CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/07/2015 Scarica PDF
Misure urgenti in materia fallimentare (d.l. 27 giugno 2015, n. 83): le modifiche alla disciplina del fallimento e le disposizioni dettate in tema di proposte concorrenti
Rolandino Guidotti, Professore di diritto commerciale nell'Università di BolognaSommario: 1. Premessa. - 2. I requisiti per la nomina del curatore. - 3. Il programma di liquidazione e la modalità delle vendite. - 4. La chiusura della procedura di fallimento. - 5. Effetti della chiusura del fallimento. - 6. L’esdebitazione. – 7. Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: premessa; - 8. segue: le ragioni della disciplina; - 9. segue: i presupposti per la presentazione di una proposta concorrente; - 10. segue: profili procedimentali. – 11. Il commissario giudiziale. – 12. La discussione della proposta di concordato e la votazione. – 13. L’esecuzione del concordato. – 14. La domanda di concordato.
1. Il d.l. 27 giugno 2015, n. 83, che, tra l’altro, modifica disposizioni in materia fallimentare, ritiene necessari ed urgenti interventi rivolti:
a) a rafforzare le disposizioni sull’erogazione di provvista finanziaria alle imprese in crisi;
b) a promuovere la contendibilità delle imprese in concordato preventivo in modo da incentivare le condotte virtuose dei debitori in difficoltà e favorire esiti efficienti ai tentativi di ristrutturazione;
c) a rafforzare i presidi a garanzia della terzietà ed indipendenza degli incaricati che affiancano il giudice nella gestione delle procedure concorsuali (curatori fallimentari, commissari giudiziari);
d) a prevedere la possibilità di concludere nuove tipologie di accordo di ristrutturazione del debito.
Gli interventi sulla disciplina del fallimento che si commentano sono vari e tutt’altro che omogenei.
Le modifiche riguardano i requisiti per la nomina del curatore (art. 28 l. fall.), il programma di liquidazione (art. 104 ter l. fall.), le modalità delle vendite (art. 107 l. fall.), la chiusura del fallimento (art. 118 l. fall.), gli effetti della chiusura del fallimento (art. 120 l. fall.) e la disciplina dell’esdebitazione (art. 142 l. fall.).
2. Le modifiche all’art. 28 l. fall., e quindi alla norma dedicata ai requisiti di nomina del curatore, sono varie:
a) innanzi tutto viene confermata la disposizione secondo la quale non può essere nominato curatore chi abbia concorso al dissesto dell’impresa durante il periodo anteriore alla dichiarazione di fallimento; il periodo viene ampliato da due a cinque anni.
Si tratta ovviamente di quei soggetti che hanno rivestito poteri di gestione formale o di fatto o che hanno contribuito in modo causalmente effettivo alla determinazione dell’insolvenza.
Sarebbe stato più semplice introdurre una incompatibilità assoluta, e quindi senza limiti temporali, con una norma semplicemente del seguente tenore: «[n]on può essere nominato curatore chi ha concorso al dissesto dell’impresa».
Si tratta in ogni caso di una norma che riguarda ipotesi poco frequenti;
b) è poi aggiunto al terzo comma (che non esiste nell’art. 28 e quindi si tratta ovviamente del secondo) la previsione secondo la quale «[n]on può essere nominato curatore chi abbia svolto la funzione di commissario giudiziale in relazione a procedura di concordato per il medesimo debitore, nonché chi sia unito in associazione professionale con chi abbia svolto tale funzione».
Si tratta di una norma di carattere generale; indica che non può essere nominato curatore chi abbia svolto la funzione di commissario giudiziale anche con riferimento a “precedenti” procedure di concordato che riguardano la stessa impresa e non solo con riferimento a quella che poi sfocia nel fallimento.
L’ipotesi nella quale la norma troverà applicazione più spesso – se verrà convertita - è quella della dichiarazione di inammissibilità del concordato preventivo e contestuale dichiarazione di fallimento ovvero di “trasformazione” – l’espressione è ovviamente atecnica – del concordato in fallimento.
La ragione è evidente.
Evitare che il commissario giudiziale nominato nella procedura di concordato preventivo sia inutilmente pressante, ovvero invogliato ad esprimere valutazioni negative sulle varie istanze del debitore e sull’ammissibilità del concordato stesso. Il tutto ovviamente con l’obiettivo di non far votare il concordato, di vederlo revocato o ancora non omologato e di vedersi quindi nominato anche curatore (incrementando, tra l’altro, il proprio compenso).
Ora l’inopportunità di doppia nomina – in determinati casi evidente – viene elevata a vera e propria regola generale.
La norma è, nella sostanza, da condividere perché è chiara; perché può essere letta come un ulteriore tassello in favore delle procedure concordatarie; e perché propone una netta separazione di ruoli all’interno della procedura.
Permetterà anche al nuovo curatore di verificare l’opera del precedente commissario.
Se, per errore, il tribunale provvedesse alla nomina del commissario quale curatore del successivo fallimento, si potrà chiedere la sua revoca.
L’unica controindicazione, marginale, è che il nuovo curatore dovrà, in parte, riprendere il lavoro fatto del precedente commissario, con una parziale sovrapposizione dell’attività.
Qui sia consentito ricordare, incidentalmente, quella giurisprudenza della Suprema Corte che relativamente di recente ha voluto scardinare la prassi di alcuni Tribunali di nominare liquidatore giudiziale la medesima persona che, nella procedura concordataria, aveva svolto la funzione di commissario giudiziale; la giurisprudenza di legittimità ha precisato finalmente che in capo alla stessa persona non si possono cumulare sia funzione gestoria, propria del liquidatore giudiziale, sia quella di sorveglianza nell’adempimento del concordato ex art. 185, comma 1°, l. fall., propria del commissario giudiziale (Cass., 18 gennaio 2013, n. 1237);
c) sempre all’art. 28 l. fall. è aggiunto un terzo comma a mente del quale il curatore deve essere in possesso di una struttura organizzativa e di risorse che appaiano adeguate al fine del rispetto dei tempi per la predisposizione del programma di liquidazione e del termine, non superiore a due anni, entro il quale dovrà completarsi la liquidazione dell’attivo.
La norma è singolare perché omette di considerare quello che accade, nell’organizzazione dell’attività, nei momenti in cui vengono conferiti incarichi “straordinari”; le strutture possono essere modificate, e anzi spesso sono ridisegnate, in funzione degli incarichi stessi.
Per contro anche strutture teoricamente adeguate non sono in grado di reggere due incarichi contestuali che magari vengono da Autorità diverse.
Il tribunale dovrà motivare specificamente in ordine alla struttura organizzativa e alle risorse del curatore.
Il tribunale sarà quindi costretto ad utilizzare formule di rito, forse anche per la materiale impossibilità di conoscere le strutture degli studi; è bene che questa parte della norma venga rivista ovvero ne venga omessa la conversione;
d) ai sensi del art. 28, comma 4°, l. fall. la sentenza dichiarativa di fallimento deve motivare in merito alla struttura organizzativa e alle risorse del curatore e deve tener conto «anche alla luce dei rapporti riepilogativi di cui all’art. 33, quinto comma, delle eventuali indicazioni in ordine alla nomina del curatore espresse dai creditori nel corso del procedimento di cui all’art. 15» e cioè nel corso del procedimento per la dichiarazione di fallimento.
L’ultima parte della disposizione è condivisibile; è logico che chi propone l’istanza di fallimento possa indicare al tribunale quali sono gli aspetti critici della fattispecie e dare indicazioni sulle specifiche competenze che sarebbe opportuno che il curatore avesse (un curatore esperto in materia di gruppi; un curatore che si sia già occupato di esercizio provvisorio …).
Meno comprensibile, almeno in prima battuta, è l’altra parte della norma e cioè che ai fini della nomina del curatore si debba tener conto «dei rapporti riepilogativi di cui all’art. 33, quinto comma».
E tanto ovviamente, in via di prima approssimazione, perché le relazioni semestrali sono temporalmente successive alla nomina del curatore che le deve depositare.
Due significati possono essere attribuiti alla disposizione che, in ogni caso, non è chiara.
Il primo è che il tribunale possa tener conto – non tanto in generale di rapporti riepilogativi depositati dal curatore in altri fallimenti (come pure si è ipotizzato) – ma di rapporti riepilogativi di fallimenti “collegati” – il termine è atecnico – a quello che sta per essere dichiarato (e quindi, per esempio, di società dello stesso gruppo ovvero di società controllanti, controllate, collegate e forse anche solo partecipate).
Il secondo è che la norma faccia riferimento all’art. 182, comma 6°, l. fall. nella parte in cui dispone che le relazioni semestrali devono essere redatte anche dal liquidatore giudiziale;
e) è prevista l’istituzione presso il Ministero della Giustizia di «un registro nazionale nel quale confluiscono i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali».
Nel registro devono essere altresì «annotati i provvedimenti di chiusura del fallimento e di omologazione del concordato, nonché l’ammontare dell’attivo e del passivo delle procedure chiuse».
«Il registro è tenuto con modalità informatiche ed è accessibile al pubblico».
La norma può avere una doppia funzione: quella di permettere la trasparenza degli incarichi; e quella di individuare facilmente i professionisti che hanno già svolto incarichi in procedure importanti.
I dati contenuti nel registro avranno ovviamente anche una funzione di natura statistica.
Sarebbe opportuno prevedere che nello stesso registro confluissero tutte le nomine, comprese, ad esempio, le nomine dei commissari nelle procedure di amministrazione straordinaria e le nomine dei commissari liquidatori nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa.
3. L’art. 6 del decreto in commento modifica la disciplina di cui all’art. 104 ter l. fall. ovvero la disciplina relativa al programma di liquidazione.
Entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario – «e in ogni caso non oltre centottanta giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento» – il curatore, lo si è già accennato, deve predisporre un programma di liquidazione da sottoporre all’approvazione del comitato dei creditori.
«Il mancato rispetto di tale termine senza giustificato motivo è giusta causa di revoca del curatore».
E’ poi previsto che il programma di liquidazione contenga, tra le altre cose, - si tratta della lett. f), art. 104 ter, comma 2°, l. fall. – «il termine entro il quale sarà completata la liquidazione dell’attivo».
Quest’ultimo termine «non può eccedere i due anni dal deposito della sentenza di fallimento».
«Nel caso in cui, limitatamente a determinati cespiti dell’attivo, il curatore ritenga necessario un termine maggiore, egli è tenuto a motivare specificamente in ordine alle ragioni che giustificano tale maggior termine».
Pure il mancato rispetto di questo termine – che ovviamente può non dipendere dalla volontà o dall’inerzia del curatore – «è giusta causa di revoca del curatore».
Il curatore può però dimostrare di aver provato a vendere i beni e di non esserci riuscito; ovvero giustificare il fatto di non essere stato tempestivo nell’esercizio dell’attività impostagli dalla legge.
Non facili da capire, almeno in prima battuta, le modifiche all’art. 104 ter, comma 4°, l. fall.
Nella norma modificata si prevede che il curatore, «fermo restando quanto disposto dall’art. 107» l. fall., possa essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare, non solo ad altri professionisti, ma anche a “società specializzate”, alcune incombenze della procedura di liquidazione dell’attivo.
Ma detta possibilità è già prevista dall’art. 107 l. fall.; forse si è voluto specificare / ribadire ancora che è necessaria l’espressa autorizzazione del giudice delegato anche per l’affidamento di incarichi a “società specializzate”.
L’art. 6 del decreto interviene anche sull’art. 107 l. fall. ovvero sulla modalità delle vendite.
Sicuramente opportuna è l’integrazione dell’art. 107, comma 1°, l. fall. dove si dispone che «le vendite e gli atti di liquidazione possono prevedere che il versamento del prezzo abbia luogo anche ratealmente».
Si richiamano poi norme del codice di procedura civile (artt. 569, comma 3°, terzo periodo; art. 574, comma 1°, secondo periodo; 587, comma 1°, secondo periodo) in materia di esecuzione ordinaria che prevedono oggi analoga possibilità.
L’ultima parte dell’art. 107, comma 1°, l. fall. prevede che: «[i]n ogni caso al fine di assicurare la massima informazione e partecipazione degli interessati il curatore effettua la pubblicità prevista dall’art. 490, comma 1°, c.p.c. almeno trenta giorni prima dell’inizio della procedura competitiva».
Ovvero, ai sensi dell’art. 490, comma 1°, c.p.c. che il curatore dovrà inserire «sul portale del Ministero della Giustizia in un area pubblica denominata “portale delle vendite pubbliche” un avviso contenente tutti i dati, che possono interessare il pubblico».
4. All’art. 108, comma 3°, l. fall. vengono aggiunti i seguenti periodi (si noti: ulteriori periodi, che riguardato anche fattispecie diverse, e non commi autonomi).
Si prevede che la chiusura del fallimento, per ripartizione finale dell’attivo, non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto a i quali il curatore mantiene la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell’art. 43 l. fall.
Una volta chiuso il fallimento – in deroga all’art. 35, che prevede la preventiva autorizzazione del comitato dei creditori – «anche le rinunzie alle liti e le transazioni sono autorizzate dal giudice delegato».
Le somme necessarie per le spese future ed eventuali oneri relativi ai giudizi pendenti, nonché le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi, e non ancora passati in giudicato, sono trattenute dal curatore nei modi stabiliti dal giudice delegato (in forza del richiamo all’art. 117, comma 2°, l. fall.).
Dopo la chiusura della procedura di fallimento, le somme ricevute dal curatore per effetto dei provvedimenti definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono fatte oggetto di riparto supplementare fra i creditori secondo le modalità disposte dal tribunale con il decreto di chiusura del fallimento.
E’ opportunamente precisato che «[i]n relazione alle eventuali sopravvenienze attive derivanti dai giudizi pendenti non si fa luogo a riapertura del fallimento».
E’ ovvio che la norma è dettata nell’ottica – come si legge nella bozza del disegno di legge di conversione – di rendere effettivamente possibile il completamento della liquidazione nel termine di due anni.
La soluzione proposta dal legislatore non è nuova perché è ripresa dall’art. 92, commi 7° e 8°, del Testo Unico Bancario, ed in particolare nella norma dedicata agli adempimenti finali della liquidazione coatta amministrativa delle banche.
5. Coerentemente con quanto previsto circa la possibilità di chiusura del fallimento in pendenza di giudizi è poi stato modificato l’art. 120 l. fall. (dedicato agli effetti della chiusura del fallimento) prevedendo che il giudice delegato e il curatore restano in carica ai soli fini della gestione della liti e dei successivi riparti.
Si tratta di un caso di ultrattività degli organi della procedura in deroga all’art. 120, comma 1°, l. fall.
La scelta del legislatore di far sì che l’ultrattività non riguardi anche il comitato dei creditori non era scontata.
Il comitato dei creditori viene richiamato in causa per esempio quando il fallito presenta un’istanza di esdebitazione nell’anno successivo alla chiusura del fallimento; in questo caso infatti l’esdebitazione può essere concessa dal tribunale solo dopo aver sentito il curatore, e appunto, il comitato dei creditori.
6. L’ultima pare del novellato art. 120 l. fall. fa una precisazione del tutto condivisibile e cioè dispone che qualora alla conclusione dei giudizi pendenti consegua, per effetto di riparti, il venire meno dell’impedimento all’esbebitazione di cui all’art. 142, comma 2°, l. fall. il debitore può chiedere di accedere al beneficio anche nell’anno successivo al riparto che lo ha determinato.
L’art. 142, comma 2°, l. fall. prevede che l’istanza di esdebitazione non possa essere accolta qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Si tratta del presupposto oggettivo dell’esdebitazione: il c.d. presupposto di risultato.
Devono essere pagati per intero i crediti prededucibili e le spese di procedura, in quanto i crediti concorsuali sono quelli sorti anteriormente alla dichiarazione di fallimento. Per il resto la condizione si verifica anche se risultano pagati parzialmente solo i creditori privilegiati, essendo del tutto indifferente se siano rimasti insoddisfatti i creditori chirografari.
Altro ovviamente è il problema, sotto il profilo concettuale, se si possa ritenere equivalente alla completa insoddisfazione dei creditori privilegiati un loro soddisfacimento pro forma, come dovrebbe essere anche in considerazione del contesto socio economico in cui la norma è chiamata ad operare.
Sia consentito osservare incidentalmente che, anche così come sopra interpretata, la norma è un indice testuale del fatto che nel nostro ordinamento c’è un principio immanente secondo il quale l’imprenditore deve far emergere la propria crisi quando si rende conto che non è reversibile (senza il ricorso agli istituti della legge fallimentare).
Dall’assenza di beni e/o crediti esigibili nel patrimonio del fallito – che non permettano neppure di neppure crediti prededucibili e le spese di procedura - la legge fa discendere la presunzione (assoluta) che il fallito abbia ritardato colpevolmente l’apertura della procedura; e quindi non meriti di accedere al beneficio dell’esdebitazione.
Altro riferimento testuale è ovviamente la disposizione che punisce l’imprenditore che ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento [art. 217, comma 1°, n. 4), l. fall.].
Tanto viene ricordato perché l’esigenza che la crisi emerga tempestivamente è immanente anche nel decreto che si commenta.
7. La prima cosa da osservare scendendo nell’esame della disciplina delle proposte concorrenti nel concordato preventivo è che le norme delle quali si dirà sono contenute nel capo II del decreto in esame che è intitolato: «Apertura alla concorrenza nel concordato preventivo».
L’intento che si propone il legislatore è sicuramente da approvare.
L’apertura alla concorrenza del concordato preventivo è sicuramente un’esigenza che bisognava soddisfare.
Il legislatore lo fa attraverso due istituti.
Il primo, seguendo l’ordine indicato dal provvedimento, è quello delle offerte concorrenti: si tratta dell’art. 2 del decreto che introduce nella legge fallimentare la disciplina espressa delle offerte concorrenti quando il piano di concordato «comprende una offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento a suo favore e verso un corrispettivo in denaro dell’azienda o di uno o più rami di azienda o di specifici beni».
Ovvero anche quando l’accettazione di detta offerta è oggetto di autorizzazione, nella fase del concordato in bianco, ai sensi dell’art. 161, comma 7°, l. fall. perché considerata atto urgente e di straordinaria amministrazione (e v. il nuovo art. 163 bis l. fall.).
Il secondo e diverso istituto del quale ci si occuperà è invece quello delle proposte concorrenti.
Il legislatore non introduce come fa per le offerte concorrenti una norma ad hoc: interviene sull’art. 163 l. fall.
Alla rubrica vengo aggiunte le parole «e proposte concorrenti», e la rubrica completa quindi diventa: «Ammissione alla procedura di concordato e proposte concorrenti».
Sotto il profilo della tecnica legislativa non è facile comprendere perché i due istituti (offerte e proposte concorrenti) vengono trattati in modo diverso, ma questo è ovviamente un problema di poco conto.
Si tratta della possibilità per i creditori di fare proposte di concordato preventivo che si sovrappongono a quella già presentata dal debitore.
Il legislatore non introduce quindi la possibilità per i creditori di presentare una domanda autonoma di concordato preventivo, magari in bianco, prima che lo abbia fatto il debitore in crisi, “provocandolo” ad affrontare la crisi o invitandolo a dimostrare di non essere, appunto, in crisi; “provocandolo” a depositare una domanda di concordato completa ovvero costringendolo a dimostrare che non ce n’è bisogno.
Non introduce quindi un meccanismo analogo a quello dell’istanza di fallimento, ma si limita a permettere – e solo a determinate condizioni - a fare proposte di concordato preventivo alternative a quella già depositata dal debitore.
Il meccanismo è analogo a quello previsto nel concordato fallimentare (art. 124 l. fall.); ma in quest’ultimo istituto la situazione è ben diversa da quella in esame.
Il concordato fallimentare interviene solo a fallimento già dichiarato e quindi in una situazione di esproprio del patrimonio del debitore già avvenuta; andrà quindi studiato, innanzi tutto, se l’istituto delle proposte concorrenti sia compatibile, nel suo complesso, con il dettato della nostra costituzione.
La possibilità che, quando l’impresa non si trova semplicemente in crisi, ma versi proprio in stato di insolvenza, la procedura di concordato preventivo possa essere promossa da terzi è invece contenuta – a quanto consta – nella bozza di legge delega messa a punto dalla c.d. “Commissione Rordorf”.
Si è già accennato commentando le disposizioni in tema di esdebitazione come dalle norme del decreto si possa evincere, tra le righe, la volontà del legislatore di fare emergere la situazione di crisi e non solo quindi, come si è detto nella premessa, di «promuovere la contendibilità delle imprese in concordato preventivo in modo da incentivare le condotte virtuose dei debitori in difficoltà».
In quest’ottica possono essere lette anche le norme rivolte a «rafforzare le disposizioni sull’erogazione di provvista finanziaria alle imprese in crisi» (art. 1); si vuole anticipare con certezza – certi orientamenti giurisprudenziali non erano nel senso indicato – il momento in cui l’impresa può accedere alla finanza prededucibile nelle more della preparazione della documentazione concordataria definitiva.
Ovviamente in questo modo si vogliono aumentare le prospettive di risanamento dell’impresa.
La nostra disciplina positiva non contiene molte disposizioni che invitino a far emergere tempestivamente la crisi, ma il sistema concorsuale nel suo complesso lo impone.
Il pensiero va ovviamente alla disciplina della bancarotta semplice; e, come si è detto, all’istituto dell’esdebitazione.
E forse vanno ascritte a questo orientamento anche le decisioni delle Sezioni Unite del 15 maggio 2015 n. 9935 e n. 9936 che hanno specificato come tra la domanda di concordato preventivo e l’istanza o la richiesta di fallimento ricorra, in quanto iniziative tra loro incompatibili e dirette a regolare la stessa situazione di crisi, un rapporto di continenza; e che alla contestuale pendenza di procedura per la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore e della sua domanda di concordato preventivo avanti il medesimo tribunale deve conseguire la riunione dei due procedimenti ai sensi dell’art. 273 c.p.c.
Anche la disciplina delle proposte concorrenti sembra orientata in questa direzione: la possibilità di offerte concorrenti per le domande di concordato che non assicurino il pagamento, ancorché dilazionato, del 40% del chirografo, dovrebbe rappresentare un incentivo per il debitore a fare emergere la propria crisi.
8. L’obiettivo dichiarato dal legislatore con riferimento alle proposte concorrenti – come dice bozza di relazione alla legge di conversione – è quello «di massimizzare la recovery dei creditori concordatari e di mettere a disposizione dei creditori concordatari [stessi] una proposta ulteriore rispetto a quella di accettare o rifiutare il blocco la proposta del debitore».
Sempre dalla medesima bozza si ricava che gli obiettivi che il provvedimento vuole raggiungere sono anche:
a) quello di «offrire ai creditori strumenti per impedire che il debitore presenti proposte che non rispecchiano il reale valore dell’azienda (appropriandosi, così, integralmente del surplus di ristrutturazione, ossia del maggior valore creato dalla riorganizzazione rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare), anche quando ai creditori non sia offerta l’integrale soddisfazione dei loro crediti, benché riscadenzati»;
b) quello di creare i presupposti perché si formi un mercato dei distressed debt (già da tempo sviluppatosi in altri Paesi tra cui in particolare gli Stati Uniti d’America).
Eventuali investitori interessati a compiere un’operazione di acquisto e risanamento dell’impresa per poter presentare una proposta alternativa devono comprare crediti per un valore pari almeno al 10%. E se l’investitore vuole assicurarsi il successo della proposta la percentuale dei crediti deve essere tendenzialmente molto maggiore;
c) quello di consentire ai creditori, o ovviamente ad altri imprenditori che acquistino crediti vero l’impresa in crisi, di presentare al ceto creditorio proposte alternative qualora ritengano di poter gestire meglio l’attività e siano disponibili ad immettere nuovi capitali.
9. Con le modifiche all’art. 163 l. fall. vengono aggiunti commi successivi al secondo prevedendo che:
a) sono ammissibili proposte di concordato concorrenti o alternative, quando la proposta di concordato del debitore non assicura il pagamento, ancorché dilazionato, di almeno il 40% dell’ammontare dei crediti chirografari;
b) la proposta concorrente può essere presentata da uno o più creditori che lo siano diventati anche per effetto di acquisti successivi alla presentazione della domanda di concordato completa;
c) la proposta concorrente deve essere corredata anche con il piano;
d) la relazione dell’attestatore sulla proposta concorrente «può essere limitata alla fattibilità del piano per gli aspetti che non siano già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale, e può essere omessa qualora non ve ne siano»;
e) i/il creditori/e, che presentano la proposta alternativa, devono rappresentare «almeno il 10% dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale» allegata alla domanda di concordato completa;
f) ai fini del computo del 10% «non si considerano i crediti della società che controlla la società debitrice, della società da questa controllate e di quelle sottoposte a comune controllo»;
g) la proposta di concordato concorrente può prevedere l’intervento di terzi;
h) se il debitore ha la forma di società per azioni o a responsabilità limitata «può prevedere un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto di opzione».
La soglia del 10% di cui si è detto dovrebbe avere una funzione di filtro per le iniziative non rilevanti che rischiano solo di appesantire la procedura.
Sotto il profilo sistematico nella disciplina dell’aumento di capitale reale, quello con il quale la società intende procurarsi nuovi mezzi finanziari, a titolo di capitale di rischio, ovvero nuovi conferimenti, c’è oggi quindi una nuova causa di esclusione (o limitazione) del diritto di opzione che entrerà nei manuali a fianco: a) dell’esclusione del diritto di opzione per il caso in cui le azioni debbano essere liberate mediante conferimenti in natura; b) della limitazione od esclusione «quando l’interesse della società lo esige» (art. 2441, comma 5°, c.c.); c) dell’esclusione statutaria in caso di società quotate (art. 2441, comma 4°, c.c.); d) dell’esclusione nel caso in cui le azioni debbano essere sottoscritte da dipendenti.
10. Sotto il profilo procedimentale:
a) si è portato a cento venti giorni il termine (oggi, solo sulla carta, di trenta) per la convocazione dei creditori da parte del tribunale;
b) nei trenta giorni antecedenti all’adunanza, è possibile per i creditori presentare proposte concorrenti;
c) i creditori che presentano una proposta di concordato concorrente hanno diritto di voto sulla medesima solo se collocati in una apposita classe;
d) secondo i principi generali, che non vengono derogati, qualora la proposta concorrente preveda diverse classi di creditori, prima di essere comunicata ai creditori stessi, «deve essere sottoposta al giudizio del tribunale che verifica la correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi».
La necessità che i creditori, che presentano la proposta concorrente, siano collocati in una apposita classe rileva soprattutto ai fini delle opposizioni in sede di omologa (art. 180, comma 4°, l. fall.). Per facilitare cioè la creazione di classi dissenzienti e quindi la presenza di creditori che, ulteriormente, possano contestare la convenienza della proposta concordataria; e permettere al tribunale di omologare il concordato solo qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore alle alternative concretamente praticabili.
11. Si interviene anche sulla disciplina dedicata all’organo che ha funzioni di vigilanza:
a) il commissario giudiziale è tenuto a fornire ai creditori, che in modo serio si propongono di presentare delle proposte concorrenti e che ne fanno richiesta, «le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti, sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore, nonché ogni altra informazione rilevante in suo possesso»; il tutto valutata la congruità della richiesta medesima e previa assunzione di opportuni obblighi di riservatezza;
b) per evitare manifestazioni di interesse puramente strumentali, e quindi per impedire anche che in questa fase vengano richieste informazioni solo al fine di preparare, da subito, una richiesta di concordato fallimentare, si prevede che per il soggetto – che chiede informazioni – vi siano le stesse limitazioni imposte dall’art. 124, comma 1°, ultimo periodo, l. fall., in quanto compatibili;
c) il commissario deve oggi redigere l’inventario e depositare la relazione almeno 45 giorni prima dell’adunanza dei creditori;
d) nel caso in cui vengano presentate proposte concorrenti, nel termine di trenta giorni anteriori all’adunanza, il commissario integra la sua relazione e la deposita entro i dieci giorni prima dell’adunanza dei creditori;
e) la relazione integrativa del commissario – sulle proposte concorrenti - «contiene, di regola, una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte depositate»;
f) in considerazione del fatto che tutte le proposte, ivi compresa quella del debitore, possono essere modificate fino a quindici giorni prima dell’adunanza dei creditori, l’ultima relazione del commissario, da depositarsi entro dieci giorni prima dell’adunanza, dovrebbe permettere un voto consapevole;
g) si prevede, in ogni caso, che il commissario rediga una relazione integrativa «qualora emergano informazioni che i creditori devono conoscere ai fini del voto» e che non sono ovviamente già state comunicate.
Il fatto che il commissario debba depositare la sua relazione 45 giorni prima dell’adunanza è ovviamente funzionale anche alla possibilità per i creditori di presentare una proposta alternativa (avvalendosi pure della relazione del commissario); tanto perché in caso di presentazione di proposte alternative non è prevista la fissazione di una nuova udienza.
12. Con riferimento alla discussione della proposta di concordato (art. 175 l. fall.) è da osservare che:
a) nell’adunanza dei creditori oggi il commissario non illustra più ovviamente solo la sua relazione e la proposta definitiva del debitore «ma anche quelle eventualmente presentate dai creditori ai sensi dell’art. 163, quarto comma», di cui abbiamo detto sopra; quelle alternative o concorrenti;
b) «[c]iascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o convenienti le proposte di concordato e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti»;
c) il debitore «può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o fattibili le eventuali proposte concorrenti»;
Le varie proposte di concordato sono sottoposte al voto seguendo l’ordine temporale del loro deposito e quindi ovviamente si inizierà sempre dalla proposta del debitore.
Viene poi, come si è già accennato, abrogato l’attuale art. 175, comma 2°, l. fall. ovvero la norma che prevedeva la possibilità di modificare la proposta di concordato fino all’inizio delle operazioni di voto.
L’abrogazione è da salutare con favore: il termine così come precedentemente concepito non permetteva, tra l’altro, spesso di prendere consapevolmente le decisioni essendo previsto che la proposta fosse modificata fino all’ultimo momento.
Questo non vuole però dire che la proposta di concordato non sia più modificabile nella nuova disciplina: le proposte di modifica della domanda di concordato – tutte e quindi ovviamente anche quella proposta dal debitore – possono essere modificate fino a 15 giorni prima dell’adunanza dei creditori (172 l. fall.).
Il tema meriterebbe ulteriore approfondimento, ma forse oggi bisogna ritenere che anche le rinunce alla domanda di concordato debbano formularsi entro il termine di 15 giorni precedenti all’adunanza dei creditori.
E’ ovvio che la presentazione di più proposte non può che portare ad una dispersione dei voti (o dei “non voti”); secondo la nuova disciplina:
a) quando sono poste al voto più proposte di concordato si considera approvata la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto;
b) in caso di parità, prevale quella del debitore;
c) in caso di parità fra proposte di creditori quella presentata prima;
d) quando nessuna delle proposte concorrenti (e quindi non quella del debitore) sia stata approvata con le maggioranze di cui sopra, il giudice delegato rimette al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto.
La norma non è chiara e sembra dover essere interpretata nel senso che, ove siano previste diverse classi di debitori, il concordato è approvato in ogni caso se la maggioranza si verifica – non solo con riferimento ai crediti ammessi al voto – ma anche (ex art. 177, comma 1°, l. fall.) nel maggior numero di classi.
Si tenga presente che è molto probabile che in caso di proposte alternative le classi ci siano spesso, o quasi sempre, perché i creditori che presentano una proposta di concordato concorrente hanno diritto di voto sulla medesima solo se collocati in apposita classe.
13. Rimaneva da risolvere il problema dell’esecuzione materiale di un piano di concordato diverso da quello predisposto dal debitore; il tutto ovviamente tenendo conto del fatto che detto piano alternativo è probabile non sia gradito al debitore.
Si interviene quindi sull’art. 185 l. fall. prevedendo che «[i]l debitore è tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato presentata da uno o più creditori, qualora sia stata approvata e omologata».
Qualora il debitore non adempia a tale obbligo, il tribunale, su istanza del commissario giudiziale e – sentito il debitore – «può attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore al compimento degli atti a questo richiesti».
Parimenti «[i]l soggetto che ha presentato la proposta di concordato approvata e omologata dai creditori può denunciare al tribunale i ritardi e le omissioni da parte del debitore».
Ancora una volta il tribunale potrà attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere, in luogo del debitore, al compimento degli atti a questo richiesti.
Il commissario giudiziale quindi si trasforma in determinate circostanze da organo di vigilanza ad organo con funzioni gestorie; la scelta è inopportuna.
La figura del commissario giudiziale da questa riforma esce in parte modificata.
Ai suoi tradizionali doveri / poteri di vigilanza, di informazione, di consulenza (si pensi al parere motivato sull’omologazione: art. 180 l. fall.), di impulso (si pensi alla possibilità di richiedere l’annullamento del concordato); se ne aggiungono altri di amministrazione attiva (con riferimento quantomeno alla disciplina delle proposte concorrenti): è possibile che la figura del commissario giudiziale vada ristudiata se il decreto verrà convertito così com’è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Fermo restando il disposto di cui all’art. 173 l. fall., si prevede poi che nel caso in cui l’impresa abbia natura societaria il tribunale possa revocare l’organo amministrativo e – sentiti in camera di consiglio il debitore e il commissario giudiziale – nominare un amministratore giudiziario attribuendogli tutti i compiti necessari a dare esecuzione alla proposta.
Quando il concordato è liquidatorio, o ha aspetti liquidatori e quindi è stato nominato un liquidatore giudiziale, quest’ultimo può essere nominato amministratore giudiziario.
La norma riporta alla mente il disposto di cui all’art. 2409 c.c. ed è analoga a soluzioni già presenti in Germania, Spagna e Francia. E’ ovviamente opportuna affinché le proposte concorrenti possano trovare concreta attuazione.
Sia permesso ripetere che con la riforma il tribunale, con il decreto con il quale dichiara aperta la procedura di concordato preventivo (art. 163, comma 2°, n. 2, l. fall.) – quello con il quale viene organizzata l’attività successiva -, non deve più ordinare la convocazione dei creditori «non oltre trenta giorni» dalla data del provvedimento (termine ritenuto dai più ordinatorio) ma, oggi, non oltre centoventi giorni (quattro mesi).
Il legislatore non è però intervenuto sull’art. 181 l. fall. che, pur prevedendo anch’esso un termine ordinatorio, com’è noto dispone che l’omologazione del concordato preventivo deve intervenire nel termine di sei mesi dal deposito della domanda (completa) ai sensi dell’art. 161 l. fall. e che il termine può essere prorogato dal tribunale per una sola volta e di sessanta giorni.
14. Sia consentita, da ultimo, una parziale digressione.
L’art. 4 del decreto si occupa dell’integrazione del contenuto della proposta di concordato aggiungendo all’art. 161, comma 1°, lett. e), l. fall. la necessità che la domanda di concordato contenga non solo «un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta», ma adesso anche espressamente la previsione che «;in ogni caso, la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile procurata in favore di ciascun creditore».
Si aggiunge alla lett. e) e cioè a quanto già previsto dal c.d. “Decreto Sviluppo” (d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134) anche che, in ogni tipo di concordato, la proposta deve indicare l’utilità per ciascun creditore.
Non è corretto ritenere che la disposizione riguardi il vantaggio che la proposta concordataria procura quale alternativa alla liquidazione fallimentare.
Il legislatore ha voluto invece prevedere che il debitore indichi espressamente la percentuale di pagamento, quando il pagamento di somme di denaro sia contenuta nella proposta.
La disposizione vuole probabilmente superare la decisione di Cass., s.u., 23 gennaio 2013, n. 1521, e ovviamente la disposizione andrà studiata anche in relazione alla disciplina della risoluzione del concordato.
La scelta non era imposta dall’evoluzione del sistema come potrebbe, in prima battuta, apparire e come è stato già sostenuto.
Si è previsto che «la presentazione di proposte di concordato concorrenti è consentita solo qualora la proposta di concordato del debitore non contenga l’impegno al pagamento, ancorché dilazionato, di almeno il quaranta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari».
La disposizione appena richiamata avrebbe potuto consentire domande di concordato che non contenevano l’indicazione precisa di una la percentuale di pagamento; semplicemente sarebbero state domande che si esponevano al rischio delle proposte concorrenti.
Una volta intrapresa la strada sopra indicata, sotto il profilo sistematico, era necessario ovviamente usare il termine di utilità (o altro termine analogo), come è stato fatto, e non solo di percentuali di denaro; perché, è ovvio, così si comprende la possibilità che il concordato indichi, appunto, la corresponsione di altre utilità (datio in solutum, attribuzione di azioni, obbligazioni ecc. …).
* Si tratta dell’intervento svolto il 17 luglio 2015 a Modena, presso la Camera di Commercio, al convegno dedicato a Le misure urgenti in materia fallimentare introdotte dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83; le osservazioni si riferiscono quindi al testo del decreto legge precedente alla sua conversione.
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