Civile


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 26/02/2016 Scarica PDF

La riforma sulla depenalizzazione

Giusi Ianni, Giudice


Sommario: 1. Introduzione; 2. Il d.lgs. 8/2016; 3. Il d.lgs. 7/2016.

 

 

1. Introduzione

In attuazione della delega conferita dalla l. 67/2014, in data 22 gennaio 2016 sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale i decreti legislativi nn. 7 e 8/2016, in vigore dal 6 febbraio 2016. I due decreti legislativi realizzano un’opera di depenalizzazione che si muove su un doppio binario, da un lato (d.lgs. n. 8/2016) quello “classico” della sostituzione della sanzione penale con sanzione amministrativa (cosa che era già avvenuta in passato con la l. 689/1981 e con il d.lgs. 507/1999), dall’altro (d.lgs. n. 7/2016) quello del mantenimento della sola rilevanza civilistica di talune condotte che fino ad oggi hanno costituito reato, rispetto alle quali si prevede, in caso di accoglimento dell’azione risarcitoria del soggetto danneggiato e qualora la condotta sia stata caratterizzata da dolo, la punizione con una sanzione pecuniaria civile, destinata ad essere irrogata dal giudice civile secondo le norme del codice di procedura civile e ad essere devoluta alla cassa delle ammende.I benefici della riforma dovrebbero essere quelli di una deflazione del carico dei processi penali nei singoli Tribunali, almeno nel lungo-medio termine, poiché nell’immediato potrebbero incrementarsi i carichi degli uffici quali giudici dell’esecuzione, con riferimento alle prevedibili numerose istanze per la revoca delle condanne definitive per reati depenalizzati. Nessun beneficio, invece, è destinato a prodursi a livello di popolazione penitenziaria, atteso che i reati interessati dalla depenalizzazione/abrogazione sono piuttosto bagatellari e comunque non normalmente suscettibili di condurre all’effettiva esecuzione di pene detentive.

   

2. Il d.lgs. 8/2016

Iniziando dal d.lgs. n. 8/2016 – che è quello che verosimilmente presenta minori profili problematici- occorre osservare che esso ha previsto la sostituzione della sanzione amministrativa alla sanzione penale rispetto a tre gruppi di reati:

A) i reati puniti con la sola pena pecuniaria (multa o ammenda) - compresi quelli che nelle ipotesi aggravate sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta alla pena pecuniaria (in tali casi, per espressa previsione normativa, le ipotesi aggravate, non attinte dalla depenalizzazione, assurgono a "fattispecie autonome di reato") - ad eccezione:

· dei reati puniti con la sola pena pecuniaria previsti dal codice penale , con la sola eccezione del reato di atti contrari alla pubblica decenzaex art. 726 c.p.;

· dei reati puniti con la sola pecuniaria previsti dal t.u. sulla immigrazione (tali reati dovevano essere oggetto di depenalizzazione per come previsto dalla legge delega, ma le polemiche a livello politico hanno per il momento bloccato la depenalizzazione);

· dei reati puniti con la sola pecuniaria previsti da una serie di provvedimenti normativi indicati espressamente in un allegato del d.lgs. e ivi ordinati per materia (edilizia e urbanistica, ambiente, territorio e paesaggio; alimenti e bevande; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; sicurezza pubblica; giochi d'azzardo e scommesse; armi ed esplosivi; elezioni e finanziamento dei partiti; proprietà intellettuale e industriale);

B) alcuni reati nominativamente elencati, previsti dal codice penale e già puniti con pene detentive, sole, congiunte o alternative a pene pecuniarie, vale a dire:

atti osceni ex art. 527, co. 1 c.p. (il fatto, già depenalizzato nel 1999 se commesso con colpa, conserva ora rilevanza penale solo nell'ipotesi prevista dal co. 2: se, cioè, viene commesso all'interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori);

pubblicazioni e spettacoli osceni ex art. 528, co. 1 e 2 c.p. (conserva rilevanza penale l'ipotesi contemplata dal co. 3);

rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto ex art. 652 c.p.;

abuso della credulità popolare ex art. 661 c.p.;

rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive ex art. 668 c.p.;

C) alcuni reati previsti da leggi speciali, anche in questo caso già puniti con pene detentive, sole, congiunte o alternative a pene pecuniarie. I reati sono quelli elencati dall'art. 3 d.lgs. n. 8/2016 e l'ipotesi più rilevante, per la prassi, è certamente rappresentata dall'omesso versamento delle ritenute previdenziali per importi inferiori a 10.000,00 euro annui (art. 2, co. 1 bis d.l. n. 463/1983), ma vi rientrano anche:

- il mancato rispetto dell'autorizzazione alla coltivazione di stupefacenti per uso terapeutico (art. 28, comma 2, d.p.r. 309/1990);

- la guida senza patente (art. 116, comma 15 D.Lgs. 285/1992), salvo che ricorra  l’aggravante della recidiva nel biennio, che rende il reato punibile non più solo con la pena dell’ammenda ma anche con quella dell’arresto (il termine recidiva è usato impropriamente dal legislatore, in quanto, trattandosi di contravvenzione, non opera la disciplina di cui all’art. 99 c.p.). Su tale ipotesi, peraltro, possono profilarsi degli aspetti problematici, in quanto la Suprema Corte ha affermato che ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della "recidiva nel biennio" come prevista dall’art. 116, co 15, CDS, rileva la data del passaggio in giudicato della sentenza relativa al fatto-reato precedente rispetto a quello per il quale si procede e non la data di commissione dello stesso (Cass. 40617/2014). Venendo adesso meno la possibilità di condanna penale per il reato di guida senza patente, deve ritenersi, secondo l’ufficio del Massimario (cfr. relazione del 2 febbraio 2016, reperibile su www.cortedicassazione.it), che sia necessario, per la configurabilità dell’ipotesi aggravata penalmente rilevante, un provvedimento amministrativo irrevocabile che abbia accertato una guida senza patente e abbia irrogato la relativa sanzione amministrativa;

- violazione degli obblighi di identificazione e verifica della clientela da parte di intermediari finanziari (art. 55, comma 1 D.Lgs. 231/2007);

- omessa registrazione da parte dei soggetti tenuti al rispetto della normativa c.d. antiriciclaggio; (art. 55, comma 4, D.Lgs. 231/2007);

- impedito controllo ai revisori CONSOB (art. 26 D.Lgs. 39/2010);

- omessa trasmissione dell'elenco dei protesti cambiari da parte del pubblico ufficiale (art. 235 r.d. 267/1942);

- emissione di assegno da parte dell'istituto non autorizzato o con autorizzazione revocata (art. 117 r.d. 1736/1933);

- interruzione volontaria della gravidanza senza l'osservanza delle modalità indicate dalla legge (art. 19, comma 2, l. 194/1978);

- violazione delle norme per l'impianto e l'uso di apparecchi radioelettrici privati (art. 11 r.d. 234/1931);

- abusiva concessione in noleggio di opere tutelate dal diritto di autore (art. 171-quater l. 633/1941);

- omissione di denuncia di beni oggetto di sequestro o confisca durante la sedicente Repubblica di Salò (art. 3 D.Lgs. luogotenenziale 506/1945);

- alterazione del contrassegno di macchine utensili (art. 15 l. 1329/1965);

- installazione o esercizio di impianti  per  la  distribuzione   di   aria condizionata nella sala nautica e nei  locali  della  timoneria (art. 3. Legge  16  giugno  1939,  n.  1045);

- contrabbando nel movimento delle merci attraverso i confini di terra e gli spazi doganali (art. 282 d.p.r. 43/1973);

- contrabbando nel movimento delle merci nei laghi di confine (art. 283 d.p.r. 43/1973);

- contrabbando nel movimento marittimo delle merci (art. 284 d.p.r. 43/1973);

- contrabbando nel movimento delle merci per via aerea (art. 285 d.p.r. 43/1973);

- contrabbando nelle zone extra doganali (art. 286 d.p.r. 43/1973);

- contrabbando per indebito uso di merci importate con agevolazioni doganali (art. 287 d.p.r. 43/1973);

- contrabbando nei depositi doganali (art. 288 d.p.r. 43/1973);

- contrabbando nel cabotaggio e nella circolazione (art. 289 d.p.r. 43/1973);

- contrabbando nell'esportazione di merci ammesse a restituzione di diritti (art. 290 d.p.r. 43/1973);

- contrabbando nell'importazione od esportazione temporanea (art. 291 d.p.r. 43/1973);

- altri casi di contrabbando (art. 292 d.p.r. 43/1973);

- pena per il contrabbando in caso di mancato o incompleto accertamento dell'oggetto del reato (art. 294 d.p.r. 43/1973).

Quanto al reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali per importi inferiori a 10.000 euro annui (art. 2, co. 1 bis d.l. n. 463/1983), la fissazione di una soglia annua da parte del legislatore può provocare problemi in presenza di contestazioni “frazionate” del reato ad un medesimo soggetto (qualora, ad esempio, alcune mensilità di un certo anno formino oggetto di un procedimento ed altre mensilità del medesimo anno formino oggetto di altro procedimento). In simile ipotesi, infatti, può accadere che la condotta contestata nel singolo processo non superi la soglia fissata dal legislatore per la rilevanza penale della condotta, ma nel cumulo tra i diversi procedimenti la soglia medesima venga superata. Poiché, tuttavia, il giudice è chiamato a decidere sul singolo capo di imputazione, è da ritenere che in difetto di segnalazione da parte del PM circa l’esistenza di altri procedimenti a carico dello stesso soggetto per il medesimo titolo di reato, non possano essere disposti accertamenti integrativi in fase dibattimentale. Si è proposto, tuttavia, di acquisire il certificato dei carichi pendenti qualora vi siano elementi che facciano ritenere verosimile l’esistenza di più procedimenti carico dell’imputato, ad esempio la contestazione di una recidiva specifica. 

Per i reati depenalizzati, il d.lgs. 8/2016 prevede, in luogo di sanzioni penali, l’applicazione di sanzioni amministrative: tali sanzioni sono espressamente indicate per i reati del codice penale e delle leggi speciali oggetto dei gruppi B e C finora esaminati, mentre per i reati extra-codice puniti con la sola pena pecuniaria della multa dell’ammenda, l’art. 1 comma 5 prevede delle sanzioni parametrate all’ammontare della multa o dell’ammenda prevista per il singolo reato di cui si tratta.

Per l’irrogazione delle sanzioni amministrative introdotte dal d.lgs. 8/2016 si rinvia, a livello procedimentale, alle disposizioni di cui alla l. 689/1981 (art. 6 d.lgs. 8/2016). L’art. 7 del d.lgs. 8/2016 individua, invece, l’autorità competente ad irrogare le medesime sanzioni amministrative (a cui devono essere trasmessi gli atti nell’ambito dei procedimenti e processi pendenti per i reati depenalizzati) stabilendo:

- per le violazioni di cui all’art. 1 (cioè i reati extra codice puniti con la sola pena della multa o dell’ammenda, esclusi quelli indicati dai provvedimenti normativi espressamente indicati) la competenza delle “autorità amministrative competenti ad  irrogare  le  altre  sanzioni amministrative  già  previste  dalle  leggi che contemplano le violazioni stesse” e, nel caso  di  mancata  previsione, dell'autorità individuata a  norma  dell'articolo  17 l. 689/1981, quindi del Prefetto per le violazioni in materia di circolazione stradale e di Ministero, Regioni, Province o Comuni a seconda di chi sia competente rispetto alla materia alla quale si riferisce la violazione;

- per le violazioni di cui all’art. 2 (cioè i reati del codice penale nominativamente indicati) la competenza del Prefetto;

- per le violazioni di cui all’art. 3 (cioè i reati previsti da leggi speciali e nominativamente indicati, tra cui l’omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali qualora gli importi omessi siano inferiori a 10.000,00 euro annui) la competenza delle autorità già competenti ad irrogare le sanzioni amministrative previste dai relativi testi normativi, quindi per le violazioni di cui alla legge 633/1941, n. 633 (sulla protezione dei diritti d’autore), la SIAE; per le violazioni di cui al  decreto-legge 463/1983, convertito in l 638/1983 (violazioni in materia previdenziale e assistenziale), la sede provinciale dell’INPS (per come chiarito dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 6/2016); per le violazioni di cui al decreto  del  Presidente  della Repubblica 309/1990, n. 309 in materia di stupefacenti, il Prefetto. Vengono, invece, espressamente indicate quali autorità competenti all’irrogazione delle sanzioni amministrative il  Ministero   dello   sviluppo   economico   in   relazione all’art. 11 l. 234/1931 (per le violazioni relative all’impianto e uso di apparecchi radioelettrici privati e al rilascio delle licenze di costruzione, vendita e montaggio di materiali radioelettrici); l'autorità comunale competente al rilascio dell'autorizzazione all'installazione o all'esercizio di impianti  di distribuzione di carburante per le violazioni di cui al d.lgs. 32/1998; il Prefetto in tutti gli altri casi.

E’ da ritenere, comunque, che in caso di individuazione di un’autorità diversa da quella competente da parte dell’Autorità Giudiziaria debba trovare applicazione il principio generale del vigente procedimento amministrativo in forza del quale l’amministrazione, ove non si ritenga competente ad evadere la pratica oggetto di un’istanza presentata dinanzi ai suoi uffici deve inviarla all’ufficio competente (TAR Marche, sez. I, 4 aprile 2013, n. 269; Cass. Civ. sez. trib. 27 febbraio 2009, n. 4773); ciò anche considerandosi l’interesse della P.A. ad irrogare la sanzione amministrativa.

Quanto al regime intertemporale, l'art. 8 d.lgs. n. 8/2016, in deroga a quanto previsto dall'art. 1 l. n. 689/1981 ma coerentemente con il regime transitorio che era stato disposto dalla stessa legge 689/1981 e dal d.lgs. 507/1999, stabilisce che le sanzioni amministrative per i reati depenalizzati (con l'eccezione delle eventuali sanzioni amministrative accessorie) si applicano retroattivamente, con il limite del giudicato. La legge delega, invero, non prevedeva nulla in punto di diritto intertemporale, ma il legislatore delegato è intervenuto ugualmente, prendendo atto, probabilmente, del conflitto giurisprudenziale formatosi sulla portata retroattiva delle sanzioni amministrative in caso di illeciti depenalizzati e in mancanza di specifici regimi transitori: a fronte, infatti, di un primo orientamento favorevole alla tesi dell’irretroattività, sul presupposto della non applicabilità dell’art. 2 comma 4 c.p. all’ipotesi di trasformazione da illecito penale a illecito amministrativo, trattandosi di norma destinata ad operare solo in caso di successione di leggi penali (Cass., Sez. Un., 7394/1994, Mazza), se ne è contrapposto un altro (Cass., Sez. Un., 1327/2005, Li Calzi) che ha considerato l’art. 41 legge 689/1981 – che prevedeva l’applicabilità delle nuove sanzioni amministrative ai reati depenalizzati oggetto di processi pendenti - norma di legge generale, applicabile ad ogni ipotesi di depenalizzazione, ancorché disposta successivamente all’entrata in vigore della stessa legge, fino al nuovo revirement delle Sezioni Unite in favore della tesi della non applicabilità retroattiva delle nuove sanzioni amministrative agli illeciti depenalizzati, sempre fondamentalmente sulla base dell’inapplicabilità agli illeciti amministrativi della disciplina di cui all’art. 2, co 4, c.p. (Cass., Sez. Un., 254578/2012, Campagne Rudie). Il panorama giurisprudenziale sulla questione, peraltro, era reso ancora più complesso da alcune pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con cui si è affermata la sostanziale irrilevanza della qualificazione formale data alla sanzione dagli ordinamenti nazionali ai fini dell’applicazione dell’art. 7 della CEDU (che, ricalcando quanto previsto dall’art. 25 della nostra Costituzione sancisce il principio di legalità e di irretroattività sfavorevole rispetto ai reati e alle pene). Secondo la Corte EDU, quindi, anche sanzioni ritenute non penali negli ordinamenti interni, possono considerarsi “pena” agli effetti dell’applicazione dell’art. 7 CEDU, ove previste da una norma di portata generale e astratta e aventi funzione repressiva e preventiva. Sulla base proprio dei principi dettati dalla Corte EDU la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 196/2010, affermando la natura sostanzialmente penale della confisca come sanzione amministrativa, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 186 c.d.s. (come modificato dal d.l. 92/2008) nella parte in cui richiamava l’art. 240, co 2, c.p., rendendo applicabile la confisca ivi disciplinata per il reato di guida in stato di ebbrezza anche ai reati commessi antecedentemente all’entrata in vigore della legge che quella confisca aveva introdotto.  Ancora, con sentenza n. 104/2014 il medesimo giudice delle leggi è giunto a ritenere costituzionalmente illegittima, con riguardo all’art. 25, co 2, Cost., una legge regionale della Val D’Aosta che prevedeva l’applicazione retroattiva di sanzioni amministrative ritenute di natura sostanzialmente penale, in quanto di carattere punitivo-afflittivo.   

Proprio alla luce di tale controverso panorama giurisprudenziale, l’art. 9 d.lgs. 8/2016 dispone che ove i processi afferenti a reati depenalizzati e trasformati in illeciti amministrativi siano ancora in corso, l'autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto, deve disporre la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa competente, salvo che  il  reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data. Non essendo previste conseguenze per il mancato rispetto del predetto termine è da ritenere, comunque, che esso non sia perentorio. Il processo pendente deve essere definito ai sensi dell’art. 129 c.p.p. con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, anche in grado di appello, salva la decisione sull’impugnazione agli effetti civili. Se, invece,  l'azione  penale  non  è  stata  ancora   esercitata, la trasmissione  degli  atti è  disposta direttamente dal pubblico ministero che, in caso  di  procedimento  già  iscritto, deve annotare  la trasmissione nel registro delle notizie di reato. Se il reato risulta estinto  per  qualsiasi  causa, il pubblico ministero richiede l'archiviazione secondo le norme del codice di procedura penale. Rispetto ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del decreto non può, tuttavia, essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria di importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’articolo 135 c.p.. A tali fatti, inoltre, non si applicano, come detto, le sanzioni amministrative accessorie introdotte dal decreto, salvo che le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie previste in relazione ai reati depenalizzati.

Se, invece, i procedimenti penali per i reati depenalizzati dal  d.lgs. 8/2016 sono stati già definiti, prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell'esecuzione deve revocare la sentenza o il decreto, dichiarando  che  il fatto non è previsto dalla legge come reato e deve adottare i provvedimenti conseguenti, con  l'osservanza delle  disposizioni  dell'articolo  667,  comma  4,  del  codice di procedura penale (quindi, con ordinanza adottata fuori udienza e senza formalità, da comunicarsi al PM e da notificarsi all’interessato e suscettibile di opposizione da parte del PM, dell’interessato e del suo difensore nel termine di giorni quindici dalla comunicazione o notifica: sull’opposizione decide lo stesso giudice dell’esecuzione previa instaurazione del contraddittorio ex art. 666 c.p.p.). In tal caso non si deve procedere alla trasmissione degli atti all’autorità competente all’irrogazione delle sanzioni introdotte dal medesimo d.lgs. 8/2016, incontrando l’applicazione retroattiva delle predette sanzioni il limite del formarsi del giudicato.

Resta, però, un problema che può porsi in sede esecutiva e cioè la sorte della confisca eventualmente disposta nella sentenza passata in giudicato avente ad oggetto condanna per reato depenalizzato. Il d.lgs. 507/1999, infatti, espressamente faceva salva la confisca disposta in relazione ai reati depenalizzati e anche l’art. 41 legge 689/1981 faceva salve le pene accessorie e la confisca nei casi in cui le stesse fossero state applicabili ai sensi dell’art. 20 del medesimo testo normativo. Il d.lgs. 8/2016, invece, nulla dice su pene accessorie e confisca già applicate dal giudice della cognizione e questo fa rivivere quel contrasto giurisprudenziale di cui si è riferito in precedenza sulla continuità o meno tra illecito penale e illecito amministrativo in caso di depenalizzazione e, quindi, sull’applicabilità o meno della disciplina di cui all’art. 2, co 2, c.p. ove la confisca venga ritenuta come sanzione sostanzialmente penale. In passato, la giurisprudenza formatasi su fattispecie depenalizzate ha ritenuto, tuttavia, rispetto a casi in cui non vi fossero specifiche disposizioni transitorie sul punto, che poiché, con il passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca, si ha un trasferimento a titolo originario dei beni sequestrati nel patrimonio dello Stato una volta divenuta irrevocabile la sentenza la relativa situazione giuridica deve considerarsi ormai esaurita, e quindi l'abrogazione della norma incriminatrice in base alla quale la confisca è stata ordinata non può incidere su di essa (es. Cass. 552/1997 che ha ritenuto legittimo il mantenimento della confisca in tema di possesso ingiustificato di valori di cui all'art. 708 c.p., dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza 17 ottobre 1996 n. 370 della Corte costituzionale;  o Cass. 27838/2003 conforme).

   

3. Il d.lgs. 7/2016

Passando ad esaminare il d.lgs. n. 7/2016, lo stesso prevede l’abrogazione di alcuni reati contenuti nel codice penale e l’introduzione di corrispondenti illeciti sanzionati con sanzioni pecuniarie civili.

I reati abrogati sono:

- le falsità in scrittura privata e in fogli firmati in bianco (artt. 485 e 486 c.p.);

- l'ingiuria (art. 594 c.p.);

- la sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.);

- l'appropriazione di cose smarrite, del tesoro e di altre cose avute per errore o per caso fortuito (art. 647 c.p.).

Quanto, inoltre, al reato di danneggiamento, viene introdotta una modifica all’art. 635 c.p., tale da escludere la rilevanza del danneggiamento semplice, non commesso, cioè, con minaccia, violenza alla persona o in occasioni di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico. Vengono, poi, apportate alcune modifiche alle norme incriminatrici attigue e connesse a quelle abrogate, al fine principalmente di eliminare da esse il riferimento ai reati abrogati. In particolare:

a) è stato riformulato l’art. 488 c.p., attraverso l’eliminazione del riferimento alle “scritture private” e la circoscrizione del richiamo (in precedenza esteso ai "due articoli precedenti", in funzione di applicazione “residuale”) al solo art. 487 c.p.;

b) è stato abrogato il secondo comma dell’art. 489 c.p., avente ad oggetto l’ipotesi di uso di atto falso in scrittura privata, da parte di chi non fosse concorso nella falsità; al fine, tuttavia, di mantenere la rilevanza penale delle condotte di uso di testamento olografo o di cambiale o titolo di credito trasferibile per girata o al portatore falso è stata inserita tale ipotesi all’art. 491, comma 2, c.p.;

c) il riferimento alla scrittura privata vera, contenuto nell’art. 490 c.p. per sanzionarne la soppressione, distruzione o occultamento, è stato sostituito con il richiamo al testamento olografo o alla cambiale o titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, sempre che la condotta sia stata ispirata dal fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno;

d) è stato abrogato il secondo comma dell’art. 490 c.p.;

e) è stata modificata la rubrica dell’art. 491 c.p. (in «Falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito») e il contenuto della stessa norma, al fine di conservare la penale rilevanza dei falsi in testamento olografo, cambiale o titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore, prima costituenti circostanza aggravante del falso in scrittura privata (applicabile agli  artt. 485, 488 e 490 c.p.), Resta fermo, invece, per le medesime condotte il trattamento sanzionatorio già previsto nella formulazione originaria dell’art. 491 c.p. (in luogo della pena stabilita dall’articolo 485 c.p. per le falsità materiali in scrittura privata), ossia l’applicabilità delle pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell’articolo 476 e nell’articolo 482 c.p. (a seconda che il fatto sia commesso dal pubblico ufficiale oppure da un soggetto privato). Il modificato secondo comma dell’art. 491 c.p. concerne, invece, la disciplina applicabile al soggetto che, non avendo preso parte alla falsificazione, faccia uso degli atti di cui al primo comma (testamento olografo, cambiale, titoli di credito trasmissibili per girata o al portatore), rinviando - quod poenam - alla previsione di cui all’art. 489 c.p. (uso di atto pubblico falso);

f) in conseguenza del venir meno della rilevanza penale delle falsità aventi ad oggetto scritture private (e della sostanziale inapplicabilità a questo caso della disposizione alle falsità in scritture private eccettuate dalla depenalizzazione), è stato eliminato dalla formulazione dell’art. 491-bis c.p. (che regola le falsità riguardanti i documenti informatici) il riferimento ai documenti informatici privati aventi efficacia probatoria;

g) è stato modificato l’art. 493-bis c.p., che individua i casi di perseguibilità a querela, eliminandosi da tale norma il riferimento agli artt. 485 e 486 c.p. (abrogati dalla depenalizzazione) e mantenendosi la regola della procedibilità d’ufficio per le condotte falsificatorie incidenti su un testamento olografo e quella della procedibilità a querela per le condotte incidenti su una cambiale o titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore.

Dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge sull’attuazione della delega in materia di depenalizzazione si evince, comunque, che le modifiche alle norme in materia di falso non hanno avuto obiettivi di  modifica, ma solo di adeguamento all’abrogazione degli artt. 485 e 486 c.p. e di mantenimento della rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto testamenti olografi e titoli di credito trasferibili per girata o al portatore. Applicandosi, tra l’altro, l’orientamento giurisprudenziale formatosi con riguardo al vecchio art. 485 c.p., in combinato disposto con l’art. 491 c.p., deve ritenersi che il falso riguardante l’assegno non trasferibile rientri nella depenalizzazione, riconducendolo la Cassazione al falso in scrittura privata e non in titolo di credito (Cass., Sez. Un., 4/1971 e successive conformi).

Degli adattamenti normativi si sono resi necessari anche per quanto riguarda l’abrogazione del reato di ingiuria, eliminandosi, in particolare, il riferimento all’art. 594 c.p. contenuto negli artt. 596 (Esclusione della prova liberatoria), 597 (Querela della persona offesa ed  estinzione del reato) e 599 (Ritorsione e provocazione). Il raggio  di operatività delle predette norme è stato, quindi, limitato alla sola ipotesi di diffamazione.

Quanto all’abrogazione del delitto di appropriazione di cose smarrite, ci si è interrogati sui possibili riflessi nei processi per ricettazione (ove l’appropriazione di cosa smarrita sia reato presupposto) o per calunnia (nel caso tipico della falsa denuncia di smarrimento di assegno dopo la consegna al prenditore (quando il reato di cui all’art. 647 c.p. costituisce l’oggetto diretto della falsa incolpazione). Quanto alla ricettazione, rispetto al futuro la condotta di acquisto, ricezione o occultamento di cosa smarrita oggetto di indebita appropriazione altrui certamente dovrà considerarsi non penalmente rilevante, essendo presupposto di applicabilità della norma incriminatrice di cui all’art. 648 c.p. la provenienza delittuosa della cosa oggetto di ricettazione. Per quanto riguarda, tuttavia, le condotte già poste in essere alla data dell’entrata in vigore del d.lgs. 7/2016, deve richiamarsi quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui “in tema di ricettazione, la provenienza da delitto dell'oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, di talché l'eventuale abrogazione, le successive modifiche o la sopravvenuta incompatibilità di tale norma con il diritto comunitario non assumono rilievo ai sensi dell'art. 2 c.p., e la rilevanza del fatto, sotto il profilo in questione, deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui è intervenuta la condotta tipica di ricezione della cosa od intromissione affinché altri la ricevano” (cfr. Cass. 30591/2014 e precedenti conformi). Anche rispetto alla calunnia la giurisprudenza di legittimità ha osservato che, trattandosi di reato di pericolo, essa sussiste anche quando il fatto oggetto dell'incolpazione successivamente all’incolpazione medesima cessi di essere reato per sopravvenuta innovazione legislativa (Cass. 8142/2014). Con riferimento, inoltre, al caso tipico della falsa denuncia di smarrimento di assegno, c’è un orientamento giurisprudenziale che ritiene che il reato oggetto di falsa incolpazione, in ragione della certa identificabilità e quindi rintracciabilità del soggetto emittente, sia sempre furto o ricettazione di cosa rubata, orientamento che renderebbe irrilevante l’abrogazione dell’art. 647 c.p.. (Cass. n. 33556/2002).

Le fattispecie espunte dal codice penale con il d.lgs. 7/2016 vengono, poi, riprodotte nell'art. 4 del medesimo testo normativo, rubricato "Illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie" e l’art. 3 dello stesso decreto prevede che quei fatti illeciti, "se dolosi, obbligano, oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili, anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile ivi stabilita" (ad es., da 100,00 a 8.000,00 euro per l'ingiuria, che nella nuova veste di illecito sanzionato solo civilmente viene testualmente estesa anche all'ipotesi del fatto commesso "mediante comunicazione informatica o telematica"). Per la determinazione dell’importo delle sanzioni pecuniarie civili si fissano alcuni parametri che sono: a) la gravità della violazione; b) la reiterazione dell'illecito; c) l’arricchimento del soggetto responsabile; d) l’ opera svolta dall'agente  per  l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell'illecito;  e) personalità dell'agente; f) le condizioni economiche dell'agente e a livello procedimentale si stabilisce (art. 8)  che le  sanzioni  pecuniarie  civili  sono  applicate  dal  giudice competente a conoscere dell'azione di risarcimento del danno, che  decide  sull'applicazione  della  sanzione  civile pecuniaria al termine del giudizio, qualora  accolga  la  domanda  di risarcimento proposta dalla persona offesa. Il termine prescrizionale per l’obbligo del pagamento della sanzione pecuniaria civile è lo stesso di quello concernente il risarcimento del danno (richiamandosi espressamente l’art. 2947, comma 1, cod. civ.). Il provento della sanzione pecuniaria civile è, invece, devoluta, per espressa previsione, alla Cassa delle Ammende, mentre per la determinazione delle modalità di pagamento della sanzione si rinvia ad un emanando decreto ministeriale.

All’art. 12 viene, invece, dettata una disciplina di diritto intertemporale, stabilendosi che le sanzioni pecuniarie civili si applicano anche per i fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 7/2016 (cioè il 6 febbraio 2016), "salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili". Se, invece, si sia già formato il giudicato penale di condanna in relazione ai reati abrogati, il giudice dell'esecuzione dovrà revocare la sentenza o il decreto penale di condanna, osservando l'art. 667, co. 4 c.p.p. (quindi senza formalità e con provvedimento suscettibile di opposizione da parte del PM, dell’interessato o del suo difensore). Per quanto riguarda la sorte delle statuizioni civilistiche eventualmente contenute nella sentenza di condanna passata in giudicato, deve richiamarsi quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “la revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis (art. 2, comma secondo, c.p.) - conseguente alla perdita del carattere di illecito penale del fatto - non comporta il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto, con la conseguenza che la sentenza non deve essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti da reato, le quali continuano a costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti della parte danneggiata” (Cass. n. 4266/2006). Non è prevista per i processi pendenti la trasmissione degli atti ad altre autorità, per cui è da ritenere che l’applicazione della sanzione civile sia subordinata all’iniziativa della persona offesa, che si rivolga al giudice civile per la pretesa risarcitoria. Secondo la circolare diffusa dalla Procura di Trento, per i reati oggetto di cui al d.lgs. 7/2016, qualora il processo sia in corso esso dovrà essere definito con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, mentre qualora il procedimento penda in fase di indagini il PM dovrà chiedere l’archiviazione al GIP. A differenza del d.lgs. 8/2016, il d.lgs. 7/2016 non dice nulla per l’ipotesi di processo pendente in grado di appello (come può accadere frequentemente per l’ingiuria) e applicando l’art. 578 c.p.p. mi sembra doversi escludere che il giudice dell’impugnazione debba decidere agli effetti civili, posto che la norma menzionata impone tale decisione solo qualora venga rilevata in fase di gravame l’estinzione del reato per prescrizione o amnistia. In tal senso anche la relazione dell’ufficio del Massimario.


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