili, Cass., 9373/2012 cit., tuttavia, da “rivisitare” con il successivo innesto dell’art. 182 quinquies, co. 4°, ult. cpv., che esclude l’attestazione di funzionalità ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori, in relazione al pagamento di crediti concorsuali “effettuati fino a concorrenza dell’ammontare di nuove risorse finanziarie che vengono apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori. Cfr. sul punto Tribunale Prato, 25 marzo 2015 in Osservatoriooci.org e in IlCaso.it . Sul differente concetto di “finanza esterna”, in relazione al quid pluris che si genera successivamente all’omologa rispetto all’originaria prognosi di realizzo fallimentare, alla stregua dei criteri di cui all’art. 160, co. 2°; cfr. Tribunale La Spezia 8 febbraio 2011 in Fall. 6/2012 pag. 732; Tribunale Monza, 22 dicembre 2011 in IlCaso.it; v. F. Lamanna, La definitività della degradazione al chirografo dei crediti privilegiati incapienti nel concordato preventivo, pubbl. 12 maggio 2014 in IlFallimentarista.it; S. Bonfatti, La disciplina dei crediti privilegiati nel concordato preventivo con continuità aziendale in IlCaso.it, pubbl. 28 ottobre 2013; G. D’Attorre, La finanza esterna tra vincoli all’utilizzo e diritto di voto dei creditori, 2014, in IlCaso.it.

[99] D. Galletti, Speciale decreto n. 83/2015 - le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema vigente saprà evitare il pericolo di rigetto?, in IlFallimentarista.it., p. 13.

[100] Cfr. Cass., 17 aprile 1962, n. 748, in Dir. fall., 1962, II, p. 362, «nella esecuzione l’impren­di­tore ha il pieno esercizio della sua impresa e la piena disponibilità dei suoi beni, essendo egli libero di compiere qualsiasi atto negoziale, senza bisogno di autorizzazioni e senza comminatorie di invalidità e inefficacia dell’atto».

[101] Cass., Sez. I, 18 giugno 2008, n. 16598, in Fall., 2009, p. 119. Tanto che anche recentemente è stato ritenuto che «in tema di concordato preventivo, è inammissibile il reclamo ex art. 110 l. fall. contro il piano di riparto depositato dal liquidatore, proposto dal creditore che lamenta la sua natura privilegiata anziché chirografaria perché nell’ambito della suddetta procedura non è previsto alcun accertamento del passivo e l’omologazione determina soltanto un vincolo in ordine alla percentuale offerta, senza creare alcun giudicato sull’esistenza, entità o natura dei crediti che devono essere accertati con un’ordinaria azione di cognizione» (Trib. Monza, 3 giugno 2015, in Fall., 8-9, 2015, p. 998).

[102] «Se le garanzie offerte danno la sicurezza dell’adempimento del concordato e, nel caso previsto dall’art. 160, comma 2, n. 2, se i beni offerti sono sufficienti per il pagamento dei crediti nella misura indicata nell’articolo stesso».

[103] Generalmente concretizzantesi nell’invito al commissario di partecipare i creditori di eventi potenzialmente fonti di azioni risolutorie o di annullamento del concordato. In tema anche recentemente è stato sostenuto che «Nella fase esecutiva del concordato le funzioni degli organi della procedura si limitano ad un’attività di supervisione e controllo e trovano sostegno nelle specifiche istruzioni dettate dal decreto di omologazione. L’articolo 185 l. fall. attribuisce un potere di sorveglianza dell’esecuzione del concordato esclusivamente in capo al commissario giudiziale, come si evince dal fatto che il predetto articolo si limita a richiamare l’applicazione della l. fall., art. 136, in tema di concordato fallimentare solo relativamente al comma 2, che prevede il potere del giudice delegato di stabilire le modalità di deposito delle somme relative a crediti condizionati, contestati o facenti capo a soggetti irreperibili, senza richiamare, invece, il comma 1, il quale attribuisce il potere di sorveglianza in questione anche al giudice delegato. Da ciò consegue che l’intervento di quest’ultimo nella procedura risulta alquanto limitato e deve ritenersi che ogni potere inerente alla gestione effettiva spetti esclusivamente all’amministratore ove non sia stato nominato un liquidatore ai sensi dell’art.182 legge fall.»(Trib. Monza, 13 febbraio 2015, in IlCaso.it.).

[104] Cfr. F.S. Filocamo, Sub art. 185, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, cit., p. 2671.

[105] Infatti il d.l. n. 35/2005 (convertito nella l. n. 80/2005) ha inserito un sesto comma all’interamente riscritto art. 180, attribuendo al tribunale già in fase di omologa il potere di accantonamento previsto in capo al giudice delegato dall’art. 136, comma 2, richiamato (invece ancora) dall’art. 185, comma 2. Cfr. negli stessi termini F.S. Filocamo, Sub art. 185, cit., p. 2669.

[106] Anche se forse, come vedremo nel prosieguo, può ritenersi che l’ultimo comma del riformato art. 185 si applichi anche alle offerte concorrentiex art. 163-bis.

[107] V. Relazione governativa al disegno di Legge di conversione del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, presentato dal Governo alla Camera dei deputati il 27/06/2015, cit.

[108] «La disciplina che prevede forme di “esecuzione coattiva” degli obblighi concordatari in via sostitutiva è del resto finalizzata non solo alla tutela dei proponenti, ma ancor di più alla tutela della massa dei creditori, che possono confidare in tal modo su una ben più probabile esecuzione degli obblighi concordatari» (F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento, Parte II: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti, in IlFallimentarista.it, 2015).

[109] Appaiono estremamente critici sul punto L. Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare – Parte I e III, cit.e F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un pri­mo commento, Parte II: le modifiche riguardanti il concordato preventivo. “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti, cit., il quale afferma «Non è escluso, peraltro, che tale disparitaria tutela possa dar luogo, per quanto motivata da due fattispecie soggettivamente differenziate, a dubbi di legittimità».

[110] Ed a voler prescindere per un attimo dal delicato tema della necessità – o meno – anche dell’avvenuta definitività del decreto di omologa di una proposta concorrente. Quantunque ragioni (costituzionali e comunitarie) di salvaguardia per quanto possibile dell’attività d’im­presa in capo all’imprenditore, pur sempre capace d’agire, potrebbero far militare per la necessità di tale definitività, l’immutato dettato normativo dell’art. 180, comma 5, non ci sembra lasci spazi di sorta sul fatto che anche il decreto di omologa di una proposta concorrente sia immediatamente esecutivo.

[111] Limiti soggettivi che non appaiono giustificati. Non si spiega infatti perché ai creditori concordatari sia precluso il potere di impulso che è invece riconosciuto ai creditori proponenti. Cfr. F. Lamanna, op. ult. cit.

[112] Come il diritto alla costituzione di parte civile nei relativi procedimenti, v. Cass. Penale, sez. V, 08 febbraio 2016, n. 5010, in IlCodiceDeiConcordati.it.

[113] In generale, sulla problematica dell’azione di responsabilità nel concordato preventivo (anche rispetto alle possibili ricadute ex art.173), cfr. in giurisprudenza, Trib. Bolzano, 30 aprile 2015; Trib. Piacenza, 12 febbraio 2015; ambedue in Fallimento, 2015, p. 955 ss.; App. Brescia, 14 maggio 2014, Trib. Padova, 23 ottobre 2014, Trib. Monza, 2 novembre 2011, tutte in IlCaso.it. In dottrina, G. D’Attorre, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo, in Riv. soc., 2015, p. 15 ss.; G. La Croce, La “confessio” salvifica degli atti in frode ai creditori. Un equivoco pericoloso, denso di antinomie, contrasti costituzionali e violazioni cedu, in Fallimento, 2015, pp. 314-316; M. Fabiani, Dalla meritevolezza al rapporto dialogico fra frode e responsabilità nel concordato preventivo, in Fallimento, 2015, p. 965 ss.; I. Pagni e M. Fabiani, Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo: un dialogo a due voci, in Società, 2015, p. 601 e ss.

[114] Oltre che organo di penetrante controllo quasi “investigativo” se si consideri che il novellato art. 165, coma 5, parla di «fatti … dei quali viene a conoscenza nello svolgimento delle sue funzioni». Quindi all’evidenza anche nell’espletamento dei propri delicati compiti di cui alla norma in commento.

[115] V. Cass., Sez. I, 7 luglio 2015, n. 14052, in IlCodicedeiconcordati.it.

[116] Sul divieto di cumulo degli incarichi di liquidatore e commissario giudiziale, è stato precisato che «In tema di concordato preventivo con cessione dei beni, o ad esso assimilabile, la nomina a liquidatore della persona già in carica come commissario giudiziale collide con il requisito, di cui al combinato disposto degli articolo 182, comma 2, e 28, comma 2, L.F. (nel testo, applicabile ratione temporis e risultante dalle modifiche apportate dal d.lg. 12 settembre 2009 n. 167), che il liquidatore sia immune da conflitto di interessi, anche potenziale, ipotesi, invece, configurabile laddove nella sua persona si cumulino la funzione gestoria con quella di sorveglianza dell’adempimento del concordato, di cui all’articolo 185, comma 1, L.F.» (v. Cass. civ., Sez. I, 18 gennaio 2013, n. 1237, in IlCodicedeiconcordati.it).

[117] Cfr. D. Galletti, Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema vigente saprà evitare il pericolo di rigetto? cit..; F. Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale, cit.; L. Varotti, Appunti veloci, cit.

[118] Salvo ritenere che la proposta del debitore e quella del ricorrente abbiano un condiviso atto esecutivo ante omologa, che il debitore rifiuti poi al dunque (ad esempio a procedura competitiva conclusa) di attuare (per restare all’esempio, partecipando al rogito di vendita). In effetti, in tal caso, dovrebbe scattare la sanzione ex art. 173.

[119] Cfr. D. Galletti, op.  ult. cit.; F. Lamanna, op. ult. cit.

[120] Ovviamente il pensiero corre veloce verso l’insegnamento del Supremo Collegio , secondo cui, ove anche i creditori siano stati previamente informati dal commissario del potenziale atto in frode commesso dal debitore e nonostante ciò abbiano approvato comunque il concordato, il tribunale deve pronunciare in ogni caso, anche d’ufficio, la revoca del concordato qualora accerti l’atto in frode del debitore (cfr. Cass., Sez I, 26 giugno 2014, n. 14552, in Fall., 2015, p. 300).

[121] A voler tacere dell’interesse dello stesso offerente concorrente vittorioso che comunque, forse, potrebbe pretendere (ex art. 2932 c.c.?) venga rispettato in ogni caso l’esito della gara ex art. 163, comma 3, nei confronti del contraente/debitore tornato in bonis. Cfr. più diffusamente sullo specifico tema, M. Ratti, sub art. 163-bis in AA. VV, .La nuova riforma del diritto concorsuale – commentario operativo al d.l. n. 83/2015 conv. in l. n. 132/2015, cit.

[122] Che il socio di una società di capitali, soprattutto qualora di minoranza e comunque non partecipante al procedimento determinativo ex art. 152 (come è di regola dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2006), sia da considerare terzo rispetto al debitore concordatario ci sembrerebbe indubbio, senza dover scomodare le categorie dell’autonomia patrimoniale e personalità giuridica proprie delle società di capitali rispetto ai soci che le compongono.

Conferma alla conclusioni di cui supra giunge, in fondo, da quel corretto argomentare della S.C., formatosi ante novella dell’art. 152, secondo cui, proprio perché allora il concordato doveva essere deliberato dall’assemblea straordinaria dei soci della società debitrice, ciascun socio non poteva ritenersi un’entità distinta dalla società stessa, quantomeno nel procedimento concorsuale: «… si evidenzia che nel corso del giudizio di omologazione i soci non costituiscono un qualsiasi gruppo categorico con in­teressi comuni, ma integrano ancora la compagine sociale e operano ancora nell’ambito del­l’en­ti­fi­cazione delle gruppo che, al di là della reale consistenza della personalità giuridica, viene perseguita nella disciplina regolata dagli artt. 2325 – 2497 c.c. Il gruppo non ancora sciolto, quindi, opera ancora secondo le regole della formazione della volontà collettiva, che vincola tutti i soci, ancorché non intervenuti e dissenzienti (art. 2377 c.c.). Ciò è sufficiente ad escludere che nel concordato preventivo delle società per azioni, una volta che la proposizione del concordato sia stato approvato con delibera sociale non impugnata (una volta cioè che il gruppo abbia espresso nelle forme legali la linea di azione sociale incorporante anche l’interesse della compagine), possa individuarsi un diverso interesse del gruppo dei soci distinto e contrario a quello espresso dal gruppo con volontà collettiva e possa, di conseguenza, individuarsi nel singolo socio un interesse legittimo quale portatore di una situazione di gruppo contraria a quella che la compagine ha espresso con la delibera»(Cass., Sez. I, 5 maggio 1995, n. 4919, in Fall.,1996, p. 323, con nota di S. Ambrosini).

[123] V. Cass., Sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23272, in Giust. civ. Mass., 2006, 10; Cass., Sez. I, 1 ottobre 1997, n. 9583, in Fall., 1998, p. 693.

[124] V. Cass., Sez. I, 18 giungo 2008, n. 16598, cit.

[125] Ed a voler tacere sul fatto che il contraente in bonis ha comunque diritto a conseguire un pieno accertamento in sede ordinaria sull’entità del proprio diritto risarcitorio.

[126] Anche “semplicemente” sotto l’angolo visuale della ritenuta incostituzionalità della disposizione de qua.

[127] V. con riguardo ad un provvedimento abnorme reso proprio in fase esecutiva concordataria, Cass., Sez. I, 21 ottobre 1993, n. 10429, in Giust. civ. Mass., 1993, p. 1494.

[128] Quantomeno ove si tratti di una società che controlli la società debitrice stante il chiaro precetto del novellato 177, comma 4. Più diffusamente sul tema delle proposte concorrenti e sul voto novellato, cfr.,  rispettivamente sub artt. 163-bis, nonché 177 e 178, M. Ratti e M. Spadaro, in AA. VV, .La nuova riforma del diritto concorsuale – commentario operativo al d.l. n. 83/2015 conv. in l. n. 132/2015, cit..

[129] E forse tantomeno sarà stato la causa principale della crisi d’impresa.

[130] Illuminanti sul punto sono le stesse parole del nostro legislatore «La concessione di tali poteri all’amministratore giudiziario si rende necessaria al fine di garantire l’effettiva esecuzione delle proposte di concordato e risponde all’esigenza di evitare che i soci esercitino il proprio potere di veto su operazioni societarie straordinarie al fine di estrarre valore a scapito dei creditori. Quando è stato nominato il liquidatore a norma dell’articolo 182, i compiti di amministratore giudiziario possono essere a lui attribuiti. La soluzione proposta in tema di debitori con natura societaria risponde a un’esigenza sempre più avvertita in ambito internazionale. Esemplificativo di ciò è stata l’introduzione nel 2011 in Germania della possibilità che il piano di ristrutturazione (Insolvenzplan), eventualmente presentato su impulso dei creditori, preveda qualsiasi misura consentita dal diritto commerciale (tra cui, ad esempio, un aumento di capitale), senza che sia necessaria una deliberazione in tal senso da parte dell’assemblea degli azionisti (cosiddetto cram down degli azionisti). Inoltre, anche in Spagna è stato recentemente previsto che i creditori rappresentanti un quinto dei crediti possano presentare un piano di ristrutturazione alternativo a quello del debitore, ponendo una responsabilità risarcitoria verso i creditori a carico dei soci che irragionevolmente rifiutino di deliberare l’aumento di capitale eventualmente previsto dal piano. Infine, con lo stesso spirito, nel 2014 si è previsto in Francia il potere per il mandataire en justice di convocare l’assemblea e di votare al posto dei soci dissenzienti al fine di procedere all’aumento di capitale con sottoscrizione da parte dei creditori o di altri terzi, analogamente a quanto previsto dalle illustrate proposte di modifica dell’articolo 185» (Relazione governativa al disegno di legge di conversione del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, presentato dal Governo alla Camera dei deputati il 27 giugno /2015,cit).

[131] Sulla circostanza che un procedimento di concordato penda già, ordinario o con riserva che sia, lo confermano anche i chiari principi di diritto n. 1 e 4 di Cass., S.U., 15 maggio 2015, n. 9935, i quali , ai fini che qui interessano, recitano :

- il numero 1 che in pendenza di un procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, il fallimento dell’imprenditore … può essere dichiarato … quando la domanda di concordato…”;

- il numero 4 chela domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, presentata dal debitore …”.

[132] Sulla tematica si è già scatenata quella tanto esecrabile municipalizzazione del diritto concorsuale, di cui così autorevolmente fa censura M. FABIANI, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, cit.. Infatti, mentre la maggioranza fori si sono già espressi nel senso supra propugnato (v. Trib. Trento, 15 ottobre 2015; Trib. Benevento, 04 novembre 2015;  Trib. Ancona, 26 novembre 2015;  Trib. Ravenna 27 novembre 2015; Trib. Forlì, 04 dicembre 2015; Trib. Alessandria, 18 gennaio 2016; Trib. Monza, Circolare 19 gennaio 2016, tutte in IlCaso.it), una minoranza, pur se autorevole, si è schierata in senso contrario, v. Trib. Pistoia, 29 ottobre 2015 e Trib. Firenze, 08 gennaio 2016, Trib. Firenze 01 febbraio 2016 entrambe in IlCaso.it. 

[133] V. in tema anche l’insegnamento del Giudice delle leggi il quale anche di recente ha avuto modo di precisare, proprio con riguardo alla materia concorsuale, come sia necessario che “la retroattività non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti” tra cui “la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico” (Corte Costituzionale, 04 luglio 2013, n.  170).

[134] Tra cui possono rientrare a pieno titolo anche i creditori, atteso che “all’interesse  dell'impresa debitrice di evitare il fallimento attraverso la soluzione negoziale dello stato di crisi ben può corrispondere un uguale interesse del creditore, anche per il solo fatto che il concordato gli assicuri un soddisfacimento maggiore rispetto a quello che potrebbe conseguire in caso di apertura della procedura fallimentare. Pertanto siffatto interesse legittima il creditore  a proporre reclamo ex art. 18 L.F. avverso la sentenza dichiarativa anche emessa ai sensi della L.F., art. 173, comma 2, od a spiegare intervento ad adiuvandum nel giudizio di impugnazione proposto in via principale dal fallito” (Cass. civile, sez. I, 19 febbraio 2016, n. 3324, in Ilcodicedeiconcordati.it).

[135] Non solo, “la nuova regolamentazione non può essere nemmeno utilizzata per una diversa interpretazione della disciplina previgente, al fine di introdurre ora soglie minime di soddisfazione da applicarsi nelle procedure concordatarie iniziate sotto il vigore della normativa anteriore, atteso che una simile operazione, oltre a violare il generale principio previsto dall' art. 11 delle preleggi, costituirebbe una chiara violazione delle disposizioni transitorie contenute nella recente novella” (Trib. Forlì, 04 dicembre 2015, cit.).


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