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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/02/2015 Scarica PDF
Negoziazione assistita: un nuovo intoppo o un'opportunità?
Diego Piselli, Avvocato in BergamoLa negoziazione assistita
La più interessante tra le misure di “degiurisdizionalizzazione” dello scorso settembre è stata l’introduzione della “negoziazione assistita”, simile alla procedure participative assistée par avocat introdotta nel 2010 nell’ordinamento francese (per la verità, parrebbe, senza molto successo).
Si tratta di un nuovo strumento di soluzione non giudiziale delle controversie relative a diritti disponibili, che consiste in uniter dialettico per la risoluzione delle liti civili, introdotto da un accordo scritto con il quale le parti s’impegnano a cooperare lealmente per risolvere una controversia (ossia a discutere della possibile soluzione delle lite), entro un certo periodo e con l’assistenza dei rispettivi legali o di un unico avvocato.
La negoziazione non può essere utilizzata nelle controversie di lavoro.
L’accordo può essere raggiunto su impulso di tutte le parti della lite, ovvero di una sola, che invita la controparte a stipulare la convenzione per il tramite del proprio legale.
L’accordo di negoziazione disegnato dalla riforma può avere tre possibili nature: a) volontaria (art. 2, comma 1 d.l. 132/2014 convertito in legge 162/2014); b) obbligatoria (art. 3); c) in materia matrimoniale, ossia «per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio», con procedimento distinto a seconda vi sia prole autosufficiente o meno.
Il tentativo di negoziazione assistita è obbligatorio per chi intenda:
- esercitare in giudizio un’azione in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti (ritorna in questo modo, sia pure in forma “edulcorata”, una previsione contenuta nell’originaria disciplina della mediazione amministrata, oggetto di censura da parte della Corte Costituzionale con la sentenza n. 272 del 2012);
- proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti i cinquantamila Euro, salvo che si tratti di controversie relative a materie già soggette a mediazione obbligatoria ovvero di obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori (in questo caso l’obbligatorietà si ha solo decorsi novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto 132/201 e quindi dal 9 febbraio 2015).
L’obbligatorietà della negoziazione assistita non trova applicazione:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione;
b) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;
c) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;
d) nei procedimenti in camera di consiglio;
e) nell’azione civile esercitata nel processo penale.
L’obbligatorietà dell’esperimento del procedimento di negoziazione assistita, poi, “non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale”
Negoziazione assistita e mediazione
La negoziazione assistita e la mediazione (conosciuta da anni dall’ordinamento) hanno un fine comune: consentire alle parti la definizione di una lite senza il ricorso all’Autorità Giudiziaria.
Sia la negoziazione sia la mediazione “amministrata” regolata dal d. lgs. 28/2010, peraltro, consentono la formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale.
La negoziazione assistita e la mediazione di cui al d. lgs. 28/2010 (e alle altre norme in tema di mediazione) differiscono, però, sotto vari profili.
La prima – e fondamentale – differenza tra le due procedure è data dalla circostanza che nella procedura di mediazione è attribuito un ruolo fondamentale a un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori, ossia il mediatore, definito dalla legge (art. 1 d.lgs. 28/2010) «la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio».
Nella negoziazione la ricerca di una composizione della lite è, invece, affidata direttamente alle parti, con l’assistenza dei difensori, senza l’intervento di alcun soggetto esterno.
All’assenza del mediatore si accompagna, ovviamente, anche quella dell’organismo di mediazione (e quindi il risparmio degli oneri procedurali e dei costi conseguenti all’intervento di una struttura organizzativa esterna alle parti).
Non vi è, quindi, nella negoziazione assistita alcun soggetto imparziale che promuove la conclusione di un accordo: vi sono, invece, solo dei soggetti naturalmente portati a essere “parziali”, che sono indotti a cercare un’intesa dall’obbligo, liberamente assunto, di negoziare in buona fede (dal che deriva, o dovrebbe derivare, una maggiore propensione all’accordo rispetto a quanto accade nell’esperienza della mediazione, che vede spesso la celebrazione di inconcludenti incontri preparatori, senza alcun esisto concreto).
La seconda differenza tra mediazione e negoziazione è riferita alla durata del procedimento.
L’articolo 6 del d.lgs. 28/2010 prevede solo un limite massimo di durata della mediazione (tre mesi), mentre la disciplina della negoziazione prevede anche un periodo minimo di durata della procedura (un mese), per scongiurare frettolosi abbandoni dell’intento conciliativo.
Vi è, poi, una terza differenza, relativa al regime di riservatezza del procedimento.
Sia l’articolo 10 del d.lgs. 28/2010 sia l’articolo 9 del decreto 132 stabiliscono il divieto di utilizzo processuale delle informazioni apprese nel procedimento.
L’articolo 10 citato, però, stabilisce che il (solo) mediatore non sia tenuto a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione, né davanti all'autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità.
Nella disciplina della negoziazione, invece, la facoltà di astensione dalla deposizione testimoniale è più ampia, perché l’articolo 9 del decreto 132/2014 stabilisce in modo più ampio che i difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non siano tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite.
Le fasi della procedura di negoziazione assistita
Esaminando lo svolgimento della procedura disegnato dalla riforma si incontrano diverse fasi, ciascuna delle quali ha peculiari effetti giuridici.
La prima fase è quella dell’invito a negoziare, che ha un contenuto vincolato e che produce rilevanti effetti giuridici, dato che dal momento della comunicazione dell'invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero della sottoscrizione della convenzione: i) si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale; ii) è impedita, per una sola volta, la decadenza.
La seconda fase è la replica, positiva o negativa, della parte destinataria dell’invito, produttiva, in ogni caso, di effetti sia interni alla procedura di negoziazione sia relativi al futuro giudizio.
Chi replica positivamente, infatti, è tenuto a rispettare gli obblighi di lealtà e buona fede connessi alla procedura (obblighi, peraltro, tutti definire e forse di difficile sanzione).
Chi replica negativamente, invece, può essere soggetto in un futuro giudizio a una valutazione negativa dal punto di vista delle spese di lite e della responsabilità processuale ex articolo 96 c.p.c.
La terza fase è quella di stesura e sottoscrizione della convenzione di negoziazione (che può essere anche simultanea, senza lo scambio di invito e replica): tale convenzione circoscrive il perimetro della negoziazione e determina, anche dal punto di vista temporale, l’ambito degli impegni di cooperazione delle parti.
Da questa convenzione deriva un preciso impegno di cooperazione alla soluzione della lite.
Si tratta di un negozio di diritto privato finora mai regolato dal legislatore italiano.
Il sistema, infatti, regola già diverse forme di impulso alle parti di una lite perché attivino una procedura conciliativa.
Non è, invece, regolato dalla legge alcun tipo di convenzione che implichi l’impegno delle parti a negoziare in buona fede la composizione di una lite: qualcosa di simile è forse costituito dalla procedura di “raffreddamento” dei conflitti prevista dalla contrattazione nel settore dei pubblici servizi, che non prevede però, mi pare, alcun impegno effettivo delle parti a trovare un accordo.
Alla stipulazione della convenzione fa seguito la quarta fase della procedura, che è quella di svolgimento della negoziazione, nel corso del quale le parti sono tenute a un comportamento cooperativo e di buona fede per la soluzione della controversia.
Segue la fase conclusiva, nella quale si può avere una soluzione positiva (totale e parziale) della mediazione, ovvero una soluzione negativa, quando le parti non riescono a trovare un’intesa per comporre la lite.
Se l’esito della negoziazione è stato positivo il procedimento si conclude con un accordo che ha gli stessi effetti di una sentenza ed è quindi dotato di forza esecutiva e idoneo all’iscrizione di ipoteca e alla trascrizione.
In tutte le fasi del procedimento è previsto un certo formalismo, in termini di contenuto delle comunicazioni e di attestazione di verità delle sottoscrizioni delle parti, in modo tale da assicurare certezza di effetti giuridici e di provenienza ai diversi atti compiuti.
L’efficacia esecutiva dell’accordo
Per l’articolo cinque, primo comma, del decreto l’accordo conciliativo con il quale si conclude positivamente l’iter della negoziazione assistita, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce in linea generale titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
L’efficacia esecutiva non è immediata per due sole tipologie di accordi: quelli in materia matrimoniale e quelli con i quali le parti “concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione”.
Nel campo matrimoniale, infatti, l’accordo acquista efficacia esecutiva solo dopo positivo controllo da parte del Pubblico Ministero.
Nel campo degli atti e dei contratti soggetti a trascrizione “la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”, pena l’impossibilità di trascrivere le intese fra le parti nei Registri Immobiliari.
Per effetto della riforma, quindi, è stato ampliato il catalogo degli atti costituenti titolo esecutivo di cui all’articolo 474 del codice di procedura civile.
La legge nulla dice in ordine alla necessità dell’apposizione della formula esecutiva all’accordo.
Ritengo che l’accordo concluso a seguito di iter di negoziazione assistita costituisca quindi uno di quei titoli per i quali è ammessa dal primo comma dell’articolo 475 l’omissione della spedizione in forma esecutiva, così come, secondo molti Autori, accade per i titoli previsti dal n 2 dell’articolo 474 c.p.c., ossia “le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia” (e come pacificamente accade per i titoli di formazione amministrativa o per i verbali di conciliazione in materia di lavoro).
Il comma 2-bis dell’articolo 5 del decreto stabilisce che l’accordo deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, comma secondo, del codice di procedura civile (come già avviene per le scritture autenticate da Pubblico Ufficiale di cui all’articolo 474, n. 2, c.p.c.).
Salve le formalità richieste per gli atti in materia matrimoniale e relativi a negozi oggetto di trascrizione l’efficacia esecutiva dell’accordo è piena e incondizionata e può, pertanto, riferirsi sia all’adempimento di obbligazioni di pagamento di somme di denaro che alle prestazioni di fare, non fare o rilascio.
Va sottolineato, in proposito, che da questo punto di vista l’accordo concluso a seguito di negoziazione assistita ha un’efficacia esecutiva maggiore di quella riservata dalla legge all’unico titolo esecutivo di formazione “convenzionale” finora conosciuto ossia la scrittura privata autenticata di cui al n. 2 dell’articolo 474 c.p.c., dotata di forza esecutiva solo per il pagamento di somme di denaro.
Il carattere volontario e negoziale dell’accordo conclusivo dell’iter di negoziazione assistita costituisce, peraltro, naturale stimolo per rinforzare l’efficacia esecutiva di tale accordo con sanzioni economiche o di altra natura a carico della parte inadempiente.
Ciò mentre, dal punto di vista operativo, l’efficacia esecutiva dell’accordo sarà tanto più forte quanto più i legali delle parti si preoccuperanno di stendere le intese in maniera dettagliata e tale da non lasciare spazio ad alcuna incertezza interpretativa.
La certificazione da parte degli avvocati
Il comma 2 dell'articolo 5 prevede che in caso di esito positivo della negoziazione gli avvocati certifichino l'autografia delle firme e la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico.
Sulla certificazione di conformità normativa va segnalata l’interpretazione proposta dal Servizio Studi del Senato della Repubblica nella relazione alla legge di conversione.
Secondo questa interpretazione sarebbe indiscutibile che, ove in concreto l'accordo risulti contrario a norme imperative o di ordine pubblico, lo stesso sia affetto da nullità secondo i principi generali (art. 1418 c.c.) e tale nullità possa essere fatta valere nei modi ordinari.
Conseguentemente la certificazione di conformità normativa dovrebbe operare solo sul piano disciplinare, nel senso che la contrarietà alle regole imperativa comporterebbe, tutt’al più, la responsabilità disciplinare dei professionisti che hanno certificato l'accordo.
L’interpretazione pare molto riduttiva, dato anzitutto che nel testo del decreto, laddove si è voluto perseguire un simile esito il legislatore lo ha espressamente previsto (si veda il comma 4 del medesimo articolo 5).
Sul piano interpretativo pare utile anche il confronto con l'articolo 28 della legge notarile (legge n. 89 del 1913), in quanto la formulazione di quest'ultima previsione appare significativamente diversa da quella in esame ("Il notaio non può ricevere o autenticare atti...se essi sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all'ordine pubblico...”).
Ciò potrebbe rendere quantomeno opinabile la conclusione che - come invece accade appunto per i notai - l'aver assistito una negoziazione che si conclude con un accordo contrario a norme imperative possa comportare una responsabilità disciplinare per gli avvocati delle parti, fermo restando la responsabilità civile degli avvocati per le loro inadempienze professionali.
Credo, quindi, che alla certificazione di conformità normativa debba attribuirsi una rilevanza ben maggiore di quella ipotizzata dall’autorevole opinione citata.
In proposito credo possa essere richiamato il precedente normativo della “certificazione” dei contratti di lavoro di cui agli articoli 76 e seguenti del d. lgs. 76/2003.
Come è noto, l’articolo 80 di tale decreto stabilisce un regime restrittivo delle impugnazioni giurisdizionali dell’atto di certificazione dei contratti prevedendo che “nei confronti dell'atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l'atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso, presso l'autorità giudiziaria di cui all'articolo 413 del codice di procedura civile, per erronea qualificazione del contratto oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Sempre presso la medesima autorità giudiziaria, le parti del contratto certificato potranno impugnare l'atto di certificazione anche per vizi del consenso”.
La disposizione ora richiamata determina, secondo la prevalente e condivisibile opinione, una sorta di presunzione di legittimità/conformità normativa del contratto di lavoro, che può essere vinta da una seria e argomentata dimostrazione del contrario da parte di chi contesti il contratto.
Simile effetto sembrerebbe essere collegato anche alla certificazione di conformità normativa dell’accordo concluso a seguito di negoziazione: di tale accordo, per effetto dell’attestazione dei legali, è presunta la conformità alle norme imperative.
La negoziazione in materia matrimoniale
Innovando rispetto alla disciplina della mediazione l’articolo 6 del decreto 132 ha introdotto nell’ordinamento la soluzione negoziale e “degiurisdizionale” delle controversie in materia di separazione o divorzio, consentendo che attraverso la negoziazione assistita i coniugi possano procedere alla separazione o allo scioglimento del matrimonio, a condizione che le parti siano assistite ciascuna da almeno un Avvocato (l’espressione della legge sembra far intendere che nel procedimento devono essere coinvolti sempre almeno due avvocati).
Il decreto distingue due ipotesi:
- la prima è quella in cui sono presenti nel nucleo familiare figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero figli economicamente non autosufficienti;
- la seconda ipotesi è quella in cui non vi sono simili esigenze di protezione.
Quando vi sono figli bisognosi di speciale protezione l’accordo deve essere trasmesso al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, il quale, quando ritiene che l’accordo risponda all’interesse dei figli, lo autorizza per il successivo svolgimento degli adempimenti di Stato Civile.
Quando, invece, il Procuratore ritiene che l’accordo non risponda all’interesse dei figli lo trasmette, entro cinque giorni, al Presidente del Tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo nelle forme ordinarie.
Se nel nucleo familiare non ci sono, invece, figli “deboli”, l’accordo deve essere parimenti trasmesso al Procuratore della Repubblica, che, se non individua irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti di stato civile.
In ognuno dei due casi l’accordo sottoposto al vaglio della Procura della Repubblica produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
A questo scopo l’accordo “verificato” dal pubblico ministero deve essere trasmesso in copia autenticata per l’annotazione, a cura di uno degli avvocati delle parti – ed entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione della Procura - all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio era stato iscritto o trascritto.
L’accordo deve sempre dare atto del fatto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli essi hanno informato le parti dell'importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori.
Detta disposizione sembra costituire necessario equipollente della previsione di un tentativo obbligatorio di conciliazione effettuato dal Giudice nel contesto dei procedimenti di separazione e divorzio.
Per il necessario coordinamento normativo il decreto 132 ha anche modificato la disciplina dell’ordinamento dello stato civile aggiungendo - nell'elenco dei provvedimenti oggetto di annotazione negli atti di nascita e di matrimonio e di registrazione negli archivi dello stato civile - gli accordi raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita, conclusi tra coniugi per la soluzione consensuale di separazione o divorzio.
La mancanza di un'udienza di comparizione dei coniugi nell'ipotesi di separazione consensuale tramite negoziazione assistita da un avvocato ha imposto la modifica dell'articolo 3 della legge sul divorzio.
L’articolo 12 del decreto 132 prevede, quindi, che il termine ivi previsto per la proposizione della domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio decorra dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita.
Gli obblighi dell’avvocato nella negoziazione
L’articolo 9 del decreto 132 contiene un catalogo dei doveri degli avvocati derivanti dalla partecipazione a un procedimento di negoziazione.
La disposizione stabilisce, anzitutto, che sugli avvocati gravano doveri di “lealtà e probità”, con formulazione del tutto identica a quella dell’articolo 88 del codice di procedura civile.
A tali doveri si accompagna quello di “tenere riservate” le informazioni ricevute e di non utilizzare le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto, ripreso dall’analoga disposizione dell’articolo 10 del decreto legislativo 28/2010 sulla mediazione.
Sugli avvocati grava poi un dovere ulteriore.
Il primo comma dell’articolo 9 stabilisce, infatti, che i difensori non possono essere nominati arbitri ai sensi dell'articolo 810 del codice di procedura civile nelle controversie aventi il medesimo oggetto o connesse.
Per il comma 4bis del medesimo articolo, poi, la violazione dei doveri di lealtà e riservatezza costituisce “illecito disciplinare” dell’avvocato.
L’articolo 5 del decreto stabilisce, inoltre, che costituisce illecito deontologico per l'avvocato impugnare un accordo alla cui redazione ha partecipato.
In caso di negoziazione relativa a separazione consensuale e divorzio o a modifica delle condizioni di separazione personali e divorzio è poi prevista una ulteriore sanzione (v. articolo 6, comma 4, D.L. 132).
L’Avvocato che viola l’obbligo di trasmettere entro il termine di dieci giorni all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune in cui il matrimonio era stato trascritto o iscritto la copia autenticata dell’accordo raggiunto a seguito della convenzione munito di certificazione di autografia delle sottoscrizioni e certificazione di conformità normativa è soggetto a sanzione amministrativa per importo variabile da Euro 2.000,00= a Euro 10.000,00=.
La competenza all’irrogazione della sanzione è del Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni previste dall’articolo 69 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre2000, n. 396.
Il catalogo dei doveri dell’avvocato è ispirato, con evidenza, all’esigenza di assicurare il successo del nuovo istituto.
Lo sviluppo della cultura della conciliazione affidata alle parti, richiede, infatti che un clima di fiducia nella correttezza del comportamento delle parti e dei loro difensori e nella segretezza del flusso informativo connesso al procedimento.
Il dovere di lealtà del difensore
Come si è detto, l’articolo 9 del decreto 132 impone al difensore che assiste la parte di una negoziazione di comportarsi con “lealtà”, proprio come è previsto in qualsiasi giudizio civile dall’articolo 88 c.p.c. e come è stabilito dal codice deontologico forense.
La previsione del dovere di lealtà del difensore è propria della disciplina della negoziazione e non è presente, invece, nella normativa sulla mediazione.
La circostanza è singolare, dato che entrambi i procedimenti sono finalizzati alla conclusione di un accordo che tiene luogo della sentenza, dotato di efficacia esecutiva.
Per la definizione del contenuto del dovere di lealtà del difensore credo si possa fare riferimento, con gli adattamenti del caso ai precedenti giurisprudenziali e agli orientamenti disciplinari in tema di lealtà dell’avvocato.
Alla luce degli orientamenti del Consiglio Nazionale Forense è quindi da ritenersi anche nel contesto della negoziazione assistita, quindi, l’avvocato debba astenersi da iniziative avventate e scorrette e sia tenuto informare la pare assistita e il difensore avversario di circostanze tali da influire in maniera determinante sull’esito della procedura.
In questa prospettiva, quindi, l’avvocato che sia a conoscenza di impedimenti legali o di fatto all’attuazione dell’intesa transattiva deve considerarsi tenuto ad avvertire il cliente e la controparte.
Si pensi al caso in cui si stia per concludere un’intesa che preveda il trasferimento di un immobile del quale sia stata ordinata la demolizione.
Se l’avvocato è a conoscenza di tale circostanza (e soprattutto se lo è perché coinvolto in un contenzioso con l’Ente che ha disposto l’abbattimento) allora deve configurarsi a suo carico un dovere di informazione verso tutti i partecipanti alla negoziazione.
A proposito del dovere di lealtà del difensore va fatta una considerazione ulteriore.
Piaccia o no ai promotori della riforma, l’avvio di una negoziazione assistita può costituire uno strumento per allontanare un contenzioso incombente o comunque per “prendere” tempo, dato l’indubbio effetto dilatorio della procedura, il cui solo avvio determina l’interruzione della prescrizione e impedisce la decadenza.
Il difensore della parte che potrebbe trovarsi in difficoltà in un giudizio potrebbe, quindi, suggerire l’avvio di una negoziazione senza alcuna reale intenzione di conciliare la lite e poi operare perché il procedimento abbia l’iter più lungo possibile, magari per effetto della stipula di una convenzione di negoziazione che prevede un largo margine temporale per la conclusione dell’iter negoziatorio.
Il tempo richiesto dalla negoziazione può essere strumentalmente utilizzato per predisporre le difese in vista del successivo contenzioso, ovvero per compiere operazioni economiche preliminari alla lite (come la “messa in sicurezza” di interessi patrimoniali che potrebbero essere attaccati dalla controparte).
L’effetto dilatorio dell’avvio di una procedura di negoziazione è particolarmente evidente nei settori in cui sono previsti termini di decadenza ridotti o nei casi in cui una parte si sia risolta ad agire quasi al limite del termine di prescrizione.
È ben vero che la parte che ha, invece, interesse ad abbreviare i tempi del giudizio potrebbe rifiutare di aderire all’invito alla mediazione assistita, oppure procedere senz’altro ad un’iniziativa cautelare, sempre ammessa anche dopo la stipulazione della convenzione di negoziazione e anche durante il decorso del periodo di tempo concesso dalla legge per aderire all’invito a mediare.
La scelta di rifiutare la negoziazione non sarebbe, comunque, facile, dato lo stigma che la legge impone su chi non aderisce all’invito a negoziare
Il comportamento dell’avvocato (e della parte assistita) che inizi una negoziazione solo a scopo dilatorio e che sfrutti il tempo necessario alla procedura per pregiudicare la controparte non può che essere considerato lesivo del dovere di lealtà e come tale sanzionato.
Negoziazione e strategia processuale
La riflessione sulla nuova procedura di negoziazione assistita impone qualche considerazione sul rapporto tra questa procedura e la più generale strategia processuale.
L’avvio di una procedura di negoziazione assistita può costituire un formidabile strumento di valutazione della fondatezza di un’azione.
Di frequente i clienti interrogano gli avvocati intorno alle probabilità di successo dell’azione da intraprendere, arrivando addirittura, in alcuni casi, a chiedere un’indicazione percentuale in proposito.
Si tratta di una domanda alla quale è difficile rispondere, data l’alea che circonda necessariamente un giudizio civile e data l’impossibilità di conoscere a priori quali saranno le difese avversarie e quali, in particolare, le domande e le eccezioni di carattere riconvenzionale
La procedura di negoziazione assistita può costituire (se la controparte vi aderisce) un buono strumento di conoscenza anticipata delle difese, delle eccezioni e delle domande avversarie.
È ben vero che le parti sono vincolate alla riservatezza sulle notizie apprese nel corso della procedura.
È tuttavia anche vero che la sola conoscenza di determinate notizie può essere fondamentale per indirizzare la strategia processuale.
Nel corso della negoziazione le parti, infatti, sono di fatto “esposte” a una reciproca contaminazione informativa e possono quindi acquisire preziose informazioni in ordine alla rispettive posizioni e alle rispettive intenzioni processuali.
L’avvocato che è posto di fronte alla necessità di formulare una previsione circa il possibile esito di una causa può, quindi, trovare conveniente e opportuno l’avvio di una procedura di negoziazione.
Va, peraltro, considerato che i vantaggi cognitivi della procedura di negoziazione sono reciproci, dato che anche la controparte può conoscere in anticipo l’impostazione dell’azione giudiziaria progettata da chi inizia la negoziazione.
Va anche considerato l’obbligo di lealtà e buona fede che anima l’intera procedura, obbligo che potrebbe costituire per le parti sia uno stimolo a rivelare future iniziative sia un ostacolo a eccessiva investigazione sulle altrui intenzioni.
Il difficile equilibrio tra le caratteristiche di riservatezza del procedimento e i vantaggi informativi del medesimo potrà costituire un campo privilegiato di intervento per l’avvocato, che dovrà sviluppare la capacità di orientare al meglio la parte assistita.
Le opportunità della negoziazione assistita
La negoziazione assistita potrebbe rappresentare un’importante opportunità per la diffusione di un’innovativa cultura dell’autonomia delle parti nella soluzione della controversie e per lo sviluppo di soluzioni innovative per la gestione del conflitto, favorite dalla totale libertà assicurata dalla legge sia nella stesura delle convenzioni di negoziazione sia nella formazione dell’accordo conclusivo della procedura.
Se il nuovo istituto sarà considerato con favore e sarà effettivamente “praticato” dagli avvocati e da loro consigliato alle parti si potrebbero anche creare i presupposti per introdurre nella pratica professionale dei protocolli di pre-istruttoria, utili a consentire una valutazione serena del possibile esito di una lite.
Mi riferisco ai c.d. “minitrial”, in uso nella prassi anglosassone, procedimenti con i quali le parti possono assumere preventivamente, in forme semplificate, le prove che dovrebbero assumersi in un futuro processo (e in particolare le prove testimoniali e la consulenza tecnica).
Sulla base del materiale così acquisito le parti avrebbero a propria disposizione gli elementi di valutazione necessari alla decisione in ordine al raggiungimento o meno di un accordo conciliativo.
Un ostacolo al successo della negoziazione assistita potrà essere costituito da un’interpretazione rigida e formalistica della disciplina, considerata dagli avvocati solo come un nuovo intoppo allo sbocco naturale della controversia, costituito dal giudizio.
Altro ostacolo potrà essere costituito dalla consolidata tendenza a considerare il processo civile un mero strumento dilatorio, utile a ritardare e impedire l’adempimento delle obbligazioni (non credo, francamente, che le previsioni in tema di spese di lite e di responsabilità ex articolo 96 c.p.c. siano sufficienti per il superamento di questo ostacolo, che è connesso a mentalità ormai consolidate e difficili da estirpare).
Se gli ostacoli saranno superati la negoziazione potrebbe rappresentare un’opportunità anche sotto un altro profilo.
Talune ipotesi di mediazione obbligatoria, infatti, sono previste in via permanente dall’ordinamento (mediazione in materia di comunicazioni elettroniche tra utenti finali e operatori, di subfornitura nelle attività produttive, di patto di famiglia e di diritto d’autore).
La più discussa e rilevante ipotesi di mediazione obbligatoria non è, invece, in vigore in via definitiva.
Si tratta di quella prevista dall’articolo 5 del decreto 28/2010 in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
La legge, infatti, stabilisce che l’obbligatorietà della mediazione nelle dette materie abbia efficacia in via sperimentale per i soli quattro anni successivi alla data dell’entrata in vigore della legge 98/2013 (emanata a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 2012), con previsione di una procedura di “monitoraggio” decorsi due anni.
A differenza della mediazione obbligatoria la negoziazione obbligatoria è, invece, un istituto di carattere permanente, perché non è prevista alcuna fase di sperimentazione né alcuna limitazione temporale all’efficacia della normativa.
Si potrebbe, quindi, immaginare uno scenario futuro nel quale la sperimentazione della mediazione si rivela fallimentare, mentre la negoziazione assistita ha successo nel favorire la “degiurisdizionalizzazione”, proprio per il maggior ruolo offerto agli avvocati e per la capacità di tali professionisti di fare proprio, in modo creativo, il nuovo istituto.
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