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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/07/2008 Scarica PDF

Il danno da informazione inesatta nell'attività di revisione contabile

Giovanni Facci, Ricercatore confermato


SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La revisione contabile e le informazioni ai terzi. - 3. La natura della responsabilità - 4. Obbligazioni di mezzi e di risultato nella responsabilità del revisore. - 5. (Segue). La responsabilità nel considerare le frodi. - 6. Il nesso causale. - 7. (Segue). L'art. 1227 c.c. - 8. L'onere della prova. - 9. La prescrizione. - 10. Il danno risarcibile: il pregiudizio subito dagli investitori. - 11. (Segue). Il pregiudizio subito dai creditori.


1. Premessa
La responsabilità per informazioni inesatte è considerata da sempre un ottimo «banco di prova» per valutare la resistenza delle tradizionali regole di responsabilità (1).
In particolare, è dibattuta la possibilità di considerare come ingiusto il danno patito dal terzo a causa delle informazioni inesatte, allorché tra le parti non sia intercorso alcun rapporto contrattuale (2); il problema, infatti, consiste nell'accertare se nel nostro ordinamento vi siano indici che portano a ritenere che l'affidamento incolpevole di un soggetto nella veridicità e correttezza delle informazioni rese da un terzo debba essere tutelato oppure se debba soccombere davanti alla tutela riconosciuta alla libertà di informazione.


Tale problematica assume un interesse ancor maggiore, nel caso in cui si tratti di informazioni di carattere economico, come tali destinate ad incidere sulla libertà contrattuale di chi le utilizza.

Di recente, il tema si è posto con riguardo alle informazioni provenienti dalle agenzie di rating (3) (in particolare a seguito della recente «crisi» dei mutui subprime), e più in generale dagli analisti finanziari (4), le cui previsioni condizionano fortemente le scelta d'investimento da parte degli investitori.


Tradizionalmente, invece, il tema della lesione della libertà contrattuale per false informazioni ed il conseguente profilo dell'ingiustizia del danno patito dal terzi è stato esaminato con riguardo all'affidamento suscitato dalla lettera di patronage (5), con riguardo alle informazioni non veritiere provenienti dalla banca (6), con riguardo ai c.d. warentests (7), oppure con riguardo al prospetto informativo (8).
In tutte queste ipotesi, anche se risolte in genere tutelando l'affidamento incolpevole del terzo, è stato posto in dubbio che sussista un diritto del singolo a ricevere informazioni corrette (9); così, ad esempio, con riguardo alla banca, potrebbe sostenersi che la vera fonte dell'obbligo di fornire informazioni veritiere, in casi come quello del benfondi, risieda nella prassi bancaria in base alla quale le banche si scambiano informazioni che si debbono presumere veritiere nell'interesse dell'intero sistema bancario (10).


Allo stesso modo, con riferimento alla lettera di patronage, si potrebbe affermare che l'esigenza di valutare con maggior rigore la responsabilità, risieda nella particolare posizione dell'informatore, il quale non solo conosce i fatti che attesta nella lettera ma è anche terzo interessato al negozio patrocinato, della cui conclusione o continuazione si rende promotore o intermediario in senso lato (11).


Questi casi, pertanto, potrebbero essere non decisivi per valutare se, nel nostro ordinamento, sia ingiusto il danno patito dal terzo e se sussista un proprio interesse, giuridicamente tutelato, all'esattezza dell'informazione altrui.
Anche per la revisione contabile, si pone il problema della responsabilità nei confronti dei terzi per informazioni inesatte, tenuto conto che lo scopo della revisione è principalmente quello di fornire un beneficio informativo ai terzi (12).
In questa fattispecie, tuttavia, è già stato superato il problema dell'ingiustizia del danno patito dal terzo e, di conseguenza, se sussista un diritto tutelato di quest'ultimo, a ricevere informazioni corrette. Il legislatore, infatti, con l'art. 164, comma 2º, T.u.f. prima e con l'art. 2409, sexies c.c. poi, ha espressamente previsto la responsabilità non solo nei confronti della società che ha conferito l'incarico ma anche nei confronti dei terzi danneggiati.
In tal modo, in caso di lesione della libertà contrattuale per false informazioni provenienti dal giudizio sul bilancio, non è necessario accertare se sia o meno tutelato l'affidamento del terzo nella serietà e veridicità dell'informazione ricevuta dal revisore: il legislatore ha già espresso un giudizio di meritevolezza dell'interesse del terzo a ricevere informazioni corrette dall'attività di revisione contabile.
A prescindere dal profilo dell'ingiustizia del danno, tuttavia, la fattispecie della responsabilità, per il danno da informazione nell'attività di revisione contabile, presenta aspetti di indubbio interesse, testimoniati anche dall'attenzione della dottrina sul tema (13).


2. La revisione contabile e le informazioni ai terzi
I revisori contabili svolgono un ruolo istituzionale, essendo inseriti in un sistema pubblicistico di vigilanza, finalizzato alla protezione di interessi ulteriori rispetto a quelli della società revisionata (14); l'attività dei revisori, infatti, conferisce una particolare attendibilità ai bilanci delle società revisionate, con la conseguenza che i terzi estranei al rapporto di revisione sono indotti ad un legittimo affidamento nei giudizi sui bilanci espressi dai revisori.
Così facendo, i revisori nell'adempimento delle obbligazioni assunte non solo debbono rispettare gli interessi della parte committente, ma debbono tenere in considerazione anche gli interessi di tutti i soggetti che possono ricavare dall'adempimento dell'attività svolta le informazioni di cui necessitano per una cosciente gestione del proprio patrimonio (15).
A tal proposito, si è di recente evidenziato che a lamentare i danni per negligente revisione contabile sono generalmente i terzi e quasi mai la stessa società (contraente) revisionata: il negozio intercorre tra due soggetti, i revisori e la società revisionata ma a lamentare i danni per il negligente adempimento non è quasi mai la creditrice della prestazione mal eseguita ma soggetti estranei a quel contratto, i quali sono stati pregiudicati nelle scelte di investimento, a causa delle informazioni inesatte provenienti dai revisori (16).


In particolare, può configurarsi una responsabilità nel caso di rilascio di un errato o fuorviante giudizio sul bilancio che abbia indotto il terzo a decisioni di investimento, che altrimenti non sarebbero state compiute; così, ad esempio, la sopravvalutazione dell'attivo di bilancio, non rilevata dalla società di revisione, può risultare determinante per la decisione di partecipare o di incrementare la propria partecipazione nella società. Allo stesso modo, la sottovalutazione di passività può far sì che l'investitore già socio possa determinarsi a vendere le proprie azioni ad un prezzo inferiore rispetto a quello che potrebbe ottenere sulla base di un bilancio correttamente redatto (17).
Si può configurare una responsabilità anche nell'ipotesi in cui il giudizio erroneo sul bilancio abbia indotto un terzo (ad esempio una banca) a concedere credito alla società revisionata, sul presupposto del buon andamento patrimoniale della società revisionata. In questo caso, il giudizio positivo sul bilancio della società revisionata lede l'autonomia contrattuale dei creditori, dando una rappresentazione positiva circa la solvibilità dell'impresa.


La fattispecie presenta somiglianze con la responsabilità per concessione abusiva del credito, la quale viene concepita come una forma di lesione della libertà contrattuale, attuata mediante uno «sviluppo» della responsabilità per danno informativo (18); in entrambe le ipotesi, infatti, siamo in presenza di una illusoria apparenza di solidità o almeno di normalità aziendale, che viene data, in un caso, dall'erroneo giudizio sul bilancio e nell'altro dal finanziamento abusivo. Tale similitudine è ancor più marcata,
tenuto conto che il revisore deve esprimersi anche in relazione alla capacità di continuazione dell'attività aziendale (c.d. going concern).
In questo modo, si potrebbe affermare una responsabilità nei confronti di tutti coloro che hanno subito un pregiudizio a causa della continuazione dell'attività dell'azienda, allorchè si provi che in caso di diligente adempimento dei revisori, tale attività sarebbe stata interrotta.
In ogni caso, la responsabilità del revisore può essere invocata anche da coloro che, al momento dell'inadempimento del revisore, già erano creditori della società, ma facendo affidamento sul giudizio positivo, hanno perso la possibilità di esercitare azioni, in grado di limitare le conseguenze dannose (eccezione di inadempimento, richiesta di garanzie, istanza di fallimento, ecc.) (19), oppure, più in generale, hanno subito un pregiudizio a causa del ritardo nell'apertura del fallimento; i creditori, infatti, (già tali al momento dell'inadempimento) potrebbero aver subito un danno in quanto, essendo nel frattempo aumentati i debiti sociali, si è ridotta la possibilità di soddisfarsi di ciascuno di essi (20).
Anche in questo caso è evidente l'analogia con la concessione abusiva del credito, in cui si afferma la responsabilità anche nei confronti dei creditori anteriori all'illecito, in quanto riusciranno a recuperare una somma inferiore a quella che avrebbero recuperato se il fallimento fosse stato tempestivamente dichiarato (21).
In questi ultimi casi, l'ingiustizia del danno è rappresentata non tanto dalla lesione della libertà contrattuale, quanto dalla lesione dell'aspettativa a realizzare il credito, che è stata pregiudicata dal comportamento negligente del revisore.
In definitiva, una responsabilità dei revisori verso i terzi sussiste ogni volta che il colposo inadempimento del mandato ricevuto travalica i confini del rapporto obbligatorio, producendo effetti negativi anche per tutti coloro che hanno fatto affidamento sul diligente svolgimento dell'attività di revisione contabile; così facendo, ad esempio, la S.C. ha ravvisato una responsabilità nei confronti di acquirenti di quote societarie, i quali non avrebbero stipulato il contratto definitivo, esercitando il diritto di recesso stabilito nel preliminare, ove avessero conosciuto il reale ed inferiore valore della società (22).

3. La natura della responsabilità
L'art. 2409, sexies, co. I, prevede espressamente che il revisore è responsabile anche nei confronti dei terzi «per i danni derivanti dall'inadempimento» ai propri doveri (23). A sua volta, il legislatore del T.u.f. del 1998 (24), all'art. 164, II co., ha disposto che «i responsabili della revisione e i dipendenti che hanno effettuato l'attività di revisione contabile sono responsabili, in solido con la società di revisione, per i danni conseguenti da propri inadempimenti o da fatti illeciti nei confronti della società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati».
In tal modo, potrebbe sembrare che il legislatore del 2003 - eliminando l'endiadi «inadempimentofatto illecito» e lasciando il solo riferimento all'«inadempimento» - abbia inteso far riferimento ad una responsabilità del revisore di natura contrattuale anche nei confronti dei terzi, che deriverebbe dall'inadempimento di una preesistente obbligazione imposta dalla legge al revisore per garantire il corretto esercizio delle funzioni svolte (25).
Il riferimento al teso letterale dell'art. 2409, sexies, tuttavia, non appare decisivo per affermare la responsabilità contrattuale anche nei confronti dei terzi, in quanto si può sostenere che il legislatore, con il termine «inadempimento», abbia voluto identificare la condotta materiale che, se con riferimento alla società cliente rileva come inadempimento contrattuale, con riguardo ai terzi ed ai soci si delinea giuridicamente come l'elemento oggettivo da cui trae origine l'art. 2043 c.c.: il revisore che non esegue le dovute procedure potrebbe commettere, oltre ad un inadempimento contrattuale nei confronti della società cliente, un fatto illecito che potrebbe assumere rilievo anche ai sensi dell'art. 2043 (26).
In altre parole, con l'eliminazione dell'endiadi «inadempimentofatto illecito» sarebbe affermata l'identità naturalistica dell'avvenimento che cagiona i danni sopportati dalla società, dai soci e dai terzi, indicando così l'unicità della causa empirica che espone il revisore all'obbligo di risarcire i danni ed al contempo tipizza un illecito aquiliano riconducibile nell'ambito della clausola generale dell'art. 2043 (27).
Una responsabilità di natura contrattuale potrebbe essere sostenuta, invece, facendo riferimento al particolare «status» delle società di revisione, tenuto conto che esse svolgono un ruolo istituzionale, essendo inserite in un sistema pubblicistico di vigilanza, finalizzato alla protezione di interessi ulteriori rispetto a quelli della società revisionata (28); in altri termini, esse contribuirebbero, con rapporti di carattere privatistico, a realizzare l'interesse pubblico della protezione dei mercati (29).
In tal modo, si tratterebbe di applicare i principi di natura contrattuale nei confronti dei revisori, seguendo l'orientamento che, nell'ambito della responsabilità professionale, tende ad adottare, nei confronti dei terzi, la responsabilità da "contatto sociale" (30).
Indubbiamente più articolata è la recente ricostruzione che - partendo dall'assunto secondo il quale lo scopo ed il senso della revisione è destinare un beneficio informativo ai terzi investitori (azionisti, obbligazionisti e finanziatori) - ricostruisce la fattispecie in esame in termini di contratto a favore di terzi (31).
In particolare, proprio perché i naturali destinatari del giudizio di revisione sono i terzi risparmiatori investitori, viene fatto riferimento al contratto a favore di terzi con efficacia interna, il quale si differenzia da quello in senso proprio, con riguardo al momento temporale in cui avviene l'attribuzione del diritto (32) .
A prescindere dai rilievi che possono essere mossi a questa ricostruzione, collegati alla circostanza che la funzione della revisione non è diretta a tutelare soltanto i terzi, ma pure la società stessa (33), nonché l'impossibilità di determinare l'identità dei beneficiari della stipulazione (34), si deve rilevare la sostanziale inutilità pratica del dibattito in ordine alla natura della responsabilità dei revisori verso i terzi.
In altre parole, la diversa qualifica della responsabilità come contrattuale oppure come extracontrattuale assume scarso rilievo sul piano pratico, tenuto conto che le differenze tra le due ipotesi sono eliminate sul piano della prescrizione dell'azione, unificata nel termine di cinque anni dalla data della cessazione dell'incarico del revisore (35).

4. Obbligazioni di mezzi e di risultato nella responsabilità del revisore
E' particolarmente discusso in dottrina se le obbligazioni del revisore siano obbligazioni di mezzi oppure di risultato.
L'orientamento prevalente è portato a ritenere che si sia in presenza di obbligazioni di mezzi e non di risultato: in particolare, si sostiene che «la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico» di cui all'art. 2407 c.c. siano l'unico criterio per determinare concretamente il contenuto dei doveri posti in capo ai revisori, con conseguente impossibilità di ricondurre la fattispecie alle obbligazioni di risultato (36).
In ogni caso, prima di procedere ad esaminare le funzioni svolte dalla società di revisione - al fine di accertare la natura delle obbligazioni - appare opportuno interrogarsi sul valore della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato.
Tale dicotomia, infatti, è stata respinta da parte della dottrina, la quale nega che le obbligazioni di mezzi e di risultato siano due categorie contrapposte (37).
Al riguardo, si è sottolineato che la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato non ha alcuna incidenza sul regime di responsabilità del professionista, il quale rimane sempre il medesimo; in questo modo, la responsabilità per inadempimento è disciplinata in modo unitario dall'art. 1218 c.c., non essendo accettabile l'idea per la quale le obbligazioni del professionista risponderebbero, sotto il profilo dei presupposti della responsabilità e del conseguente onere probatorio, ad una logica diversa da quella valevole per le altre obbligazioni (38).
Siffatta impostazione è stata ribadita anche dalla giurisprudenza più recente, la quale ha anche evidenziato come la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, dal punto di vista pratico, presenti profili problematici, in considerazione della struttura stessa del rapporto obbligatorio e tenuto conto che un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni; in ogni obbligazione, infatti, si richiede sia la presenza del comportamento del debitore che del risultato, anche se in proporzione variabile, con la conseguenza che in ciascuna obbligazione assumono rilievo sia il risultato pratico da raggiungere attraverso il vincolo, sia l'impegno che il debitore deve porre in essere per ottenerlo (39).
E' confermato, inoltre, che la distinzione non può essere utilizzata per sostenere che mentre nelle obbligazioni di mezzi, essendo aleatorio il risultato, incombe sul creditore l'onere della prova che il mancato risultato è dipeso da scarsa diligenza, mentre, nelle obbligazioni di risultato incombe sul debitore l'onere della prova che il mancato risultato è dipeso da causa a lui non imputabile (40). Tale impostazione, infatti, deve essere decisamente respinta, stante la recente ricostruzione operata dalla Cass. sez. un. in tema di onere della prova in materia di inadempimento contrattuale (41).
In base a siffatta ricostruzione, il sistema di ripartizione dell'onere della prova è identico, sia che il creditore agisca per l'adempimento dell'obbligazione, ex art. 1453 c.c., sia che domandi il risarcimento per l'inadempimento contrattuale, ex art. 1218 c.c., senza che possa venire in alcun rilievo la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato (al riguardo, si veda il § n. 8).
In ogni caso, la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, se non può essere utilizzata per introdurre una differenziazione sul piano della disciplina della responsabilità - essendo innegabile che tutti i profili di responsabilità del professionista intellettuale, siano essi connessi ad obbligazioni di mezzi o di risultato, debbono essere ricondotti nell'ambito della disciplina generale dell'inadempimento delle obbligazioni - può, tuttavia, essere mantenuta su un piano meramente descrittivo, per stabilire a che cosa sia tenuto il debitore di una certa obbligazione (42).
In altre parole, la partizione viene in rilievo per individuare l'oggetto della prestazione, rispetto alla quale si dovrà valutare se il debitore ha adempiuto in modo esatto, tenuto conto, in ogni caso, che anche nelle obblig azioni c.d. di mezzi, il debitore è tenuto ad un risultato, inteso non come il raggiungimento dello scopo finale perseguito dal cliente, bensì come insieme delle prestazioni che il debitore deve compiere in vista di tale fine (43).
Questo, ad esempio, è il caso della responsabilità dell'avvocato, il quale è sempre tenuto a porre in essere una attività professionale efficiente tesa a conseguire il buon esito della lite per il cliente (44).
In questo modo, la distinzione assume rilievo quando il creditore abbia dimostrato il titolo dell'obbligazione ed il debitore, per liberarsi da responsabilità, intenda dimostrare il fatto estintivo del vincolo ed in particolare di aver adempiuto in modo esatto la prestazione. Pertanto, nelle obbligazioni di mezzi - nelle quali il mancato o inesatto risultato della prestazione non consiste nell'inadempimento, ma costituisce il danno conseguente alla non diligente esecuzione della prestazione - il debitore, se vuole dimostrare l'esattezza dell'adempimento, deve provare che la sua condotta è stata conforme alle regole dell'arte che devono essere seguite nelle circostanze in cui si è verificato il fatto; così facendo, il debitore di una prestazione di mezzi, dimostrando la conformità tra la diligenza richiesta nel caso di specie e quella effettivamente prestata, si pone sullo stesso piano del debitore che esibisce la quietanza di pagamento: fornisce una prova contraria del fatto costitutivo (45).
Nelle obbligazioni di risultato, invece, la dimostrazione della conformità tra la diligenza richiesta e quella prestata non è sufficiente, in quanto il debitore adempie esattamente la prestazione soltanto se consegue il risultato dedotto in obbligazione; per questo motivo, se tale risultato non è stato raggiunto, il debitore, per liberarsi da responsabilità, deve fornire la prova di cui all'art. 1218 c.c.
Tale impostazione, in ogni caso, non porta a rompere l'unitarietà della disciplina della responsabilità per inadempimento della prestazione, sottraendo le obbligazioni di mezzi dall'applicazione dell'art. 1218 c.c. (46). Infatti, nel caso in cui venga in rilievo non l'inesattezza dell'adempimento del debitore, bensì la mancata esecuzione della prestazione, non ha alcun senso distinguere a seconda della natura di mezzi o di risultato delle obbligazioni: in questo caso, viene in rilievo, non tanto il contenuto della prestazione, bensì il fatto positivo che ha reso impossibile la prestazione (47).
Si tenga, comunque, in considerazione che nelle obbligazioni di risultato, il risultato deducibile in obbligazione dipende dalla effettiva possibilità di conseguirlo nel senso che non può essere imposto al debitore di raggiungere un risultato che oggettivamente non può essere conseguito (48). Diverso è, invece, il caso in cui il risultato dipenda dal titolo fonte dell'obbligazione, nel senso che il debitore si è impegnato contrattualmente al raggiungimento del risultato (49). In questa ipotesi, il debitore che ha assunto volontariamente per contratto l'obbligazione di conseguire un certo risultato sarà responsabile, in caso di inadempimento, anche nel caso in cui la scienza e la tecnica non diano alcuna assicurazione sul conseguimento dello stesso (50).

5. (Segue). La responsabilità nel considerare le frodi
Dopo aver esaminato per sommi capi la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato e rilevato il ruolo svolto dalla partizione, si può valutare il significato della stessa nell'ambito delle funzioni svolte dai revisori.
Si è già evidenziato che si tende a negare che l'obbligazione del revisore possa considerarsi di risultato, a causa principalmente dei limiti intrinseci all'attività di revisione contabile: anche se la revisione è stata correttamente pianificata e svolta in conformità ai principi di revisione, vi è un inevitabile rischio che alcuni errori significativi presenti nel bilancio non siano individuati.
In altre parole, un revisore ben difficilmente può raggiungere una sicurezza assoluta di riuscire ad individuare tutti gli errori significativi contenuti nel bilancio, in quanto la revisione contabile è soggetta a fattori quali l'utilizzo di verifiche a campione, le limitazioni intrinseche del controllo interno e la natura «persuasiva» piuttosto che «conclusiva» di molti degli elementi disponibili, che non permettono il conseguimento di un siffatto risultato (51).
Pare dunque che l'unico criterio decisivo al fine di valutare la responsabilità del revisore sia rappresentato dall'accertare se egli abbia agito con «la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico» di cui all'art. 2407 c.c. (52): l'obbligazione assunta ha per oggetto una attività di diligente revisione contabile, con il grado di perizia e di oculatezza connesso all'alta professionalità richiesta (53).
In ogni caso, l'osservanza dei principi di revisione - tenuto conto talvolta del contenuto generico ed astratto - non sempre è sufficiente a provare l'esatto adempimento, soprattutto nel caso in cui risulti che la genericità di quanto proposto, mal si adatta allo specifico caso concreto sottoposto al giudizio di revisione, essendo necessario in questa ipotesi effettuare procedure di controllo ulteriori od alternative (54).
In particolare, per stabilire o meno la responsabilità, è necessario valutare le procedure di revisione eseguite nel caso specifico, la sufficienza e l'adeguatezza degli elementi probativi ottenuti a seguito dello svolgimento di tali procedure e la coerenza della relazione di revisione emessa sulla base degli elementi di prova acquisiti (55). In tal modo, non si può affermare la responsabilità del revisore a causa della semplice mancata scoperta di errori presenti nel bilancio ma solo nel caso in cui quegli errori sarebbero stati riscontrati se il revisore avesse eseguito delle procedure di verifica che invece ha omesso di svolgere, malgrado le stesse fossero ex ante necessarie ad integrare, nel caso di specie, il comportamento del diligente professionista della revisione (56).
Soltanto per alcune prestazioni, quali il controllo della corrispondenza del bilancio alle scritture contabili ed agli accertamenti eseguiti, si potrebbe parlare di obbligazioni di risultato, poiché si tratta di accertamenti quasi meccanici, che non richiedono alcuna attività critica o valutativa (57).
Ai fini dell'argomento trattato, comunque, appare significativo il caso della responsabilità per mancata scoperta di frodi contabili. Gli errori di bilancio, infatti, che possono presentarsi ai revisori possono derivare da frodi o comportamenti o eventi non intenzionali: ciò che distingue le due categorie è l'intenzionalità o meno dell'atto che determina errori in bilancio.
In particolare, le frodi rilevanti che comportano la presenza di errori significativi in bilancio sono le false informative economico finanziarie, che riguardano l'omissione in bilancio di importi o di un'informativa adeguata al fine di ingannare gli utilizzatori del bilancio, influenzando la loro percezione della redditività aziendale (58).
Il rischio di non riconoscere un errore derivante da frodi è superiore rispetto agli errori derivanti da comportamenti non intenzionali, in quanto le frodi possono essere accompagnate da schemi organizzativi sofisticati ed attentamente progettati al fine di occultarle ai revisori. Diventa così fondamentale accertare se la mancata scoperta delle frodi contabili sia imputabile a superficialità o trascuratezza oppure alla abilità di occultamento degli amministratori (59); in altri termini, la successiva scoperta nel bilancio di un errore significativo dovuto a frodi non è di per sé indice dell'inadempimento del revisore, in quanto in alcuni casi le procedure di revisione sono oggettivamente inefficaci nell'individuare errori conseguenti a comportamenti od eventi intenzionali occultati (60).
E' opportuno, invece, verificare - in ragione delle concrete circostanze, tenuto conto della presenza o meno di indici di sospetto e di peculiari criticità - se i revisori che non abbiano rilevato frodi contabili poi rivelatesi perpetrate fossero obiettivamente tenuti a svolgere indagini più approfondite, secondo il paradigma del revisore diligente e se, in caso affermativo, la mancata scoperta sia dovuta a negligenza ed imperizia o piuttosto alla astuzia nell'occultamento degli amministratori (61).
Si pensi, ad esempio, al caso in cui alcuni documenti rilevanti siano stati falsificati; la revisione svolta in conformità ai principi di revisione, raramente, comporta la verifica dell'autenticità della documentazione, né il revisore è preparato a tale scopo o ci si può attendere che sia considerato un esperto in questo campo; senza considerare, inoltre, che un revisore può non individuare l'esistenza di modifiche ad un documento, per esempio, attraverso un accordo a latere, che non è stato reso noto al revisore.
In questa fattispecie, pertanto, appare improbabile individuare responsabilità, a meno che durante l'espletamento del controllo contabile, non fossero emersi elementi che potevano indurre il revisore a ritenere che un documento potesse essere non autentico o che il contenuto dello stesso fosse stato modificato, con la conseguenza che il revisore avrebbe dovuto svolgere approfondimenti, come per esempio una richiesta di conferma diretta ai terzi, oppure valutando l'eventuale utilizzo del lavoro di un esperto per accertare l'autenticità del documento (62).
Alla luce di queste considerazioni, si evince che è improbabile configurare come risultato dovuto quello di scoprire le false informative economico finanziaria, in quanto tale risultato non sempre può essere conseguito (63); è indubbio, però, che il revisore sarà obbligato a scoprire circostanze non documentate oppure ad accertare la falsità dei fatti risultanti dalla documentazione, tutte le volte in cui ciò costituisca il prevedibile esito dei controlli a cui lo stesso è o sarebbe stato tenuto in base al criterio della diligenza professionale, specificato tramite i principi tecnici che presiedono al corretto svolgimento dell'attività di revisione contabile (64).

6. Il nesso causale
Ai fini della affermazione della responsabilità del revisore è necessario un rigoroso accertamento del nesso causale tra l'inadempimento di quest'ultimo ed il danno patito dal terzo; in particolare, si deve verificare che l'informazione proveniente dal giudizio di revisione abbia influenzato la decisione del terzo, portandolo a compiere una scelta che altrimenti non sarebbe stata effettuata.
E così necessario che il danneggiato dimostri non solo che non avrebbe compiuto l'operazione o che l'avrebbe compiuta a condizioni meno onerose se avesse conosciuto la reale situazione della società, ma anche che l'informazione proveniente dal giudizio sul bilancio è stata la causa che ha determinato la scelta effettuata: i terzi debbono aver concretamente utilizzato l'informazione proveniente dal giudizio sul bilancio, facendo affidamento sull'erronea valutazione dei revisori, sia compiendo atti di investimento/disinvestimento che non avrebbero realizzato se correttamente informati, sia non compiendo atti di investimentodisinvestimento che invece sarebbero stati posti in essere se l'attività di revisione fosse stata svolta in modo diligente (65).
Allo stesso modo, nel caso in cui il danno sia lamentato dai creditori della società - allorché il patrimonio della società sia insufficiente ed il credito non possa essere soddisfatto - è necessario che il creditore sia stato indotto alla conclusione del contratto, facendo affidamento sull'erroneo giudizio positivo rilasciato dal revisore.
In ogni caso, la natura essenzialmente immateriale dell'informazione da cui originano i danni ed in più la difficoltà di riportare entro uno schema causale la successione di eventi che conduce l'investitore a compiere (o a non compiere) una certa operazione, portano a ritenere che l'unica causalità che può venire in rilievo è fondata inevitabilmente su un giudizio in termini ipotetici (66).
Tale circostanza espone all'evidente rischio dell'arbitrio interpretativo: un comportamento virtuale o ipotetico e cioè un comportamento che naturalisticamente non vi è mai stato, non può essere provato oggettivamente scientificamente, bensì solo sulla base di congetture e presunzione per definizione fallibili (67).
Tuttavia, la finalità della disciplina della revisione, volta a consentire ai terzi scelte maggiormente consapevoli, agevola il ricorso alle presunzioni, consentendo di fondare una presunzione semplice di causalità efficiente e di ipotizzare la sussistenza di un nesso causale «tipizzato» tra il fatto del revisore ed il pregiudizio subito dal terzo: il terzo danneggiato dovrà semplicemente allegare di aver fatto affidamento sulle informazioni provenienti dai revisori, sempre facilmente disponibili, mentre incomberà su questi ultimi l'onere di provare l'interruzione del nesso tra la propria condotta ed il pregiudizio subito dal terzo (68).
Più nello specifico si può rilevare che la sussistenza del rapporto causale è facilmente presumibile, allorché vi sia un «collegamento diretto» tra le informazioni derivanti dal giudizio dei revisori e la decisione del danneggiato, come nell'ipotesi in cui si accerti che il terzo, prima di acquistare partecipazioni di una società chiusa oppure la banca prima di concedere un finanziamento alla società revisionata, abbiano consultato o fatto consultare il giudizio dei revisori.
Più problematico è accertare il nesso allorché non vi sia stato alcun contatto diretto tra le informazioni provenienti dai revisori ed il terzo, come, ad esempio, nel caso in cui il terzo abbia sottoscritto strumenti finanziari, oggetto di offerta al pubblico ai sensi dell'art. 94 e ss. T.u.f.; in questa ipotesi è improbabile ipotizzare che il comune risparmiatore abbia alu v tato personalmente le informazioni provenienti dalla società di revisione (69).
Nel caso di specie, tuttavia, è indubbio che l'inadempimento dei revisori sia stato la condizione che ha fatto sì che lo strumento finanziario potesse essere offerto al pubblico, tenuto conto che ai sensi degli artt. 96 e 97, III co., del T.u.f., il giudizio sul bilancio dei revisori è necessario ai fini della pubblicazione del prospetto informativo inerente all'offerta (70). Allo stesso modo, ad esempio, si può ipotizzare che l'inadempimento del revisore abbia permesso allo strumento finanziario di ottenere un rating favorevole, fattore senz'altro idoneo ad influenzare la scelta dell'investitore ed a far presumere la sussistenza del rapporto causale.
Deve invece escludersi il nesso causale allorché l'informazione errata proveniente dai revisori non abbia influenzato il comportamento del danneggiato: questo, ad esempio, è il caso dell'investitore o del creditore che aveva già ricevuto da una fonte altrettanto qualificata le informazioni rilevanti che il revisore negligente ha mancato di riportare o ha riportato in modo fuorviante (71) oppure è il caso del terzo che acquisti la totalità delle azioni della società revisionata, per uno scopo particolare che prescinde dai dati di bilancio; se in seguito si scopre che la società è in perdita, nonostante il bilancio revisionato evidenziasse un buon andamento gestionale, è possibile dimostrare che il terzo avrebbe ugualmente acquistato l'intero pacchetto azionario, perché il suo scopo non era quello di investire nella società ma era un altro come, ad esempio, quello di acquistare un brevetto (72).
La medesima situazione può accadere nel caso in cui uno speculatore spregiudicato ispiri le proprie scelte alla valutazione di elementi del tutto indipendenti dai dati di bilancio, ma utili per speculazioni a breve termine, quali rumors o informazioni, positive o negative relative all'area di attività della società (73).
In altre parole, il revisore inadempiente non può essere responsabile nei confronti di tutti i potenziali beneficiari dei controlli eo destinatari del bilancio revisionato, ma piuttosto solo nei riguardi dei soggetti che abbiano effettivamente subito un pregiudizio che sia «conseguenza immediata e diretta» dell'inadempimento; in caso contrario si rischia che la condotta negligente del revisore diventi un pretesto per ottenere il risarcimento di danni che non si collegano casualmente ad essa, ma sono il frutto di decisioni assunte senza alcun riguardo all'informazione erronea od all'omissione di controlli (74).

7. (Segue). L'art. 1227 c.c.
Appare difficile ipotizzare l'applicabilità dell'art. 1227, co I, c.c. alla fattispecie in esame; infatti, tenuto conto del senso e dello scopo della revisione contabile, non potrebbe invocarsi la norma sul concorso di colpa per il fatto che il terzo abbia fatto «affidamento» sull'informazione di bilancio, senza verificare le dichiarazioni ivi contenute. In altre parole, si deve ritenere che per l'investitore o per il creditore non sussiste alcun obbligo di controllare, attraverso proprie indagini la correttezza e la veridicità delle informazioni racchiuse nel bilancio, in quanto tale attività è istituzionalmente demandata al revisore (75).
Nell'ipotesi, invece, in cui il terzo abbia effettuato scelte contrattuali consapevoli della falsità dell'informazione, non è configurabile alcun concorso di colpa, in quanto in questo caso non sussiste alcun nesso tra la condotta del revisore ed il danno verificatosi; quest'ultimo è stato determinato non dall'inesatto giudizio sul bilancio, bensì dalla condotta del danneggiato, il quale ben consapevole della reale situazione della società ha ritenuto, comunque, opportuno stipulare il contratto (76).
La regola sarebbe la medesima di quella prevista in materia di responsabilità del produttore, dall'art. 10, co. II, d.p.r. n. 2241988 (ora art. 122, co. II, Codice del consumo): il risarcimento del danno non è dovuto «quando il danneggiato sia stato consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne derivava e nondimeno vi si sia volontariamente esposto» (77).
Più problematico, invece, è accertare la possibile applicazione del II co. dell'art. 1227 c.c., come ad esempio nell'ipotesi in cui l'investitore, compreso il verificarsi del pregiudizio, indugi nel porre in essere operazioni di segno opposto a quelle precedentemente compiute, che avrebbero potuto ridurre l'entità dei danni.
Si tenga in considerazione, infatti, che il discrimen tra danni evitabili, e quindi non risarcibili, e danni non evitabili, come tali risarcibili, è rappresentato dall'onere di adoperare l'ordinaria diligenza senza attività gravose o straordinarie, tranne che il facere non sia legittimato in base al principio di correttezza che caratterizza l'art. 1227, co. II (78); di conseguenza, si dovrà valutare caso per caso, tenuto conto di tutte le circostanze, se l'investitore, in base al dovere di correttezza imposto al danneggiato, avrebbe potuto limitare i danni subiti, ad esempio, rivendendo le azioni alla scoperta della verità contabile (79).
Tale indagine, in ogni caso, dovrà essere svolta tenendo in considerazione che la diligenza - che avrebbe dovuto impiegare il danneggiato al fine di limitare le conseguenze dannose - deve essere valutata non con riguardo all'uomo medio, bensì con riferimento al tipo di investitore che viene in rilievo nella fattispecie: così, ad esempio, è indubbio che ad un investitore professionale sia richiesto un grado di diligenza più elevato rispetto a quella richiesta, al fine di evitare il danno, ad un investitore inesperto.
Si ritiene, infatti, che per valutare la condotta colposa di un soggetto assumono rilievo non solo gli elementi oggettivi ma anche le condizioni personali dell'agente, soprattutto se vi è la prova che esse erano superiori alla media (80); in tal modo, è stata sempre valutata con maggiore severità la condotta di chi, nel particolare frangente in cui deve essere apprezzato il comportamento, poteva disporre di informazioni o di mezzi notevolmente superiori alla media (81).

8. L'onere della prova
Una differenza tra il considerare la responsabilità del revisore verso i terzi come di natura contrattuale oppure come extracontrattuale (al riguardo, si veda il § n. 3) potrebbe venire in rilievo con riferimento al profilo dell'onere della prova (82).
Come è noto, nel caso di responsabilità contrattuale, la giurisprudenza della S.C. ha chiarito che il creditore che agisce per il risarcimento del danno deve dare la prova della fonte del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione del fatto dell'inadempimento o dell'inesattezza dell'adempimento della controparte, mentre spetta al debitore convenuto fornire la prova liberatoria.
Siffatta impostazione trova fondamento nel principio della c.d. vicinanza alla prova o di riferibilità (83), che risulta ancor più marcato nel caso in cui l'esecuzione della prestazione riguardi l'applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come nel caso dell'esecuzione di una prestazione di natura professionale (84).
Deve così affermarsi che il danneggiato deve provare il contratto ed allegare l'inadempimento del debitore, mentre su quest'ultimo, in base al principio di riferibilità o di vicinanza della prova, incombe l'onere di dimostrare la prova liberatoria dell'art. 1218 c.c. oppure l'esatto adempimento.
Proprio con riguardo a quest'ultimo aspetto, assume pregio la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, la quale se è indubbio che non possa essere utilizzata per introdurre una differenziazione sul piano della disciplina della responsabilità, è estremamente utile per stabilire a che cosa sia tenuto il debitore di una certa prestazione (al riguardo, si veda il § n. 4).
In altre parole, la partizione viene in rilievo per individuare l'oggetto della prestazione, rispetto alla quale si dovrà valutare se il debitore - cui incombe di dare la prova del fatto estintivo - ha adempiuto in modo esatto.
Passando dal regime di responsabilità contrattuale a quello extracontrattuale, si può preliminarmente rilevare che è principio consolidato quello secondo il quale l'attore deve provare la colpa di colui che ha cagionato il danno (85); è rimasta senza seguito, infatti, la tesi secondo la quale non incomberebbe al danneggiato fornire la prova della colpa, ma all'autore del danno dimostrare la non colpa, in quanto la colpa sarebbe «presunta», fino a prova contraria anche nell'ambito dell'art. 2043 c.c. (86). A tale ricostruzione è stato obiettato che l'interprete non può sostituirsi al legislatore nell'adottare prescrizioni e precetti, ove questi non siano desumibili dal testo formale o non siano riflessi nel sistema della ratio legis della norma (87).
Il principio secondo il quale è l'attore a dover provare la colpa del danneggiante, tuttavia, non porta alla conclusione che tale prova debba essere fornita in via diretta: la stessa può essere desunta dai fatti e dalle circostanze di causa e può essere anche presuntiva, ben potendosi, a tale ultimo riguardo, assumere un fatto a fonte di presunzioni in base all'«id quod plerumque accidit», tenuto conto che non sempre è agevole l'acquisizione di una prova diretta.
In tal modo, si può affermare che non esiste un onere in senso stretto per l'attore di dimostrare la colpa del convenuto (88). Particolarmente significativo, ad esempio, è il caso della responsabilità del produttore, prima dell'adozione della disciplina di fonte comunitaria: la difficoltà di provare l'elemento soggettivo, cioè la colpa del produttore, è stata superata mediante il ricorso ad un «processo logico-presuntivo», in base al quale i giudici hanno fatto risalire direttamente al produttore il difetto riscontrato (89).
In particolare, una volta provata l'esistenza del danno e del nesso causale tra esso ed il prodotto, il giudice non ha dovuto acquisire la dimostrazione della colpa del produttore esclusivamente dal materiale probatorio fornito dal danneggiato, potendo, invece, ricavarla dai fatti e dalle circostanze di cause anche in via presuntiva, tenuto conto della circostanza che la prova diretta non sempre è agevole (90).
In tutti questi casi, il consumatore-danneggiato è stato esonerato dalla prova della colpa del produttore: si è venuta così a formare, grazie alla presunzione di colpa, un'inversione dell'onere della prova a sfavore del produttore, al quale è stato attribuito il rischio da causa ignota, potendosi liberare da responsabilità solo fornendo la prova positiva di un'interruzione del nesso di causalità (91).
Particolarmente significativo è anche il caso della responsabilità medica in cui, a prescindere dalla natura contrattuale od extracontrattuale, è da tempo invalsa la ricostruzione secondo la quale ogniqualvolta la prestazione sia routinaria, si presume che l'aggravamento della situazione patologica del paziente o l'insorgenza di nuove patologie siano state determinate dalla condotta del professionista, restando a carico dell'obbligato - sia esso sanitario o la struttura - la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile o dalle particolari condizioni fisiche del paziente (92).
Altrettanto chiari sono i casi in cui la giurisprudenza è ricorsa al principio della c.d. res ipsa loquitur, la quale, secondo una regola di comune esperienza, permette al giudice di arrivare alla colpa e di imputare la responsabilità, sul presupposto della ragionevole dipendenza di un certo evento da una certa condotta negligente; tali ipotesi riguardano non solo la responsabilità medica (93), ma anche altre fattispecie di responsabilità, quali ad esempio la responsabilità della P.A. (94).
Proprio con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione, si può rilevare come la giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato, nell'inquadrare la fattispecie in ambito extracontrattuale, abbia superato l'impostazione della Cass. sez. un. 500 del 1999, la quale collegava la colpa alla dimostrazione, da parte del danneggiato, della violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione. Secondo l'impostazione del Consiglio di Stato, infatti, non è richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo «un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa della p.a.»; in particolare, il danneggiato può invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa, mentre spetterà all'amministrazione fornire la prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che si è trattato di un errore scusabile (95).
Alla luce di queste considerazioni - da cui si evince che anche nell'ambito della responsabilità extracontrattuale non vi è un onere in senso stretto per l'attore di provare la colpa del convenuto, potendo tale prova essere fornita anche in via solo presuntiva - non pare che si possano individuare sostanziali differenze dal punto di vista del regime probatorio, a seconda che si inquadri la responsabilità dei revisori nei confronti dei terzi come contrattuale oppure come extracontrattuale; infatti, a prescindere dal rilievo che il principio di vicinanza o di riferibilità della prova sembra avere una portata generale, tanto più nei casi in cui venga in rilievo una prestazione professionale, appare improbabile che il terzo sia tenuto a fornire la prova in via diretta della specifica violazione od omissione della regola tecnica in cui è incorso il revisore, durante l'esecuzione della propria prestazione.
Così facendo, è evidente che - se il terzo, ad esempio, lamenta che il revisore ha erroneamente valutato lo stato patrimoniale della società (96) - l'attore non dovrà dimostrare lo specifico errore tecnico del revisore; in questa ipotesi, infatti, il terzo dovrà dimostrare che la prestazione eseguita è difforme rispetto ad un modello normalmente realizzato, seguendo una condotta improntata a dovuta diligenza e che quindi, nella fattispecie, vi è una presunzione di colpa.
Allo stesso modo, nel caso in cui il revisore ometta di rilevare una posta passiva o una perdita e conseguentemente rilasci un erroneo giudizio positivo, il terzo si limiterà a dimostrare che la perdita non è stata evidenziata dal revisore, desumendosi così da tale omissione la sussistenza della colpa. In entrambi questi casi, pertanto, il revisore per liberarsi da responsabilità, alla stessa stregua della ricostruzione in chiave contrattuale, deve fornire la prova del fatto estintivo e cioè dell'esatto adempimento, che consiste, essendo in presenza di una obbligazione di mezzi, nella dimostrazione della conformità tra la diligenza richiesta dal caso di specie e quella effettivamente prestata.
Ugualmente, nell'ipotesi in cui il terzo danneggiato lamenti di aver subito un pregiudizio, a causa della mancata scoperta di una «frode contabile» emersa successivamente al rilascio di un giudizio positivo, incomberà sul revisore fornire la prova liberatoria. In particolare, il revisore deve dimostrare che la mancata scoperta è stata determinata dall'astuzia nell'occultamento degli amministratori e non ad una propria mancanza di diligenza e di perizia, nell'esecuzione delle prestazioni svolte, in quanto la propria condotta è stata conforme a quella richiesta dalle circostanze del caso di specie.

9. La prescrizione
L'art. 2409, sexies, III co., prevede che le azioni di responsabilità che possono essere intentate contro i revisori si prescrivono nel termine di cinque anni dalla cessazione del loro incarico. La disposizione non distingue a seconda che si tratti di azione sociale od individuale, essendo innegabile, pertanto, che il legislatore abbia inteso riferire la suddetta prescrizione a tutti i casi di responsabilità previsti dal co. I del medesimo art. 2409 sexies.
In tal modo, anche per i revisori viene applicato il principio che prevede la sospensione del decorso del termine di prescrizione fino a quando rimane in carica il soggetto contro cui può essere esercitata l'azione di responsabilità (97).
Tuttavia, la sospensione dell'azione di responsabilità contro gli amministratori, fino a quando sono in carica, prevista dall'art. 2941, co. III, n. 7, trova la propria ratio nell'evitare che la permanenza in carica, supportata da un immutato gruppo di comando, impedisca la possibilità di agire in responsabilità per intervenuta decorrenza del termine (98); tale esigenza, invece, non pare ravvisabile nel caso di responsabilità della società di revisione.
In ogni caso, le maggiori critiche mosse si indirizzano all'incongruità del far decorrere il termine dell'azione nei confronti della società di revisione dal giorno in cui è cessato l'incarico, potendosi verificare ipotesi in cui l'evento dannoso si manifesta in un momento di gran lunga successivo alla cessazione dell'incarico dei revisori (99); in questo modo, viene sottolineato il pericolo di aprire una «falla» nel sistema, individuando il dies a quo della prescrizione in un termine privo di alcun collegamento con l'evento dannoso. Inoltre, il far decorrere sempre e comunque la prescrizione dalla cessazione della carica è parso contrastare con i principi generali del nostro ordinamento giuridico, in base ai quali la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (100).
La scelta compiuta dal legislatore, tuttavia, ha l'indubbio vantaggio di collegare ad un termine definito il decorrere della prescrizione, riducendo così al minimo l'esistenza di situazioni di incertezza, allorché il danno si manifesti in un periodo successivo alla cessazione dell'incarico (101).
In altre parole, si potrebbe sostenere che il legislatore abbia voluto evitare le incertezze riscontrabili in altre fattispecie di responsabilità allorché un danno si riveli in un momento posteriore a quello in cui si è verificata la condotta illecita; infatti, in tali ipotesi - ben rappresentate ad esempio dai casi di responsabilità medica - si pone il problema se si debba attribuire rilievo al momento in cui l'evento lesivo si è manifestato in tutte le sue componenti oppure al momento in cui è stata posta in essere la condotta (102) .
Inoltre, anche nel caso in cui si aderisca alla prima soluzione, non appare sempre agevole accertare quando il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto aver conoscenza dell'evento dannoso (103).
In questi casi, pertanto, appare opportuno individuare un punto di equilibrio tra l'esigenza di garantire al danneggiato il diritto al risarcimento del danno e quella opposta, volta ad assicurare la certezza dei rapporti giuridici, in modo da non esporre l'eventuale responsabile ad azioni risarcitorie originate da una condotta troppo lontana nel tempo.
In tal modo, far decorrere la prescrizione da una data certa, quale i cinque anni dalla cessazione dell'incarico, può rappresentare un giusto punto di bilanciamento tra l'esigenza di tutelare il danneggiato - consentendo tale termine di far emergere eventuali fatti dannosi imputabili al revisore - ed il contrapposto interesse di non esporre ad un limite di tempo indeterminato l'azione di responsabilità contro il revisore (104).
Tale soluzione, indubbiamente, appare coerente con la ratio dell'istituto della prescrizione, che, come sottolineato dal legislatore del 1942, persegue finalità, non di tutela del danneggiato, bensì attinenti all'ordine pubblico, ravvisabili in particolare nell'esigenza della certezza dei rapporti giuridici. Sarebbe, pertanto, contrario a tale esigenza far decorrere la prescrizione non da una data certa, quale quella della cessazione dell'incarico, ma da un momento, diverso ed assolutamente incerto, in cui il danneggiato possa aver avuto conoscenza del danno e del suo diritto di farlo valere.
Il danneggiante, inoltre, potrebbe trovarsi nella spiacevole condizione di non potersi difendere, proprio in conseguenza del lungo tempo trascorso e della difficoltà di fornire prove a suo discarico.

10. Il danno risarcibile: il pregiudizio subito dagli investitori
Il pregiudizio subito a causa delle informazioni erronee provenienti dalla negligente attività di revisione deve essere valutato sulla base di tutte le circostanze che si possono presentare nel caso di specie; tenuto conto che le tipologie di revisione negligente sono sostanzialmente due - erroneo giudizio positivo ed erroneo giudizio negativo - si può ipotizzare un pregiudizio subito dai terzi che hanno fatto affidamento su un erroneo giudizio positivo oppure su un giudizio negativo, rilasciato quando invece il bilancio era meritevole di un giudizio positivo.
Quest'ultima situazione, tuttavia, è alquanto improbabile per svariati motivi: non solo i revisori cercano di non «scontentare» mai la società cliente ma, generalmente, fanno pervenire i loro eventuali dubbi eo riserve sul bilancio in fieri e cioè prima che questo sia formalmente approvato, così che, nel caso di dubbi eo riserve sul bilancio in corso di formazione, possono esservi incontri con il management per discutere intorno alla corretta rappresentazione contabile della posta «contestata» (105).
Più plausibile, invece, è l'ipotesi in cui a lamentare un danno sia un soggetto che abbia fatto affidamento sulle informazioni positive sullo stato della società revisionata, erroneamente rilasciate dal revisore.
Si consideri, altresì, che il legislatore della riforma delle società per azioni ha respinto la proposta di fissare un «tetto massimo» al danno risarcibile nel caso di responsabilità dei revisori (106), al fine di non vanificare la funzione deterrente della responsabilità, la quale può operare efficacemente solo con un sistema di responsabilità illimitata.
La ratio è evidente: prevedere una responsabilità limitata facilmente assicurabile con premi modesti avrebbe introdotto una sostanziale irresponsabilità, con conseguenti effetti negativi sul sistema di controllo, venendo meno ogni tensione per porre in essere comportamenti diligenti, rispettosi della legge e senza conflitti di interesse (107).
Un limite, tuttavia, alla responsabilità dei revisori deriva dal co. VIII, dell'art. 94, T.u.f. (108) - in tema di prospetto d'offerta al pubblico «di strumenti finanziari e di prodotti finanziari diversi dalle quote o azioni di OICR aperti» - il quale prevede una responsabilità pro quota dei soggetti coinvolti nell'informazione contenuta nel prospetto (109).
In tal modo, si è ritenuto di sacrificare l'interesse del danneggiato e quindi dell'investitore che «abbia fatto ragionevole affidamento sulla veridicità e completezza delle informazioni», a potersi rivolgere per l'intero risarcimento a ciascuno dei soggetti responsabili delle informazioni veicolate nel prospetto.
Si consideri, a tal proposito, che per il risparmiatore non vi è differenza tra un sistema di responsabilità solidale o parziaria, qualora tutti i responsabili siano solvibili, salvo però l'incomodo di doverli citare tutti in giudizio e poi di agire esecutivamente contro ciascuno (110); la differenza, tuttavia, diventa rilevante nell'ipotesi in cui uno o più dei responsabili sia insolvente: mentre in caso di responsabilità solidale tale rischio è posto a carico dei condebitori ed il danneggiato non subisce le conseguenze negative, nell'ipotesi di responsabilità proporzionata si verifica il contrario: la quota del danno imputata ad un responsabile insolvente o dal quale non sia comunque possibile recuperare l'importo, è allocata a carico del danneggiato (111).
Con il sacrificio, seppur parziale, della finalità riparatoria della responsabilità civile a favore di un regime di responsabilità pro quota, si è preferito tutelare l'interesse di quei soggetti (come ad esempio, società di revisione e Consob), che pur potendo avere concorso solo marginalmente alla produzione dell'evento lesivo, rischiano poi di essere eccessivamente penalizzati, nell'ipotesi in cui l'autore materiale dell'illecito sia insolvente.
In altre parole, si è voluto tutelare il buon andamento e l'efficienza del mercato, sacrificando parzialmente l'interesse degli investitori, al fine di evitare, con riguardo, ad esempio, alla Consob, che il danno sia scaricato, in ultima istanza, sullo Stato, con conseguente «paralisi» dell'intera attività dell'Autorità di controllo, a causa di un eccesso di zelo da parte dei funzionari (112); con riguardo alle società di revisione si vuole evitare il rischio di fallimento, che non solo farebbe venire meno il risarcimento ma
soprattutto diminuirebbe il numero dei pochi attori presenti sul mercato, tenuto conto anche della difficoltà di reperire sia sul mercato nazionale che su quello internazionale compagnie di assicurazione disposte a stipulare polizze per la responsabilità civile dei revisori (113).
In ogni caso, nell'eventualità in cui il risarcimento sia richiesto da un investitore che lamenti di essere stato indotto a sottoscrivere strumenti finanziari di cui all'art. 94 T.u.f., sulla base delle informazioni veicolate nel prospetto, rivelatesi poi non veritiere, la società di revisione dovrà rispondere soltanto in relazione «alle parti di propria competenza» dei danni subiti dall'investitore.
In particolare, in assenza di un criterio legislativo in base al quale effettuare il riparto dei danni subiti dagli investitori, si può ritenere che si debba utilizzare nei «rapporti esterni» il criterio di cui all'art. 2055, II co., impiegato ai fini del regresso tra i corresponsabili nei rapporti interni.
Al riguardo, la disposizione indica nella «gravità della colpa» di ciascuno dei coobbligati e nell'«entità delle conseguenze» che ne sono derivate, i criteri da utilizzare ai fini della ripartizione interna della responsabilità; tali criteri, comunque, debbono essere applicati in modo congiunto e non alternativo, in quanto delineano un criterio valutativo complesso in vista della quantificazione della quota di ciascuno dei coobbligati (114); di conseguenza, spetta al giudice, nel fissare le quote per la divisione interna, effettuare una valutazione complessiva dei fatti, tenendo in considerazione il grado di colpa e l'efficienza causale rinvenibile nell'azione di ciascun responsabile (115), anche se, comunque, non è affatto certo che la gravità delle colpe e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate possano essere apprezzate allo stesso modo tanto nei rapporti interni quanto in quelli esterni (116).
In ogni caso, possono essere svariate le ipotesi in cui si è verificato un danno, a causa dell'affidamento suscitato dalle informazioni positive sullo stato della società revisionata, erroneamente rilasciate dal revisore; così ad esempio, può essere significativo il caso in cui a lamentare il pregiudizio sia un investitore storico di una società quotata che, in seguito al comportamento negligente del revisore, abbia perso la possibilità di disinvestire.
In questa fattispecie, il pregiudizio non può essere individuato nella differenza tra il valore che la partecipazione aveva al momento dell'inadempimento ed il minor valore alla data della scoperta della verità; si deve considerare, infatti, che l'inadempimento dei revisori ha impedito, momentaneamente, la caduta del titolo, che avrebbe verosimilmente avuto luogo nell'ipotesi in cui i revisori avessero agito diligentemente (117) .
In altre parole, i revisori non sono responsabili dell'andamento negativo della gestione patrimoniale della società, ma solo di non aver informato della reale situazione gli investitori storici, i quali avrebbero potuto operare un disinvestimento (118) .
Di conseguenza, ai fini del risarcimento si deve valutare se il ritardo nella scoperta della verità contabile, a causa del fatto dei revisori, abbia aggravato il pregiudizio subito dagli investitori; in particolare, si deve accertare l'eventuale differenza tra il valore che la partecipazione avrebbe presumibilmente avuto nel momento in cui gli investitori, se correttamente informati, avrebbero effettuato il disinvestimento ed il minor valore riscontrato al momento della scoperta della verità contabile.
E' di tutta evidenza l'estrema difficoltà di accertare il valore presumibile della partecipazione nel momento in cui il disinvestimento avrebbe potuto essere effettuato; a ciò si aggiunga che, con riguardo, alle società quotate, il prezzo immediatamente successivo alla comunicazione dell'informazione prima occultata tende ad essere influenzato dalla reazione «da panico» degli investitori e pertanto è solito scontare un ulteriore ribasso (119) .
Alla luce di queste considerazioni, a causa dell'impossibilità di ricostruire in modo analitico le conseguenze dannose derivanti dall'inadempimento imputabile ai revisori, dovrà farsi ricorso ad una liquidazione in via equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., poiché si tratta di misurare valori non esattamente ponderabili, sulla base delle possibili variabili del mercato in situazioni simili (120); tra di esse potrebbe rientrare anche un parametro che - per ricostruire il presumibile effetto sul corso delle partecipazioni che avrebbe avuto il corretto adempimento dei revisori - proietta sul corso delle azioni alla data dell'inadempimento una caduta analoga a quella effettivamente occorsa, quando è emerso il vizio del bilancio e l'inadempimento dei revisori (121).
In ogni caso, il ricorso alla valutazione equitativa del danno è ammissibile solo se l'impossibilità o la grande difficoltà di misurare il danno nel suo preciso ammontare non riguarda la prova dell'esistenza del pregiudizio patrimoniale, il cui onere permane a carico della parte interessata, ma solo l'entità del pregiudizio stesso (122); l'incertezza sull'esistenza del danno, infatti, esclude il diritto al risarcimento (123).
Allo stesso modo, non si presenta semplice la ricostruzione del presumibile reinvestimento e conseguente rendimento delle somme provenienti dal disimpegno che sarebbe stato effettuato se i revisori avessero eseguito diligentemente la prestazione, informando sulla reale situazione della società; anche in questa ipotesi, si dovrà procedere ad una liquidazione equitativa, facendo riferimento, in ogni caso, ad un possibile reinvestimento, ad esempio, in depositi bancari, in buoni del tesoro, in titoli obbligazionari oppure in titoli azionari trattati sullo stesso mercato di riferimento delle azioni della società revisionata (124) .

11. (Segue). Il pregiudizio subito dai creditori
Si è già sottolineato che l'inadempimento del revisore può ledere l'autonomia contrattuale dei creditori della società revisionata; in particolare, l'erroneo giudizio positivo può indurre un terzo, sul presupposto del buon andamento patrimoniale, a concedere un credito alla società revisionata, che non sarebbe stato concesso se la reale situazione finanziaria fosse stata conosciuta.
La fattispecie si distingue nettamente dall'ipotesi in cui la responsabilità dei revisori concorre con quella degli amministratori di cui all'art. 2394 c.c., allorché questi ultimi abbiano violato gli obblighi previsti dalla legge in ordine alla conservazione del patrimonio sociale, con conseguente insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le ragioni dei creditori.
In siffatta ipotesi - in cui si potrà avere una concorrente responsabilità dei revisori verso i creditori sociali se vi sia una correlazione tra i fatti dannosi compiuti dall'organo di gestione ed i doveri di controllo contabile spettanti al revisore (125) - il danno ingiusto che subisce il creditore sociale è rappresentato dall'insufficienza del patrimonio sociale che è causa dell'inadempimento della obbligazione che lo vede come creditore (126); in altre parole, vi è la lesione dell'aspettativa a realizzare il credito.
Nel caso, invece, di responsabilità dei revisori verso i creditori che hanno fatto affidamento sull'erroneo giudizio di bilancio, l'ingiustizia del danno è rappresentata dalla lesione dell'autonomia contrattuale, in quanto l'erroneo giudizio ha interferito nell'attività negoziale del terzo, inducendolo a concludere un contratto che altrimenti non sarebbe stato concluso.
La responsabilità, comunque, può sussistere anche nei confronti di tutti coloro che erano già creditori della società di revisione al momento dell'inadempimento (127); la fattispecie, ad esempio, ricorre quando la condotta negligente dei revisori ha determinato un ritardo nell'apertura del fallimento della società revisionata, con la conseguenza che i creditori (già tali al momento dell'inadempimento) potrebbero aver subito un danno in quanto, essendo nel frattempo aumentati i debiti sociali, si è ridotta la possibilità di soddisfarsi di ciascuno di essi (128).
In tal modo, il danno cagionato è rappresentato dalla differenza tra la percentuale di credito, che sarebbe stata soddisfatta, se il fallimento fosse stato tempestivamente dichiarato, e quella ottenibil e a seguito della ritardata pronuncia (129). E' chiaro, comunque, che il pregiudizio non può essere determinato nel suo preciso ammontare, con il risultato che si dovrà necessariamente fare ricorso al criterio equitativo.



(1) Il richiamo è alle parole di BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contratto e impr., 1991, p. 539.
(2) Al riguardo, BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, cit., p. 554, muovendo dalla distinzione tra informazioni inesatte che non ingenerano responsabilità e informazioni inesatte che ingenerano responsabilità, distingue tra informazione come consiglio amichevole, informazione come "servizio" e informazione come (elemento confluente in un) "prodotto"; nel primo caso, di regola, il danno non è mai ingiusto e nell'ultima ipotesi il danno è tendenzialmente sempre ingiusto, mentre il problema di individuazione dell'ingiustizia del danno si pone per il caso centrale.
(3) Sulla responsabilità delle agenzie di rating, FACCI, Il rating e la circolazione del prodotto finanziario: profili di responsabilità, in questa Rivista, 2007, 933; GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, l'attività di rating e i Modelli di prevenzione dei reati (a margine del recente intervento legislativo di "salvataggio" del rating dei titoli risultanti da operazioni di cartolarizzazione di canoni di leasing e della prossima attuazione del Nuovo Accordo di Basilea 2), in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2004, p. 594; RABITTI BEDOGNI, L'informativa derivata Le previsioni degli analisti e i giudizi delle agenzie di rating. Problemi attuali e possibili sviluppi regolamentari, in http://w3.uniroma1.it/dirittomercatifinanziari/Rating.pdf.
(4) MAZZONI, Osservazioni in tema di responsabilità civile degli analisti finanziari, in Analisi giuridica dell'economia, 2002, p. 209; DI CASTRI, I conflitti di interesse degli analisti finanziari: disciplina statunitense, evoluzione della normativa comunitaria e prospettive nell'ordinamento italiano, in Banca impresa società, 2004, p. 483.
(5) Nel caso in cui un istituto bancario sia indotto a concedere linee di credito, sul presupposto della veridicità delle dichiarazioni del patronnant. Di recente, PERCHINUNNO, Il danno da lesione dell'affidamento suscitato dalla lettera di patronage, in Contratto e impr., 2006, p. 611; SOLDATI, Le lettere di patronage, in Contratto e impr., 2003, p. 1656.
(6) Nell'ipotesi in cui, fornendo ad un privato false od incomplete informazioni sulla situazione finanziaria di un proprio cliente, determini il primo a concludere un contratto, che si riveli successivamente dannoso proprio a causa dell'insolvenza della controparte (App. Milano, 14 marzo 1986, in Banca Borsa, 1987, II, p. 627) oppure nel caso in cui la banca trattaria abbia fornito notizie (ad es., benefondi) non corrispondenti realmente alla situazione finanziaria del traente al momento della richiesta delle informazioni (Cass., 1 agosto 2001, n. 10492, in Danno e resp., 2002, p. 90).
(7) DOGLIOTTI, FIGONE, I diritti della personalità, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, p. 331. In giurisprudenza, tra le altre Trib. Roma, 23 luglio 1984, in Foro it., 1984, I, c. 1963.
(8) Al riguardo per tutti, FERRARINI, La responsabilità da prospetto, Milano, 1986. Sul necessario intervento dei c.d. gatekeepers e della Consob, nelle attività di elaborazione e di controllo dei prospetti informativi, si segnalano, G. SCOGNAMIGLIO, La responsabilità civile della Consob, in Mercato finanziario e tutela del risparmio, a cura di Galgano e Visintini, Padova, 2006, 286; PERRONE, Falsità del prospetto e responsabilità civile della Consob, in Banca, Borsa, 2002, 23; RUSSO, Responsabilità della Consob per mancato controllo del prospetto, in Giur. Comm., 2004, II, 659.
(9) GALGANO, Le mobili frontiere del danno ingiusto, in Contratto e impr., 1985, p. 11; BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contratto e impr., 1991, p. 554.
(10) Lo sottolinea FRANZONI, L'illecito, in Trattato della responsabilità civile, diretto da Franzoni, Milano, 2004, p. 905. In giurisprudenza, riconducono il benefondi ad una prassi interna nei rapporti tra gli istituti di credito, fonte di affidamento reciproco e di responsabilità civile, tra le altre: Cass., 10 marzo 2 000, n. 2742, in Nuova giur. civ., 2001, p. 449; Cass. civ., 6 giugno 2003, n. 9103, in Resp. civ., 2004, p. 756, con nota di FRAU, Brevi note in tema di benefondi e di informazioni bancarie.
(11) MAZZONI, Le lettere di patronage, Milano, 1986, p. 197; BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, cit., p. 570.
(12) E. BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori legali dei conti, Torino, 2003, il quale sottolinea come la responsabilità del revisore per il giudizio sul bilancio non è di natura aquiliana perchè non si tratta di un danno da distruzione di ricchezza preesistente, bensì si vuole risarcire il danno per il mancato o difettoso trasferimento di ricchezza dovuta.
(13) Senza presunzione di completezza, con riguardo alle sole opere a carattere monografico, BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., Torino, 2005; E. BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori legali dei conti, cit.; COZZI, Tutela dei mercati finanziari e responsabilità della società di revisione, Napoli, 2001; CASADEI, La responsabilità della società di revisione, Milano, 2000; SANTARONI, La responsabilità del revisore, Milano, 1984; CECCACCI, RIGATO, Collegio sindacale, revisore, società di revisione: doveri, poteri e responsabilità degli organi di controllo dopo la riforma societaria, Milano, 2006.
(14) LA ROSA, Black-out nei controlli: stato dell'arte e prospettive di riforma in tema di revisione contabile, in Giur. Comm., 2005, I, 196.
(15) SALAFIA, Alcune questioni in materia di revisione contabile istituita volontariamente, in Le società, 1998, 1182; LOMONACO, Revisione volontaria e responsabilità extracontrattuale delle società di revisione, cit., 604.
(16) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori contabili, Torino, 2005, 2, il quale muovendo da questa considerazione giunge ad affermare la sussistenza di un contratto a favore di terzi; PRESTI, La responsabilità del revisore, in Banca borsa titoli credito, 2007, 163.
(17) In questi termini, BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria della s.p.a., cit., 295.
(18) In questo senso, ROPPO, Crisi d'impresa e responsabilità civile della banca, in Fallimento, 1996, 875; VISCUSI, Concessione abusiva di credito e legittimazione del curatore fallimentare all'esercizio dell'azione di responsabilità, in Banca borsa tit. cred., 2004, II, 643.
(19) In questo senso, con riguardo al pregiudizio subito dai creditori anteriori, in caso di concessione abusiva del credito, VISCUSI, Concessione abusiva di credito e legittimazione del curatore fallimentare all'esercizio dell'azione di responsabilità, cit., 643.
(20) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria della s.p.a., cit., 288, nota 96.
(21) Al riguardo, si veda il § n. 11.
(22) Questo è il caso esaminato da Cass. 18 luglio 2002, n. 10403, in Danno e resp., 2003, 537, con nota di ADDANTE, Responsabilità civile delle società di revisione e solidarietà.
(23) L'art. 2409 bis, introdotto dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che ha modificato la disciplina delle società per azioni, ha previsto che il «controllo contabile sulla società è esercitato da un revisore contabile o da una società di revisione iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia». Il co. II, inoltre, dispone che «nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il controllo contabile è esercitato da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili, la quale, limitatamente a tali incarichi, è soggetta alla disciplina dell'attività di revisione prevista per le società emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati ed alla vigilanza della Commissione nazionale per le società e la borsa».
(24) Il Testo unico sull'intermediazione finanziaria (T.u.f.), di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, riproponendo la formulazione già adottata dal D.P.R. 1361975, ha esteso l'obbligo della revisione contabile non solo per le società quotate ma anche per altre ipotesi espressamente previste (art. 9 T.u.f.).
Sui rapporti tra l'art. 164 T.u.f. e l'art. 2409, sexies, si veda MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, diretto da MARCHETTI, Milano, 2006, sub art. 2409 sexies, 557; FORTUNATO, in Società di capitali, Commentario, a cura di Niccolini e Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004, sub art. 2409, sexies, 846.
(25) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria della s.p.a., cit., 201; BONELLI, Commentario breve alla riforma delle società di capitale. Gli amministratori di spa. Commento all'art. 2395; ID., Responsabilità delle società di revisione nella certificazione obbligatoria e volontaria dei bilanci, in Riv. Soc., 1979, 974; ROSSI, Revisione contabile e certificazione obbligatoria, Milano, 1985, 194.
(26) MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, diretto da MARCHETTI, Milano, 2006, sub art. 2409 sexies, 586.
(27) MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 586; BUTA, Commento all'art. 164, 1366.
(28) LA ROSA, Black-out nei controlli: stato dell'arte e prospettive di riforma in tema di revisione contabile, in Giur. Comm., 2005, I, 196.
(29) CALDARONE e TUCCI, La responsabilità nell'esercizio dell'attività di revisione, in Giur. Comm., I, 1995, 309.
(30) Con specifico riferimento alla società di revisione, CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 1997, 236; FAILLACE, La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004, 139; si riferisce ad una responsabilità contrattuale per affidamento anche MONTALENTI, La società quotata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, Padova, 2004, 317.
(31) E. BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori legali dei conti, Torino, 2003, il quale sottolinea come la responsabilità del revisore per il giudizio sul bilancio non è di natura aquiliana perchè non si tratta di un danno da distruzione di ricchezza preesistente, bensì si vuole risarcire il danno per il mancato o difettoso trasferimento di ricchezza dovuta.
(32) Nel caso di contratto con efficacia esterna consegue automaticamente alla stipulazione, mentre nel caso di contratto con efficacia interna è contestuale alla esecuzione della prestazione.
(33) SASSO, Il nuovo diritto delle società, a cura di MAFFEI ALBERTI, Padova, 2005, 1104. Sull'interesse della società revisionata anche CASADEI, La responsabilità della società di revisione, Milano, 2000, 84.
(34) Al riguardo, tuttavia, E. BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori legali dei conti, cit., 304, sottolinea la compatibilità con i principi del nostro ordinamento di un contratto a favore di terzi indeterminati.
(35) Al riguardo, si può sottolineare come la regola dell'art. 1225 c.c. sia vanificata non solo a causa dell'abbandono di una nozione restrittiva del dolo - imperniato sull'animus nocendi a favore di una concezione ampia ed elastica (GIARDINA, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: una distinzione attuale?, in Riv. Crit. Dir. priv., 1986, 86) - ma anche perché nella prassi giurisprudenziale il criterio della prevedibilità tende a coincidere con la valutazione che i giudici esprimono per accertare il rapporto causale delle conseguenze dannose, attraverso i principi della regolarità causale (PINORI, Il danno contrattuale, Criteri di valutazione. Tecniche e regole giudiziali di liquidazione, II, Padova, 2001, 250). Sull'assenza di differenze a seconda dell'inquadramento della responsabilità in ambito contrattuale o aquiliano, con riguardo all'onere della prova, si veda il § n. 8.
(36) Al riguardo BONELLI, Responsabilità delle società di revisione nella certificazione obbliga toria e volontaria dei bilanci, in Riv. Soc., 1979, 988; GALGANO, Il nuovo diritto societario, Padova, 2003, 429.
In giurisprudenza, di recente, App. Roma 19 gennaio 2006, in Giur. It., 2006, 2331, con nota di BALZOLA.
(37) BIANCA, Diritto civile, L'obbligazione, Milano, 1990, p. 70; ID., Dell'inadempimento delle obbligazioni, artt. 1218-1229, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1979, p. 31; RESCIGNO, Obbligazioni (nozioni), in Enc. del dir., XXXIX, Milano, 1979, p. 133; RODOTÀ, Diligenza, in Enc. del dir., XII, Milano, 1964, p. 539.
(38) CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, p. 47; A. GABRIELLI, La r.c. del professionista, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, VI, p. 263.
(39) Cass. sez. un. 28 luglio 2005, n. 15781, in La responsabilità civile, 2006, 229, con nota di FACCI, L'obbligazione di risultato del progettista al vaglio delle Sezioni Unite. Di recente anche Cass. 13 aprile 2007, n. 8826, in tema di responsabilità medica.
(40) Non appare condivisibile pertanto l'affermazione di App. Roma 19 gennaio 2006, cit., la quale rileva che l'obbligazione del revisore è di mezzi e non di risultato «con tutte le evidenti conseguenze collegate all'onere della prova, nel senso che spetta al L., che lamenta di aver subito un danno in conseguenza della inesatta esecuzione da parte della A. dei propri obblighi, fornire la prova della mancanza di diligenza dalla società di revisione nello svolgimento dell'incarico».
(41) Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, c. 769; in Corriere giur., 2001, p. 1565; in Danno e resp., 2002, p. 318; Studium Juris, 2002, p. 389; in Giust. civ., 2002, I, p. 1934; in Contratti, 2002, p. 113; in Nuova giur. civ., 2002, I, p. 349; Cass., 7 febbraio 1996, n. 973, in Contratti, 1996, p. 552, con nota di GIUGGIOLI; in Giur. it., 1997, I, 1, c. 367; in Resp. civ., 1996, p. 1202, con nota di STELLA.
(42) Tra gli altri, CATTANEO, La responsabilità del professionista, cit., p. 47; PARADISO, La responsabilità medica: dal torto al contratto, in Riv. dir. civ., 2001, p. 329; FRANZONI, Le obbligazioni di mezzi e di risultato, in Trattato delle obbligazioni, diretto da Franzoni, in I grandi temi, Torino, 2004, p. 1343.
(43) A. GABRIELLI, La r.c. del professionista, cit., p. 265.
(44) Cass., 18 luglio 2002, n. 10454, in Mass. Giust. civ., 2002, p. 1271; Cass., 23 aprile 2002, n. 5928, in Danno e resp., 2003, p. 66, con nota di BONETTA; in Giur. it., 2003, p. 460, con nota di SPINELLI FRANCALANCI; Cass., 8 agosto 2000, n. 10431, in Mass. Giust. civ., 2000, p. 1742; Cass., 14 agosto 1997, n. 7618, in Danno e resp., 1998, p. 190.
(45) FRANZONI, La responsabilità del medico fra diagnosi, terapia e dovere di informazione, in La responsabilità civile, 2005, p. 587.
(46) VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 2005, p. 205.
(47) Così, ad esempio, anche l'avvocato, la cui obbligazione è di mezzi, che non ha svolto alcuna attività a difesa del proprio assistito, potrà liberarsi da responsabilità soltanto con la prova di cui all'art. 1218 c.c. e cioè con la prova dell'impossibilità del comportamento, oggetto della prestazione. Significativo, al riguardo, è il caso esaminato da Pret. Taranto 14 maggio 1986, in Arch. Civ., 1986, 1215, secondo la quale «il procuratore dell'intimato, che sia giunto in ritardo alla prima udienza nella quale doveva costituirsi, e che quindi trovi già convalidata una licenza per finita locazione in suo danno, non può invocare, in sede di opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c., il caso fortuito o la forza maggiore. Non può essere considerato caso fortuito o forza maggiore l'occasionale ritardo con cui si giunge in udienza dato che i fatti di cui sopra si concretano in una causa produttiva dell'evento dannoso o di un particolare pregiudizio non imputabile a chi la invoca».
(48) FRANZONI, Le obbligazioni di mezzi e di risultato, in Trattato delle obbligazioni, diretto da Franzoni, in I grandi temi, Torino, 2004, p. 1343); così, ad esempio, se si considera di risultato l'obbligazione dell'odontoiatra (Pret. Modena, sez. Finale Emilia, 9 luglio 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, c. 1032; Trib. Genova, 15 aprile 1993, in DE MATTEIS, La responsabilità medica, Padova, 1995, p. 385), tale risultato riguarda indubbiamente le caratteristiche merceologiche e strutturali del manufatto protesico, mentre appare dubbio estendere il risultato alla perfetta interazione del manufatto con il cavo orale del paziente; la scienza medica, infatti, non è in grado di assicurare sempre siffatto risultato, tenuto conto che le protesi dentarie installate rappresentano elementi artificiali ed estranei e che, anche nella migliore delle realizzazioni tecniche, possono verificarsi fattori imprevedibili in grado di influenzare il risultato finale (al riguardo, RINI, La responsabilità dell'odontoiatra, in La responsabilità civile, 2005, p. 935).
(49) Questo è, ad esempio, il caso del sanitario che consigli e pratichi, quale metodo anticoncezionale sicuro al 100%, un intervento di incollaggio delle tube: Cass., 10 settembre 1999, n. 9617, in Dir. famiglia, 2000, p. 1008, con nota di CASSANO; in Resp. civ., 2000, p. 315, con nota di CITARELLA.
(50) FRANZONI, Le obbligazioni di mezzi e di risultato, cit., p. 1343.
(51) Al riguardo, si veda il § 21, Principi di revisione, n. 240, a cura del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e consiglio nazionale dei ragionieri, Milano, 2007.
Sui limiti che contraddistinguono l'attività di revisione, si veda anche MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 563; MONTALENTI, La società quotata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, Padova, 2004, 294; CRESPI, La pretesa posizione di garanzia del revisore contabile, in Rivista delle società, 2006, 376.
(52) Al riguardo GALGANO, Il nuovo diritto societario, Padova, 2003, 429. In senso diverso, tra gli altri, SALAFIA, Alcune questioni in materia di revisione contabile istituita volontariamente, cit., 1184; CASADEI, La responsabilità della società di revisione, cit., 84, secondo il quale l'interesse della società revisionata non è quello generico ad avere un opinione sul bilancio, ma quello specifico di avere un giudizio sull'attendibilità del bilancio, e cioè sull'esattezza delle informazioni assoggettate alla revisione: alla società che ha conferito l'incarico interessa sapere se tali informazioni possono considerarsi esatte perchè forniscono una rappresentazione chiara, veritiera e corretta della sua situazione contabile, patrimoniale, finanziaria ed economica.
(53) GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., 429.
(54) MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 574; VALENSISE, Le responsabilità delle società di revisione, in Il diritto del mercato mobiliare, a cura di Rabitti Bedogni, Milano, 1997, 484. Si tenga in considerazione che vi è chi sostiene che i principi di revisione, indicati dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e raccomandati dalla Consob alle società di revisione incaricate di controllare i conti delle società aperte, non sarebbero di per sé vincolanti: il revisore potrebbe adottare anche altri principi di revisione, a suo avviso, ritenuti più idonei per il controllo, e, non per questo, di fronte al verificarsi dell'evento negativo, dovrebbe considerarsi negligente (SASSO, Il nuovo diritto delle società, cit., 1094). Al riguardo, MONTALENTI, La società quotata, cit., 315, sottolinea come la deviazione dai principi di revisione costituisca una presunzione, suscettibile di essere superata da una prova contraria, di un operato negligente del revisore, a meno che nella relazione sia chiarita la ragione specifica per cui si è ritenuto di dover seguire regole diverse. In ogni caso, l'art. 26 della direttiva Ce n. 2006/43 dispone che «Gli Stati membri prescrivono che i revisori legali e le imprese di revisione contabile eseguano le revisioni legali dei conti conformemente ai principi di revisione internazionali adottati dalla Commissione». In tal modo, dovrebbe essere estesa l'applicazione di tali principi a tutte le società di capitali, a prescindere dalle dimensioni. Il termine per il recepimento della direttiva è il 29 giugno 2008.
(55) Sul punto, il § 20, Principi di revisione, n. 240, cit.
(56) MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 578.
(57) SPIOTTA, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, cit., 1025.
(58) In questo senso, il § 10, Principi di revisione, n. 240, cit.; l'altro tipo di frode rilevante per il revisore deriva dall'appropriazione illecita di beni ed attività dell'impresa. L'appropriazione illecita è spesso commessa da dipendenti, tuttavia, può coinvolgere anche la direzione che normalmente ha maggiore possibilità di occultare o dissimulare tali appropriazioni.
(59) SPIOTTA, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, cit., 1025. Sul punto anche BUSSOLETTI, Le società di revisione, cit., 88, il quale sottolinea come il revisore abbia la possibilità di scoprire non tutti i falsi ma solo quelli che possono emergere nell'attività di ricerca di quel «vero» che è la realtà attingibile del revisore.
(60) Al riguardo, il § 20, Principi di revisione, n. 240, cit.
(61) In questi termini, MONTALENTI, La società quotata, cit., 316.
(62) In questo senso, il § 26, Principi di revisione, n. 240, cit.
(63) GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., 429; MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 581, secondo il quale non solo la «scoperta delle frodi» non è oggetto di un'obbligazione di risultato, ma nemmeno la «ricerca delle frodi» è oggetto «costante» di una obbligazione di mezzi, divenendolo solo quando, in base al criterio della diligenza professionale, si debba ritenere che le circostanze impongono di andare al di là del controllo tecnico sulla corretta rivelazione e rappresentazione dei fatti, cioè sulla corretta applicazione delle regole contabili.
In questo senso in giurisprudenza anche Trib. Milano 18 giugno 1992, in Giur. It., 1993, I, II, 11.
(64) FORTUNATO, in Società di capitali, Commentario, a cura di NICCOLINI e STAGNO D'ALCONTRES, cit., 818.
(65) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori contabili, cit., 319.
(66) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., cit., 298.
(67) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori contabili, cit., 322. Per queste ragioni, parte della dottrina, con riguardo alle società quotate, al fine di collegare il riscontro del nesso di causalità ad un criterio sufficientemente preciso ed obiettivo, tende a ricostruire il comportamento ipotetico dell'investitore sulla base dell'influenza dell'informazione non corretta nella formazione del prezzo: la prova del nesso causale è ritenuta assolta nel caso in cui si dimostri che il prezzo si è artificiosamente formato in conseguenza dell'inadempimento del revisore (BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., cit., 305; BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori contabili, cit., 337; PERRONE, Informazione al mercato e tutele dell'investitore, cit., 184).
(68) BUSSOLETTI, Le società di revisione, cit., 348. In giurisprudenza Trib. Torino 18 settembre 1993, in Giur. It., 1994, II, 673, con nota di SANTARONI, In tema di negligenza del revisore, la quale partendo dal presupposto che la funzione istituzionale della società di revisione consiste proprio nell'informare i terzi sull'assenza di qualunque ipotesi di mala gestio giunge alla
conclusione che essi non avrebbero più investito e addirittura avrebbero subito disinvestito il loro denaro, scongiurando e limitando così il danno, se fossero stati correttamente informati.
(69) BRUNO, L'azione di risarcimento per danni da informazione non corretta sul mercato finanziario, cit., 224.
(70) Si tenga in considerazione che il co. VIII dell'art. 94 T.u.f., nel testo risultante a seguito dell'art. 3 del d.lgs. n. 51 del 28.3.2007, ha introdotto una responsabilità parziaria nei confronti dei soggetti coinvolti nell'informazione veicolata nel prospetto informativo al fine di evitare che chi è maggiormente solvibile, e abbia solo marginalmente concorso alla produzione dell'evento lesivo, finisca per garantire, con il risarcimento, anche il fatto illecito altrui, nell'ipotesi in cui il corresponsabile sia insolvente. A tal proposito, si veda il § n. 10.
(71) MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 596.
(72) CASADEI, La responsabilità della società di revisione, cit., 155.
(73) MONTALENTI, La società quotata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da , cit., 317.
(74) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., cit., 304.
(75) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., cit., 313.
In giurisprudenza, con riguardo però alla responsabilità della Consob, per mancato controllo della veridicità delle informazioni veicolate nel prospetto informativo, si segnala App. Milano 21 ottobre 2003, in Corriere Giur., 2004, 933, con nota di TINA, Responsabilità della Consob per omessa vigilanza sulla veridicità delle informazioni contenute nel prospetto informativo; in Giur. It., 2004, 800, con nota di MIGNONE, Vigilanza Consob e responsabilità: brevi osservazioni sul tema; in Contratti, 2004, 329, con nota di SANTUCCI, Responsabilità della Consob per omessa vigilanza colposa., la quale esclude l'applicabilità dell'art. 1227, sulla base del rilievo che «non si ravvisa nessun comportamento colposo da parte degli investitori a cui non è possibile richiedere un'attività di verifica e controllo della veridicità delle informazioni contenute nel prospetto, attività espressamente demandata alla Consob, organo istituzionalmente preposto a tale compito».
(76) Su questo punto, PERRONE, Informazione al mercato e tutele dell'investitore, Milano, 2003, 215.
(77) Sottolinea tale aspetto BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., cit., 313, nota 153, il quale tuttavia sottolinea come possano configurarsi ipotesi di applicazione dell'art. 1227, co. I, come nel caso in cui l'investitore abbia sufficienti cognizioni tecniche in materia oppure quando il terzo abbia acquistato (o venduto) azioni della società avendo un fondato dubbio sulla correttezza e veridicità del bilancio e del relativo giudizio.
(78) Al riguardo, ROSSELLO, Il danno evitabile, Padova, 1990, 64.
(79) In senso affermativo, PERRONE, Informazione al mercato e tutele dell'investitore, cit., 216; BRUNO, L'azione di risarcimento per danni da informazione non corretta sul mercato finanziario, Napoli, 2000, 215.
(80) FRANZONI, Dei fatti illeciti, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca, diretto da GALGANO, Bologna-Roma, 1993, sub art. 2043, 132.
(81) In questo senso BUSSANI, La colpa soggettiva, Padova, 1991, 18.
(82) Sul punto, BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori contabili, cit.
(83) Cass. 9 novembre 2006, n. 23918, in Giust. civ. Mass., 2006, 11; Cass. 29 luglio 2004, n. 11488, in Giust. civ., 2005, 2115; Cass. sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, 769.
(84) Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826.
(85) In dottrina, per tutti, BIANCA, La responsabilità, in Diritto civile, V, Milano, 2001, 581. In giurisprudenza, tra le tante Cass. 22 maggio 2001, n. 6995, in Giust. civ. Mass., 2001, 1034; Cass. 15 febbraio 1992, n. 1844, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 2; Cass. 30 luglio 1987, n. 6603, in Riv. dir. Sport, 1988, 394; Cass. 5 gennaio 1981, n. 29, in Giur. it., 1981, I, 1, 740, ed in Giust. civ., 1981, I,745; Cass. 13 febbraio 1978, n. 671, in Arch. civ., 1978, 765; Trib. Milano 2 novembre 2000, in Foro it., 2001, I, 1935; Pret. Paola 24 dicembre 1991, in Riv. giur. circ. trasp., 1992, 832.
(86) BARBERO, Criterio di nascita e criteri di propagazione della responsabilità per fatto illecito, in Riv. Dir. civ., 1960, I, 578; ID., Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino, 1955, II, 808.
(87) Lo sottolinea FRANZONI, Il danno risarcibile, in Trattato della responsabilità civile, diretto da Franzoni, Milano, 2004, 774.
(88) MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato, 110.
(89) Cass. 25 maggio 1964, n. 1270, in Foro it., 1965, I, 2098, con commento di MARTORANO, Sulla responsabilità del fabbricante per la messa in commercio di prodotti dannosi, ivi, 1966, V, 13.
(90) Significativa, al riguardo, Cass. 28 ottobre 1980, n. 5795, in Resp. Civ. prev., 1981, 392.
(91) ROSSELLO , Sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 128.
(92) Tra le tante, di recente, Cass., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297, in Guida al dir., 2004, fasc. 24. Cass., 16 febbraio 2001, n. 2335, in Riv. it. medicina legale, 2002, p. 187; Cass., 19 maggio 1999, n. 4852, in Danno e resp., 1999, p. 1104; ed in Resp. civ., 1999, p. 995; Cass., 4 febbraio 1998, n. 1127, in Giur. it., 1998, p. 1800
(93) Cass., 13 gennaio 2005, n. 583, in Mass. Giust. civ., 2005, fasc. 1; Cass., 19 maggio 2004, in Dir. e Giust., 2004, fasc. 25, p. 32; Cass., 16 febbraio 2001, n. 2335, in Resp. civ., 2001, p. 580, con nota di GUERINONI; Cass., 19 maggio 1999, n. 4852, in Danno e resp., 2000, p. 157, con nota di GRONDONA; Cass., 22 gennaio 1999, n. 589, in Giur. it., 2000, p. 740; sui casi di res ipsa loquitur nell'ambito della responsabilità medica, CIATTI, Responsabilità medica e decisione sul fatto incerto, Padova, 2002, p. 148.
(94) Di recente, T.A.R. Liguria 8 febbraio 2006, n. 102, in Foro amm. TAR, 2006, 2 528;.
(95) Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514; Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2007, n. 1114; Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2006, n. 6607.
(96) E' questo il caso di Cass. 18 luglio 2002, n. 10403, in Giust. Civ. Mass., 2002, 1258.
(97) SASSO, Il nuovo diritto delle società, a cura di MAFFEI ALBERTI, cit., 1111.
(98) FORTUNATO, in Società di capitali, Commentario, cit., 860.
(99) FORTUNATO, in Società di capitali, Commentario, cit., 860.
(100) SPIOTTA, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, cit., 1080, la quale sottolinea come il revisore potrebbe trovarsi a dover rispondere del fatto commesso da amministratori e sindaci che non ne rispondono più, tenuto conto che per questi ultimi il dies a quo coincide con il compimento dell'atto che ha direttamente pregiudicato il socio o il terzo.
(101) SASSO, Il nuovo diritto delle società, a cura di MAFFEI ALBERTI, cit., 1113.
(102) Parte della giurisprudenza è orientata ad attribuire rilievo, ai fini dell'individuazione del momento in cui inizia a decorrere la prescrizione, al giorno in cui l'evento lesivo si è rivelato in tutte le sue componenti: Cass., 24 marzo 1979, n. 1716, in Foro it., 1980, I, c. 1115; in Giust. civ., 1979, I, p. 1440; Cass., 21 febbraio 2003, n. 2645 (in Danno e resp., 2003, p. 845, con nota di RIGHETTI, Prescrizione e danno lungolatente; Cass. 31 maggio 2005, n. 11609. Un'arresto a tale orientamento, che attribuisce rilievo al momento in cui l'evento lesivo si manifesta in tutte le sue componenti, è intervenuto con la recente pronuncia della Cass., 28 gennaio 2004, n. 1547, in Danno e resp., 2004, p. 389, con nota di MONATERI, La prescrizione e la sua decorrenza: una sentenza da elogiare; in Resp. civ., 2004, p. 457, con nota di BONA, Prescrizione e dies a quo nel danno alla persona: quale modello?, riguardante la responsabilità di un sanitario il quale, nel corso di un intervento eseguito nel 1985 sul flusso degli spermatozoi di un uomo, avrebbe precluso a quest'ultimo ogni capacità di procreare; tale pregiudizio è rimasto occulto, sino a degli accertamenti effettuati nel 1996, a distanza di 6 anni dal matrimonio.
(103) Tale soluzione è conforme anche alla legislazione speciale in tema di responsabilità del produttore; in proposito, infatti, l'art. 125 del Codice del consumo prevede che il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del responsabile. Il II co., inoltre, prevede che nel caso di aggravamento del danno, la prescrizione comincia a decorrere solo dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto aver conoscenza di un danno di gravità sufficiente a giustificare un azione giudiziaria.
(104) In questo senso pare orientato anche SASSO, cit., 1113.
(105) Lo sottolinea BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori contabili, cit., 155. Sul problema dell'autonomia dei revisori con la società revisionata, CERA, Quotazione di nuove società e tutela del pubblico investitore: il ruolo delle società di revisione, cit., 204; RABBITTI BEDOGNI, L'attivazione del principio di indipendenza nell'esercizio della revisione, in Dir. banca merc. fin., 2002, 19; GALGANO, La tutela del risparmio. Dallo Sarabes-Oxely Act alla legge italiana, in Mercato finanziario e tutela del risparmio, a cura di Galgano e Visintini, Padova, 2006, 6.
(106) La proposta era stata avanzata dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti. Si consideri che anche la Direzione generale «Mercato interno e Servizi» della Commissione Europea ha proposto un Documento, in cui si valuta la possibilità di introdurre un massimale di risarcimento nonché il principio della principio della responsabilità proporzionale nel senso che gli investitori potrebbero recuperare dal revisore solo la quota delle perdite che possa essere imputabile agli atti (o alle omissioni) del revisore stesso. Il documento è pubblicato in http://ec.europa.eu/internal market/auditing/docs/liability/consultation-paper it.pdf.
Per un commento si rimanda a SCARSO, La riforma del regime di responsabilità del revisore contabile: a proposito di una recente proposta della commissione (liability cap v. proporzionate liability), in Resp. Civ. prev., 2007, 1226. Sul dibattito circa la limitazione di responsabilità dei revisori, PRESTI, La responsabilità del revisore, cit., 166.
Sull'opportunità di trovare un bilanciamento tra la rigorosa applicazione delle regole della responsabilità civile e una ragionevole distribuizione del rischio nella produzione e trasmissione delle informazioni al mercato, si veda anche VELLA, I controlli interni e la revisione contabile nella riforma delle società non quotate, in Dir. banca e mercato finanziario, 2001, 35.
(107) SPIOTTA, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino, cit., 1081.
(108) Il co. VIII dell'art. 94 (come sostituito dall'art. 3 d.lgs. n. 51 del 28.3.2007) del T.u.f. dispone che «L'emittente, l'offerente e l'eventuale garante, a seconda dei casi, nonché le persone responsabili delle informazioni contenute nel prospetto rispondono, ciascuno in relazione alle parti di propria competenza, dei danni subiti dall'investitore che abbia fatto ragionevole affidamento sulla veridicità e completezza delle informazioni contenute nel prospetto, a meno che non provi di aver adottato ogni diligenza allo scopo di assicurare che le informazioni in questione fossero conformi ai fatti e non presentassero omissioni tali da alterarne il senso».
(109) Soltanto l'intermediario responsabile del collocamento può essere chiamato a rispondere dell'intero danno subito dall'investitore; il co. IX, dell'art. 94 T.u.f., infatti, prevede che «La responsabilità per informazioni false o per omissioni idonee ad influenzare le decisioni di un investitore ragionevole grava sull'intermediario responsabile del collocamento, a meno che non provi di aver adottato la diligenza prevista dal comma precedente».
(110) PRESTI, La responsabilità del revisore, in Banca borsa titoli credito, 2007, 168.
(111) PRESTI, La responsabilità del revisore, cit., 168.
(112) Sottolinea tale rischio, FRANZONI, La responsabilità civile delle authorities per omissione di vigilanza, in Mercato finanziario e tutela del risparmio, a cura di Galgano e Visintini, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, diretto da Galgano, Padova, 2006, 274; SCOTTI, Diffusione di informazioni inesatte e tutela degli investitori: configurazione della responsabilità della Consob per omessa vigilanza, in Giur. Comm., 2002, II, 31.
(113) PRESTI, La responsabilità del revisore, cit., 178.
(114) PELLECCHIA, La responsabilità solidale, in La responsabilità civile, a cura di CENDON, XIV, Torino, 1998, 640; ORLANDI, La responsabilità solidale, Milano, 1993, 283. In senso diverso DUNI, Responsabilità da fatti illeciti. Solidarietà. Regresso. Concorso di colpa della vittima e diminuzione del risarcimento, in Giust. civ., 1966, IV, 57.
(115) In questo senso DE ACUTIS, La solidarietà nella responsabilità civile, in Riv. dir. civ., 1975, 640; SALVI, v. Responsabilità extracontrattuale, in Enc. del dir., XXXIX, Milano, 1988, 1255.
(116) Sottolinea questo, con riguardo alla responsabilità dei revisori, PRESTI, La responsabilità del revisore, cit., 177, il quale evidenzia come il revisore «presta» la sua reputazione all'emittente in modo che costui possa spenderla sui mercati finanziari.
Con riguardo, invece, alla responsabilità della Consob, è indubbio che nei rapporti interni se l'Autorità non ha accertato una falsità contenuta nel prospetto ha una responsabilità minore rispetto agli autori materiali; tuttavia, nei rapporti verso i risparmiatori, la prospettiva potrebbe mutare, tenuto conto che gli investitori ripongono notevole affidamento nell'operato dell'Autorità, e che la stessa, nell'esercizio dell'attività di vigilanza, ha la funzione - oltre che di assicurare la trasparenza e l'ordinato svolgimento delle negoziazioni - anche di tutelare gli investitori, ai sensi dell'art. 74 T.u.f.
(117) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori contabili, cit., 344.
(118) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori contabili, cit., 344.
(119) Al riguardo, PERRONE, Informazione al mercato e tutele dell'investitore, cit., 214, il quale sottolinea la preferibilità di una soluzione in cui il prezzo di riferimento sia costituito non tanto da quello immediatamente seguente alla comunicazione, quanto piuttosto dalla media del prezzo in un determinato intervallo di tempo successivo.
(120) In questo senso, Trib. Milano 14 febbraio 2004, in Foro it., 2004, I, 1581, relativa ad un caso differente di responsabilità di alcune banche che, in possesso di informazioni privilegiate sulle reali prospettive economiche di una società quotata, hanno dismesso le partecipazioni possedute nella società prima della diffusione di tali notizie, approfittando delle favorevoli condizioni di mercato.
(121) Sul punto BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori contabili, cit., 344.
(122) Tra le tante Cass. 16 maggio 2006, aprile 2005, n. 8004, in Giust. Civ. Mass., 2005.
(123) BIANCA, La responsabilità, in Diritto civile, V, Milano, 2001, 165.
(124) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori contabili, cit., 348, il quale ritiene che l'ipotesi più sensata appare quella di un reinvestimento in titoli azionari tratti sullo stesso mercato di riferimento delle azioni della società revisionata.
(125) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria della s.p.a., cit., 290.
(126) FRANZONI, Gli amministratori e i sindaci, in Le società, Trattato diretto da Galgano, Torino, 2002, 361.
(127) Al riguardo, si veda il § n. 2.
(128) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria della s.p.a., cit., 288, nota 96.
(129) Trib. Foggia 7 maggio 2002. In questo caso, si pone il problema della legittimazione al risarcimento: si deve accertare se il pregiudizio sia patito singolarmente dal creditore, con la conseguenza che ciascun creditore mantiene la legittimazione oppure se si tratta di azione finalizzata alla ricostituzione del patrimonio del debitore, con conseguente legittimazione al curatore.
Con riguardo alla concessione abusiva del credito, si veda Cass. sez. un., 28 marzo 2006, n. 7029, in Fallimento, 2007, 101, la quale nega la legittimazione del curatore fallimentare.



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