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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 10/01/2015 Scarica PDF

La mediazione obbligatoria nelle azioni di risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità

Ilenia Torre, Avvocato in Barcellona Pozzo di Gotto


Sommario: 1. La tutela civilistica per il reato di diffamazione: i profili risarcitori ed il diritto di rettifica – 1.1 (Segue): La riparazione pecuniaria per la diffamazione «a mezzo stampa» – 2. Il difficile compito del mediatore: il bilanciamento degli interessi in gioco – 3. L’istanza di mediazione come «condizione di procedibilità»: l’articolo 5, comma I bis,del D. Lgs. 28/2010 – 4. Il deposito dell’istanza di mediazione: la competenza.


     

1. La diffamazione perfezionatasi attraverso la stampa o con altro mezzo di pubblicità (radio, televisione, web, cartelloni pubblicitari, ecc.) è stata inserita dal legislatore nel novero di materie per le quali è previsto l’esperimento del procedimento di mediazione come condizione di procedibilità dell’eventuale successiva domanda giudiziale, fatta eccezione per i casi in cui l’azione civile sia stata esercitata nel processo penale[1].

Gli elementi attraverso i quali si configura il reato di diffamazione, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 595 c.p., sono: l’offesa all’altrui reputazione, la comunicazione con più persone[2] e l’assenza dell’offeso[3].

La nozione di reputazione fa riferimento, per dottrina e giurisprudenza consolidate, all’onore[4] ed al decoro, previsti distintamente come oggetto di lesione dall’articolo 594 c.p.

Il soggetto passivo della diffamazione ha la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni subiti o attivando, mediante querela, un procedimento penale all’interno del quale avanzerà un’apposita domanda che consentirà – una volta accertata la responsabilità penale dell’imputato – di ottenere la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla commissione del reato; oppure, ed è questa la procedura per la quale è obbligatorio esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione, facendo valere le proprie richieste risarcitorie direttamente in sede civile.

Invero, per lungo tempo in sede civile la tutela dell’onore è stata subordinata a quella penale, sia dal punto di vista sostanziale che processuale.

Ed infatti, dal punto di vista sostanziale si riteneva risarcibile solo la lesione caratterizzata dall’elemento soggettivo del dolo, come richiesto dalla fattispecie penale; per altro verso, sul versante processuale, il vecchio codice di rito sanciva il principio della pregiudizialità.

Solo in un secondo momento, da un lato, la giurisprudenza ha ammesso la risarcibilità della diffamazione colposa quale illecito civile[5]; dall’altro, a seguito delle modifiche del vecchio codice di rito, la pregiudizialità penale ha lasciato spazio al principio di indipendenza delle azioni[6], per cui oggi il ricorso al giudice civile è del tutto svincolato, a fini risarcitori, dall’accertamento in sede penale del reato.

Ciò ha contribuito a determinare un ricorso sempre più frequente alla tutela civilistica, una tutela riconducibile al disposto di cui all’articolo 2043 c.c., che consente, una volta accertati i presupposti, il riconoscimento del risarcimento sia del danno patrimoniale, che di quello non patrimoniale.

Più specificamente, per un verso, la reputazione costituisce spesso un fattore decisivo nella produzione del reddito, pertanto, se essa viene pregiudicata dalla diffusione di notizie false diminuiscono le possibilità sia di instaurare nuovi rapporti, che di sviluppare quelli in corso, con la conseguente determinazione di un danno patrimoniale.

A fini risarcitori, benché non venga richiesto all’attore di dimostrare i rapporti preclusi a causa della condotta lesiva, dipendendo questi ultimi dalla volontà altrui, tuttavia, è necessario che lo stesso fornisca in sede processuale la prova del pregiudizio patrimoniale subito, quale conseguenza del danno ingiusto, attraverso l’esposizione di fatti, la produzione di documenti o anche per presunzioni[7].

Per altro verso, benché sia stato lo stesso legislatore a prevedere all’articolo 185 c.p. il risarcimento di tutti i danni, anche non patrimoniali, derivanti da reato, va rilevato, riguardo al reato di diffamazione, come i più recenti orientamenti giurisprudenziali siano convergenti nell’ammettere il risarcimento di tale danno, ritenendo che esso si configuri in re ipsa, nella diminuzione o privazione di un valore della persona umana[8].

Con riferimento alla diffamazione che si perfeziona a mezzo stampa[9], al soggetto passivo viene riconosciuta, altresì, la possibilità di esercitare il c.d. diritto di rettifica, ai sensi di quanto disposto dell’articolo 8 della L. sulla stampa[10], così come modificato dall’articolo 42 della L. n. 416 del 1981.

Lo scopo è quello di instaurare una sorta di contraddittorio che consenta alla vittima di far conoscere la propria versione dei fatti.

La rettifica, dunque, si basa su una valutazione del tutto soggettiva e prescinde dalla lesione effettiva della dignità[11], ciò si desume chiaramente dal contenuto della norma appena richiamata, che testualmente sancisce che: «il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purchè le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale».

In ogni caso, la rettifica non svolge una funzione risarcitoria e, pertanto, non preclude il risarcimento dei danni all’identità personale o alla reputazione.

   

1.1 In un ambito distinto rispetto a quello risarcitorio, ma pur sempre attinente alla tutela successiva all’illecito, si inserisce il rimedio previsto dall’articolo 12 della L. n. 47 del 1948 che prevede, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali e non, il riconoscimento in capo al danneggiato di una somma ulteriore «a titolo di riparazione», che può essere concessa, ad istanza di parte, anche dal giudice civile previo accertamento incidentale del reato[12]. Si tratta di un’ipotesi eccezionale di sanzione civile[13], che nulla ha in comune con il risarcimento del danno riconosciuto alla vittima ai sensi delle disposizioni del c.c., che consegue all’accertamento dell’illecito penale e che è applicabile su richiesta della parte.

Tale sanzione, in quanto strettamente collegata al reato di diffamazione, potrà essere irrogata esclusivamente nei confronti del responsabile di tale reato, da intendersi in senso rigorosamente oggettivo[14].

La Cassazione ha chiarito che l’irrogazione della sanzione può essere inflitta solo in presenza di una diffamazione perfezionatasi attraverso la stampa, intesa nella sua accezione più restrittiva di stampa quotidiana e periodica e non anche nelle ipotesi di diffamazione compiute attraverso altri strumenti di comunicazione[15].

Una parte della dottrina ha avanzato l’ipotesi che nei casi in cui il danneggiato chieda la riparazione pecuniaria venga meno l’obbligatorietà del preventivo tentativo di conciliazione e possa esservi il ricorso immediato al giudice, ma è ancora troppo presto per valutare quali saranno gli orientamenti giurisprudenziali che si formeranno in proposito.

   

2. Il difficile compito del mediatore è quello di riuscire a far trovare alle parti un punto di incontro, secondo equità, tra posizioni ed interessi divergenti; da un lato, il diritto della persona, fisica o giuridica, alla integrità della propria reputazione e del proprio onore; dall’altro, il rispetto del diritto di del giornalista di poter diffondere notizie aventi ad oggetto accadimenti di interesse pubblico[16].

La dialettica tra queste opposte esigenze ha condotto la Suprema Corte di Cassazione a pronunciarsi con la sentenza n. 5259 del 1984, nota come “il decalogo del giornalisti”[17], attraverso la quale i giudici hanno operato un bilanciamento fra i suddetti interessi contrapposti, affermando che il sacrificio delle posizioni giuridiche soggettive afferenti alla persona è giustificato e non integra gli estremi della diffamazione quando ricorrono contemporaneamente tre presupposti fondamentali nell’esercizio del diritto di cronaca giornalistica: la pertinenza[18], la verità dei fatti[19] e la continenza[20].

L’applicazione di tali presupposti muta, tuttavia, quando si discute del diritto di critica, il quale non consiste, a differenza della cronaca, nella narrazione di avvenimenti, ma si articola nella manifestazione di un’opinione soggettiva.

Più specificamente, la critica non ha come obiettivo primario quello di informare, bensì quello di fornire valutazioni personali su un fatto vero (o presumibilmente tale), in considerazione dell’autorevolezza della fonte che lo contempla[21].

I giudizi critici «non sono mai suscettibili di valutazioni che pretendano di ricondurli a verità oggettiva»[22]; la critica «soggiace al limite dell’interesse pubblico o sociale ad essa attribuibile quando si rivolge a soggetti che tengono comportamenti o che svolgono attività che richiamano su di essi l’attenzione dell’opinione pubblica»[23].

In ogni caso, anche per il diritto di critica la giurisprudenza ricerca un bilanciamento di interessi, poiché: «nonostante l’evidente funzione pubblica ed una maggiore estensione rispetto al diritto di cronaca, l’esercizio del diritto di critica non può assolutamente prescindere da parametri desumibili da un equo contemperamento tra l’interesse pubblico in questione e il diritto all’onore ed alla reputazione»[24].

Pertanto, in ogni caso, gli unici limiti al diritto di critica sono dati dalla necessità di scongiurare l’attacco gratuito, immotivato o che metta in evidenza profili della personalità del destinatario della critica slegati dal fatto trattato e dall’interesse pubblico ad apprendere la notizia[25].

Infine, anche la satira, attraverso la quale il giornalista esprime giudizi ironici avvalendosi di paradossi e metafore surreali, è espressione di un diritto che comporta un adattamento dei limiti della verità, della pertinenza e della continenza in relazione allo scopo perseguito. Essa costituisce, infatti, «una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica», attraverso cui può essere espresso «un dissenso ragionato rispetto all’opinione o al comportamento preso di mira, ma senza assumere il senso di un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato»[26], per evitare che si perfezioni il reato di diffamazione.

 Il difficile compito del mediatore sarà dunque quello di valutare tutti gli aspetti peculiari della singola vicenda che potrebbero facilitare il raggiungimento di un accordo, cercando di bilanciare i contrapposti interessi.

Pertanto, sarà sua cura far riflettere le parti sull’opportunità di intraprendere un’azione legale, in considerazione: a) delle tempistiche e delle spese che ne conseguono; b) delle incertezze circa il riconoscimento, in sede giudiziale, di una responsabilità in capo al presunto diffamante e, quindi, del consequenziale riconoscimento di un risarcimento; c) dell’opportunità della pubblicazione di una sentenza a conclusione del giudizio.

   

3. Come già anticipato, il tentativo di mediazione costituisce condizione di procedibilità dell’eventuale successiva domanda giudiziale e l’eventuale improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata dal giudice non oltre la prima udienza.

Va comunque precisato che il legislatore ha espressamente statuito che: «il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione»[27], con ciò si è ammessa la possibilità che il processo possa proseguire anche in difetto della condizione di procedibilità, con la possibilità che la stessa venga adempiuta successivamente all’introduzione della causa.

Ed ancora, anche per la materia della diffamazione il legislatore del 2013[28] ha introdotto la possibilità che mediazione venga disposta ex officio dal giudice, ed anche in questo caso la stessa si configura come condizione di procedibilità dell’eventuale futura azione giudiziale, anche in sede di appello[29].

Il dissenso espresso dalle parti rispetto alla possibilità di mediare la controversia fa venir meno ogni impedimento rispetto alla prosecuzione della stessa in sede giudiziale e, pertanto, determina la procedibilità della domanda giudiziale, una procedibilità quest’ultima che – una volta determinatasi – perdura senza limiti di tempo.

   

4. Le istanze per la mediazione devono essere depositate presso un Organismo sito nel luogo in cui si trova il Giudice territorialmente competente dinanzi al quale dovrà essere incardinata l’eventuale successiva controversia.

All’uopo, appare doveroso rammentare che nei giudizi civili aventi ad oggetto il risarcimento danni conseguente al pregiudizio dei diritti della personalità arrecato con la stampa intesa nella sua accezione più classica (stampa cartacea), il giudice competente è quello del domicilio (o alternativamente della residenza, se diversa dal domicilio) del danneggiato (o della sede della persona giuridica lesa), posto che il pregiudizio alla reputazione si considera correlato all’ambiente economico-sociale in cui vive la persona offesa dal reato[30].

Lo stesso principio si applica nei casi in cui la diffamazione si sia realizzata attraverso messaggi di rete, utilizzando uno spazio web o un newsgroup. Anche in tali casi il giudice competente per il risarcimento del danno è quello del luogo in cui il soggetto offeso, al momento della diffusione della notizia, ha il proprio domicilio, corrispondente al luogo in cui verosimilmente si è verificato il danno patrimoniale e/o non[31].

Anche in tali ipotesi, infatti, il domicilio – in quanto sede degli affari e degli interessi – rappresenta il luogo in cui si realizzano le ricadute negative della lesione alla reputazione. Ed infatti, è solo con la percezione del contenuto diffamatorio delle notizie in quel determinato contesto che concretamente prende vita il processo di svalutazione dell’immagine del soggetto offeso[32].



[1] Si fa rinvio all’art. 5, comma IV, del D.Lgs. 28/2010, laddove il legislatore ha elencato i casi in cui non si applica la disciplina dei commi I bis e II.

[2] Per dottrina e giurisprudenza consolidate, per aversi comunicazione con più persone è necessario e sufficiente che la comunicazione avvenga con almeno due persone, tra le quali non vanno compresi gli eventuali concorrenti nel reato.

[3] L’assenza dell’offeso si deduce dall’inciso del  comma I dell’articolo 595 c.p. che sancisce: «…fuori dei casi indicati nell’articolo precedente», che si riferisce all’ingiuria.

[4] Dal punto di vista soggettivo, l’onore è il sentimento e l’idea che ciascuno ha di sé; dal punto di vista oggettivo, esso è riconducibile al rispetto ed alla stima di cui ciascuno gode nella società.

[5] Si fa rinvio, in giurisprudenza, a  Cass. 13 maggio 1958, n. 1563, in Foro it., 1958, I, 1116; in dottrina a g. visintini, I fatti illeciti, vol. I, Ingiustizia del danno. Imputabilità. Padova, 1987.

[6] Cfr. m. tuozzo, Cronaca, critica e nuovo danno non patrimoniale, in Resp. civ., 2005, 337 ss.

[7] In dottrina, si rinvia a: z. zencovich, Onore e reputazione nel sistema del diritto civile, Napoli, 1985, 308; a. gorgoni, I limiti alla critica, alla satira e all’esercizio dell’arte, in Obbl. e contr., 7, 2010. In giurisprudenza cfr., ex multis, Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2012, n. 16543, in Dir. informatica, 2013, 1, 27; Trib. Roma, sez. I, 6 ottobre 2011, in Resp. civ. e previdenza, 2012, 3, 938; Cass. civ., sez. I, 5 novembre 1998, n. 11103, in Danno e resp., 1999, 340.

[8] Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2012, cit.

[9] Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 1 della L. n. 47/1948 sono considerate stampe o stampati «tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».

[10] Il riferimento, com’è ovvio, è alla L. n. 47/1948.

[11] Si legge in Cass. civ., sez. III, 24 aprile 2008, n. 10690, che: «il bilanciamento tra l’interesse pubblico ad essere informato (alla cui realizzazione è strumentale l’esercizio del diritto di cronaca e di critica da parte di chi informa) e l’interesse della persona, fisica o giuridica, a non essere lesa nella sua identità personale è realizzato dall’articolo 8, comma I, della L. sulla stampa». La sentenza è stata pubblicata in Resp. civ. e previdenza, 2009, 1, 148, con nota di Peron.

[12] Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2007, n. 23314, in Banca Dati De Jure.              

[13] Pur non essendo questa la sede per approfondire il tema dell’ammissibilità o meno della natura afflittiva della responsabilità civile, merita di essere segnalato l’annoso contrasto tra la dottrina, che considera la funzione sanzionatoria non estranea alla responsabilità civile, e la giurisprudenza di legittimità che più volte si è pronunciata in senso diametralmente opposto. Cfr. in dottrina c. scognamiglio, Danno morale e funzione deterrente della responsabilità,  in Resp. civ. e prev., 2007, 12, 2485 ss.; g. vettori, Diritto privato ed ordinamento comunitario, Milano, 2009, 296 ss.; m. franzoni, Il danno risarcibile, Milano, 2004, 646 ss. In giurisprudenza, si veda Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1183, in Banca Dati De Jure.

[14] In questi termini m. grondona, Danno morale da diffamazione a mezzo stampa e ambito di rilevanza dei danni punitivi, in Resp. civ., 2010, 836 ss.

[15] Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2011, n. 10214, in Diritto e Giustizia on line, 2011.

[16] Il diritto di cronaca ha trovato una stabile collocazione all’interno della categoria dei valori salvaguardati dalla Costituzione, ed in particolare nell’articolo 21, norma che sancisce la libertà di manifestazione del pensiero, con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di comunicazione.

[17] La sentenza de qua è stata ampiamente pubblicata e commentata, si rinvia, ex multis, a Giust. civ. mass., 1984, fasc. 10; Giust. civ., 1984, I, 2491; Foro it., I, 2711.

[18] Intesa come utilità sociale dei fatti narrati.

[19] Intesa sia prevalentemente come verità oggettiva, ma anche come verità putativa qualora sia dimostrabile un serio lavoro di ricerca e di analisi dei dati da parte del giornalista.

[20] Corrispondente alla forma civile dell’esposizione della notizia ed alla sua valutazione; essa va intesa sia in senso formale (presentazione linguisticamente misurata della notizia), che sostanziale (contenuti funzionali allo scopo informativo e non trascendenti in espressioni offensive per la dignità della persona).

[21] Per un’analisi sui limiti all’esercizio del diritto di critica si fa rinvio, fra tanti, a: f. agnino, Diritto di critica e tutela dell’onore: nulla di nuovo sotto al sole, in Danno e resp., 2013, 2, 162; l. frata, Critica e satira: la diffamazione tra giurisprudenza e legislatore, in Danno e resp., 6, 2013, 623 ss.; a. gorgoni, I limiti alla critica, alla satira e all’esercizio dell’arte, in Obbl. e contratti, 2010, 7, 525 ss.

[22] Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2005 n. 379, in Foro it., 2005, I, 2046 con nota di Chiarolla.

[23] Cfr. Cass. civ., sez. III, 27 aprile 1998, n. 4285, in Giur. it., 1999, 7 con nota di Facci; Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1996, n. 465, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 312, con nota di Conti.

[24] Cass. civ., sez. I, 14 gennaio 1999, n. 334, in Giur. it., 1999, 1582; Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2012 n. 10031 in Diritto e giustizia on line, 2012, con nota di Greco.

[25] Cfr. Cass. civ., sez III, 4 luglio 2006, n. 15270, in NGCC, 2007, 851.

[26] Cass. civ., sez. III, 28 novembre 2008, n. 28411, in Giust. civ. mass., 2008, 11, 1702.

[27] Cfr. ultimo inciso dell’articolo 5, comma II, del D.L. 28/2010.

[28] Il riferimento è al D.L. n. 69/2013, c.d. Decreto del Fare.

[29] Cfr. articolo 5, comma II, del D.L. 28/2010.

[30] Cfr., ex multis, Cass. civ., SS.UU, 13 ottobre 2009, n. 21661, in Resp. civ. e previdenza, 2010, 1, 104, con nota di Peron.

[31] Cfr. Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2002, n. 6591, in Giur. it., 2003, 1595, laddove la Corte rileva che: «…il danno risarcibile diventa concreto con riferimento agli effetti del discredito che derivano all’offeso danneggiato nel suo ambiente…».

[32] Per una disamina sull’argomento, si rinvia all’attenta analisi di d. chindemi, Diffamazione a mezzo stampa, (radio-televisione-internet), Milano, 2006, pp. 207-2011.


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