Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/07/2008 Scarica PDF
Il danno da informazione inesatta nell'attività di revisione contabile
Giovanni Facci, Ricercatore confermatoSOMMARIO: 1.
Premessa. - 2. La revisione contabile e le informazioni ai terzi. - 3. La
natura della responsabilità - 4. Obbligazioni di mezzi e di risultato nella
responsabilità del revisore. - 5. (Segue). La responsabilità nel considerare le
frodi. - 6. Il nesso causale. - 7. (Segue). L'art. 1227 c.c. - 8. L'onere della
prova. - 9. La prescrizione. - 10. Il danno risarcibile: il pregiudizio subito
dagli investitori. - 11. (Segue). Il pregiudizio subito dai creditori.
1. Premessa
La responsabilità per informazioni inesatte è considerata da sempre un ottimo
«banco di prova» per valutare la resistenza delle tradizionali regole di
responsabilità (1).
In particolare, è dibattuta la possibilità di considerare come ingiusto il
danno patito dal terzo a causa delle informazioni inesatte, allorché tra le
parti non sia intercorso alcun rapporto contrattuale (2); il problema, infatti,
consiste nell'accertare se nel nostro ordinamento vi siano indici che portano a
ritenere che l'affidamento incolpevole di un soggetto nella veridicità e
correttezza delle informazioni rese da un terzo debba essere tutelato oppure se
debba soccombere davanti alla tutela riconosciuta alla libertà di informazione.
Tale problematica assume un interesse ancor maggiore, nel caso in cui si tratti
di informazioni di carattere economico, come tali destinate ad incidere sulla
libertà contrattuale di chi le utilizza.
Di recente, il tema si è posto con riguardo alle informazioni provenienti dalle
agenzie di rating (3) (in particolare a seguito della recente «crisi» dei mutui
subprime), e più in generale dagli analisti finanziari (4), le cui previsioni
condizionano fortemente le scelta d'investimento da parte degli investitori.
Tradizionalmente, invece, il tema della lesione della libertà contrattuale per
false informazioni ed il conseguente profilo dell'ingiustizia del danno patito
dal terzi è stato esaminato con riguardo all'affidamento suscitato dalla
lettera di patronage (5), con riguardo alle informazioni non veritiere
provenienti dalla banca (6), con riguardo ai c.d. warentests (7), oppure con
riguardo al prospetto informativo (8).
In tutte queste ipotesi, anche se risolte in genere tutelando l'affidamento
incolpevole del terzo, è stato posto in dubbio che sussista un diritto del
singolo a ricevere informazioni corrette (9); così, ad esempio, con riguardo
alla banca, potrebbe sostenersi che la vera fonte dell'obbligo di fornire
informazioni veritiere, in casi come quello del benfondi, risieda nella prassi
bancaria in base alla quale le banche si scambiano informazioni che si debbono
presumere veritiere nell'interesse dell'intero sistema bancario (10).
Allo stesso modo, con riferimento alla lettera di patronage, si potrebbe
affermare che l'esigenza di valutare con maggior rigore la responsabilità,
risieda nella particolare posizione dell'informatore, il quale non solo conosce
i fatti che attesta nella lettera ma è anche terzo interessato al negozio
patrocinato, della cui conclusione o continuazione si rende promotore o
intermediario in senso lato (11).
Questi casi, pertanto, potrebbero essere non decisivi per valutare se, nel
nostro ordinamento, sia ingiusto il danno patito dal terzo e se sussista un
proprio interesse, giuridicamente tutelato, all'esattezza dell'informazione
altrui.
Anche per la revisione contabile, si pone il problema della responsabilità nei
confronti dei terzi per informazioni inesatte, tenuto conto che lo scopo della
revisione è principalmente quello di fornire un beneficio informativo ai terzi
(12).
In questa fattispecie, tuttavia, è già stato superato il problema
dell'ingiustizia del danno patito dal terzo e, di conseguenza, se sussista un
diritto tutelato di quest'ultimo, a ricevere informazioni corrette. Il
legislatore, infatti, con l'art. 164, comma 2º, T.u.f. prima e con l'art. 2409,
sexies c.c. poi, ha espressamente previsto la responsabilità non solo nei
confronti della
società che ha conferito l'incarico ma anche nei confronti dei terzi
danneggiati.
In tal modo, in caso di lesione della libertà contrattuale per false
informazioni provenienti dal giudizio sul bilancio, non è necessario accertare
se sia o meno tutelato l'affidamento del terzo nella serietà e veridicità
dell'informazione ricevuta dal revisore: il legislatore ha già espresso un
giudizio di meritevolezza dell'interesse del terzo a ricevere informazioni
corrette dall'attività di revisione contabile.
A prescindere dal profilo dell'ingiustizia del danno, tuttavia, la fattispecie
della responsabilità, per il danno da informazione nell'attività di revisione
contabile, presenta aspetti di indubbio interesse, testimoniati anche
dall'attenzione della dottrina sul tema (13).
2. La revisione contabile e le informazioni ai terzi
I revisori contabili svolgono un ruolo istituzionale, essendo inseriti in un
sistema pubblicistico di vigilanza, finalizzato alla protezione di interessi
ulteriori rispetto a quelli della società revisionata (14); l'attività dei
revisori, infatti, conferisce una particolare attendibilità ai bilanci delle
società revisionate, con la conseguenza che i terzi estranei al rapporto di
revisione sono indotti ad un legittimo affidamento nei giudizi sui bilanci
espressi dai revisori.
Così facendo, i revisori nell'adempimento delle obbligazioni assunte non solo
debbono rispettare gli interessi della parte committente, ma debbono tenere in
considerazione anche gli interessi di tutti i soggetti che possono ricavare
dall'adempimento dell'attività svolta le informazioni di cui necessitano per
una cosciente gestione del proprio patrimonio (15).
A tal proposito, si è di recente evidenziato che a lamentare i danni per
negligente revisione contabile sono generalmente i terzi e quasi mai la stessa
società (contraente) revisionata: il negozio intercorre tra due soggetti, i
revisori e la società revisionata ma a lamentare i danni per il negligente
adempimento non è quasi mai la creditrice della prestazione mal eseguita ma
soggetti estranei a quel contratto, i quali sono stati pregiudicati nelle
scelte di investimento, a causa delle informazioni inesatte provenienti dai
revisori (16).
In particolare, può configurarsi una responsabilità nel caso di rilascio di un
errato o fuorviante giudizio sul bilancio che abbia indotto il terzo a
decisioni di investimento, che altrimenti non sarebbero state compiute; così,
ad esempio, la sopravvalutazione dell'attivo di bilancio, non rilevata dalla
società di revisione, può risultare determinante per la decisione di
partecipare o di incrementare la propria partecipazione nella società. Allo
stesso modo, la sottovalutazione di passività può far sì che l'investitore già
socio possa determinarsi a vendere le proprie azioni ad un prezzo inferiore
rispetto a quello che potrebbe ottenere sulla base di un bilancio correttamente
redatto (17).
Si può configurare una responsabilità anche nell'ipotesi in cui il giudizio
erroneo sul bilancio abbia indotto un terzo (ad esempio una banca) a concedere
credito alla società revisionata, sul presupposto del buon andamento
patrimoniale della società revisionata. In questo caso, il giudizio positivo
sul bilancio della società revisionata lede l'autonomia contrattuale dei
creditori, dando una rappresentazione positiva circa la solvibilità
dell'impresa.
La fattispecie presenta somiglianze con la responsabilità per concessione
abusiva del credito, la quale viene concepita come una forma di lesione della
libertà contrattuale, attuata mediante uno «sviluppo» della responsabilità per
danno informativo (18); in entrambe le ipotesi, infatti, siamo in presenza di
una illusoria apparenza di solidità o almeno di normalità aziendale, che viene
data, in un caso, dall'erroneo giudizio sul bilancio e nell'altro dal
finanziamento abusivo. Tale similitudine è ancor più marcata,
tenuto conto che il revisore deve esprimersi anche in relazione alla capacità
di continuazione dell'attività aziendale (c.d. going concern).
In questo modo, si potrebbe affermare una responsabilità nei confronti di tutti
coloro che hanno subito un pregiudizio a causa della continuazione
dell'attività dell'azienda, allorchè si provi che in caso di diligente
adempimento dei revisori, tale attività sarebbe stata interrotta.
In ogni caso, la responsabilità del revisore può essere invocata anche da coloro
che, al momento dell'inadempimento del revisore, già erano creditori della
società, ma facendo affidamento sul giudizio positivo, hanno perso la
possibilità di esercitare azioni, in grado di limitare le conseguenze dannose
(eccezione di inadempimento, richiesta di garanzie, istanza di fallimento,
ecc.) (19), oppure, più in generale, hanno subito un pregiudizio a causa del
ritardo nell'apertura del fallimento; i creditori, infatti, (già tali al
momento dell'inadempimento) potrebbero aver subito un danno in quanto, essendo
nel frattempo aumentati i debiti sociali, si è ridotta la possibilità di
soddisfarsi di ciascuno di essi (20).
Anche in questo caso è evidente l'analogia con la concessione abusiva del
credito, in cui si afferma la responsabilità anche nei confronti dei creditori
anteriori all'illecito, in quanto riusciranno a recuperare una somma inferiore
a quella che avrebbero recuperato se il fallimento fosse stato tempestivamente
dichiarato (21).
In questi ultimi casi, l'ingiustizia del danno è rappresentata non tanto dalla
lesione della libertà contrattuale, quanto dalla lesione dell'aspettativa a
realizzare il credito, che è stata pregiudicata dal comportamento negligente
del revisore.
In definitiva, una responsabilità dei revisori verso i terzi sussiste ogni
volta che il colposo inadempimento del mandato ricevuto travalica i confini del
rapporto obbligatorio, producendo effetti negativi anche per tutti coloro che
hanno fatto affidamento sul diligente svolgimento dell'attività di revisione
contabile; così facendo, ad esempio, la S.C. ha ravvisato una responsabilità
nei confronti di acquirenti di quote societarie, i quali non avrebbero
stipulato il contratto definitivo, esercitando il diritto di recesso stabilito
nel preliminare, ove avessero conosciuto il reale ed inferiore valore della
società (22).
3. La natura della responsabilità
L'art. 2409, sexies, co. I, prevede espressamente che il revisore è
responsabile anche nei confronti dei terzi «per i danni derivanti
dall'inadempimento» ai propri doveri (23). A sua volta, il legislatore del
T.u.f. del 1998 (24), all'art. 164, II co., ha disposto che «i responsabili
della revisione e i dipendenti che hanno effettuato l'attività di revisione
contabile sono responsabili, in solido con la società di revisione, per i danni
conseguenti da propri inadempimenti o da fatti illeciti nei confronti della
società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati».
In tal modo, potrebbe sembrare che il legislatore del 2003 - eliminando l'endiadi
«inadempimentofatto illecito» e lasciando il solo riferimento
all'«inadempimento» - abbia inteso far riferimento ad una responsabilità del
revisore di natura contrattuale anche nei confronti dei terzi, che deriverebbe
dall'inadempimento di una preesistente obbligazione imposta dalla legge al
revisore per garantire il corretto esercizio delle funzioni svolte (25).
Il riferimento al teso letterale dell'art. 2409, sexies, tuttavia, non appare
decisivo per affermare la responsabilità contrattuale anche nei confronti dei
terzi, in quanto si può sostenere che il legislatore, con il termine
«inadempimento», abbia voluto identificare la condotta materiale che, se con
riferimento alla società cliente rileva come inadempimento contrattuale, con
riguardo ai terzi ed ai soci si delinea giuridicamente come l'elemento
oggettivo da cui trae origine l'art. 2043 c.c.: il revisore che non esegue le
dovute procedure potrebbe commettere, oltre ad un inadempimento contrattuale
nei confronti della società cliente, un fatto illecito che potrebbe assumere
rilievo anche ai sensi dell'art. 2043 (26).
In altre parole, con l'eliminazione dell'endiadi «inadempimentofatto illecito»
sarebbe affermata l'identità naturalistica dell'avvenimento che cagiona i danni
sopportati dalla società, dai soci e dai terzi, indicando così l'unicità della
causa empirica che espone il revisore all'obbligo di risarcire i danni ed al
contempo tipizza un illecito aquiliano riconducibile nell'ambito della clausola
generale dell'art. 2043 (27).
Una responsabilità di natura contrattuale potrebbe essere sostenuta, invece,
facendo riferimento al particolare «status» delle società di revisione, tenuto
conto che esse svolgono un ruolo istituzionale, essendo inserite in un sistema
pubblicistico di vigilanza, finalizzato alla protezione di interessi ulteriori
rispetto a quelli della società revisionata (28); in altri termini, esse
contribuirebbero, con rapporti di carattere privatistico, a realizzare
l'interesse pubblico della protezione dei mercati (29).
In tal modo, si tratterebbe di applicare i principi di natura contrattuale nei
confronti dei revisori, seguendo l'orientamento che, nell'ambito della
responsabilità professionale, tende ad adottare, nei confronti dei terzi, la
responsabilità da "contatto sociale" (30).
Indubbiamente più articolata è la recente ricostruzione che - partendo
dall'assunto secondo il quale lo scopo ed il senso della revisione è destinare
un beneficio informativo ai terzi investitori (azionisti, obbligazionisti e
finanziatori) - ricostruisce la fattispecie in esame in termini di contratto a
favore di terzi (31).
In particolare, proprio perché i naturali destinatari del giudizio di revisione
sono i terzi risparmiatori investitori, viene fatto riferimento al contratto a
favore di terzi con efficacia interna, il quale si differenzia da quello in
senso proprio, con riguardo al momento temporale in cui avviene l'attribuzione
del diritto (32) .
A prescindere dai rilievi che possono essere mossi a questa ricostruzione,
collegati alla circostanza che la funzione della revisione non è diretta a
tutelare soltanto i terzi, ma pure la società stessa (33), nonché
l'impossibilità di determinare l'identità dei beneficiari della stipulazione
(34), si deve rilevare la sostanziale inutilità pratica del dibattito in ordine
alla natura della responsabilità dei revisori verso i terzi.
In altre parole, la diversa qualifica della responsabilità come contrattuale
oppure come extracontrattuale assume scarso rilievo sul piano pratico, tenuto
conto che le differenze tra le due ipotesi sono eliminate sul piano della
prescrizione dell'azione, unificata nel termine di cinque anni dalla data della
cessazione dell'incarico del revisore (35).
4. Obbligazioni di mezzi e di risultato nella responsabilità del revisore
E' particolarmente discusso in dottrina se le obbligazioni del revisore siano
obbligazioni di mezzi oppure di risultato.
L'orientamento prevalente è portato a ritenere che si sia in presenza di
obbligazioni di mezzi e non di risultato: in particolare, si sostiene che «la
professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico» di cui
all'art. 2407 c.c. siano l'unico criterio per determinare concretamente il
contenuto dei doveri posti in capo ai revisori, con conseguente impossibilità
di ricondurre la fattispecie alle obbligazioni di risultato (36).
In ogni caso, prima di procedere ad esaminare le funzioni svolte dalla società
di revisione - al fine di accertare la natura delle obbligazioni - appare
opportuno interrogarsi sul valore della distinzione tra obbligazioni di mezzi e
di risultato.
Tale dicotomia, infatti, è stata respinta da parte della dottrina, la quale
nega che le obbligazioni di mezzi e di risultato siano due categorie
contrapposte (37).
Al riguardo, si è sottolineato che la distinzione tra obbligazioni di mezzi e
di risultato non ha alcuna incidenza sul regime di responsabilità del
professionista, il quale rimane sempre il medesimo; in questo modo, la
responsabilità per inadempimento è disciplinata in modo unitario dall'art. 1218
c.c., non essendo accettabile l'idea per la quale le obbligazioni del
professionista risponderebbero, sotto il profilo dei presupposti della
responsabilità e del conseguente onere probatorio, ad una logica diversa da
quella valevole per le altre obbligazioni (38).
Siffatta impostazione è stata ribadita anche dalla giurisprudenza più recente,
la quale ha anche evidenziato come la distinzione tra obbligazioni di mezzi e
di risultato, dal punto di vista pratico, presenti profili problematici, in
considerazione della struttura stessa del rapporto obbligatorio e tenuto conto
che un risultato è dovuto in tutte le obbligazioni; in ogni obbligazione,
infatti, si richiede sia la presenza del comportamento del debitore che del
risultato, anche se in proporzione variabile, con la conseguenza che in
ciascuna obbligazione assumono rilievo sia il risultato pratico da raggiungere
attraverso il vincolo, sia l'impegno che il debitore deve porre in essere per
ottenerlo (39).
E' confermato, inoltre, che la distinzione non può essere utilizzata per
sostenere che mentre nelle obbligazioni di mezzi, essendo aleatorio il
risultato, incombe sul creditore l'onere della prova che il mancato risultato è
dipeso da scarsa diligenza, mentre, nelle obbligazioni di risultato incombe sul
debitore l'onere della prova che il mancato risultato è dipeso da causa a lui
non imputabile (40). Tale impostazione, infatti, deve essere decisamente
respinta, stante la recente ricostruzione operata dalla Cass. sez. un. in tema
di onere della prova in materia di inadempimento contrattuale (41).
In base a siffatta ricostruzione, il sistema di ripartizione dell'onere della
prova è identico, sia che il creditore agisca per l'adempimento
dell'obbligazione, ex art. 1453 c.c., sia che domandi il risarcimento per
l'inadempimento contrattuale, ex art. 1218 c.c., senza che possa venire in
alcun rilievo la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato (al
riguardo, si veda il § n. 8).
In ogni caso, la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, se non
può essere utilizzata per introdurre una differenziazione sul piano della
disciplina della responsabilità - essendo innegabile che tutti i profili di
responsabilità del professionista intellettuale, siano essi connessi ad
obbligazioni di mezzi o di risultato, debbono essere ricondotti nell'ambito
della disciplina generale dell'inadempimento delle obbligazioni - può,
tuttavia, essere mantenuta su un piano meramente descrittivo, per stabilire a
che cosa sia tenuto il debitore di una certa obbligazione (42).
In altre parole, la partizione viene in rilievo per individuare l'oggetto della
prestazione, rispetto alla quale si dovrà valutare se il debitore ha adempiuto
in modo esatto, tenuto conto, in ogni caso, che anche nelle obblig azioni c.d.
di mezzi, il debitore è tenuto ad un risultato, inteso non come il
raggiungimento dello scopo finale perseguito dal cliente, bensì come insieme
delle prestazioni che il debitore deve compiere in vista di tale fine (43).
Questo, ad esempio, è il caso della responsabilità dell'avvocato, il quale è
sempre tenuto a porre in essere una attività professionale efficiente tesa a
conseguire il buon esito della lite per il cliente (44).
In questo modo, la distinzione assume rilievo quando il creditore abbia
dimostrato il titolo dell'obbligazione ed il debitore, per liberarsi da
responsabilità, intenda dimostrare il fatto estintivo del vincolo ed in
particolare di aver adempiuto in modo esatto la prestazione. Pertanto, nelle
obbligazioni di mezzi - nelle quali il mancato o inesatto risultato della
prestazione non consiste nell'inadempimento, ma costituisce il danno
conseguente alla non diligente esecuzione della prestazione - il debitore, se
vuole dimostrare l'esattezza dell'adempimento, deve provare che la sua condotta
è stata conforme alle regole dell'arte che devono essere seguite nelle
circostanze in cui si è verificato il fatto; così facendo, il debitore di una
prestazione di mezzi, dimostrando la conformità tra la diligenza richiesta nel
caso di specie e quella effettivamente prestata, si pone sullo stesso piano del
debitore che esibisce la quietanza di pagamento: fornisce una prova contraria
del fatto costitutivo (45).
Nelle obbligazioni di risultato, invece, la dimostrazione della conformità tra
la diligenza richiesta e quella prestata non è sufficiente, in quanto il
debitore adempie esattamente la prestazione soltanto se consegue il risultato
dedotto in obbligazione; per questo motivo, se tale risultato non è stato
raggiunto, il debitore, per liberarsi da responsabilità, deve fornire la prova
di cui all'art. 1218 c.c.
Tale impostazione, in ogni caso, non porta a rompere l'unitarietà della
disciplina della responsabilità per inadempimento della prestazione, sottraendo
le obbligazioni di mezzi dall'applicazione dell'art. 1218 c.c. (46). Infatti,
nel caso in cui venga in rilievo non l'inesattezza dell'adempimento del
debitore, bensì la mancata esecuzione della prestazione, non ha alcun
senso distinguere a seconda della natura di mezzi o di risultato delle
obbligazioni: in questo caso, viene in rilievo, non tanto il contenuto della
prestazione, bensì il fatto positivo che ha reso impossibile la prestazione
(47).
Si tenga, comunque, in considerazione che nelle obbligazioni di risultato, il
risultato deducibile in obbligazione dipende dalla effettiva possibilità di
conseguirlo nel senso che non può essere imposto al debitore di raggiungere un
risultato che oggettivamente non può essere conseguito (48). Diverso è, invece,
il caso in cui il risultato dipenda dal titolo fonte dell'obbligazione, nel
senso che il debitore si è impegnato contrattualmente al raggiungimento del
risultato (49). In questa ipotesi, il debitore che ha assunto volontariamente
per contratto l'obbligazione di conseguire un certo risultato sarà
responsabile, in caso di inadempimento, anche nel caso in cui la scienza e la
tecnica non diano alcuna assicurazione sul conseguimento dello stesso (50).
5. (Segue). La responsabilità nel considerare le frodi
Dopo aver esaminato per sommi capi la distinzione tra obbligazioni di mezzi e
di risultato e rilevato il ruolo svolto dalla partizione, si può valutare il
significato della stessa nell'ambito delle funzioni svolte dai revisori.
Si è già evidenziato che si tende a negare che l'obbligazione del revisore
possa considerarsi di risultato, a causa principalmente dei limiti intrinseci
all'attività di revisione contabile: anche se la revisione è stata
correttamente pianificata e svolta in conformità ai principi di revisione, vi è
un inevitabile rischio che alcuni errori significativi presenti nel bilancio
non siano individuati.
In altre parole, un revisore ben difficilmente può raggiungere una sicurezza
assoluta di riuscire ad individuare tutti gli errori significativi contenuti
nel bilancio, in quanto la revisione contabile è soggetta a fattori quali
l'utilizzo di verifiche a campione, le limitazioni intrinseche del controllo
interno e la natura «persuasiva» piuttosto che «conclusiva» di molti degli
elementi disponibili, che non permettono il conseguimento di un siffatto risultato
(51).
Pare dunque che l'unico criterio decisivo al fine di valutare la responsabilità
del revisore sia rappresentato dall'accertare se egli abbia agito con «la
professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico» di cui
all'art. 2407 c.c. (52): l'obbligazione assunta ha per oggetto una attività di
diligente revisione contabile, con il grado di perizia e di oculatezza connesso
all'alta professionalità richiesta (53).
In ogni caso, l'osservanza dei principi di revisione - tenuto conto talvolta
del contenuto generico ed astratto - non sempre è sufficiente a provare
l'esatto adempimento, soprattutto nel caso in cui risulti che la genericità di
quanto proposto, mal si adatta allo specifico caso concreto sottoposto al
giudizio di revisione, essendo necessario in questa ipotesi effettuare
procedure di controllo ulteriori od alternative (54).
In particolare, per stabilire o meno la responsabilità, è necessario valutare
le procedure di revisione eseguite nel caso specifico, la sufficienza e
l'adeguatezza degli elementi probativi ottenuti a seguito dello svolgimento di
tali procedure e la coerenza della relazione di revisione emessa sulla base
degli elementi di prova acquisiti (55). In tal modo, non si può affermare la
responsabilità del revisore a causa della semplice mancata scoperta di errori
presenti nel bilancio ma solo nel caso in cui quegli errori sarebbero stati
riscontrati se il revisore avesse eseguito delle procedure di verifica che
invece ha omesso di svolgere, malgrado le stesse fossero ex ante necessarie ad
integrare, nel caso di specie, il comportamento del diligente professionista
della revisione (56).
Soltanto per alcune prestazioni, quali il controllo della corrispondenza del
bilancio alle scritture contabili ed agli accertamenti eseguiti, si potrebbe
parlare di obbligazioni di risultato, poiché si tratta di accertamenti quasi
meccanici, che non richiedono alcuna attività critica o valutativa (57).
Ai fini dell'argomento trattato, comunque, appare significativo il caso della responsabilità
per mancata scoperta di frodi contabili. Gli errori di bilancio, infatti, che
possono presentarsi ai revisori possono derivare da frodi o comportamenti o
eventi non intenzionali: ciò che distingue le due categorie è l'intenzionalità
o meno dell'atto che determina errori in bilancio.
In particolare, le frodi rilevanti che comportano la presenza di errori
significativi in bilancio sono le false informative economico finanziarie, che
riguardano l'omissione in bilancio di importi o di un'informativa adeguata al
fine di ingannare gli utilizzatori del bilancio, influenzando la loro
percezione della redditività aziendale (58).
Il rischio di non riconoscere un errore derivante da frodi è superiore rispetto
agli errori derivanti da comportamenti non intenzionali, in quanto le frodi
possono essere accompagnate da schemi organizzativi sofisticati ed attentamente
progettati al fine di occultarle ai revisori. Diventa così fondamentale
accertare se la mancata scoperta delle frodi contabili sia imputabile a
superficialità o trascuratezza oppure alla abilità di occultamento degli
amministratori (59); in altri termini, la successiva scoperta nel bilancio di
un errore significativo dovuto a frodi non è di per sé indice
dell'inadempimento del revisore, in quanto in alcuni casi le procedure di
revisione sono oggettivamente inefficaci nell'individuare errori conseguenti a
comportamenti od eventi intenzionali occultati (60).
E' opportuno, invece, verificare - in ragione delle concrete circostanze,
tenuto conto della presenza o meno di indici di sospetto e di peculiari
criticità - se i revisori che non abbiano rilevato frodi contabili poi
rivelatesi perpetrate fossero obiettivamente tenuti a svolgere indagini più
approfondite, secondo il paradigma del revisore diligente e se, in caso
affermativo, la mancata scoperta sia dovuta a negligenza ed imperizia o
piuttosto alla astuzia nell'occultamento degli amministratori (61).
Si pensi, ad esempio, al caso in cui alcuni documenti rilevanti siano stati
falsificati; la revisione svolta in conformità ai principi di revisione,
raramente, comporta la verifica dell'autenticità della documentazione, né il
revisore è preparato a tale scopo o ci si può attendere che sia considerato un
esperto in questo campo; senza considerare, inoltre, che un revisore può non
individuare l'esistenza di modifiche ad un documento, per esempio, attraverso
un accordo a latere, che non è stato reso noto al revisore.
In questa fattispecie, pertanto, appare improbabile individuare responsabilità,
a meno che durante l'espletamento del controllo contabile, non fossero emersi
elementi che potevano indurre il revisore a ritenere che un documento potesse
essere non autentico o che il contenuto dello stesso fosse stato modificato,
con la conseguenza che il revisore avrebbe dovuto svolgere approfondimenti,
come per esempio una richiesta di conferma diretta ai terzi, oppure valutando
l'eventuale utilizzo del lavoro di un esperto per accertare l'autenticità del
documento (62).
Alla luce di queste considerazioni, si evince che è improbabile configurare
come risultato dovuto quello di scoprire le false informative economico
finanziaria, in quanto tale risultato non sempre può essere conseguito (63); è
indubbio, però, che il revisore sarà obbligato a scoprire circostanze non
documentate oppure ad accertare la falsità dei fatti risultanti dalla
documentazione, tutte le volte in cui ciò costituisca il prevedibile esito dei
controlli a cui lo stesso è o sarebbe stato tenuto in base al criterio della
diligenza professionale, specificato tramite i principi tecnici che presiedono
al corretto svolgimento dell'attività di revisione contabile (64).
6. Il nesso causale
Ai fini della affermazione della responsabilità del revisore è necessario un
rigoroso accertamento del nesso causale tra l'inadempimento di quest'ultimo ed
il danno patito dal terzo; in particolare, si deve verificare che
l'informazione proveniente dal giudizio di revisione abbia influenzato la
decisione del terzo, portandolo a compiere una scelta che altrimenti non
sarebbe stata effettuata.
E così necessario che il danneggiato dimostri non solo che non avrebbe compiuto
l'operazione o che l'avrebbe compiuta a condizioni meno onerose se avesse
conosciuto la reale situazione della società, ma anche che l'informazione
proveniente dal giudizio sul bilancio è stata la causa che ha determinato la
scelta effettuata: i terzi debbono aver concretamente utilizzato l'informazione
proveniente dal giudizio sul bilancio, facendo affidamento sull'erronea
valutazione dei revisori, sia compiendo atti di investimento/disinvestimento che
non avrebbero realizzato se correttamente informati, sia non compiendo atti di
investimentodisinvestimento che invece sarebbero stati posti in essere se
l'attività di revisione fosse stata svolta in modo diligente (65).
Allo stesso modo, nel caso in cui il danno sia lamentato dai creditori della
società - allorché il patrimonio della società sia insufficiente ed il credito
non possa essere soddisfatto - è necessario che il creditore sia stato indotto
alla conclusione del contratto, facendo affidamento sull'erroneo giudizio
positivo rilasciato dal revisore.
In ogni caso, la natura essenzialmente immateriale dell'informazione da cui
originano i danni ed in più la difficoltà di riportare entro uno schema causale
la successione di eventi che conduce l'investitore a compiere (o a non
compiere) una certa operazione, portano a ritenere che l'unica causalità che
può venire in rilievo è fondata inevitabilmente su un giudizio in termini
ipotetici (66).
Tale circostanza espone all'evidente rischio dell'arbitrio interpretativo: un
comportamento virtuale o ipotetico e cioè un comportamento che
naturalisticamente non vi è mai stato, non può essere provato oggettivamente
scientificamente, bensì solo sulla base di congetture e presunzione per
definizione fallibili (67).
Tuttavia, la finalità della disciplina della revisione, volta a consentire ai
terzi scelte maggiormente consapevoli, agevola il ricorso alle presunzioni,
consentendo di fondare una presunzione semplice di causalità efficiente e di
ipotizzare la sussistenza di un nesso causale «tipizzato» tra il fatto del
revisore ed il pregiudizio subito dal terzo: il terzo danneggiato dovrà
semplicemente allegare di aver fatto affidamento sulle informazioni provenienti
dai revisori, sempre facilmente disponibili, mentre incomberà su questi ultimi
l'onere di provare l'interruzione del nesso tra la propria condotta ed il
pregiudizio subito dal terzo (68).
Più nello specifico si può rilevare che la sussistenza del rapporto causale è
facilmente presumibile, allorché vi sia un «collegamento diretto» tra le
informazioni derivanti dal giudizio dei revisori e la decisione del
danneggiato, come nell'ipotesi in cui si accerti che il terzo, prima di
acquistare partecipazioni di una società chiusa oppure la banca prima di
concedere un finanziamento alla società revisionata, abbiano consultato o fatto
consultare il giudizio dei revisori.
Più problematico è accertare il nesso allorché non vi sia stato alcun contatto
diretto tra le informazioni provenienti dai revisori ed il terzo, come, ad
esempio, nel caso in cui il terzo abbia sottoscritto strumenti finanziari,
oggetto di offerta al pubblico ai sensi dell'art. 94 e ss. T.u.f.; in questa
ipotesi è improbabile ipotizzare che il comune risparmiatore abbia alu v tato
personalmente le informazioni provenienti dalla società di revisione (69).
Nel caso di specie, tuttavia, è indubbio che l'inadempimento dei revisori sia
stato la condizione che ha fatto sì che lo strumento finanziario potesse essere
offerto al pubblico, tenuto conto che ai sensi degli artt. 96 e 97, III co.,
del T.u.f., il giudizio sul bilancio dei revisori è necessario ai fini della
pubblicazione del prospetto informativo inerente all'offerta (70). Allo stesso
modo, ad esempio, si può ipotizzare che l'inadempimento del revisore abbia
permesso allo strumento finanziario di ottenere un rating favorevole, fattore
senz'altro idoneo ad influenzare la scelta dell'investitore ed a far presumere
la sussistenza del rapporto causale.
Deve invece escludersi il nesso causale allorché l'informazione errata
proveniente dai revisori non abbia influenzato il comportamento del
danneggiato: questo, ad esempio, è il caso dell'investitore o del creditore che
aveva già ricevuto da una fonte altrettanto qualificata le informazioni
rilevanti che il revisore negligente ha mancato di riportare o ha riportato in
modo fuorviante (71) oppure è il caso del terzo che acquisti la totalità delle
azioni della società revisionata, per uno scopo particolare che prescinde dai
dati di bilancio; se in seguito si scopre che la società è in perdita,
nonostante il bilancio revisionato evidenziasse un buon andamento gestionale, è
possibile dimostrare che il terzo avrebbe ugualmente acquistato l'intero
pacchetto azionario, perché il suo scopo non era quello di investire nella
società ma era un altro come, ad esempio, quello di acquistare un brevetto
(72).
La medesima situazione può accadere nel caso in cui uno speculatore
spregiudicato ispiri le proprie scelte alla valutazione di elementi del tutto
indipendenti dai dati di bilancio, ma utili per speculazioni a breve termine,
quali rumors o informazioni, positive o negative relative all'area di attività
della società (73).
In altre parole, il revisore inadempiente non può essere responsabile nei
confronti di tutti i potenziali beneficiari dei controlli eo destinatari del
bilancio revisionato, ma piuttosto solo nei riguardi dei soggetti che abbiano
effettivamente subito un pregiudizio che sia «conseguenza immediata e diretta»
dell'inadempimento; in caso contrario si rischia che la condotta negligente del
revisore diventi un pretesto per ottenere il risarcimento di danni che non si
collegano casualmente ad essa, ma sono il frutto di decisioni assunte senza
alcun riguardo all'informazione erronea od all'omissione di controlli (74).
7. (Segue). L'art. 1227 c.c.
Appare difficile ipotizzare l'applicabilità dell'art. 1227, co I, c.c. alla
fattispecie in esame; infatti, tenuto conto del senso e dello scopo della
revisione contabile, non potrebbe invocarsi la norma sul concorso di colpa per
il fatto che il terzo abbia fatto «affidamento» sull'informazione di bilancio,
senza verificare le dichiarazioni ivi contenute. In altre parole, si deve
ritenere che per l'investitore o per il creditore non sussiste alcun obbligo di
controllare, attraverso proprie indagini la correttezza e la veridicità delle
informazioni racchiuse nel bilancio, in quanto tale attività è
istituzionalmente demandata al revisore (75).
Nell'ipotesi, invece, in cui il terzo abbia effettuato scelte contrattuali
consapevoli della falsità dell'informazione, non è configurabile alcun concorso
di colpa, in quanto in questo caso non sussiste alcun nesso tra la condotta del
revisore ed il danno verificatosi; quest'ultimo è stato determinato non
dall'inesatto giudizio sul bilancio, bensì dalla condotta del danneggiato, il
quale ben consapevole della reale situazione della società ha ritenuto,
comunque, opportuno stipulare il contratto (76).
La regola sarebbe la medesima di quella prevista in materia di responsabilità
del produttore, dall'art. 10, co. II, d.p.r. n. 2241988 (ora art. 122, co. II,
Codice del consumo): il risarcimento del danno non è dovuto «quando il
danneggiato sia stato consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che
ne derivava e nondimeno vi si sia volontariamente esposto» (77).
Più problematico, invece, è accertare la possibile applicazione del II co.
dell'art. 1227 c.c., come ad esempio nell'ipotesi in cui l'investitore,
compreso il verificarsi del pregiudizio, indugi nel porre in essere operazioni
di segno opposto a quelle precedentemente compiute, che avrebbero potuto
ridurre l'entità dei danni.
Si tenga in considerazione, infatti, che il discrimen tra danni evitabili, e
quindi non risarcibili, e danni non evitabili, come tali risarcibili, è
rappresentato dall'onere di adoperare l'ordinaria diligenza senza attività
gravose o straordinarie, tranne che il facere non sia legittimato in base al
principio di correttezza che caratterizza l'art. 1227, co. II (78); di
conseguenza, si dovrà valutare caso per caso, tenuto conto di tutte le
circostanze, se l'investitore, in base al dovere di correttezza imposto al
danneggiato, avrebbe potuto limitare i danni subiti, ad esempio, rivendendo le
azioni alla scoperta della verità contabile (79).
Tale indagine, in ogni caso, dovrà essere svolta tenendo in considerazione che
la diligenza - che avrebbe dovuto impiegare il danneggiato al fine di limitare
le conseguenze dannose - deve essere valutata non con riguardo all'uomo medio,
bensì con riferimento al tipo di investitore che viene in rilievo nella
fattispecie: così, ad esempio, è indubbio che ad un investitore professionale
sia richiesto un grado di diligenza più elevato rispetto a quella richiesta, al
fine di evitare il danno, ad un investitore inesperto.
Si ritiene, infatti, che per valutare la condotta colposa di un soggetto
assumono rilievo non solo gli elementi oggettivi ma anche le condizioni
personali dell'agente, soprattutto se vi è la prova che esse erano superiori
alla media (80); in tal modo, è stata sempre valutata con maggiore severità la
condotta di chi, nel particolare frangente in cui deve essere apprezzato il
comportamento, poteva disporre di informazioni o di mezzi notevolmente
superiori alla media (81).
8. L'onere della prova
Una differenza tra il considerare la responsabilità del revisore verso i terzi
come di natura contrattuale oppure come extracontrattuale (al riguardo, si veda
il § n. 3) potrebbe venire in rilievo con riferimento al profilo dell'onere
della prova (82).
Come è noto, nel caso di responsabilità contrattuale, la giurisprudenza della
S.C. ha chiarito che il creditore che agisce per il risarcimento del danno deve
dare la prova della fonte del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione
del fatto dell'inadempimento o dell'inesattezza dell'adempimento della
controparte, mentre spetta al debitore convenuto fornire la prova liberatoria.
Siffatta impostazione trova fondamento nel principio della c.d. vicinanza alla
prova o di riferibilità (83), che risulta ancor più marcato nel caso in cui
l'esecuzione della prestazione riguardi l'applicazione di regole tecniche
sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa
proprie del bagaglio del debitore come nel caso dell'esecuzione di una
prestazione di natura professionale (84).
Deve così affermarsi che il danneggiato deve provare il contratto ed allegare
l'inadempimento del debitore, mentre su quest'ultimo, in base al principio di
riferibilità o di vicinanza della prova, incombe l'onere di dimostrare la prova
liberatoria dell'art. 1218 c.c. oppure l'esatto adempimento.
Proprio con riguardo a quest'ultimo aspetto, assume pregio la distinzione tra
obbligazioni di mezzi e di risultato, la quale se è indubbio che non possa
essere utilizzata per introdurre una differenziazione sul piano della
disciplina della responsabilità, è estremamente utile per stabilire a che cosa
sia tenuto il debitore di una certa prestazione (al riguardo, si veda il § n.
4).
In altre parole, la partizione viene in rilievo per individuare l'oggetto della
prestazione, rispetto alla quale si dovrà valutare se il debitore - cui incombe
di dare la prova del fatto estintivo - ha adempiuto in modo esatto.
Passando dal regime di responsabilità contrattuale a quello extracontrattuale,
si può preliminarmente rilevare che è principio consolidato quello secondo il
quale l'attore deve provare la colpa di colui che ha cagionato il danno (85); è
rimasta senza seguito, infatti, la tesi secondo la quale non incomberebbe al
danneggiato fornire la prova della colpa, ma all'autore del danno dimostrare la
non colpa, in quanto la colpa sarebbe «presunta», fino a prova contraria anche
nell'ambito dell'art. 2043 c.c. (86). A tale ricostruzione è stato obiettato
che l'interprete non può sostituirsi al legislatore nell'adottare prescrizioni
e precetti, ove questi non siano desumibili dal testo formale o non siano
riflessi nel sistema della ratio legis della norma (87).
Il principio secondo il quale è l'attore a dover provare la colpa del
danneggiante, tuttavia, non porta alla conclusione che tale prova debba essere
fornita in via diretta: la stessa può essere desunta dai fatti e dalle
circostanze di causa e può essere anche presuntiva, ben potendosi, a tale ultimo
riguardo, assumere un fatto a fonte di presunzioni in base all'«id quod
plerumque accidit», tenuto conto che non sempre è agevole l'acquisizione di una
prova diretta.
In tal modo, si può affermare che non esiste un onere in senso stretto per
l'attore di dimostrare la colpa del convenuto (88). Particolarmente
significativo, ad esempio, è il caso della responsabilità del produttore, prima
dell'adozione della disciplina di fonte comunitaria: la difficoltà di provare
l'elemento soggettivo, cioè la colpa del produttore, è stata superata mediante
il ricorso ad un «processo logico-presuntivo», in base al quale i giudici hanno
fatto risalire direttamente al produttore il difetto riscontrato (89).
In particolare, una volta provata l'esistenza del danno e del nesso causale tra
esso ed il prodotto, il giudice non ha dovuto acquisire la dimostrazione della
colpa del produttore esclusivamente dal materiale probatorio fornito dal
danneggiato, potendo, invece, ricavarla dai fatti e dalle circostanze di cause
anche in via presuntiva, tenuto conto della circostanza che la prova diretta
non sempre è agevole (90).
In tutti questi casi, il consumatore-danneggiato è stato esonerato dalla prova
della colpa del produttore: si è venuta così a formare, grazie alla presunzione
di colpa, un'inversione dell'onere della prova a sfavore del produttore, al
quale è stato attribuito il rischio da causa ignota, potendosi liberare da
responsabilità solo fornendo la prova positiva di un'interruzione del nesso di
causalità (91).
Particolarmente significativo è anche il caso della responsabilità medica in
cui, a prescindere dalla natura contrattuale od extracontrattuale, è da tempo
invalsa la ricostruzione secondo la quale ogniqualvolta la prestazione sia
routinaria, si presume che l'aggravamento della situazione patologica del
paziente o l'insorgenza di nuove patologie siano state determinate dalla
condotta del professionista, restando a carico dell'obbligato - sia esso
sanitario o la struttura - la prova che la prestazione professionale è stata
eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi sono stati determinati
da un evento imprevisto ed imprevedibile o dalle particolari condizioni fisiche
del paziente (92).
Altrettanto chiari sono i casi in cui la giurisprudenza è ricorsa al principio
della c.d. res ipsa loquitur, la quale, secondo una regola di comune
esperienza, permette al giudice di arrivare alla colpa e di imputare la
responsabilità, sul presupposto della ragionevole dipendenza di un certo evento
da una certa condotta negligente; tali ipotesi riguardano non solo la
responsabilità medica (93), ma anche altre fattispecie di responsabilità, quali
ad esempio la responsabilità della P.A. (94).
Proprio con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione, si può
rilevare come la giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato,
nell'inquadrare la fattispecie in ambito extracontrattuale, abbia superato
l'impostazione della Cass. sez. un. 500 del 1999, la quale collegava la colpa
alla dimostrazione, da parte del danneggiato, della violazione delle regole di
imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione. Secondo l'impostazione
del Consiglio di Stato, infatti, non è richiesto al privato danneggiato da un
provvedimento amministrativo illegittimo «un particolare sforzo probatorio per
dimostrare la colpa della p.a.»; in particolare, il danneggiato può invocare
l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa, mentre
spetterà all'amministrazione fornire la prova liberatoria, consistente nella
dimostrazione che si è trattato di un errore scusabile (95).
Alla luce di queste considerazioni - da cui si evince che anche nell'ambito
della responsabilità extracontrattuale non vi è un onere in senso stretto per
l'attore di provare la colpa del convenuto, potendo tale prova essere fornita
anche in via solo presuntiva - non pare che si possano individuare sostanziali
differenze dal punto di vista del regime probatorio, a seconda che si inquadri
la responsabilità dei revisori nei confronti dei terzi come contrattuale oppure
come extracontrattuale; infatti, a prescindere dal rilievo che il principio di
vicinanza o di riferibilità della prova sembra avere una portata generale,
tanto più nei casi in cui venga in rilievo una prestazione professionale,
appare improbabile che il terzo sia tenuto a fornire la prova in
via diretta della specifica violazione od omissione della regola tecnica in cui
è incorso il revisore, durante l'esecuzione della propria prestazione.
Così facendo, è evidente che - se il terzo, ad esempio, lamenta che il revisore
ha erroneamente valutato lo stato patrimoniale della società (96) - l'attore
non dovrà dimostrare lo specifico errore tecnico del revisore; in questa
ipotesi, infatti, il terzo dovrà dimostrare che la prestazione eseguita è difforme
rispetto ad un modello normalmente realizzato, seguendo una condotta improntata
a dovuta diligenza e che quindi, nella fattispecie, vi è una presunzione di
colpa.
Allo stesso modo, nel caso in cui il revisore ometta di rilevare una posta
passiva o una perdita e conseguentemente rilasci un erroneo giudizio positivo,
il terzo si limiterà a dimostrare che la perdita non è stata evidenziata dal
revisore, desumendosi così da tale omissione la sussistenza della colpa. In
entrambi questi casi, pertanto, il revisore per liberarsi da responsabilità,
alla
stessa stregua della ricostruzione in chiave contrattuale, deve fornire la
prova del fatto estintivo e cioè dell'esatto adempimento, che consiste, essendo
in presenza di una obbligazione di mezzi, nella dimostrazione della conformità
tra la diligenza richiesta dal caso di specie e quella effettivamente prestata.
Ugualmente, nell'ipotesi in cui il terzo danneggiato lamenti di aver subito un
pregiudizio, a causa della mancata scoperta di una «frode contabile» emersa
successivamente al rilascio di un giudizio positivo, incomberà sul revisore
fornire la prova liberatoria. In particolare, il revisore deve dimostrare che
la mancata scoperta è stata determinata dall'astuzia nell'occultamento degli
amministratori e non ad una propria mancanza di diligenza e di perizia,
nell'esecuzione delle prestazioni svolte, in quanto la propria condotta è stata
conforme a quella richiesta dalle circostanze del caso di specie.
9. La prescrizione
L'art. 2409, sexies, III co., prevede che le azioni di responsabilità che
possono essere intentate contro i revisori si prescrivono nel termine di cinque
anni dalla cessazione del loro incarico. La disposizione non distingue a
seconda che si tratti di azione sociale od individuale, essendo innegabile,
pertanto, che il legislatore abbia inteso riferire la suddetta prescrizione a
tutti
i casi di responsabilità previsti dal co. I del medesimo art. 2409 sexies.
In tal modo, anche per i revisori viene applicato il principio che prevede la
sospensione del decorso del termine di prescrizione fino a quando rimane in
carica il soggetto contro cui può essere esercitata l'azione di responsabilità
(97).
Tuttavia, la sospensione dell'azione di responsabilità contro gli
amministratori, fino a quando sono in carica, prevista dall'art. 2941, co. III,
n. 7, trova la propria ratio nell'evitare che la permanenza in carica,
supportata da un immutato gruppo di comando, impedisca la possibilità di agire
in responsabilità per intervenuta decorrenza del termine (98); tale esigenza,
invece, non pare ravvisabile nel caso di responsabilità della società di
revisione.
In ogni caso, le maggiori critiche mosse si indirizzano all'incongruità del far
decorrere il termine dell'azione nei confronti della società di revisione dal
giorno in cui è cessato l'incarico, potendosi verificare ipotesi in cui
l'evento dannoso si manifesta in un momento di gran lunga successivo alla
cessazione dell'incarico dei revisori (99); in questo modo, viene sottolineato
il pericolo di aprire una «falla» nel sistema, individuando il dies a quo della
prescrizione in un termine privo di alcun collegamento con l'evento dannoso.
Inoltre, il far decorrere sempre e comunque la prescrizione dalla cessazione
della carica è parso contrastare con i principi generali del nostro ordinamento
giuridico, in base ai quali la prescrizione decorre dal giorno in cui il
diritto può essere fatto valere (100).
La scelta compiuta dal legislatore, tuttavia, ha l'indubbio vantaggio di
collegare ad un termine definito il decorrere della prescrizione, riducendo
così al minimo l'esistenza di situazioni di incertezza, allorché il danno si
manifesti in un periodo successivo alla cessazione dell'incarico (101).
In altre parole, si potrebbe sostenere che il legislatore abbia voluto evitare
le incertezze riscontrabili in altre fattispecie di responsabilità allorché un
danno si riveli in un momento posteriore a quello in cui si è verificata la
condotta illecita; infatti, in tali ipotesi - ben rappresentate ad esempio dai
casi di responsabilità medica - si pone il problema se si debba attribuire
rilievo al
momento in cui l'evento lesivo si è manifestato in tutte le sue componenti
oppure al momento in cui è stata posta in essere la condotta (102) .
Inoltre, anche nel caso in cui si aderisca alla prima soluzione, non appare
sempre agevole accertare quando il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto aver
conoscenza dell'evento dannoso (103).
In questi casi, pertanto, appare opportuno individuare un punto di equilibrio
tra l'esigenza di garantire al danneggiato il diritto al risarcimento del danno
e quella opposta, volta ad assicurare la certezza dei rapporti giuridici, in
modo da non esporre l'eventuale responsabile ad azioni risarcitorie originate
da una condotta troppo lontana nel tempo.
In tal modo, far decorrere la prescrizione da una data certa, quale i cinque
anni dalla cessazione dell'incarico, può rappresentare un giusto punto di
bilanciamento tra l'esigenza di tutelare il danneggiato - consentendo tale
termine di far emergere eventuali fatti dannosi imputabili al revisore - ed il
contrapposto interesse di non esporre ad un limite di tempo indeterminato
l'azione di responsabilità contro il revisore (104).
Tale soluzione, indubbiamente, appare coerente con la ratio dell'istituto della
prescrizione, che, come sottolineato dal legislatore del 1942, persegue
finalità, non di tutela del danneggiato, bensì attinenti all'ordine pubblico,
ravvisabili in particolare nell'esigenza della certezza dei rapporti giuridici.
Sarebbe, pertanto, contrario a tale esigenza far decorrere la prescrizione non
da una data certa, quale quella della cessazione dell'incarico, ma da un
momento, diverso ed assolutamente incerto, in cui il danneggiato possa aver
avuto conoscenza del danno e del suo diritto di farlo valere.
Il danneggiante, inoltre, potrebbe trovarsi nella spiacevole condizione di non
potersi difendere, proprio in conseguenza del lungo tempo trascorso e della
difficoltà di fornire prove a suo discarico.
10. Il danno risarcibile: il pregiudizio subito dagli investitori
Il pregiudizio subito a causa delle informazioni erronee provenienti dalla
negligente attività di revisione deve essere valutato sulla base di tutte le
circostanze che si possono presentare nel caso di specie; tenuto conto che le
tipologie di revisione negligente sono sostanzialmente due - erroneo giudizio
positivo ed erroneo giudizio negativo - si può ipotizzare un pregiudizio subito
dai terzi che hanno fatto affidamento su un erroneo giudizio positivo oppure su
un giudizio negativo, rilasciato quando invece il bilancio era meritevole di un
giudizio positivo.
Quest'ultima situazione, tuttavia, è alquanto improbabile per svariati motivi:
non solo i revisori cercano di non «scontentare» mai la società cliente ma,
generalmente, fanno pervenire i loro eventuali dubbi eo riserve sul bilancio in
fieri e cioè prima che questo sia formalmente approvato, così che, nel caso di
dubbi eo riserve sul bilancio in corso di formazione, possono
esservi incontri con il management per discutere intorno alla corretta
rappresentazione contabile della posta «contestata» (105).
Più plausibile, invece, è l'ipotesi in cui a lamentare un danno sia un soggetto
che abbia fatto affidamento sulle informazioni positive sullo stato della
società revisionata, erroneamente rilasciate dal revisore.
Si consideri, altresì, che il legislatore della riforma delle società per
azioni ha respinto la proposta di fissare un «tetto massimo» al danno
risarcibile nel caso di responsabilità dei revisori (106), al fine di non
vanificare la funzione deterrente della responsabilità, la quale può operare
efficacemente solo con un sistema di responsabilità illimitata.
La ratio è evidente: prevedere una responsabilità limitata facilmente
assicurabile con premi modesti avrebbe introdotto una sostanziale
irresponsabilità, con conseguenti effetti negativi sul sistema di controllo,
venendo meno ogni tensione per porre in essere comportamenti diligenti,
rispettosi della legge e senza conflitti di interesse (107).
Un limite, tuttavia, alla responsabilità dei revisori deriva dal co. VIII,
dell'art. 94, T.u.f. (108) - in tema di prospetto d'offerta al pubblico «di
strumenti finanziari e di prodotti finanziari diversi dalle quote o azioni di
OICR aperti» - il quale prevede una responsabilità pro quota dei soggetti
coinvolti nell'informazione contenuta nel prospetto (109).
In tal modo, si è ritenuto di sacrificare l'interesse del danneggiato e quindi
dell'investitore che «abbia fatto ragionevole affidamento sulla veridicità e
completezza delle informazioni», a potersi rivolgere per l'intero risarcimento
a ciascuno dei soggetti responsabili delle informazioni veicolate nel
prospetto.
Si consideri, a tal proposito, che per il risparmiatore non vi è differenza tra
un sistema di responsabilità solidale o parziaria, qualora tutti i responsabili
siano solvibili, salvo però l'incomodo di doverli citare tutti in giudizio e
poi di agire esecutivamente contro ciascuno (110); la differenza, tuttavia,
diventa rilevante nell'ipotesi in cui uno o più dei responsabili sia
insolvente: mentre in caso di responsabilità solidale tale rischio è posto a
carico dei condebitori ed il danneggiato non subisce le conseguenze negative,
nell'ipotesi di responsabilità proporzionata si verifica il contrario: la quota
del danno imputata ad un responsabile insolvente o dal quale non sia comunque
possibile recuperare l'importo, è allocata a carico del danneggiato (111).
Con il sacrificio, seppur parziale, della finalità riparatoria della
responsabilità civile a favore di un regime di responsabilità pro quota, si è
preferito tutelare l'interesse di quei soggetti (come ad esempio, società di
revisione e Consob), che pur potendo avere concorso solo marginalmente alla
produzione dell'evento lesivo, rischiano poi di essere eccessivamente
penalizzati, nell'ipotesi in cui l'autore materiale dell'illecito sia
insolvente.
In altre parole, si è voluto tutelare il buon andamento e l'efficienza del
mercato, sacrificando parzialmente l'interesse degli investitori, al fine di
evitare, con riguardo, ad esempio, alla Consob, che il danno sia scaricato, in
ultima istanza, sullo Stato, con conseguente «paralisi» dell'intera attività
dell'Autorità di controllo, a causa di un eccesso di zelo da parte dei
funzionari (112); con riguardo alle società di revisione si vuole evitare il
rischio di fallimento, che non solo farebbe venire meno il risarcimento ma
soprattutto diminuirebbe il numero dei pochi attori presenti sul mercato,
tenuto conto anche della difficoltà di reperire sia sul mercato nazionale che
su quello internazionale compagnie di assicurazione disposte a stipulare
polizze per la responsabilità civile dei revisori (113).
In ogni caso, nell'eventualità in cui il risarcimento sia richiesto da un
investitore che lamenti di essere stato indotto a sottoscrivere strumenti
finanziari di cui all'art. 94 T.u.f., sulla base delle informazioni veicolate
nel prospetto, rivelatesi poi non veritiere, la società di revisione dovrà
rispondere soltanto in relazione «alle parti di propria competenza» dei danni
subiti dall'investitore.
In particolare, in assenza di un criterio legislativo in base al quale
effettuare il riparto dei danni subiti dagli investitori, si può ritenere che
si debba utilizzare nei «rapporti esterni» il criterio di cui all'art. 2055, II
co., impiegato ai fini del regresso tra i corresponsabili nei rapporti interni.
Al riguardo, la disposizione indica nella «gravità della colpa» di ciascuno dei
coobbligati e nell'«entità delle conseguenze» che ne sono derivate, i criteri
da utilizzare ai fini della ripartizione interna della responsabilità; tali
criteri, comunque, debbono essere applicati in modo congiunto e non
alternativo, in quanto delineano un criterio valutativo complesso in vista
della quantificazione della quota di ciascuno dei coobbligati (114); di
conseguenza, spetta al giudice, nel fissare le quote per la divisione interna,
effettuare una valutazione complessiva dei fatti, tenendo in considerazione il
grado di colpa e l'efficienza causale rinvenibile nell'azione di ciascun responsabile
(115), anche se, comunque, non è affatto certo che la gravità delle colpe e
l'entità delle conseguenze che ne sono derivate possano essere apprezzate allo
stesso modo tanto nei rapporti interni quanto in quelli esterni (116).
In ogni caso, possono essere svariate le ipotesi in cui si è verificato un
danno, a causa dell'affidamento suscitato dalle informazioni positive sullo
stato della società revisionata, erroneamente rilasciate dal revisore; così ad
esempio, può essere significativo il caso in cui a lamentare il pregiudizio sia
un investitore storico di una società quotata che, in seguito al comportamento
negligente del revisore, abbia perso la possibilità di disinvestire.
In questa fattispecie, il pregiudizio non può essere individuato nella
differenza tra il valore che la partecipazione aveva al momento
dell'inadempimento ed il minor valore alla data della scoperta della verità; si
deve considerare, infatti, che l'inadempimento dei revisori ha impedito,
momentaneamente, la caduta del titolo, che avrebbe verosimilmente avuto luogo
nell'ipotesi in cui i revisori avessero agito diligentemente (117) .
In altre parole, i revisori non sono responsabili dell'andamento negativo della
gestione patrimoniale della società, ma solo di non aver informato della reale
situazione gli investitori storici, i quali avrebbero potuto operare un
disinvestimento (118) .
Di conseguenza, ai fini del risarcimento si deve valutare se il ritardo nella
scoperta della verità contabile, a causa del fatto dei revisori, abbia
aggravato il pregiudizio subito dagli investitori; in particolare, si deve
accertare l'eventuale differenza tra il valore che la partecipazione avrebbe
presumibilmente avuto nel momento in cui gli investitori, se correttamente
informati, avrebbero effettuato il disinvestimento ed il minor valore
riscontrato al momento della scoperta della verità contabile.
E' di tutta evidenza l'estrema difficoltà di accertare il valore presumibile
della partecipazione nel momento in cui il disinvestimento avrebbe potuto essere
effettuato; a ciò si aggiunga che, con riguardo, alle società quotate, il
prezzo immediatamente successivo alla comunicazione dell'informazione prima
occultata tende ad essere influenzato dalla reazione
«da panico» degli investitori e pertanto è solito scontare un ulteriore ribasso
(119) .
Alla luce di queste considerazioni, a causa dell'impossibilità di ricostruire
in modo analitico le conseguenze dannose derivanti dall'inadempimento
imputabile ai revisori, dovrà farsi ricorso ad una liquidazione in via
equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., poiché si tratta di misurare valori
non esattamente ponderabili, sulla base delle possibili variabili del mercato
in situazioni simili (120); tra di esse potrebbe rientrare anche un parametro
che - per ricostruire il presumibile effetto sul corso delle partecipazioni che
avrebbe avuto il corretto adempimento dei revisori - proietta sul corso delle
azioni alla data dell'inadempimento una caduta analoga a quella effettivamente
occorsa, quando è emerso il vizio del bilancio e l'inadempimento dei revisori
(121).
In ogni caso, il ricorso alla valutazione equitativa del danno è ammissibile
solo se l'impossibilità o la grande difficoltà di misurare il danno nel suo
preciso ammontare non riguarda la prova dell'esistenza del pregiudizio
patrimoniale, il cui onere permane a carico della parte interessata, ma solo
l'entità del pregiudizio stesso (122); l'incertezza sull'esistenza del danno,
infatti, esclude il diritto al risarcimento (123).
Allo stesso modo, non si presenta semplice la ricostruzione del presumibile
reinvestimento e conseguente rendimento delle somme provenienti dal disimpegno
che sarebbe stato effettuato se i revisori avessero eseguito diligentemente la
prestazione, informando sulla reale situazione della società; anche in questa
ipotesi, si dovrà procedere ad una liquidazione equitativa, facendo
riferimento, in ogni caso, ad un possibile reinvestimento, ad esempio, in
depositi bancari, in buoni del tesoro, in titoli obbligazionari oppure in
titoli azionari trattati sullo stesso mercato di riferimento delle azioni della
società revisionata (124) .
11. (Segue). Il pregiudizio subito dai creditori
Si è già sottolineato che l'inadempimento del revisore può ledere l'autonomia
contrattuale dei creditori della società revisionata; in particolare, l'erroneo
giudizio positivo può indurre un terzo, sul presupposto del buon andamento
patrimoniale, a concedere un credito alla società revisionata, che non sarebbe
stato concesso se la reale situazione finanziaria fosse stata conosciuta.
La fattispecie si distingue nettamente dall'ipotesi in cui la responsabilità
dei revisori concorre con quella degli amministratori di cui all'art. 2394
c.c., allorché questi ultimi abbiano violato gli obblighi previsti dalla legge
in ordine alla conservazione del patrimonio sociale, con conseguente
insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le ragioni dei creditori.
In siffatta ipotesi - in cui si potrà avere una concorrente responsabilità dei
revisori verso i creditori sociali se vi sia una correlazione tra i fatti
dannosi compiuti dall'organo di gestione ed i doveri di controllo contabile
spettanti al revisore (125) - il danno ingiusto che subisce il creditore
sociale è rappresentato dall'insufficienza del patrimonio sociale che è causa
dell'inadempimento della obbligazione che lo vede come creditore (126); in
altre parole, vi è la lesione dell'aspettativa a realizzare il credito.
Nel caso, invece, di responsabilità dei revisori verso i creditori che hanno
fatto affidamento sull'erroneo giudizio di bilancio, l'ingiustizia del danno è
rappresentata dalla lesione dell'autonomia contrattuale, in quanto l'erroneo
giudizio ha interferito nell'attività negoziale del terzo, inducendolo a
concludere un contratto che altrimenti non sarebbe stato concluso.
La responsabilità, comunque, può sussistere anche nei confronti di tutti coloro
che erano già creditori della società di revisione al momento
dell'inadempimento (127); la fattispecie, ad esempio, ricorre quando la
condotta negligente dei revisori ha determinato un ritardo nell'apertura del
fallimento della società revisionata, con la conseguenza che i creditori (già
tali al momento dell'inadempimento) potrebbero aver subito un danno in quanto,
essendo nel frattempo aumentati i debiti sociali, si è ridotta la possibilità
di soddisfarsi di ciascuno di essi (128).
In tal modo, il danno cagionato è rappresentato dalla differenza tra la
percentuale di credito, che sarebbe stata soddisfatta, se il fallimento fosse
stato tempestivamente dichiarato, e quella ottenibil e a seguito della
ritardata pronuncia (129). E' chiaro, comunque, che il pregiudizio non può
essere determinato nel suo preciso ammontare, con il risultato che si dovrà
necessariamente fare ricorso al criterio equitativo.
(1) Il richiamo è alle parole di BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di
nessuno tra contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni
inesatte, in Contratto e impr., 1991, p. 539.
(2) Al riguardo, BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra
contratto e fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, cit.,
p. 554, muovendo dalla distinzione tra informazioni inesatte che non ingenerano
responsabilità e informazioni inesatte che ingenerano responsabilità, distingue
tra informazione come consiglio amichevole, informazione come
"servizio" e informazione come (elemento confluente in un)
"prodotto"; nel primo caso, di regola, il danno non è mai ingiusto e
nell'ultima ipotesi il danno è tendenzialmente sempre ingiusto, mentre il
problema di individuazione dell'ingiustizia del danno si pone per il caso
centrale.
(3) Sulla responsabilità delle agenzie di rating, FACCI, Il rating e la
circolazione del prodotto finanziario: profili di responsabilità, in questa
Rivista, 2007, 933; GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, l'attività
di rating e i Modelli di prevenzione dei reati (a margine del recente
intervento legislativo di "salvataggio" del rating dei titoli
risultanti da operazioni di cartolarizzazione di canoni di leasing e della
prossima attuazione del Nuovo Accordo di Basilea 2), in Diritto della banca e
del mercato finanziario, 2004, p. 594; RABITTI BEDOGNI, L'informativa derivata
Le previsioni degli analisti e i giudizi delle agenzie di rating. Problemi
attuali e possibili sviluppi regolamentari, in http://w3.uniroma1.it/dirittomercatifinanziari/Rating.pdf.
(4) MAZZONI, Osservazioni in tema di responsabilità civile degli analisti
finanziari, in Analisi giuridica dell'economia, 2002, p. 209; DI CASTRI, I
conflitti di interesse degli analisti finanziari: disciplina statunitense,
evoluzione della normativa comunitaria e prospettive nell'ordinamento italiano,
in Banca impresa società, 2004, p. 483.
(5) Nel caso in cui un istituto bancario sia indotto a concedere linee di
credito, sul presupposto della veridicità delle dichiarazioni del patronnant.
Di recente, PERCHINUNNO, Il danno da lesione dell'affidamento suscitato dalla
lettera di patronage, in Contratto e impr., 2006, p. 611; SOLDATI, Le lettere
di patronage, in Contratto e impr., 2003, p. 1656.
(6) Nell'ipotesi in cui, fornendo ad un privato false od incomplete
informazioni sulla situazione finanziaria di un proprio cliente, determini il
primo a concludere un contratto, che si riveli successivamente dannoso proprio
a causa dell'insolvenza della controparte (App. Milano, 14 marzo 1986, in Banca
Borsa, 1987, II, p. 627) oppure nel caso in cui la banca trattaria abbia
fornito notizie (ad es., benefondi) non corrispondenti realmente alla
situazione finanziaria del traente al momento della richiesta delle
informazioni (Cass., 1 agosto 2001, n. 10492, in Danno e resp., 2002, p. 90).
(7) DOGLIOTTI, FIGONE, I diritti della personalità, in La responsabilità
civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, p. 331. In giurisprudenza, tra le altre
Trib. Roma, 23 luglio 1984, in Foro it., 1984, I, c. 1963.
(8) Al riguardo per tutti, FERRARINI, La responsabilità da prospetto, Milano,
1986. Sul necessario intervento dei c.d. gatekeepers e della Consob, nelle
attività di elaborazione e di controllo dei prospetti informativi, si
segnalano, G. SCOGNAMIGLIO, La responsabilità civile della Consob, in Mercato
finanziario e tutela del risparmio, a cura di Galgano e Visintini, Padova,
2006, 286; PERRONE, Falsità del prospetto e responsabilità civile della Consob,
in Banca, Borsa, 2002, 23; RUSSO, Responsabilità della Consob per mancato controllo
del prospetto, in Giur. Comm., 2004, II, 659.
(9) GALGANO, Le mobili frontiere del danno ingiusto, in Contratto e impr.,
1985, p. 11; BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e
fatto illecito: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contratto e
impr., 1991, p. 554.
(10) Lo sottolinea FRANZONI, L'illecito, in Trattato della responsabilità
civile, diretto da Franzoni, Milano, 2004, p. 905. In giurisprudenza,
riconducono il benefondi ad una prassi interna nei rapporti tra gli istituti di
credito, fonte di affidamento reciproco e di responsabilità civile, tra le
altre: Cass., 10 marzo 2 000, n. 2742, in Nuova giur. civ., 2001, p. 449; Cass.
civ., 6 giugno 2003, n. 9103, in Resp. civ., 2004, p. 756, con nota di FRAU,
Brevi note in tema di benefondi e di informazioni bancarie.
(11) MAZZONI, Le lettere di patronage, Milano, 1986, p. 197; BUSNELLI,
Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: la
responsabilità da informazioni inesatte, cit., p. 570.
(12) E. BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei
revisori legali dei conti, Torino, 2003, il quale sottolinea come la
responsabilità del revisore per il giudizio sul bilancio non è di natura
aquiliana perchè non si tratta di un danno da distruzione di ricchezza
preesistente, bensì si vuole risarcire il danno per il mancato o difettoso
trasferimento di ricchezza dovuta.
(13) Senza presunzione di completezza, con riguardo alle sole opere a carattere
monografico, BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a.,
Torino, 2005; E. BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso
dei revisori legali dei conti, cit.; COZZI, Tutela dei mercati finanziari e
responsabilità della società di revisione, Napoli, 2001; CASADEI, La
responsabilità della società di revisione, Milano, 2000; SANTARONI, La
responsabilità del revisore, Milano, 1984; CECCACCI, RIGATO, Collegio
sindacale, revisore, società di revisione: doveri, poteri e responsabilità
degli organi di controllo dopo la riforma societaria, Milano, 2006.
(14) LA ROSA, Black-out nei controlli: stato dell'arte e prospettive di riforma
in tema di revisione contabile, in Giur. Comm., 2005, I, 196.
(15) SALAFIA, Alcune questioni in materia di revisione contabile istituita
volontariamente, in Le società, 1998, 1182; LOMONACO, Revisione volontaria e
responsabilità extracontrattuale delle società di revisione, cit., 604.
(16) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei
revisori contabili, Torino, 2005, 2, il quale muovendo da questa considerazione
giunge ad affermare la sussistenza di un contratto a favore di terzi; PRESTI,
La responsabilità del revisore, in Banca borsa titoli credito, 2007, 163.
(17) In questi termini, BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria
della s.p.a., cit., 295.
(18) In questo senso, ROPPO, Crisi d'impresa e responsabilità civile della
banca, in Fallimento, 1996, 875; VISCUSI, Concessione abusiva di credito e
legittimazione del curatore fallimentare all'esercizio dell'azione di
responsabilità, in Banca borsa tit. cred., 2004, II, 643.
(19) In questo senso, con riguardo al pregiudizio subito dai creditori
anteriori, in caso di concessione abusiva del credito, VISCUSI, Concessione
abusiva di credito e legittimazione del curatore fallimentare all'esercizio
dell'azione di responsabilità, cit., 643.
(20) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria della s.p.a., cit.,
288, nota 96.
(21) Al riguardo, si veda il § n. 11.
(22) Questo è il caso esaminato da Cass. 18 luglio 2002, n. 10403, in Danno e
resp., 2003, 537, con nota di ADDANTE, Responsabilità civile delle società di
revisione e solidarietà.
(23) L'art. 2409 bis, introdotto dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che ha
modificato la disciplina delle società per azioni, ha previsto che il
«controllo contabile sulla società è esercitato da un revisore contabile o da
una società di revisione iscritti nel registro istituito presso il Ministero
della giustizia». Il co. II, inoltre, dispone che «nelle società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio il controllo contabile è esercitato
da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili, la
quale, limitatamente a tali incarichi, è soggetta alla disciplina dell'attività
di revisione prevista per le società emittenti di azioni quotate in mercati
regolamentati ed alla vigilanza della Commissione nazionale per le società e la
borsa».
(24) Il Testo unico sull'intermediazione finanziaria (T.u.f.), di cui al d.lgs.
24 febbraio 1998, n. 58, riproponendo la formulazione già adottata dal D.P.R.
1361975, ha esteso l'obbligo della revisione contabile non solo per le società
quotate ma anche per altre ipotesi espressamente previste (art. 9 T.u.f.).
Sui rapporti tra l'art. 164 T.u.f. e l'art. 2409, sexies, si veda MAGGIOLINO,
in Commentario alla riforma delle società, diretto da MARCHETTI, Milano, 2006,
sub art. 2409 sexies, 557; FORTUNATO, in Società di capitali, Commentario, a
cura di Niccolini e Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004, sub art. 2409, sexies,
846.
(25) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria della s.p.a., cit.,
201; BONELLI, Commentario breve alla riforma delle società di capitale. Gli
amministratori di spa. Commento all'art. 2395; ID., Responsabilità delle
società di revisione nella certificazione obbligatoria e volontaria dei
bilanci, in Riv. Soc., 1979, 974; ROSSI, Revisione contabile e certificazione
obbligatoria, Milano, 1985, 194.
(26) MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, diretto da
MARCHETTI, Milano, 2006, sub art. 2409 sexies, 586.
(27) MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 586; BUTA,
Commento all'art. 164, 1366.
(28) LA ROSA, Black-out nei controlli: stato dell'arte e prospettive di riforma
in tema di revisione contabile, in Giur. Comm., 2005, I, 196.
(29) CALDARONE e TUCCI, La responsabilità nell'esercizio dell'attività di
revisione, in Giur. Comm., I, 1995, 309.
(30) Con specifico riferimento alla società di revisione, CASTRONOVO, La nuova
responsabilità civile, Milano, 1997, 236; FAILLACE, La responsabilità da
contatto sociale, Padova, 2004, 139; si riferisce ad una responsabilità
contrattuale per affidamento anche MONTALENTI, La società quotata, in Trattato
di diritto commerciale, diretto da Cottino, Padova, 2004, 317.
(31) E. BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei
revisori legali dei conti, Torino, 2003, il quale sottolinea come la
responsabilità del revisore per il giudizio sul bilancio non è di natura
aquiliana perchè non si tratta di un danno da distruzione di ricchezza
preesistente, bensì si vuole risarcire il danno per il mancato o difettoso
trasferimento di ricchezza dovuta.
(32) Nel caso di contratto con efficacia esterna consegue automaticamente alla
stipulazione, mentre nel caso di contratto con efficacia interna è contestuale
alla esecuzione della prestazione.
(33) SASSO, Il nuovo diritto delle società, a cura di MAFFEI ALBERTI, Padova,
2005, 1104. Sull'interesse della società revisionata anche CASADEI, La
responsabilità della società di revisione, Milano, 2000, 84.
(34) Al riguardo, tuttavia, E. BARCELLONA, Responsabilità da informazione al
mercato: il caso dei revisori legali dei conti, cit., 304, sottolinea la
compatibilità con i principi del nostro ordinamento di un contratto a favore di
terzi indeterminati.
(35) Al riguardo, si può sottolineare come la regola dell'art. 1225 c.c. sia
vanificata non solo a causa dell'abbandono di una nozione restrittiva del dolo
- imperniato sull'animus nocendi a favore di una concezione ampia ed elastica
(GIARDINA, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale: una distinzione
attuale?, in Riv. Crit. Dir. priv., 1986, 86) - ma anche perché nella prassi
giurisprudenziale il criterio della prevedibilità tende a coincidere con la
valutazione che i giudici esprimono per accertare il rapporto causale delle
conseguenze dannose, attraverso i principi della regolarità causale (PINORI, Il
danno contrattuale, Criteri di valutazione. Tecniche e regole giudiziali di
liquidazione, II, Padova, 2001, 250). Sull'assenza di differenze a seconda
dell'inquadramento della responsabilità in ambito contrattuale o aquiliano, con
riguardo all'onere della prova, si veda il § n. 8.
(36) Al riguardo BONELLI, Responsabilità delle società di revisione nella
certificazione obbliga toria e volontaria dei bilanci, in Riv. Soc., 1979, 988;
GALGANO, Il nuovo diritto societario, Padova, 2003, 429.
In giurisprudenza, di recente, App. Roma 19 gennaio 2006, in Giur. It., 2006,
2331, con nota di BALZOLA.
(37) BIANCA, Diritto civile, L'obbligazione, Milano, 1990, p. 70; ID.,
Dell'inadempimento delle obbligazioni, artt. 1218-1229, in Comm. cod. civ.
Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1979, p. 31; RESCIGNO, Obbligazioni (nozioni),
in Enc. del dir., XXXIX, Milano, 1979, p. 133; RODOTÀ, Diligenza, in Enc. del
dir., XII, Milano, 1964, p. 539.
(38) CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, p. 47; A.
GABRIELLI, La r.c. del professionista, in La responsabilità civile, a cura di
Cendon, Torino, 1998, VI, p. 263.
(39) Cass. sez. un. 28 luglio 2005, n. 15781, in La responsabilità civile,
2006, 229, con nota di FACCI, L'obbligazione di risultato del progettista al
vaglio delle Sezioni Unite. Di recente anche Cass. 13 aprile 2007, n. 8826, in
tema di responsabilità medica.
(40) Non appare condivisibile pertanto l'affermazione di App. Roma 19 gennaio
2006, cit., la quale rileva che l'obbligazione del revisore è di mezzi e non di
risultato «con tutte le evidenti conseguenze collegate all'onere della prova,
nel senso che spetta al L., che lamenta di aver subito un danno in conseguenza
della inesatta esecuzione da parte della A. dei propri obblighi, fornire la
prova della mancanza di diligenza dalla società di revisione nello svolgimento
dell'incarico».
(41) Cass., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, c. 769;
in Corriere giur., 2001, p. 1565; in Danno e resp., 2002, p. 318; Studium
Juris, 2002, p. 389; in Giust. civ., 2002, I, p. 1934; in Contratti, 2002, p.
113; in Nuova giur. civ., 2002, I, p. 349; Cass., 7 febbraio 1996, n. 973, in
Contratti, 1996, p. 552, con nota di GIUGGIOLI; in Giur. it., 1997, I, 1, c.
367; in Resp. civ., 1996, p. 1202, con nota di STELLA.
(42) Tra gli altri, CATTANEO, La responsabilità del professionista, cit., p.
47; PARADISO, La responsabilità medica: dal torto al contratto, in Riv. dir.
civ., 2001, p. 329; FRANZONI, Le obbligazioni di mezzi e di risultato, in
Trattato delle obbligazioni, diretto da Franzoni, in I grandi temi, Torino,
2004, p. 1343.
(43) A. GABRIELLI, La r.c. del professionista, cit., p. 265.
(44) Cass., 18 luglio 2002, n. 10454, in Mass. Giust. civ., 2002, p. 1271;
Cass., 23 aprile 2002, n. 5928, in Danno e resp., 2003, p. 66, con nota di
BONETTA; in Giur. it., 2003, p. 460, con nota di SPINELLI FRANCALANCI; Cass., 8
agosto 2000, n. 10431, in Mass. Giust. civ., 2000, p. 1742; Cass., 14 agosto
1997, n. 7618, in Danno e resp., 1998, p. 190.
(45) FRANZONI, La responsabilità del medico fra diagnosi, terapia e dovere di
informazione, in La responsabilità civile, 2005, p. 587.
(46) VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 2005, p.
205.
(47) Così, ad esempio, anche l'avvocato, la cui obbligazione è di mezzi, che
non ha svolto alcuna attività a difesa del proprio assistito, potrà liberarsi
da responsabilità soltanto con la prova di cui all'art. 1218 c.c. e cioè con la
prova dell'impossibilità del comportamento, oggetto della prestazione.
Significativo, al riguardo, è il caso esaminato da Pret. Taranto 14 maggio
1986, in Arch. Civ., 1986, 1215, secondo la quale «il procuratore
dell'intimato, che sia giunto in ritardo alla prima udienza nella quale doveva
costituirsi, e che quindi trovi già convalidata una licenza per finita
locazione in suo danno, non può invocare, in sede di opposizione tardiva ex art.
668 c.p.c., il caso fortuito o la forza maggiore. Non può essere considerato
caso fortuito o forza maggiore l'occasionale ritardo con cui si giunge in
udienza dato che i fatti di cui sopra si concretano in una causa produttiva
dell'evento dannoso o di un particolare pregiudizio non imputabile a chi la
invoca».
(48) FRANZONI, Le obbligazioni di mezzi e di risultato, in Trattato delle
obbligazioni, diretto da Franzoni, in I grandi temi, Torino, 2004, p. 1343);
così, ad esempio, se si considera di risultato l'obbligazione dell'odontoiatra
(Pret. Modena, sez. Finale Emilia, 9 luglio 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, c.
1032; Trib. Genova, 15 aprile 1993, in DE MATTEIS, La responsabilità medica,
Padova, 1995, p. 385), tale risultato riguarda indubbiamente le caratteristiche
merceologiche e strutturali del manufatto protesico, mentre appare dubbio
estendere il risultato alla perfetta interazione del manufatto con il cavo
orale del paziente; la scienza medica, infatti, non è in grado di assicurare
sempre siffatto risultato, tenuto conto che le protesi dentarie installate
rappresentano elementi artificiali ed estranei e che, anche nella migliore
delle realizzazioni tecniche, possono verificarsi fattori imprevedibili in
grado di influenzare il risultato finale (al riguardo, RINI, La responsabilità
dell'odontoiatra, in La responsabilità civile, 2005, p. 935).
(49) Questo è, ad esempio, il caso del sanitario che consigli e pratichi, quale
metodo anticoncezionale sicuro al 100%, un intervento di incollaggio delle
tube: Cass., 10 settembre 1999, n. 9617, in Dir. famiglia, 2000, p. 1008, con
nota di CASSANO; in Resp. civ., 2000, p. 315, con nota di CITARELLA.
(50) FRANZONI, Le obbligazioni di mezzi e di risultato, cit., p. 1343.
(51) Al riguardo, si veda il § 21, Principi di revisione, n. 240, a cura del
Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e consiglio nazionale dei
ragionieri, Milano, 2007.
Sui limiti che contraddistinguono l'attività di revisione, si veda anche
MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 563; MONTALENTI,
La società quotata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino,
Padova, 2004, 294; CRESPI, La pretesa posizione di garanzia del revisore
contabile, in Rivista delle società, 2006, 376.
(52) Al riguardo GALGANO, Il nuovo diritto societario, Padova, 2003, 429. In
senso diverso, tra gli altri, SALAFIA, Alcune questioni in materia di revisione
contabile istituita volontariamente, cit., 1184; CASADEI, La responsabilità
della società di revisione, cit., 84, secondo il quale l'interesse della
società revisionata non è quello generico ad avere un opinione sul bilancio, ma
quello specifico di avere un giudizio sull'attendibilità del bilancio, e cioè
sull'esattezza delle informazioni assoggettate alla revisione: alla società che
ha conferito l'incarico interessa sapere se tali informazioni possono
considerarsi esatte perchè forniscono una rappresentazione chiara, veritiera e
corretta della sua situazione contabile, patrimoniale, finanziaria ed
economica.
(53) GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., 429.
(54) MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 574;
VALENSISE, Le responsabilità delle società di revisione, in Il diritto del
mercato mobiliare, a cura di Rabitti Bedogni, Milano, 1997, 484. Si tenga in considerazione
che vi è chi sostiene che i principi di revisione, indicati dal Consiglio
nazionale dei dottori commercialisti e raccomandati dalla Consob alle società
di revisione incaricate di controllare i conti delle società aperte, non
sarebbero di per sé vincolanti: il revisore potrebbe adottare anche altri
principi di revisione, a suo avviso, ritenuti più idonei per il controllo, e,
non per questo, di fronte al verificarsi dell'evento negativo, dovrebbe
considerarsi negligente (SASSO, Il nuovo diritto delle società, cit., 1094). Al
riguardo, MONTALENTI, La società quotata, cit., 315, sottolinea come la
deviazione dai principi di revisione costituisca una presunzione, suscettibile
di essere superata da una prova contraria, di un operato negligente del revisore,
a meno che nella relazione sia chiarita la ragione specifica per cui si è
ritenuto di dover seguire regole diverse. In ogni caso, l'art. 26 della
direttiva Ce n. 2006/43 dispone che «Gli Stati membri prescrivono che i
revisori legali e le imprese di revisione contabile eseguano le revisioni
legali dei conti conformemente ai principi di revisione internazionali adottati
dalla Commissione». In tal modo, dovrebbe essere estesa l'applicazione di tali
principi a tutte le società di capitali, a prescindere dalle dimensioni. Il
termine per il recepimento della direttiva è il 29 giugno 2008.
(55) Sul punto, il § 20, Principi di revisione, n. 240, cit.
(56) MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 578.
(57) SPIOTTA, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino,
Bonfante, Cagnasso, Montalenti, cit., 1025.
(58) In questo senso, il § 10, Principi di revisione, n. 240, cit.; l'altro
tipo di frode rilevante per il revisore deriva dall'appropriazione illecita di
beni ed attività dell'impresa. L'appropriazione illecita è spesso commessa da
dipendenti, tuttavia, può coinvolgere anche la direzione che normalmente ha
maggiore possibilità di occultare o dissimulare tali appropriazioni.
(59) SPIOTTA, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino,
Bonfante, Cagnasso, Montalenti, cit., 1025. Sul punto anche BUSSOLETTI, Le
società di revisione, cit., 88, il quale sottolinea come il revisore abbia la
possibilità di scoprire non tutti i falsi ma solo quelli che possono emergere
nell'attività di ricerca di quel «vero» che è la realtà attingibile del
revisore.
(60) Al riguardo, il § 20, Principi di revisione, n. 240, cit.
(61) In questi termini, MONTALENTI, La società quotata, cit., 316.
(62) In questo senso, il § 26, Principi di revisione, n. 240, cit.
(63) GALGANO, Il nuovo diritto societario, cit., 429; MAGGIOLINO, in
Commentario alla riforma delle società, cit., 581, secondo il quale non solo la
«scoperta delle frodi» non è oggetto di un'obbligazione di risultato, ma
nemmeno la «ricerca delle frodi» è oggetto «costante» di una obbligazione di
mezzi, divenendolo solo quando, in base al criterio della diligenza
professionale, si debba ritenere che le circostanze impongono di andare al di
là del controllo tecnico sulla corretta rivelazione e rappresentazione dei
fatti, cioè sulla corretta applicazione delle regole contabili.
In questo senso in giurisprudenza anche Trib. Milano 18 giugno 1992, in Giur.
It., 1993, I, II, 11.
(64) FORTUNATO, in Società di capitali, Commentario, a cura di NICCOLINI e
STAGNO D'ALCONTRES, cit., 818.
(65) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei
revisori contabili, cit., 319.
(66) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., cit.,
298.
(67) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei
revisori contabili, cit., 322. Per queste ragioni, parte della dottrina, con
riguardo alle società quotate, al fine di collegare il riscontro del nesso di
causalità ad un criterio sufficientemente preciso ed obiettivo, tende a
ricostruire il comportamento ipotetico dell'investitore sulla base
dell'influenza dell'informazione non corretta nella formazione del prezzo: la
prova del nesso causale è ritenuta assolta nel caso in cui si dimostri che il prezzo
si è artificiosamente formato in conseguenza dell'inadempimento del revisore
(BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., cit., 305;
BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei revisori
contabili, cit., 337; PERRONE, Informazione al mercato e tutele
dell'investitore, cit., 184).
(68) BUSSOLETTI, Le società di revisione, cit., 348. In giurisprudenza Trib.
Torino 18 settembre 1993, in Giur. It., 1994, II, 673, con nota di SANTARONI,
In tema di negligenza del revisore, la quale partendo dal presupposto che la
funzione istituzionale della società di revisione consiste proprio
nell'informare i terzi sull'assenza di qualunque ipotesi di mala gestio giunge
alla
conclusione che essi non avrebbero più investito e addirittura avrebbero subito
disinvestito il loro denaro, scongiurando e limitando così il danno, se fossero
stati correttamente informati.
(69) BRUNO, L'azione di risarcimento per danni da informazione non corretta sul
mercato finanziario, cit., 224.
(70) Si tenga in considerazione che il co. VIII dell'art. 94 T.u.f., nel testo
risultante a seguito dell'art. 3 del d.lgs. n. 51 del 28.3.2007, ha introdotto
una responsabilità parziaria nei confronti dei soggetti coinvolti
nell'informazione veicolata nel prospetto informativo al fine di evitare che
chi è maggiormente solvibile, e abbia solo marginalmente concorso alla
produzione dell'evento lesivo, finisca per garantire, con il risarcimento,
anche il fatto illecito altrui, nell'ipotesi in cui il corresponsabile sia
insolvente. A tal proposito, si veda il § n. 10.
(71) MAGGIOLINO, in Commentario alla riforma delle società, cit., 596.
(72) CASADEI, La responsabilità della società di revisione, cit., 155.
(73) MONTALENTI, La società quotata, in Trattato di diritto commerciale,
diretto da , cit., 317.
(74) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., cit.,
304.
(75) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., cit.,
313.
In giurisprudenza, con riguardo però alla responsabilità della Consob, per
mancato controllo della veridicità delle informazioni veicolate nel prospetto
informativo, si segnala App. Milano 21 ottobre 2003, in Corriere Giur., 2004,
933, con nota di TINA, Responsabilità della Consob per omessa vigilanza sulla
veridicità delle informazioni contenute nel prospetto informativo; in Giur.
It., 2004, 800, con nota di MIGNONE, Vigilanza Consob e responsabilità: brevi
osservazioni sul tema; in Contratti, 2004, 329, con nota di SANTUCCI,
Responsabilità della Consob per omessa vigilanza colposa., la quale esclude
l'applicabilità dell'art. 1227, sulla base del rilievo che «non si ravvisa
nessun comportamento colposo da parte degli investitori a cui non è possibile
richiedere un'attività di verifica e controllo della veridicità delle
informazioni contenute nel prospetto, attività espressamente demandata alla
Consob, organo istituzionalmente preposto a tale compito».
(76) Su questo punto, PERRONE, Informazione al mercato e tutele
dell'investitore, Milano, 2003, 215.
(77) Sottolinea tale aspetto BUTA, La responsabilità nella revisione
obbligatoria delle s.p.a., cit., 313, nota 153, il quale tuttavia sottolinea
come possano configurarsi ipotesi di applicazione dell'art. 1227, co. I, come
nel caso in cui l'investitore abbia sufficienti cognizioni tecniche in materia
oppure quando il terzo abbia acquistato (o venduto) azioni della società avendo
un fondato dubbio sulla correttezza e veridicità del bilancio e del relativo
giudizio.
(78) Al riguardo, ROSSELLO, Il danno evitabile, Padova, 1990, 64.
(79) In senso affermativo, PERRONE, Informazione al mercato e tutele
dell'investitore, cit., 216; BRUNO, L'azione di risarcimento per danni da
informazione non corretta sul mercato finanziario, Napoli, 2000, 215.
(80) FRANZONI, Dei fatti illeciti, in Commentario al codice civile
Scialoja-Branca, diretto da GALGANO, Bologna-Roma, 1993, sub art. 2043, 132.
(81) In questo senso BUSSANI, La colpa soggettiva, Padova, 1991, 18.
(82) Sul punto, BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso
dei revisori contabili, cit.
(83) Cass. 9 novembre 2006, n. 23918, in Giust. civ. Mass., 2006, 11; Cass. 29
luglio 2004, n. 11488, in Giust. civ., 2005, 2115; Cass. sez. un., 30 ottobre
2001, n. 13533, in Foro it., 2002, I, 769.
(84) Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826.
(85) In dottrina, per tutti, BIANCA, La responsabilità, in Diritto civile, V,
Milano, 2001, 581. In giurisprudenza, tra le tante Cass. 22 maggio 2001, n.
6995, in Giust. civ. Mass., 2001, 1034; Cass. 15 febbraio 1992, n. 1844, in
Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 2; Cass. 30 luglio 1987, n. 6603, in Riv. dir.
Sport, 1988, 394; Cass. 5 gennaio 1981, n. 29, in Giur. it., 1981, I, 1, 740,
ed in Giust. civ., 1981, I,745; Cass. 13 febbraio 1978, n. 671, in Arch. civ.,
1978, 765; Trib. Milano 2 novembre 2000, in Foro it., 2001, I, 1935; Pret.
Paola 24 dicembre 1991, in Riv. giur. circ. trasp., 1992, 832.
(86) BARBERO, Criterio di nascita e criteri di propagazione della
responsabilità per fatto illecito, in Riv. Dir. civ., 1960, I, 578; ID.,
Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino, 1955, II, 808.
(87) Lo sottolinea FRANZONI, Il danno risarcibile, in Trattato della
responsabilità civile, diretto da Franzoni, Milano, 2004, 774.
(88) MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato, 110.
(89) Cass. 25 maggio 1964, n. 1270, in Foro it., 1965, I, 2098, con commento di
MARTORANO, Sulla responsabilità del fabbricante per la messa in commercio di
prodotti dannosi, ivi, 1966, V, 13.
(90) Significativa, al riguardo, Cass. 28 ottobre 1980, n. 5795, in Resp. Civ.
prev., 1981, 392.
(91) ROSSELLO , Sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso, in Nuova
giur. civ. comm., 1994, I, 128.
(92) Tra le tante, di recente, Cass., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297, in
Guida al dir., 2004, fasc. 24. Cass., 16 febbraio 2001, n. 2335, in Riv. it.
medicina legale, 2002, p. 187; Cass., 19 maggio 1999, n. 4852, in Danno e
resp., 1999, p. 1104; ed in Resp. civ., 1999, p. 995; Cass., 4 febbraio 1998,
n. 1127, in Giur. it., 1998, p. 1800
(93) Cass., 13 gennaio 2005, n. 583, in Mass. Giust. civ., 2005, fasc. 1;
Cass., 19 maggio 2004, in Dir. e Giust., 2004, fasc. 25, p. 32; Cass., 16
febbraio 2001, n. 2335, in Resp. civ., 2001, p. 580, con nota di GUERINONI;
Cass., 19 maggio 1999, n. 4852, in Danno e resp., 2000, p. 157, con nota di
GRONDONA; Cass., 22 gennaio 1999, n. 589, in Giur. it., 2000, p. 740; sui casi
di res ipsa loquitur nell'ambito della responsabilità medica, CIATTI,
Responsabilità medica e decisione sul fatto incerto, Padova, 2002, p. 148.
(94) Di recente, T.A.R. Liguria 8 febbraio 2006, n. 102, in Foro amm. TAR,
2006, 2 528;.
(95) Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514; Cons. Stato, sez. VI, 9
marzo 2007, n. 1114; Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2006, n. 6607.
(96) E' questo il caso di Cass. 18 luglio 2002, n. 10403, in Giust. Civ. Mass.,
2002, 1258.
(97) SASSO, Il nuovo diritto delle società, a cura di MAFFEI ALBERTI, cit.,
1111.
(98) FORTUNATO, in Società di capitali, Commentario, cit., 860.
(99) FORTUNATO, in Società di capitali, Commentario, cit., 860.
(100) SPIOTTA, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino,
Bonfante, Cagnasso, Montalenti, cit., 1080, la quale sottolinea come il
revisore potrebbe trovarsi a dover rispondere del fatto commesso da
amministratori e sindaci che non ne rispondono più, tenuto conto che per questi
ultimi il dies a quo coincide con il compimento dell'atto che ha direttamente
pregiudicato il socio o il terzo.
(101) SASSO, Il nuovo diritto delle società, a cura di MAFFEI ALBERTI, cit.,
1113.
(102) Parte della giurisprudenza è orientata ad attribuire rilievo, ai fini
dell'individuazione del momento in cui inizia a decorrere la prescrizione, al
giorno in cui l'evento lesivo si è rivelato in tutte le sue componenti: Cass.,
24 marzo 1979, n. 1716, in Foro it., 1980, I, c. 1115; in Giust. civ., 1979, I,
p. 1440; Cass., 21 febbraio 2003, n. 2645 (in Danno e resp., 2003, p. 845, con
nota di RIGHETTI, Prescrizione e danno lungolatente; Cass. 31 maggio 2005, n.
11609. Un'arresto a tale orientamento, che attribuisce rilievo al momento in
cui l'evento lesivo si manifesta in tutte le sue componenti, è intervenuto con
la recente pronuncia della Cass., 28 gennaio 2004, n. 1547, in Danno e resp.,
2004, p. 389, con nota di MONATERI, La prescrizione e la sua decorrenza: una
sentenza da elogiare; in Resp. civ., 2004, p. 457, con nota di BONA,
Prescrizione e dies a quo nel danno alla persona: quale modello?, riguardante
la responsabilità di un sanitario il quale, nel corso di un intervento eseguito
nel 1985 sul flusso degli spermatozoi di un uomo, avrebbe precluso a
quest'ultimo ogni capacità di procreare; tale pregiudizio è rimasto occulto,
sino a degli accertamenti effettuati nel 1996, a distanza di 6 anni dal
matrimonio.
(103) Tale soluzione è conforme anche alla legislazione speciale in tema di
responsabilità del produttore; in proposito, infatti, l'art. 125 del Codice del
consumo prevede che il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal
giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del
danno, del difetto e dell'identità del responsabile. Il II co., inoltre,
prevede che nel caso di aggravamento del danno, la prescrizione comincia a
decorrere solo dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto aver
conoscenza di un danno di gravità sufficiente a giustificare un azione
giudiziaria.
(104) In questo senso pare orientato anche SASSO, cit., 1113.
(105) Lo sottolinea BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il
caso dei revisori contabili, cit., 155. Sul problema dell'autonomia dei
revisori con la società revisionata, CERA, Quotazione di nuove società e tutela
del pubblico investitore: il ruolo delle società di revisione, cit., 204;
RABBITTI BEDOGNI, L'attivazione del principio di indipendenza nell'esercizio
della revisione, in Dir. banca merc. fin., 2002, 19; GALGANO, La tutela del
risparmio. Dallo Sarabes-Oxely Act alla legge italiana, in Mercato finanziario
e tutela del risparmio, a cura di Galgano e Visintini, Padova, 2006, 6.
(106) La proposta era stata avanzata dal Consiglio nazionale dei dottori
commercialisti. Si consideri che anche la Direzione generale «Mercato interno e
Servizi» della Commissione Europea ha proposto un Documento, in cui si valuta
la possibilità di introdurre un massimale di risarcimento nonché il principio
della principio della responsabilità proporzionale nel senso che gli
investitori potrebbero recuperare dal revisore solo la quota delle perdite che
possa essere imputabile agli atti (o alle omissioni) del revisore stesso. Il
documento è pubblicato in http://ec.europa.eu/internal
market/auditing/docs/liability/consultation-paper it.pdf.
Per un commento si rimanda a SCARSO, La riforma del regime di responsabilità
del revisore contabile: a proposito di una recente proposta della commissione
(liability cap v. proporzionate liability), in Resp. Civ. prev., 2007, 1226.
Sul dibattito circa la limitazione di responsabilità dei revisori, PRESTI, La
responsabilità del revisore, cit., 166.
Sull'opportunità di trovare un bilanciamento tra la rigorosa applicazione delle
regole della responsabilità civile e una ragionevole distribuizione del rischio
nella produzione e trasmissione delle informazioni al mercato, si veda anche
VELLA, I controlli interni e la revisione contabile nella riforma delle società
non quotate, in Dir. banca e mercato finanziario, 2001, 35.
(107) SPIOTTA, Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino,
cit., 1081.
(108) Il co. VIII dell'art. 94 (come sostituito dall'art. 3 d.lgs. n. 51 del
28.3.2007) del T.u.f. dispone che «L'emittente, l'offerente e l'eventuale
garante, a seconda dei casi, nonché le persone responsabili delle informazioni
contenute nel prospetto rispondono, ciascuno in relazione alle parti di propria
competenza, dei danni subiti dall'investitore che abbia fatto ragionevole
affidamento sulla veridicità e completezza delle informazioni contenute nel
prospetto, a meno che non provi di aver adottato ogni diligenza allo scopo di
assicurare che le informazioni in questione fossero conformi ai fatti e non
presentassero omissioni tali da alterarne il senso».
(109) Soltanto l'intermediario responsabile del collocamento può essere
chiamato a rispondere dell'intero danno subito dall'investitore; il co. IX,
dell'art. 94 T.u.f., infatti, prevede che «La responsabilità per informazioni
false o per omissioni idonee ad influenzare le decisioni di un investitore
ragionevole grava sull'intermediario responsabile del collocamento, a meno che
non provi di aver adottato la diligenza prevista dal comma precedente».
(110) PRESTI, La responsabilità del revisore, in Banca borsa titoli credito,
2007, 168.
(111) PRESTI, La responsabilità del revisore, cit., 168.
(112) Sottolinea tale rischio, FRANZONI, La responsabilità civile delle
authorities per omissione di vigilanza, in Mercato finanziario e tutela del
risparmio, a cura di Galgano e Visintini, in Trattato di diritto commerciale e
di diritto pubblico dell'economia, diretto da Galgano, Padova, 2006, 274;
SCOTTI, Diffusione di informazioni inesatte e tutela degli investitori:
configurazione della responsabilità della Consob per omessa vigilanza, in Giur.
Comm., 2002, II, 31.
(113) PRESTI, La responsabilità del revisore, cit., 178.
(114) PELLECCHIA, La responsabilità solidale, in La responsabilità civile, a
cura di CENDON, XIV, Torino, 1998, 640; ORLANDI, La responsabilità solidale,
Milano, 1993, 283. In senso diverso DUNI, Responsabilità da fatti illeciti.
Solidarietà. Regresso. Concorso di colpa della vittima e diminuzione del
risarcimento, in Giust. civ., 1966, IV, 57.
(115) In questo senso DE ACUTIS, La solidarietà nella responsabilità civile, in
Riv. dir. civ., 1975, 640; SALVI, v. Responsabilità extracontrattuale, in Enc.
del dir., XXXIX, Milano, 1988, 1255.
(116) Sottolinea questo, con riguardo alla responsabilità dei revisori, PRESTI,
La responsabilità del revisore, cit., 177, il quale evidenzia come il revisore
«presta» la sua reputazione all'emittente in modo che costui possa spenderla
sui mercati finanziari.
Con riguardo, invece, alla responsabilità della Consob, è indubbio che nei
rapporti interni se l'Autorità non ha accertato una falsità contenuta nel
prospetto ha una responsabilità minore rispetto agli autori materiali;
tuttavia, nei rapporti verso i risparmiatori, la prospettiva potrebbe mutare,
tenuto conto che gli investitori ripongono notevole affidamento nell'operato
dell'Autorità, e che la stessa, nell'esercizio dell'attività di vigilanza, ha
la funzione - oltre che di assicurare la trasparenza e l'ordinato svolgimento
delle negoziazioni - anche di tutelare gli investitori, ai sensi dell'art. 74
T.u.f.
(117) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei
revisori contabili, cit., 344.
(118) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei
revisori contabili, cit., 344.
(119) Al riguardo, PERRONE, Informazione al mercato e tutele dell'investitore,
cit., 214, il quale sottolinea la preferibilità di una soluzione in cui il
prezzo di riferimento sia costituito non tanto da quello immediatamente
seguente alla comunicazione, quanto piuttosto dalla media del prezzo in un
determinato intervallo di tempo successivo.
(120) In questo senso, Trib. Milano 14 febbraio 2004, in Foro it., 2004, I,
1581, relativa ad un caso differente di responsabilità di alcune banche che, in
possesso di informazioni privilegiate sulle reali prospettive economiche di una
società quotata, hanno dismesso le partecipazioni possedute nella società prima
della diffusione di tali notizie, approfittando delle favorevoli condizioni di
mercato.
(121) Sul punto BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso
dei revisori contabili, cit., 344.
(122) Tra le tante Cass. 16 maggio 2006, aprile 2005, n. 8004, in Giust. Civ.
Mass., 2005.
(123) BIANCA, La responsabilità, in Diritto civile, V, Milano, 2001, 165.
(124) BARCELLONA, Responsabilità da informazione al mercato: il caso dei
revisori contabili, cit., 348, il quale ritiene che l'ipotesi più sensata
appare quella di un reinvestimento in titoli azionari tratti sullo stesso
mercato di riferimento delle azioni della società revisionata.
(125) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria della s.p.a., cit.,
290.
(126) FRANZONI, Gli amministratori e i sindaci, in Le società, Trattato diretto
da Galgano, Torino, 2002, 361.
(127) Al riguardo, si veda il § n. 2.
(128) BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria della s.p.a., cit.,
288, nota 96.
(129) Trib. Foggia 7 maggio 2002. In questo caso, si pone il problema della
legittimazione al risarcimento: si deve accertare se il pregiudizio sia patito
singolarmente dal creditore, con la conseguenza che ciascun creditore mantiene
la legittimazione oppure se si tratta di azione finalizzata alla ricostituzione
del patrimonio del debitore, con conseguente legittimazione al curatore.
Con riguardo alla concessione abusiva del credito, si veda Cass. sez. un., 28
marzo 2006, n. 7029, in Fallimento, 2007, 101, la quale nega la legittimazione
del curatore fallimentare.
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