Bancario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/04/2011 Scarica PDF

Anatocismo bancario e prescrizione dell'azione di ripetizione: la disciplina del c.d. decreto milleproproghe e le ripercussioni sul contenzioso in corso

Giusi Ianni, Giudice


Con la sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno cercato di dare una soluzione definitiva alle principali problematiche poste dal contenzioso in materia di anatocismo bancario, fissando, in particolare, in tema di prescrizione, il principio di diritto per cui l'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Si osserva, infatti, in estrema sintesi, nella citata pronuncia che "il pagamento" che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del "solvens" con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'"accipiens"; fattispecie che non ricorre in presenza del versamento che abbia funzione di mero ripristino della provvista.
In un contesto giurisprudenziale su cui le Sezioni Unite avevano cercato di far calare il sipario, si è inserito il legislatore, il quale, con il c.d. decreto Milleproroghe (d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con la legge n. 10 del 26 febbraio 2011), ha stabilito, all'art. 2, comma 61, che "In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa" e aggiungendo che "In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge".


Trattasi di disposizione che, probabilmente nel tentativo di offrire una "valvola di salvezza" agli istituti di credito in relazione ai punti fermi che l'organo di nomofilachia aveva tentato di stabilire, ha aperto una molteplicità di nuove problematiche interpretative, a partire dai dubbi di legittimità costituzionale che hanno accompagnato la norma.
Il decreto Milleproroghe, infatti, sembrerebbe vanificare la posizione di vantaggio che i clienti avevano maturato nei confronti delle banche per effetto della decisione delle Sezioni Unite: se, infatti, la Cassazione aveva affermato che il termine prescrizionale di dieci anni dovesse decorrere dal giorno di chiusura del conto corrente, non potendosi attribuire valore di "pagamento" alla rimessa meramente ripristinatoria, la novellata versione dell'art. 2935 c.c. prevede che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto debba cominciare a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. Ciò significa che sulla base di un'interpretazione meramente letterale del dato normativo l'azione di ripetizione degli interessi anatocistici dovrebbe essere proposta nel termine ultimo di dieci anni dalla data di ciascun singolo accreditamento (o versamento) in favore della banca e, quindi, anche durante lo svolgimento del rapporto. La norma riconosce, in pratica, una completa autonomia dei diritti di credito e di debito delle singole annotazioni in conto, svuotando così quella nozione unitaria del rapporto giuridico di conto corrente che finora era stata fatta propria dalla dottrina e dalla giurisprudenza.


Ad aggravare il quadro contribuisce l'intenzione del legislatore di rendere la previsione normativa disposizione di interpretazione autentica dell'art. 2935 c.c., con conseguente applicabilità anche ai rapporti pregressi e alle cause pendenti alla data della sua entrata in vigore, rispetto alle quali, in presenza di un'eccezione di prescrizione tempestivamente sollevata, andrebbero rigettate per intervenuta prescrizione tutte le azioni di ripetizione relative ad interessi anatocistici maturati nel decennio antecedente alla domanda giudiziale rispetto ai singoli versamenti o accreditamenti.


Ancora più problematica la seconda parte della norma che, con l'inciso "non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge" sembrerebbe mettere una pietra tombale sul contenzioso bancario in corso, pur avendo verosimilmente l'intento di dare una sorta di "contentino" al cliente, nei cui confronti la Banca non potrebbe pretendere la restituzione dei rimborsi già effettuati, pur in presenza di prescrizione del relativo diritto.


Non si sono fatte attendere, in tale prospettiva, censure sulla legittimità costituzionale della norma, già formalizzate dalla giurisprudenza di merito.
In particolare, il Tribunale di Benevento, nell'ordinanza del 10 marzo 2011, ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, sottolineando l'irragionevolezza di una norma formalmente interpretativa ma di fatto innovativa e contraria agli approdi giurisprudenziali e ai principi ricavabili dalla generale disciplina normativa in materia di contratto di conto corrente (artt. 1852-1857 c.c.).
Si è osservato, inoltre, che il legislatore avrebbe travalicato i limiti entro cui può considerarsi consentita una legge di interpretazione autentica, come tracciati dalla stessa Corte Costituzionale (cfr., tra le più recenti, Corte Cost. 11 giugno 2010 n. 209): il giudice delle leggi ha infatti chiarito che una legge interpretativa, per essere costituzionalmente legittima, può essere adottata dal legislatore solo quando sussistano incertezze sul campo di applicazione della norma di riferimento o contrasti giurisprudenziali ovvero anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore. Nessuna delle indicate ipotesi sembra, invece, profilarsi nel caso di specie, posto che le Sezioni Unite del 2010, nell'individuare il dies a quo della prescrizione dell'azione di ripetizione dell'indebito nella data di chiusura del conto, hanno recepito l'orientamento di gran lunga dominante della giurisprudenza di legittimità e di merito, sicché nessuna incertezza interpretativa poteva dirsi esistente sul punto (la questione, peraltro, era stata rimessa alle Sezioni Unite per la sua importanza, non per la sussistenza di un contrasto di interpretazioni tra le sezioni semplici).


Altra questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale di Brindisi - sezione distaccata di Ostuni - il quale, nell'ordinanza del 10 marzo 20111, oltre a sottolineare la violazione dei limiti "costituzionali" al potere del legislatore di dettare norme interpretative, ha messo in evidenza l'irragionevolezza della scelta del legislatore di far decorrere la prescrizione dall'annotazione in conto, trattandosi di circostanza di fatto che esula dalla sfera conoscitiva del cliente, il quale è reso edotto delle movimentazioni del proprio conto, solo con la ricezione dell'estratto conto (primo atto con cui si attua il valore della conoscibilità delle competenze annotate in proprio favore dalla Banca).
Il Tribunale di Brindisi, ha censurato, inoltre, anche l'inciso della norma in cui si afferma che: "in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge". Osserva, infatti, il remittente che benché la previsione, nell'immediatezza della sua approvazione, sia stata letta come una clausola di salvaguardia della posizione giuridica dei clienti che abbiano già ricevuto il rimborso, a cui la prescrizione non potrebbe più essere eccepita, la stessa si presta, tuttavia, anche ad un'ulteriore lettura, in forza della quale se il cliente ha già effettuato i versamenti indebiti, pretesi dalla banca, non potrebbe più richiederne la restituzione; e una simile lettura violerebbe l'art. 24 Cost. in quanto contrastante col principio di giustiziabilità delle posizioni giuridiche soggettive2, peraltro, con l'aggravamento della portata retroattiva della norma, desumibile dalla prima parte della stessa


Non sono mancati, tuttavia, anche tentativi di interpretazione differente della norma, tali, cioè, da non imporre la rimessione alla Corte Costituzionale.
In particolare, prendendo le mosse proprio dalla sentenza delle Sezioni Unite 24418/2010, si è osservato che ai sensi dell'art. 2033 c.c. il diritto alla ripetizione dell'indebito può sorgere unicamente in favore chi ha eseguito un pagamento non dovuto; pagamento che, come chiarito dalla Suprema Corte, avviene - qualora il rapporto sia stato caratterizzato da versamenti meramente ripristinatori della provvista - solo con la chiusura del conto e non con l'annotazione3. Solo, quindi, al momento della chiusura del conto sorge il diritto di ripetere ciò che si è pagato e inizia a decorrere il termine prescrizionale, con conseguente irrilevanza giuridica della previsione contenuta nel milleproroghe, facente riferimento ai diritti nascenti dall'annotazione (tra cui non vi sarebbe, in altri termini, il diritto alla ripetizione degli interessi indebitamente pagati, presupponente il pagamento e non l'annotazione).
Questa interpretazione "disapplicativa" della norma è stata fatta propria, in particolare, dalla Corte di Appello di Ancona (ordinanza del 15 marzo 2011), la quale, nel decidere su un'istanza di sospensione di una sentenza in materia di anatocismo, sollevata dalla Banca che in primo grado aveva inutilmente eccepito l'intervenuta prescrizione del diritto alla ripetizione del cliente, ha escluso la sussistenza del fumus boni iuris proprio sul presupposto che il diritto fatto valere dal cliente nel caso di specie diventa azionabile solo al verificarsi di un "pagamento" come definito dalle Sezioni Unite, sicché il decreto milleproroghe, riferendosi alla prescrizione dei diritti diversi da quelli in lite, quali quelli nascenti dall'annotazione, non è stato considerato pertinente alla fattispecie esaminata4.


La stessa Corte di Appello di Ancona, inoltre, ha anche osservato che la seconda parte della norma (secondo cui non "in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge") ha portata non interpretativa, bensì dispositiva, per cui essa non può che avere effetto per l'avvenire (coerentemente alla regola generale di cui all'art. 12 delle preleggi del codice civile), con conseguente applicabilità alle sole cause instaurate dopo l'entrata in vigore della legge di conversione, non potendo disporre retroattivamente l'estinzione di un diritto già azionato in giudizio.
Per contro, non sono mancati giudici di merito (cfr. ad esempio, Trib. Palmi, 4 marzo 2011) che hanno espressamente dichiarato di considerare la norma di interpretazione autentica, con conseguente necessità di far decorrere la prescrizione (decennale) dalla data delle singole annotazioni in conto: in pratica, entrambe le disposizioni di cui all'art. 2, comma 61, andrebbero riferite alla prescrizione e sarebbero destinate ad operare per le cause pendenti in cui sia stata tempestivamente eccepita la prescrizione e per quelle rispetto alle quali la fattispecie estintiva sia maturata sulle singole annotazioni successive all'entrata in vigore della legge e sui nuovi rapporti di conto corrente, con l'unico limite per cui, ove la Banca abbia già effettuato dei rimborsi, questi non sarebbero ripetibili anche in presenza di una prescrizione già maturata.


Infine, occorre segnalare alcuni tentativi di interpretazione "applicativa" ma costituzionalmente orientata della norma. E' il caso del Tribunale di Ferrara il quale, nella sentenza del 29 marzo 2011, dopo avere tra l'altro richiamato che la norma del comma 61 «è già stata oggetto di rimessione alla Corte Costituzionale» - è andato ad affermare che comunque appare doverosa una lettura di essa conforme alla Carta Costituzionale, che ne escluda quantomeno la applicazione ai rapporti instaurati prima della sua entrata in vigore, come era nella vicenda all'esame del giudice di merito5.
Interessanti spunti sul decreto milleproroghe e sulla sua compatibilità con i principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza 24418/2010 sono venuti anche dalla dottrina6, la quale ha tentato di dare una lettura della disposizione in esame in qualche modo conciliabile con la posizione della Suprema Corte e con i dettami della Carta Costituzionale.
In particolare, si è osservato che le Sezioni Unite nella citata sentenza non si sono limitate ad affermare la decorrenza del dies a quo della prescrizione dell'azione di ripetizione dalla data di chiusura del conto, ma hanno distinto due tipologie di azioni, con i relativi regimi prescrizionali: 1) l'azione di nullità, imprescrittibile ed esercitabile a decorrere dalla singola annotazione derivante dall'esecuzione del negozio nullo (ad esempio, allo scopo di ottenere una maggiore disponibilità di credito nei limiti del fido ottenuto attraverso la rettifica dell'annotazione); 2) l'azione di ripetizione dell'indebito, soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, il cui termine decorre dalla data di avvenuto pagamento; e proprio sulla nozione di pagamento sta la portata veramente innovativa della pronuncia, che ne evidenzia la ricorrenza non solo alla chiusura definitiva del saldo, bensì anche, prima, in presenza di versamenti aventi funzione solutoria, che abbiano avuto, cioè, lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, o perché si tratti di versamenti eseguiti su un conto con saldo in passivo (se privo di affidamento) o perché si tratti di versamento che abbia determinato un saldo eccedente il limite di affidamento (se il conto è affidato).
Da ciò, la necessità di individuare, alla stregua dei principi generali, nonché della disciplina di settore, quando il versamento del correntista costituisca un pagamento e lo stesso possa essere definito indebito.
Il problema si pone soprattutto in presenza di una apertura di credito che, come si evince dal combinato disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., si attua mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro in favore del correntista. Il cliente, quindi, per l'intera durata del rapporto, può utilizzare la somma messa a disposizione dalla banca anche in più riprese, ripristinandone poi in tutto o in parte, la disponibilità ed eseguendo versamenti e conseguenti ulteriori prelevamenti, entro il limite complessivo del credito accordatogli.
Ne consegue che, applicando i principi dettati dalle Sezioni Unite, se, in pendenza dell'apertura di credito, il correntista non abbia operato alcun versamento o abbia operato versamenti meramente ripristinatori della provvista (senza eccedere, cioè, l'importo dell'affido messo a disposizione dalla Banca), non sarà configurabile alcun pagamento da parte sua, se non al momento di chiusura del rapporto, quando egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato (solo da quel momento sorgerà pertanto il diritto alla ripetizione di quanto indebitamente versato a titolo di interessi anatocistici).
Qualora, invece, nel corso dello svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, questi ultimi potranno essere considerati come pagamenti, idonei a fondare il diritto alla ripetizione delle somme indebitamente versate a titolo di interessi, ove abbiano superato la soglia dell'affido, generando, pertanto, un movimento patrimoniale a favore della Banca
Pertanto, in armonia con i principi generali in materia di adempimento e di ripetizione d'indebito, e con quelli relativi alla causa del contratto di conto corrente, la decorrenza della prescrizione deve essere individuata: a) nella data del singolo versamento (nell'ipotesi di conto in passivo, senza affidamento, così come di superamento del limite affidato); b) nella data di chiusura del rapporto (quando non siano effettuati versamenti, in pendenza di rapporto, o quando il versamento, effettuato in pendenza di rapporto, abbia funzione meramente ripristinatoria dell'affidamento).
In questa prospettiva, appare effettivamente difficile ipotizzare una conciliabilità dei principi dettati dalle Sezioni Unite con le statuizioni legislative, in quanto l'annotazione, essendo operazione contabile, che "registra" prelievi e versamenti, non può avere effetto costitutivo di un "pagamento" nel senso inteso dalla Suprema Corte.
Per contro, in dottrina, non si è mancato di rilevare come, rispetto al contratto di apertura di credito, anche l'annotazione possa avere funzione di "spostamento patrimoniale" a danno del solvens operando «quale criterio di imputazione della somma di denaro al pari del possesso delle banconote, sì da costituire tecnica di disciplina (convenzionale) per il trasferimento della quota di ricchezza da un patrimonio all'altro»7. L'annotazione degli interessi passivi, infatti, in forza di tale orientamento, avrebbe l'effetto di determinare automaticamente la diminuzione del saldo disponibile, raggiungendo un effetto sostanzialmente equipollente alla consegna di moneta cartacea e al pari della rimessa diretta a coprire il saldo negativo originato dall'annotazione in conto degli interessi -portato come esempio di rimessa solutoria dalla Suprema Corte. Se, quindi, si accoglie tale prospettiva ermeneutica, la norma di cui all'art. 2, comma 61, del decreto milleproroghe potrebbe sfuggire alle paventate maglie dell'incostituzionalità, avendo operato il legislatore una scelta che, pur non essendo conforme ai principi dettati dalle Sezioni Unite, appare comunque compatibile con i principi giuridici generali sottesi alla materia dell'indebito.
Si è anche tentato, però, come già visto, di offrire un contenuto di tenore differente all'art. 2 comma 61, nel senso di individuarne un ambito applicativo svincolato dalle azioni di ripetizione dell'indebito.
Si è osservato, infatti, che se l'annotazione ha natura meramente contabile, "contabili" devono essere anche i diritti che da essa nascono - a cui si riferisce il comma 61 dell'art. 2 del decreto milleproroghe - sicché la disposizione in questione andrebbe riferita non alle azioni di ripetizione, bensì alla contestazione sulla regolarità dell'annotazione medesima, con specifico riferimento agli «errori di scritturazione o di calcolo», alle «omissioni» e alle «duplicazioni» cui allude la norma del comma 2 dell'art. 1832, dettato per il conto corrente ordinario ma richiamato dall'art. 1857 anche in materia di conto corrente bancario8.
In questa prospettiva, può inquadrarsi anche l'arresto del Tribunale di Milano, che, con ordinanza del 7 aprile 2011, ha giudicato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli articoli 24 e 3 della Costituzione - non rimettendo, pertanto, gli atti alla Corte Costituzionale - proprio riferendo la norma di cui all'art. 2 comma 61 del decreto milleproroghe all'azione di cui all'art. 1832 c.c. e osservando da un lato come tanto in dottrina quanto in giurisprudenza fossero esistenti, prima dell'intervento legislativo, diversi orientamenti in ordine alla decorrenza della prescrizione dell'azione di contestazione dell'estratto conto e dall'altro lato che la stessa sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 2 dicembre 2010 ha precisato la decorrenza della prescrizione limitatamente all'azione di ripetizione di indebito in riferimento a pagamenti non dovuti, senza analizzare il diverso piano "cartolare" della contestazione delle annotazioni conseguenti ad atti o negozi accertati come nulli.
Peraltro, c'è anche un ulteriore dato su cui riflettere, nella prospettiva di comparazione tra la posizione del legislatore e quella dell'organo di nomofilachia: la complessità del percorso argomentativo seguito dalle Sezioni Unite, infatti, oltre ad imporre una rimodulazione dei quesiti da porre al CTU nelle controversie bancarie (al fine di stabilire, cioè, se i singoli versamenti abbiano avuto natura solutoria o meramente ripristinatoria) rischia di rendere comunque inutili le eccezioni di prescrizione sollevate dalla Banca nel contenzioso pendente. Di norma, invero, gli istituti di credito, anche ove eccepiscano la prescrizione con riferimento a periodi antecedenti alla data di chiusura del conto, lo fanno con riferimento al momento di addebito degli interessi ritenuti indebiti e non con riferimento alle rimesse solutorie, come indicato dalle Sezioni Unite. Poiché, pertanto, la prescrizione non può essere rilevata d'ufficio, ma esige, ex art. 2928 c.c., l'eccezione della parte interessata, con l'indicazione del relativo elemento costitutivo, senza un'esatta indicazione delle rimesse solutorie, l'eccezione è passibile di rigetto, per difetto allegatorio non suscettibile di essere superato dalla facoltà di differente qualificazione giuridica che fa capo al giudice9. Ciò, viceversa, non accadrebbe applicando retroattivamente e in maniera generalizzata la previsione di cui all'art. 2, comma 61, d.l. 225/2010, che ancora la decorrenza della prescrizione alla data delle singole annotazioni, senza distinguere tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie.
La materia, in definitiva, appare, allo stato, in continuo divenire: non resta, quindi, che attendere l'intervento - demolitorio o conformativo - del Giudice delle Leggi per conoscere l'incidenza che la norma avrà sul contenzioso pendente e, in generale, sulle aspettative di restituzione dei clienti delle Banche che ormai sembravano consolidate sulla base degli arresti giurisprudenziali più recenti.




1) I testi dei provvedimenti di merito citati sono reperibili su www.altalex.it.
2) Si osserva, infatti, che in forza di un costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale, la discrezionalità del legislatore può spingersi fino al punto di condizionare l'accesso alla giustizia, mediante l'imposizione di modalità alternative e stra-giudiziali di risoluzione delle controversie (come nel caso del tentativo di conciliazione nel rito del lavoro o oggi della mediazione nelle controversie civile), ma non può annullare del tutto il diritto garantito dall'art. 24 Cost (cfr. Corte Cost. 127/77; sentenze n. 325 del 1998, n. 381 del 1997, n. 54 del 1996, numeri 232, 206 e 49 del 1994, n. 488 del 1991; n. 152 del 1996
3) GRECO, Anatocismo e Prescrizione: le Sezioni Unite e la difficile applicabilità del decreto mille proroghe. Continua il match tra correntisti e banche, da www.ilcaso.it.
4) Nella medesima direzione anche Trib. Brescia, sentenza del 24 marzo 2011, su www.ilcaso.it
5) Il riferimento giurisprudenziale è offerto da DOLMETTA, Prescrizione e «operazioni bancarie in conto corrente»: sul comma 61 della legge n. 10/2011, su www.ilcaso.it
6) LEIDI-RUGGERI, Anatocismo: scatta la prima disapplicazione del "salva banche", su www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com; MARCELLI, Prescrizione e anatocismo negli affidamenti bancari. I principi giuridici stabiliti dalla sentenza della Cassazione S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418: quelli enunciati e quelli impliciti, su www.ilcaso.it; DOLMETTA, op. cit.
7) Così M. SEMERARO, Equilibrio del contratto e del rapporto nel c.d. anatocismo bancario, nota a Cass., Sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418, in Rass. dir. civ. (in corso di pubblicazione).
8) Il riferimento all'art. 1832 in combinato disposto con l'art. 1857 c.c. si rinviene anche nell'interpellanza parlamentare promossa, a seguito dell'approvazione della legge di conversione, da parte di parlamentari dell'Italia dei Valori.
9) Il principio, in subiecta materia, è ben delineato da Cass. 4668/2004



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