Bancario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 22/04/2015 Scarica PDF

La disciplina del prestito vitalizio ipotecario

Andrea Bulgarelli, Avvocato in Modena



Sommario:  1. L’istituto nato due volte. - 2. Il nuovo contratto tipico e le sue varianti. -  3. l’eventuale fase esecutiva. - 3.1. La superfluità di un titolo esecutivo contro il soggetto finanziato. - 3.2. Il potere del finanziatore di vendere l’immobile. - 3.3.  La spendita del nome e la trascrizione contro. - 3.4. La dichiarazione di successione. - 3.5. La tutela dell’acquisto del terzo dall’evizione. - 3.5.1. La deroga all’art. 2652, comma 1, n. 7. - 3.5.2. La deroga all’art. 2652, comma 1, n. 8. - 3.6. L’esecuzione per rilascio dell’immobile ipotecato e poi venduto. - 4. Conclusioni


     

§ 1. L’istituto nato due volte

Il prestito vitalizio ipotecario era già previsto dall’articolo 11 quaterdecies, comma 12, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248 (c.d. legge finanziaria 2006).

Il testo all’epoca in vigore stabiliva che esso avesse ad oggetto la concessione, da parte di aziende ed istituti di credito e di intermediari finanziari regolamentati dal D.lgs. n. 385 del 1993 (Testo Unico Bancario - T.U.B.), di finanziamenti a medio e lungo termine con capitalizzazione annuale di interessi e spese, e rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza, assistiti da ipoteca di primo grado su immobili residenziali, riservati a persone fisiche con età superiore ai sessantacinque anni compiuti.

L’istituto delineato consisteva, nella sostanza, in una forma di finanziamento garantito da una proprietà immobiliare residenziale, che consentiva al proprietario di convertire parte del valore dell’immobile in contanti al fine di soddisfare esigenze di liquidità, senza che lo stesso fosse tenuto a lasciare l’abitazione ovvero a ripagare il capitale e gli interessi sul prestito fino alla scadenza del contratto.

Di fatto, tale norma, più che disciplinare l’istituto del prestito vitalizio ipotecario, si limitava ad una sua mera descrizione, priva di alcuna disposizione operativa.

Forse proprio per tale motivo il provvedimento non è stato sufficiente a promuovere l’avvio ed il regolare sviluppo dell’operatività bancaria su questa nuova tipologia di prodotto.

L'articolo unico della legge 2 aprile 2015 n. 44 (pubblicato nella G.U. del 21 aprile 2015), supplendo a tale iniziale carenza normativa, ha modificato il predetto articolo, aggiungendovi anche i commi da 12 bis a 12 sexies.

La vera “data di nascita” del contratto tipico di prestito vitalizio ipotecario può dunque essere considerata solo quella dell’introduzione della sua disciplina, ovvero il 2 aprile 2015 (se non quella della sua entrata in vigore e quindi il 6 maggio 2015).

Anche la nuova disciplina, causa la sua sinteticità e lacunosità, fa tuttavia insorgere diverse perplessità e lascia irrisolti alcuni interrogativi resi ancor più gravi dal fatto che essa appare coinvolgere o derogare a diversi principi fondamentali del sistema di diritto italiano (non a caso si tratta di un prodotto sorto in terra anglosassone).

   

§ 2. Il nuovo contratto tipico e le sue varianti

Concretamente il prestito ipotecario vitalizio è strutturato in modo da offrire al mutuatario la disponibilità di una certa liquidità con un termine di adempimento dell’obbligo di rimborsarla coincidente normalmente con la sua morte e con la possibilità per i suoi eredi di recuperare l’immobile ipotecato in garanzia rimborsando il credito alla banca.

Pare dunque un’alternativa per i proprietari di immobili abitativi che intendano ricorrere al credito alla vendita della nuda proprietà con riserva dell’usufrutto vita natural durante.

Rispetto a tale tipologia contrattuale il nuovo contratto è privo di quelle che ne vengono ritenute le sue criticità costituite dal fatto che:

a) con esso si trasferisca definitivamente la proprietà dell’immobile, impedendo agli eredi in futuro (e allo stesso anziano) qualsiasi forma di esercizio del diritto riscatto e/o riacquisto;

b) l’immobile venga venduto ad un prezzo calcolato in base alla prospettiva di vita del venditore, impedendo di godere di ogni futura potenziale rivalutazione del prezzo di mercato.

Il nuovo testo dell’art. 12 precisa che il prestito vitalizio ipotecario ha ad oggetto un finanziamento a medio o lungo termine concesso da banche, nonché da intermediari finanziari di cui all'articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (T.U.B.).

La legge non prevede alcuna modalità di erogazione del finanziamento, per cui si può pensare che possa essere concesso in un’unica soluzione, o sotto forma di rendita periodica.

Un tale accesso al credito è riservato, ora, alle persone fisiche di età superiore ai sessant’anni e non più dunque solo agli over sessantacinque.

Come prima, deve intendersi ulteriormente limitato a quanti tra essi siano proprietari di un immobile a destinazione residenziale, data l’espressa previsione che la garanzia del mutuante debba essere costituita da un’ipoteca di primo grado solo su tale tipologia di bene.

Pare altresì che tale diritto reale di garanzia possa gravare un solo immobile (con relative pertinenze ex art. 818, comma 1, c.c.) dato che il comma 12 quater prevede un divieto d’iscrizione contemporanea su più immobili di proprietà del finanziato.

Non è peraltro precisato che debba necessariamente essere quello abitato dal mutuatario, anche se la funzione dell’istituto parrebbe richiederlo.

Sono state previste due varianti del finanziamento.

La prima prevede la capitalizzazione annuale di interessi e di spese.

È infatti stabilito che gli interessi e le spese relative siano capitalizzati periodicamente sul finanziamento originario e rimborsati, unitamente al capitale, alla data di decesso del mutuatario.

Si tratta di una deroga implicita all’art. 1283 c.c. secondo cui gli interessi anatocistici (o composti), in mancanza di usi contrari, possono a loro volta produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti da almeno sei mesi.

Al creditore non è infatti normalmente consentito, pretendere gli interessi composti, nel senso che quelli maturati in ciascun anno siano aggiunti alla somma dovuta per capitale e che gli interessi dovuti per ogni anno successivo siano computati sulla somma dovuta per capitale maggiorato degli interessi maturati nell'anno precedente.

L’apertura della successione del soggetto finanziato costituisce il termine di adempimento (artt. 1183-1184 c.c.) dell’obbligo di rimborso del finanziamento.

Nel corso della durata del prestito e fino alla morte del mutuatario nulla è dovuto alla banca.

Ne consegue che vivente il mutuatario, ove lo stesso, come si dirà tra breve, non decada dal suindicato termine per l’adempimento, non v’è alcuna possibilità di insolvenze relative al finanziamento.

Non è pertanto previsto alcun piano di ammortamento. Tuttavia l’associazione bancaria italiana e alcune associazioni dei consumatori hanno sottoscritto il 27 giugno 2014 un protocollo di intesa volto a sensibilizzare gli operatori a tener conto di alcuni principi di tutela del consumatore nell’offerta del prestito ipotecario vitalizio da disciplinarsi a livello contrattuale. Tra questi v’è anche quello che prevede l’opportunità, a fini di una sua maggiore comprensione e consapevolezza in merito alle caratteristiche del finanziamento che, in fase precontrattuale, sia fornito al mutuatario sia consegnata un’informativa dettagliata che rappresenti il prospetto degli importi, inclusivi di capitale, interessi ed eventuali oneri e spese che devono essere rimborsati, prendendo in considerazione un arco temporale di almeno dieci anni.

La seconda variante del contratto consente al soggetto finanziato di optare, in sede di stipula del finanziamento, per un rimborso graduale, in vita, della quota di interessi e delle spese, senza alcuna loro capitalizzazione. Rimane invece fermo il termine di adempimento, per il rimborso del capitale e dell’eventuale residua quota di interessi e spese, alla morte del soggetto finanziato o al verificarsi di uno degli eventi previsti dal comma 12.

Non essendo più previsto in tale variante un unico termine di adempimento finale, ma anche più termini parziali, è previsto che il contratto possa essere risolto ai sensi in virtù dell’art. 40, comma 2 del T.U.B. (decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385) per il ritardato pagamento delle rate (effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata) verificatosi almeno sette volte, anche non consecutive.

Per entrambe le fattispecie è tuttavia previsto che il finanziato decada da ogni termine di adempimento e il contratto si risolva qualora egli trasferisca, in tutto o in parte, la proprietà o altri diritti reali, o costituisca diritti di godimento o reali di garanzia sull'immobile ipotecato, oppure compia altri atti che ne riducano, comunque, significativamente il valore (su cui vedi infra).

La norma rinvia ad un successivo regolamento del Ministro dello sviluppo economico, da adottarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge, l’individuazione dei sopra accennati casi e formalità che siano ritenute tali da comportare una riduzione significativa del valore di mercato dell'immobile concesso in garanzia.

Nulla peraltro si dice sul se e come tali atti, stante l’ipoteca di primo grado iscritta in favore del finanziatore, possano concretamente pregiudicarne il diritto e la capacità di vendere l’immobile per il caso di inadempimento all’obbligo di rimborso di quanto dovutogli.

Sul punto infatti pare costituire una sufficiente tutela l’art. 2812 c.c.

         

§ 3. L’eventuale fase esecutiva

3.1. La superfluità di un titolo esecutivo contro il soggetto finanziato

La forma del contratto di finanziamento, considerata l’esigenza di iscrivere l’ipoteca dovrà essere quella dell’atto pubblico o della scrittura autenticata.

La banca potrebbe dunque contare su di un titolo esecutivo previsto dall’artt. 474, comma 2, nn. 2 e 3, c.p.c.

Ciononostante, non è nemmeno necessario un titolo esecutivo per procedere all’espropriazione dell’immobile ipotecato in quanto, per il caso di mancato rimborso del prestito, è stata prevista dal legislatore una deroga alle regole previste in materia di esecuzione forzata immobiliare (articoli 555 e ss. c.p.c.).

Analogamente a quanto stabilito dall’art. 502, comma 1,  c.p.c. per poter procedere a tale forma  di vendita coattiva privata non è, infatti, necessario procedere al pignoramento dell’immobile.

Non è nemmeno necessario provvedere ad alcuna forma di pubblicità non essendo prescritto, come per le ipotesi previste dagli artt. 1515 e 1516 c.c., l’obbligo di annunziare la vendita con le forme della pubblicità commerciale (art. 83 disp. att. c.c.).

Del resto la vendita in esame può svolgersi a trattativa privata e non è stabilito che essa debba essere eseguita tramite persone autorizzate (come prevede dall’art. 83 disp. att. c.c.), ovvero, in mancanza, a cura dell’ufficiale giudiziario, anche se pare che nulla lo vieti.

Il procedimento previsto costituisce di fatto una nuova forma di autotutela esecutiva unilaterale concessa al privato, al di fuori del controllo giurisdizionale, e senza che occorra il possesso di un titolo esecutivo.

Essa si sviluppa sulla base della sola iniziativa del creditore ipotecario.

Il controllo giurisdizionale è del tutto eventuale dovendo ritenersi poter intervenire, solo incidentalmente, allorché il debitore proponga opposizione. Per il resto si può precedere alla vendita senza sua alcuna successiva autorizzazione e la stessa si svolge, a cura ed istanza del creditore che, all’esito, può trattenere il netto ricavo della liquidazione, senza chiederne l’attribuzione al giudice.

In quanto tale si avvicina, vagamente, a quanto già previsto dagli artt. 1515 e 1516 c.c. per la vendita di cose mobili.

Si tratta, infatti, di fenomeni regolati dalla legge sostanziale che consentono di conseguire risultati analoghi a quelli realizzabili con l’esecuzione forzata ma che trovano la propria fonte in rapporti di tipo negoziale.

Ogni eventuale contestazione deve comunque ritenersi pur sempre ammissibile, in sede giudiziale, nelle forme delle opposizioni esecutive. Il controllo del giudice dell'esecuzione, dunque, lungi dall'essere stato obliterato è dunque semmai solo eventuale e successivo.

 

3.2. Il potere del finanziatore di vendere l’immobile

Come accennato, qualora il finanziamento non sia integralmente rimborsato entro dodici mesi dal verificarsi di uno degli eventi di cui al comma 12 dell'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 il finanziatore potrà provvedere direttamente alla vendita dell'immobile ad un valore pari a quello di mercato, determinato (art. 1349 c.c.) da un perito indipendente incaricato dal finanziatore[1], utilizzando le somme ricavate per estinguere[2] il credito vantato in dipendenza del finanziamento stesso.

Trascorsi ulteriori dodici mesi senza che si sia riusciti a vendere l’immobile è previsto un ribasso del prezzo del quindici per cento e così via per ogni dodici mesi successivi.

La parte del prezzo eventualmente ricavato dalla vendita eccedente il capitale residuo del finanziamento è destinata agli eredi o al soggetto finanziato nel caso in cui egli sia decaduto dal termine.

Tale previsione consente di poter beneficiare dell’eventuale andamento positivo dei prezzi dell’immobile e, unitamente a quella che prevede che il prezzo di vendita debba essere quello di mercato siccome determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore, costituisce di fatto un patto marciano[3] volto ad evitare in radice pericolose interferenze col divieto del patto commissorio[4] (art. 2744 c.c.).

Del patto o clausola marciana[5] possiede infatti la caratteristica tipica costituita dalla previsione che, nella sostanza dell'operazione economica, il debitore possa eventualmente perdere la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell'inadempimento, perché il surplus gli sarà senz'altro restituito[6].

Essa permette la verifica di congruenza tra valore del bene oggetto della garanzia e poi di vendita ed entità del credito scongiurando che la sua attuazione coattiva privata avvenga senza alcun controllo dei valori patrimoniali in gioco.

Il legislatore non ha invece previsto espressamente che il finanziatore, o altra società appartenente alla sua "cerchia economica"[7] non possa acquistare il bene.

Benché l’istituto del prestito vitalizio sia ora disciplinato per legge e se ne debba pertanto ritenere l’indiscutibile legittimità, ed oltretutto preveda anche la determinazione del prezzo della vendita ad opera di un terzo, che potrebbe già di per sé escludere la possibilità di un conflitto di interessi[8], una previsione in tal senso sarebbe tuttavia oltremodo apparire opportuna nell’ottica di allontanare dalla figura ogni sospetto di frode al patto commissorio e ipotesi d'annullabilità.

Contro il rischio, invece, riveniente da un eventuale deprezzamento del valore dell’immobile che potrebbe non essere sufficiente a rimborsare interamente il prestito è stabilito (12 quater,comma 2, penultimo periodo) che il valore del debito da restituire non possa essere mai superiore al valore dell’immobile venduto, al netto delle spese sostenute.

Tale disposizione è volta ad evitare di lasciare agli eredi un importo da rimborsare superiore a quello ricavabile dalla vendita della proprietà ipotecata e di fatto costituisce una sorta di CAP rate indiretto, esteso però anche al capitale.

La legge nulla dice sul meccanismo in base al quale la banca possa vendere l'immobile ipotecato in suo favore.

Mi pare da escludere che lo faccia in qualità di proprietaria dato che non è previsto alcun passaggio automatico di proprietà in suo favore, che rischierebbe di cozzare, tra l'altro, anche col già citato divieto del patto commissorio.

L’ipotesi più plausibile pare dunque quella che essa vi provveda in nome e per conto[9] dell'esecutato[10] a ciò legittimata da un mandato gratuito[11] ad alienare (eventualmente anche post mortem[12]) in rem propriam (art. 1723, comma 2, c.c.)[13] previsto implicitamente dalla legge istitutiva del prestito ipotecario.

Il silenzio del legislatore in merito non sembra però escludere, ma anzi consigliare per evidenti ragioni di riservatezza, che il mandato a vendere e la relativa procura vengano conferiti con atto o addirittura con atti distinti e separati, ma necessariamente collegati, invece che all'interno del contratto di finanziamento.

La vendita potrà essere disposta decorsi i termini previsti dal comma 12 e quindi non solo per il caso di decadenza dal termine di adempimento, ma anche nel caso di morte del soggetto finanziato.

Il che appare perfettamente conforme a quanto previsto dall’art. 1723, cpv., c.c. secondo il quale:

“Il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi […]; non si estingue per la morte […] del mandante”.

Gli effetti del mandato si verificheranno dunque in capo al mandante-debitore, benchè defunto, in forza della c.d. ultrattività del mandato in rem propriam e quindi della sua insensibilità all’evento normalmente estintivo della morte del mandante.

La stessa Suprema Corte ha ritenuto che anche al mandato con rappresentanza sia applicabile l’art. 1723, comma 2, c.c., non essendo il mandato con rappresentanza l'unione di due negozi distinti e scindibili (il mandato e la procura), bensì una figura autonoma e a sé stante, alla quale sono applicabili non solo le norme sulla rappresentanza, ma anche quelle sul mandato, ai sensi dell'art. 1704 c.c.[14]

Si tratta del resto di una conclusione quasi obbligata, ove si consideri il rapporto d’inscindibile funzionalità che si crea nel caso specifico tra mandato e procura, tale da impedire l'autonoma sopravvivenza dell'uno senza il persistere dell'altra.

Anche la dottrina[15], unitamente alla giurisprudenza di legittimità[16] ha ammesso la configurabilità di una procura in rem propriam, cioè di un atto di conferimento di poteri rivolto ai terzi, ma caratterizzato dalla presenza di un interesse diretto del rappresentante a concludere il negozio per il cui compimento è conferito il potere di rappresentanza, di fatto estendendo a detta forma di procura l’irrevocabilità stabilita specificamente per il mandato dall'art. 1723, comma 2, c.c.

Inquadrare il potere del finanziatore di vendere il bene in un mandato con rappresentanza in rem propriam consentirebbe d’evitare le problematicità della diversa figura del mandato a vendere un immobile senza rappresentanza.

Accanto all’incarico di vendere l’immobile, sarebbe infatti necessario che il soggetto finanziato ne trasferisse la proprietà al finanziatore sotto la condizione sospensiva con effetto ex nunc[17] dell'esecuzione dell’incarico, onde dotarlo dei mezzi a ciò necessari[18]; attuando così, in via convenzionale, una delle ricostruzioni[19] più accreditate del mandato a vendere senza rappresentanza.

Ciò che implicherebbe non solo elevati costi fiscali ricollegabili al doppio passaggio di proprietà, ma anche qualche dubbio ricollegabile alle dispute dottrinarie[20] sull’ammissibilità della condizione di adempimento, oltre al timore[21] di una maggiore vicinanza di tale ricostruzione negoziale al patto commissorio.

Non appare dunque opportuno ricorrere ad un tale inquadramento del meccanismo in base al quale potrà essere venduto il bene del finanziato.

Il comma 12 quater prevede, poi, che il potere di vendere l’immobile possa essere “conferito” dal finanziatore all'erede (previo accordo in merito) affinché vi provveda entro il termine di dodici mesi.

Non è ben chiaro quale inquadramento giuridico della vicenda abbia tenuto presente il legislatore.

Nell’esecuzione di un mandato in rem propriam dopo la morte non pare nemmeno astrattamente configurabile un conferimento da parte del mandatario del potere gestorio in favore degli eredi  dato che:

“la coincidenza dei mandatari con gli eredi necessariamente implica la riferibilità della loro volontà negoziale all'assorbente posizione di successori, ormai ostativa ad una contrattazione in nome e per conto del proprietario”[22].

Il proprietario mandante o il suo erede, non perdono del resto mai, fino all’eventuale esecuzione dell’incarico conferito, il potere di disporre del bene oggetto del mandato, valendo clausola di irrevocabilità solo nei rapporti interni.

Il conferimento del mandato ad alienare, anche se in rem propriam, non comporta infatti di per sé,  alcuna limitazione ai poteri dispositivi[23] del mandante, come dimostrano le ipotesi di decadenza dal termine di adempimento previste al comma 12.

Di conseguenza prima del compimento del negozio gestorio da parte del mandatario, il mandante potrebbe anche efficacemente trasferire a terzi il medesimo bene e tale trasferimento importerebbe semmai solo revoca tacita del mandato ex art. 1724 c.c.[24] dato che la sua esecuzione sarebbe divenuta oggettivamente impossibile.

Pare quindi da escludersi che il finanziatore e l’erede del debitore possano concludere un contratto di (sub) mandato in forza del quale il potere di vendere l’immobile passi a quest’ultimo che dovrebbe provvedervi entro il termine di dodici mesi.

Il riferimento al “conferimento” può quindi forse solo riferirsi ad un accordo autorizzativo in virtù del quale le parti stabiliscano:

a) che alla vendita dovranno provvedere, nel termine di dodici mesi e al prezzo stabilito dal perito, gli eredi;

b) che il finanziatore verrà pertanto autorizzato a soprassedervi entro il medesimo limite temporale;

c) che quest’ultimo, ove gli eredi reperiscano un acquirente, rilascerà l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca iscritta in suo favore.

Il termine “conferimento” pare non potersi invece riferire all’immobile dato che:

- la successione non determina affatto un “conferimento” (termine che evoca un negozio giuridico) dell’immobile all’erede bensì un subentro nella proprietà dello stesso;

- riferire il termine di dodici mesi alla data di apertura della successione (e dal “conferimento” dell’immobile) e ritenere che il potere dell’erede sia circoscritto in tale ambito temporale sarebbe incoerente con l’uguale termine di adempimento fissato dall’articolo 12 rischiando di rendere di fatto inapplicabile tale possibilità.

Ritenere inoltre che il legislatore abbia previsto un’ipotesi di mandato con rappresentanza in favore del finanziatore non è senza conseguenze anche in ordine all'individuazione del soggetto tenuto alle garanzie di legge per i vizi e l'evizione che certamente, per le finalità dell’istituto, non si sono volute addossare al soggetto erogatore del credito[25].


3.3.  La spendita del nome e la trascrizione contro

Nel caso in cui il mandato irrevocabile conferito al finanziatore venga adempiuto post mortem potrebbe dubitarsi in nome di chi il mandatario dovrà agire e contro chi verrà trascritto l’atto di vendita.

La riposta dipende a seconda del caso in cui l'accettazione dell’eredità del mandante-debitore non sia ancora intervenuta alla data dell'atto da stipulare (o è certo che non potrà più avvenire), da quella in cui essa sia invece già sta posta in essere.

Nella prima ipotesi il mandatario-rappresentante, disponendo di un bene ancora appartenente alla massa ereditaria  spenderà il nome del mandante-debitore, ancorché defunto, pur dichiarando nel negozio che gli effetti dell'atto riguarderanno genericamente gli eredi ancorché senza poterli indicare, non avendo accettato[26].

Conseguentemente l'esecuzione della trascrizione nei registri immobiliari verrà eseguita contro il  de cuius e a favore del terzo acquirente, ciò che consentirà pure di assicurare la continuità delle trascrizioni (art. 2650 c. c.).

Nella seconda ipotesi, avendo i chiamati accettato l'eredità ed essendosi quindi trasferito il cespite ereditario costituito dal bene immobile in capo a loro la vendita verrà senz'altro compiuta dal mandatario "in nome e per conto degli eredi".

Il conferimento del mandato a vendere, pur non privando il mandante del potere dispositivo sul bene,  implica però che il mandatario abbia il potere di trasferire un immobile di proprietà degli eredi in forza della dichiarazione di un soggetto diverso da quello che ha il potere di disporre della cosa nel momento in cui si verifica il trasferimento.

Non verrà dunque affatto speso il nome del mandante, non perché sia venuto meno il potere rappresentativo quanto perché non potrà più farsi riferimento al patrimonio del mandante ma a quello degli eredi nell’ambito del quale ricade ormai l’immobile.

In ordine alle modalità d’esecuzione della trascrizione in questo caso, occorre distinguere a seconda che l'acquisto  mortis causa degli eredi sia stato o meno effettuato.

In caso positivo l'atto stipulato dal mandatario verrà trascritto contro gli eredi, nel pieno rispetto della continuità delle trascrizioni.

In caso negativo la trascrizione della vendita posta in essere dal mandatario andrà sempre effettuata contro gli eredi, poiché proprietari del bene venduto, anche se ciò non assicurerà il principio di continuità delle trascrizioni.

Alla mancata osservanza di continuità, che non è causa di ineseguibilità della formalità ma solo d’inefficacia di quella successiva fino al momento in cui non verrà trascritto l'atto di provenienza, potrà tuttavia porsi rimedio successivamente ai sensi dell'art. 2650 comma 2 c. c.

 

3.4. La dichiarazione di successione

Come detto, il comma 12 quater prevede che qualora il finanziamento non sia integralmente rimborsato entro dodici mesi dal verificarsi degli eventi di cui al citato comma 12, il finanziatore possa vendere l’immobile.

Il termine indicato, benché sia previsto per tutti gli eventi descritti dal comma 12 (e quindi anche per quelli diversi dalla morte del soggetto finanziato), sembra aver tenuto implicitamente conto di quello per presentare, nel caso di morte del soggetto finanziato, la dichiarazione di successione.

Nessuna deroga alla necessità di una tale adempimento tributario[27] pare potersi desumere in merito nonostante l'immobile non sia di fatto destinato a entrare definitivamente nell'asse ereditario, ma ad essere oggetto d'esecuzione da parte dell'intermediario.

Alla presentazione della dichiarazione sono tenuti anche solo i chiamati all'eredità (anche se non hanno ancora accettato l’eredità, purché non vi abbiano espressamente rinunziato) e i legatari (per i quali come noto non è prevista alcuna accettazione), gli immessi nel possesso dei beni, in caso di assenza del defunto o di dichiarazione di morte presunta, gli amministratori dell’eredità, i curatori delle eredità giacenti, gli esecutori testamentari e i trust.

Ciò che costituisce un limite per il finanziatore il cui diritto a soddisfarsi in sede esecutiva deve allora ritenersi condizionato a tale previo adempimento.

La banca per cercare di recuperare il suo credito dovrà, infatti, in ipotesi, individuare i chiamati alla successione e provvedere, in caso di loro renitenze, a presentare in loro vece una dichiarazione di successione, quantomeno parziale, che ricomprenda almeno l'immobile concesso in garanzia pagando la relativa imposta di successione, di cui sarà quindi auspicabile abbia tenuto prudenzialmente conto nel suo importo massimo, in sede di definizione delle condizioni del finanziamento.

   

3.5. La tutela dell’acquisto del terzo dall’evizione

3.5.1. La deroga all’art. 2652, comma 1, n. 7

L’art. 2652, comma 1, n. 7, c.c. disciplina il caso in cui l’erede vero abbia agito contestando il fondamento di un acquisto mortis causa di un diritto reale immobiliare.

Esso va dunque coordinato con quanto disposto dall’art. 534 c.c. e in particolare con i commi 2 e 3, c.c.[28]

La giustificazione di tali norme viene individuata nella maggiore difficoltà che incontrano i terzi nell’accertare l’esistenza di un valido titolo mortis causa rispetto a quelli inter vivos e nella maggiore insicurezza del primo che potrebbe addirittura rivelarsi inesistente o perdere efficacia per tutta una serie di cause magari manifestantisi anche a notevole distanza di tempo[29].

Il legislatore, allo scopo di tutelare la sicurezza dei traffici giuridici, piuttosto che la sicurezza dei diritti soggettivi, ha perciò scelto di privilegiare, ricorrendo certe condizioni, il principio dell’apparenza.

Per quanto riguarda in particolare i diritti reali su beni immobili è infatti previsto che la posizione dei terzi subacquirenti di buona fede diventi inattaccabile se la trascrizione della domanda giudiziale venga eseguita dopo cinque anni dalla trascrizione dell’acquisto mortis causa contestato e se il loro acquisto sia stato trascritto prima di quello dell’erede vero[30].

L’art. 534, commi 2 e 3, c.c. prevede però già che chi abbia acquistato dall’erede apparente, a titolo oneroso e in buona fede[31], trascritto il suo acquisto (unitamente a quello dell'erede apparente) anteriormente alla trascrizione[32] di quello dell'erede o del legatario vero, o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l'erede, non possa subire in seguito alcuna evizione.

Non rientrano dunque nella disciplina dell’art. 534 c.c. gli acquisti a titolo gratuiti dall’erede apparente e gli acquisti a qualsiasi titolo dal legatario apparente.

“La trascrizione che in materia di acquisti mortis causa non costituisce normalmente criterio di prevalenza acquista un’importanza decisiva quando si tratti di risolvere conflitti fra l’erede, da un lato, e aventi causa a titolo oneroso e di buona fede dall’erede apparente dall’altro; L’erede apparente non è tale se non ha trascritto l’acquisto ereditario: la trascrizione è quindi elemento costitutivo della qualifica di erede apparente.”. [33]

Per il prestito vitalizio ipotecario è stata tuttavia apportata una deroga solo all’art. 2652, comma 1, n. 7, c.c.

Il comma 12 quater, ultimo periodo, prevede infatti che:

“Nei confronti dell'acquirente dell'immobile non hanno effetto le domande giudiziali di cui all'articolo 2652, primo comma, numeri 7) e 8), del codice civile trascritte successivamente alla trascrizione dell'acquisto”.

L’ambito della deroga portata dalla disciplina del prestito vitalizio ipotecario alla tutela degli acquisti (evidentemente onerosi dipendendo essi dalla vendita prevista dal comma 12 quater) dei subacquirenti di un dante causa (il soggetto finanziato) il cui titolo di provenienza sia mortis causa è dunque limitata all’ipotesi in cui egli sia un legatario apparente.

Ciò che non mi pare consenta di tutelare appieno il terzo, acquirente dal finanziatore, da una possibile futura evizione ad opera dell’erede o del legatario vero.

 

3.5.2. La deroga all’art. 2652, comma 1, n. 8

L’art. 2652, n. 8, c.c. stabilisce che debbano essere trascritte, qualora si riferiscano ai diritti menzionati nell'articolo 2643 c.c., le domande giudiziali di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima e prevedendo che se la trascrizione è eseguita dopo dieci anni dall'apertura della successione, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudichi i terzi che hanno acquistato a titolo oneroso diritti in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda.

In base all’art. 563 c.c. il legittimario, ottenuta la pronuncia di riduzione contro il donatario e premessa l’escussione infruttuosa del suo patrimonio, potrebbe chiedere in rivendica (art. 2653, comma 1, n. 1 c.c.) ai suoi aventi causa (tra cui, in ipotesi, il soggetto finanziato) la restituzione degli immobili:

“Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario, premessa l'escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell'ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili.

L'azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l'ordine di data delle alienazioni, cominciando dall'ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta, entro il termine di cui al primo comma, la restituzione dei beni mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede.

Il terzo acquirente può liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l'equivalente in danaro.

Salvo il disposto del numero 8) dell'articolo 2652, il decorso del termine di cui al primo comma e di quello di cui all'articolo 561, primo comma, è sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. Il diritto dell'opponente è personale e rinunziabile. L'opposizione perde effetto se non è rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione”.

Dal combinato disposto dei due articoli si ricava che è salvo:

a) sia l'acquisto dei terzi aventi causa dal donatario nel caso in cui, pur non essendo ancora trascorso il ventennio (o vi sia stata sospensione per effetto dell'atto di opposizione), la domanda di riduzione sia stata trascritta dopo dieci anni dall'apertura della successione e l'acquisto sia avvenuto a titolo oneroso in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda stessa;

b) sia l'acquisto dei terzi aventi causa dall’erede o da legatario soggetto passivo dell’azione di riduzione, nel caso in cui la domanda di riduzione sia stata trascritta dopo dieci anni dall'apertura della successione e l'acquisto sia avvenuto a titolo oneroso in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda stessa.

Stando al tenore letterale delle norme, non pare invece che i terzi aventi causa dal donatario anche nel caso che siano decorsi venti anni dalla trascrizione della donazione (e anche se tale termine non sia stato sospeso dall'atto di opposizione) ma la domanda di riduzione sia stata trascritta prima dei dieci anni dall’apertura della successione possano far salvo il loro acquisto[34].

In astratto l’ipotesi disciplinata dalla norma in esame potrebbe verificarsi anche in dipendenza della concessione di un prestito ipotecario vitalizio.

Il soggetto finanziato, non adempiendo alla sua obbligazione restitutoria, potrebbe subire l’esecuzione ad opera del soggetto finanziatore con il successivo trasferimento a terzi dell’immobile ed essere poi convenuto in giudizio con un’azione di riduzione ereditaria.

Con la neo-introdotta disciplina speciale pare quindi essersi voluto prevedere, in deroga a quella generale, che, se trascritto, l’acquisto dell’immobile in favore di tale terzo (avente causa dal soggetto finanziato) non possa più essere messo in discussione anche per il caso di accoglimento di una domanda di riduzione nei confronti del proprio dante causa (il soggetto finanziato) trascritta successivamente.

Di fatto il terzo acquirente, primo trascrivente, non correrà più il rischio di dover subire una richiesta di restituzione dell’immobile per tale causale ed in pratica lo si è voluto rendere immune da ogni possibile evizione a discapito del riservatario chiamato all’eredità pretermesso, o dell’erede necessario leso.

Il che non può che lasciare qualche dubbio di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost. (e fors’anche dell’art. 24 Cost.) non ravvisandosi alcuno speciale motivo che possa far ritenere prevalenti, per il prestito vitalizio ipotecario, gli interessi del finanziatore e dell’acquirente dell’immobile rispetto a quelli degli aventi diritto ad una quota di riserva dell’asse ereditario che di fatto vedono compresso il termine decennale concesso per tutelare i loro diritti successori, sino a renderne eccessivamente difficile, se non impossibile, l'esercizio.

 

3.6. L’esecuzione per rilascio dell’immobile ipotecato e poi venduto

Dopo la vendita dell'immobile è ben possibile che esso non venga spontaneamente rilasciato all'acquirente da parte o del soggetto finanziato decaduto dal termine, ma in vita, o dei chiamati, o degli eredi o anche da parte di coloro che in virtù di uno degli atti previsti dall'art. 12 abbiano acquistato un diritto di godimento su di esso facendo decadere il soggetto finanziato dal beneficio del termine.

A differenza di quanto previsto per le esecuzioni immobiliari dall’art. 560, comma 3, c.p.c. non è possibile contare su di un ordine del giudice dell’esecuzione che possa essere munito della formula esecutiva e costituire il titolo in base al quale provvedere coattivamente al rilascio.

Come visto, infatti, l’esecuzione contro il soggetto finanziato si basa su di un titolo esecutivo stragiudiziale costituito dal contratto di vendita stipulato per atto pubblico.

L'acquirente che abbia acquistato l'immobile dal finanziatore in forza di un tale atto potrebbe  astrattamente servirsene ai fini del rilascio, in virtù dell’art. 474, comma 2, n. 3, c.p.c., passando direttamente all'esecuzione in forma specifica senza dover transitare per un processo di cognizione onde procurarsi un titolo esecutivo di formazione giudiziale.

Ciò a patto che esso regoli in modo puntuale l’immobile oggetto dell’esecuzione per rilascio e i tempi e modi per la sua restituzione.

Tali caratteristiche possono rinvenirsi nel contratto di vendita in nome e per conto del soggetto finanziato, che consente sia l’identificazione del soggetto creditore e debitore e sia, considerato il suo contenuto necessario (anche in virtù delle disposizioni della legge notarile), quella del bene da rilasciarsi.

Pure il termine per il rilascio sarà normalmente ricavabile dal contratto coincidendo di fatto con la prevista data di trasmissione del possesso dell’immobile.

La morte del soggetto finanziato, evento che, nel prestito ipotecario vitalizio, costituisce un possibile termine d’adempimento, non pare poter incidere negativamente sulla fase esecutiva di rilascio.

Ove al momento della formazione del titolo siano già noti gli eredi è ovvio che il titolo verrà formato contro di loro posto che, come detto, il finanziatore-mandatario spenderà il loro nome già in sede di stipula.

Ove, invece, essi siano solo chiamati al momento del rogito e accettino l’eredità solo in un momento successivo dovrebbe potersi fare ricorso a quanto previsto dall’art. 477 c.p.c.:

“Il titolo esecutivo contro il defunto ha efficacia contro gli eredi, ma si può loro notificare il precetto soltanto dopo dieci giorni dalla notificazione del titolo.

Entro un anno dalla morte, la notificazione può farsi agli eredi collettivamente e impersonalmente, nell'ultimo domicilio del defunto”.

Si verifica infatti in capo a coloro che assumono la qualità di eredi dell’obbligato una successione nella posizione debitoria e il titolo formato contro il loro dante causa potrà essere utilizzato anche contro di loro[35].

Nemmeno per quanto riguarda i chiamati all’eredità che al momento dell’esecuzione non siano ancora divenuti eredi dovrebbe sussistere la necessità di munirsi di un altro titolo per agire esecutivamente in loro danno.

Essi pare possano essere qualificati come cc.dd. detentori “disinteressati” (non titolari di un diritto autonomo di godimento opponibile al creditore avente diritto al rilascio) che, poiché nemmeno destinatari dell’ingiunzione ex art. 608, u.c., c.p.c., potranno pertanto essere estromessi.

Il titolo in base al quale costoro si trovano nel godimento dell'immobile è infatti un titolo che deriva da quello del de cuius, nel senso che lo presuppone.

Problemi potrebbero invece sorgere nei casi in cui l’immobile oggetto di esecuzione sia occupato da terzi detentori cc. dd. “interessati” muniti cioè di un titolo di godimento autonomo, opponibile al creditore avente diritto al rilascio.

Quid iuris quindi nel caso in cui il soggetto finanziato abbia posto in essere uno degli atti previsti dal comma 12 che ne comportano la decadenza dal termine di adempimento dei suoi obblighi restitutori ed egli abbia quindi ad es. trasferito/costituito un diritto di godimento sull’immobile?

Come sopra accennato, per quanto riguarda i diritti reali l’art. 2812 c.c. prevede che essi non siano opponibili al finanziatore che potrà procedere alla vendita dell’immobile come libero consentendo quindi poi all’acquirente di avvalersi della favorevole disciplina per il rilascio prevista per i cc.dd. detentori “disinteressati”.

Per quanto riguarda i diritti personali di godimento la risposta appare più incerta.

In base alla normativa sostanziale costituita dall’art. 1599 c.c.

Il contratto di locazione è opponibile al terzo acquirente, se ha data certa anteriore all'alienazione della cosa.

[…]

Le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione.

Nel settore ipotecario non viene invece dedicata alcuna norma all'ipotesi della locazione conclusa dal proprietario del bene ipotecato.

Potrebbe dunque farsi ricorso al regime di opponibilità previsto dall'art. 2923 c.c. in sede di vendita forzata che prevede:

“Le locazioni consentite da chi ha subito l'espropriazione sono opponibili all'acquirente se hanno data certa anteriore al pignoramento, salvo che, trattandosi di beni mobili, l'acquirente ne abbia conseguito il possesso in buona fede.

Le locazioni immobiliari eccedenti i nove anni che non sono state trascritte anteriormente al pignoramento non sono opponibili all'acquirente, se non nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione.

In ogni caso l'acquirente non è tenuto a rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni.

Se la locazione non ha data certa, ma la detenzione del conduttore è anteriore al pignoramento della cosa locata, l'acquirente non è tenuto a rispettare la locazione che per la durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato […]”.

Ne deriverebbe che quando la locazione infranovennale abbia data certa successiva all’iscrizione ipotecaria, oppure, se ultranovennale sia stata trascritta dopo l'iscrizione, ma in entrambe le ipotesi sempre anteriormente alla vendita dell’immobile (equiparabile a quella del pignoramento previsto dall’art. 2923 c.c., poichè in tale particolare esecuzione privata, esso come visto manca), il regime di opponibilità sia quello previsto dagli artt. 1955 e 2923 c.c.

Poiché il punto di riferimento temporale, dal quale decorre il novennio di opponibilità è la data della vendita, di fronte alla locazione il creditore ipotecario non riveste alcuna posizione particolare rispetto al creditore chirografario[36].

Rispetto ad esempio alla costituzione di un usufrutto a termine,che è opponibile soltanto se trascritta prima dell'iscrizione dell'ipoteca (art. 2812 c.c.), la locazione è opponibile al creditore ipotecario, e poi all'acquirente nell'espropriazione[37], qualora la data certa del contratto o la sua trascrizione, se richiesta, siano anteriori alla trascrizione della vendita (poiché, come detto, assimilata al pignoramento previsto dall’art. 2923 c.c.).

Pare evidente, dunque, che in tali casi il locatario assuma la qualifica di terzo detentore dell’immobile (non menzionato nel titolo esecutivo) vantante un autonomo titolo di godimento rispetto a quello del suo dante causa e l’esecuzione per rilascio non possa pertanto proseguire fino a quando il creditore/acquirente non abbia conseguito un diverso titolo esecutivo nei suoi confronti.

Egli dunque potrebbe proporre opposizione all'esecuzione (art. 615 c.p.c.) ove intenda sostenere di non essere soggetto agli effetti del titolo esecutivo stragiudiziale perché si trova nella detenzione dell'immobile in base ad un titolo che non ne viene pregiudicato.

         

§ 4. Conclusioni

Dai lavori della commissione referente del Senato incaricata dell’esame del d.d.l. sul prestito vitalizio ipotecario viene a più riprese sottolineata la necessità di agevolare l'iter di un disegno di legge che si è ritenuto opportuno portare a compimento nel tempo più breve possibile e senza modifiche rispetto al testo licenziato dalla Camera.

Le stesse associazioni dei consumatori interpellate nel corso delle audizioni disposte dalla predetta commissione hanno valutato positivamente l’introduzione di tale nuovo tipo contrattuale auspicandone una rapida approvazione.

Non so quanto abbia inciso su tale giudizio l’inconsapevolezza della delicatezza degli istituti coinvolti dal nuovo istituto piuttosto che il periodo di grave crisi economica, che ha ridotto il potere di acquisto dei redditi, colpendo le famiglie e in maniera ancora più forte i pensionati, e la necessità di poter offrire loro col nuovo istituto una fonte di liquidità importante e un'integrazione del reddito o delle risorse per sé e/o i propri familiari.

Comprensibile invece che l’associazione bancaria italiana abbia pienamente condiviso la disciplina del prestito vitalizio ipotecario dato che essa consente tra l’altro alle banche di applicare interessi anatocistici oltre i limiti previsti dall’art. 1283 c.c. e di prescindere per la realizzazione dei loro crediti dalla necessità del ricorso all’autorità giudiziaria.

Il che non è poco e soprattutto non è concesso a tutti.

Certamente per disciplinare compiutamente l’istituto tutelando adeguatamente ed efficacemente tutti gli interessi in gioco, senza privilegiarne alcuno, sarebbe forse servita un po’ meno fretta, un’adeguata opera di coordinamento con le norme in vigore, e un po’ più di precisione e rigore scientifico e terminologico anche in considerazione della delicatezza di diversi istituti (anatocismo, patto commissorio, patto marciano, mandato gratuito in rem propriam post mortem, esecuzione forzata immobiliare privata, acquisti dall’erede apparente, opponibilità delle locazioni al creditore ipotecario e al suo avente causa in sede esecutiva) coinvolti dalla novella.

Come già aveva compreso Sofocle non vanno, infatti, d’accordo il ragionamento e la fretta.

Considerati i tempi che corrono e il legislatore a cui siamo, ormai abituati, tuttavia, è forse condivisibile quell’aforisma di Ashleigh Ellwood Brilliant che dice:

“Farlo in modo sbagliato, ma velocemente, almeno è meglio di farlo sbagliato lentamente”.



[1] Di fatto tale perito, benché alla sua nomina non partecipi il soggetto finanziato, assume la veste di arbitratore ex lege e, pertanto, la sua eventuale determinazione iniqua o erronea potrà essere impugnata in via giudiziaria (art. 1349, comma 1, c.c.).

[2] Per compensazione (eventualmente anche solo parziale) con il debito del mandatario derivante dall’obbligo di  corrispondere al mandante il corrispettivo ritratto dalla vendita.

[3] F. Anelli, L’alienazione in funzione di garanzia, Milano, 1996, p. 447 ss.; C.M. Bianca, Il divieto del patto commissorio, Milano, 1957, p. 202 e ss.; R. Lenzi, La cessione in garanzia, Studio Consiglio nazionale notariato, n. 341-2009/C, in Studi e materiali, 2010, 1, p. 11-12. In giurisprudenza, Cass. 20 marzo 2011, n. 5740; M. Bellinvia – A. Musto, Mandato ad alienare con rappresentanza e divieto di patto commissorio, Studio Consiglio nazionale notariato, n. 174-2013/C , in Studi e materiali, 2013, 1, p. 4.

[4] Sull’ambito del divieto del patto commissorio in giurisprudenza Cass. S.U. 3 aprile 1989 n. 1611. I rischi per il notaio derivanti ex art. 28 L.N. dalla stipula di un atto nullo, con la nuova legge non paiono ormai più ipotizzabili.

[5] In giurisprudenza, nel senso della sua validità: cfr. Cass. 16 ottobre 1995, n. 10805, in Contratti, 1996, p. 28; Cass. 21 luglio 1956, n. 2828, in Foro it., 1956, I, c. 11; Cass. 30 marzo 1954, n. 988, in Foro it. Rep., 1954, voce Vendita, n. 99; Cass. 27 novembre 1951, n. 2696, ivi, 1952, I, 11; Cass. 21 dicembre 1950, n. 2807, ivi, 1951, I, 573; Cass. 21 giugno 1946, n. 732, in Giur. it., 1947, I, 1, p. 32; Trib. Vicenza, 12 luglio 1988, in Riv. not., 1989, II, p. 890; Trib. Monza, 24 maggio 1988, in Foro it., 1989, I, c. 1271; App. Trento 18 febbraio 1975, in Giur. merito, 1975, I, p. 424.

[6] Su patto commissorio e patto marciano V. da ultimo Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625.

[7] Società controllate o collegate ex art. 2359 c.c..

[8] Art. 1395, comma 1, c.c.

[9] Art. 1704 c.c.

[10] Sui rapporti fra patto commissorio e procura a vendere, M. Albanese, Brevi note in tema di patto commissorio, procura a vendere e autonomia privata ovvero la fattispecie e i suoi confini, in Giur. it., 2012, p. 570; R. Genghini, Patto commissorio e procura a vendere, in Contratto e impresa, 1995, p. 260; D. Cenni, Mandato ad alienare e scopo di garanzia, in Notariato, 1998, p. 61; M. Albanese, Brevi note in tema di patto commissorio, procura a vendere e autonomia privata ovvero la fattispecie e i suoi confini, in Giur. it., 2012, p. 574.

[11] Non pare, infatti, ammissibile che il mandato sia oneroso così come previsto naturalmente dall’art. 1709 c.c.

[12] Come affermato da Cass. 23 aprile 2001, n. 5981 in Notariato, 2002 p. 254 l'esecuzione post mortem del mandato investe un cespite ormai trasferito agli eredi, e, dunque, ove sia ancora possibile sulla scorta di detto art. 1723 cod. civ., si traduce in una vendita compiuta in nome e per conto degli eredi medesimi. Il mandato post mortem exequendum va distinto dal mandato post mortem in senso stretto. Il primo ricorre quando le parti concludono un normale contratto di mandato in vita del mandante, ma stabiliscono che esso dovrà essere eseguito dopo la sua morte ed è ritenuto valido per la derogabilità della regola mandatum morte finitur (art. 1722 c. c.). L'altro ha per scopo di attuare una vera e propria attribuzione mortis causa ed è pertanto nullo poiché violerebbe il divieto dei patti successori (art. 458 c. c.).

[13] Il finanziatore sarebbe comunque inderogabilmente soggetto allo statuto dettato dagli artt. 1703 e segg. c.c. secondo il quale il mandatario ha non solo l’obbligo di agire con la diligenza richiesta dall’art. 1719 c.c. ma anche quello di rendiconto (art. 1713, comma 1, c.c.). La dottrina ritiene pacifica la sussistenza un patto commissorio quando in un mandato irrevocabile a vendere non sia previsto l’obbligo di rendiconto (U. Carnevali, in Enc. del dir., vol. XXXII, Milano, 1982, p. 505; C.M. Bianca, Il divieto del patto commissorio, Milano, 1957, p. 204 ss. e p. 210 ss.).

[14] Cass. 24 settembre 1953, n. 3043; Cass. 24 settembre 1979, n. 4916; Cass. 29 ottobre 1958 n. 3543, in Foro it. Rep., 1958, nn. 68 e 69; Cass. 24 settembre 1953 n. 3043, in Giust. civ., 1953, 2955; contra, pare, Cass. 5 febbraio 1974 n. 305.

[15] C.M. Bianca, Diritto civile, III, Milano, 1987, p. 106; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Napoli, 1994, p. 267; contra Minervini, In tema di mandato e di procura irrevocabile, in Giur. compl. Cass., 1948, II, p. 289.

[16] Cass. 29 marzo 1991 n. 3434; Cass. 30 luglio 1984 n. 4534; Cass. 2 luglio 1981, n. 4282; Cass. 15 novembre 1976, n. 4215.

[17] Così derogando alla normale decorrenza ex tunc, vale a dire dall’inadempimento, della condizione. Ciò soprattutto onde evitare ogni rischio connesso al fatto che la proprietà transiti nel patrimonio del creditore per un tempo superiore ad un momento ideale e che possa in ciò ravvisarsi una circostanza indice di un patto commissorio. D. Cenni,, op.cit., p. 69

[18] Art. 1719 c.c.

[19] La dottrina è infatti divisa tra una tesi minoritaria che ritiene che il passaggio sia automatico per effetto del solo contratto di mandato (Mengoni, Gli acquisti a non domino, Milano, 1957, p. 5 e ss.) e una maggioritaria in base alla quale esso dipenderebbe da un trasferimento dovuto ex art. 1719 c.c. Luminoso, Il mandato, in Tratt. Rescigno, Torino, 1985, p. 74 e ss.; Minervini, Il mandato, la commissione, la spedizione, in Tratt. Vassalli, Torino, 1957, p. 74; Carraro, Il mandato ad alienare, Padova, 1947, p. 67 ss.; Cass. 7 dicembre 1994 n. 10522, in Riv. not. 1996, II, p. 596

[20] Contrari a che un evento attinente all’attuazione del sinallagma contrattuale, sebbene futuro e incerto, possa essere dedotto in condizione F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, p. 199; G. Fusco, L’adempimento come condizione del contratto, in Vita not., 1983, p. 304; C.M. Bianca, Diritto civile, Il contratto, Milano, 1987, p. 517.

[21] Timori infondati per D. Cenni, op. cit., p. 69 perché l’acquisto del mandatario sarebbe solo strumentale alla successiva ed immediata rivendita del bene al terzo ed escluderebbe ogni abuso.

[22] Così ancora espressamente Cass. 23 aprile 2001, n. 5981.

[23] Cui solo potrebbe supplire, al di fuori della fattispecie negoziale in esame, un divieto convenzionale (a valere sul piano obbligatorio) di vendere o di disporre bel bene ex art. 1379 c.c. Per il mandato a vendere in rem propriam non è prevista infatti un divieto ex lege come per la cessione dei beni ai creditori (art. 1980 c.c.).

[24] A. Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, Milano, 1984, p. 306 nota 301; Santagata, I limiti al potere di disposizione del mandante nel mandato irrevocabile, in Banca, borsa e tit. cred., 1967, I, p. 178.

[25] D. Cenni, op. cit., nel diverso caso di mandato senza rappresentanza, propone infatti d’inserire una clausola di accollo dei debiti eventualmente derivanti dall’obbligo del mandatario di far fronte nei confronti del terzo alle garanzie di legge (evizione e vizi).

[26] Per alcune ipotesi di clausole contrattuali M. Leo, Mandato in "rem propriam" eseguito dopo la morte del mandante nota a Cass. 23 aprile 2001, n. 5981, in Notariato, 2002, p. 260-261.

[27] Artt. 1, 7 e 8 del d.lgs. n. 346 del 1990. In presenza di un  mandato in rem propriam da eseguirsi dopo la morte del mandante conclude per l'inclusione nell'attivo devoluto agli eredi, e quindi la computabilità ai fini del tributo successorio Cass. 23 aprile 2001, n. 5981 cit.

[28] L. Ferri , M. D'Orazi-Flavoni, P. Zanelli, Trascrizione, Bologna, 1995, p. 338.

[29] G. Petrelli, Note sulla trascrizione degli acquisti “mortis causa”, in Riv. not., 1993, p. 272.

[30] L. Ferri , M. D'Orazi-Flavoni, P. Zanelli, op. cit., p. 340.

[31] Che non si presume ma deve essere dimostrata con atti o fatti certi, Cass. 25 giugno 1981 n. 4139. Le ragioni della deroga vengono spiegate da Cass. 21 marzo 1989 n. 1402.

[32] L’alienazione dell’immobile ereditario da parte dell’erede apparente, in difetto di precedente trascrizione specifica, non sarà inopponibile all’erede o legatario vero, Cass. 11 settembre 1980 n. 5225.

[33] L. Ferri , M. D'Orazi-Flavoni, P. Zanelli, op. cit., p. 273.

[34] M. Ieva, La novella degli articoli 561 e 563 c.c.: brevissime note sugli scenari teorico-applicativi, in Riv. not., 2005, p. 943-949; contra pare R. Caprioli, Le modificazioni apportate agli artt. 561 e 563 c.c. Conseguenze sulla circolazione dei beni immobili donati, in Riv. not., 2005, p. 1033.

[35] F.P. Luiso, Efficacia del titolo esecutivo verso terzi, I, Perugia, 1979, p. 71 il quale rileva che la funzione dell’art. 477 c.p.c. non è quella di restringere la portata applicativa del fenomeno successorio nella posizione debitoria ai soli eredi quanto piuttosto quella di consentire l’esecuzione contro gli eredi pure per i titoli stragiudiziali.

[36] F.S. Gentile, Le ipoteche, Roma, 1961 p. 66 ss.; G. Tamburrino, Le ipoteche, Comm. c.c., Torino, 1970, p. 122 ss.; contra D. Rubino, L’ipoteca immobiliare e mobiliare, Tr. Cicu Messineo, Milano, 1961, p. 375 secondo il quale In base al principio generale dell’inopponibilità dei rapporti obbligatori che sarebbe confermato dall'argomento “a contrario desumibile dallo stesso art. 1599, in quanto alla posizione del compratore per vendita volontaria va ora parificata non direttamente quella dell'aggiudicatario, ma anzitutto quella del creditore ipotecario, cui l'altra si adegua. Per ciò stesso, rimane fuori questione l'art. 2923, che concerne solo l'espropriazione chirografaria, mentre invece ora l'inopponibilità all'acquirente è una mera conseguenza di quella all'espropriante”.

[37] In tali ipotesi il creditore ipotecario pare solo poter lamentare una riduzione di valore della garanzia e quindi invocare l'art. 2743 c.c.


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