Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 07/06/2008 Scarica PDF
Il nuovo articolo 140 bis del codice del consumo: azione di classe o azione collettiva?
Sergio Chiarloni, Professore OrdinarioSommario: 1.-Premessa.
2.-Differenze tra azione di classe e azione collettiva. 3.-L'art.140 bis non
introduce nuove posizioni di diritto sostanziale. 4.-La necessità sistematica
di muovere dall'analisi dell'inibitoria generale disciplinata dall'art. 140 del
codice del consumo. 5.-Una possibile evoluzione dall'azione inibitoria
all'azione risarcitoria. 6.-L'art. 140 bis: frammenti di sicura sintonia con
l'azione di classe all'americana. 7.-Le analogie discutibili: l'adesione come
preteso strumento di aggregazione delle controversie individuali. 8.-L'art. 140
bis come evoluzione dell'inibitoria generale regolata dall'art. 140. 9.-Quasi
una conclusione
1.- Nel "crescendo rossiniano"[1] che ha accompagnato il percorso
dell'ultima legge finanziaria, l'atmosfera in cui fu approvata, come parte di
essa, la c.d. azione collettiva risarcitoria evoca piuttosto una saga di paese.
Con qualche risvolto ridicolo. Risolutivo fu infatti l'errore di bersaglio ad
un tiro a segno. L'aberratio ictus consentì la conclusione dell'iter
legislativo durante l'ultimo passaggio. Un senatore dell'opposizione determinò
l'unico voto di maggioranza, sbagliando nel premere il pulsante del voto
elettronico e abbandonandosi poi ad un "pianto irrefrenabile", come
raccontano le cronache[2].
Ma vi è di peggio, al di là del folklore istituzionale.
Una serie di norme che interessano settori importanti come la trasparenza del
mercato e la tutela dei consumatori sono state approvate grazie all'inserimento
ad opera di due parlamentari di un emendamento nel contenitore rappresentato
dalla finanziaria. Purtroppo da molto tempo si è presa l'abitudine di inserire
nella legge di bilancio normative estranee, allo scopo di ottenerne
l'approvazione senza meditate discussioni, speculando sulla fretta e sui voti
di fiducia. Nel nostro caso la faccenda è particolarmente grave perché
sull'introduzione dell'azione collettiva risarcitoria si aveva a disposizione
un'ampia elaborazione fin dalla passata legislatura. E in quella appena
conclusa giacevano presso la competente commissione parlamentare numerosi
progetti di legge e la discussione era in pieno svolgimento su un c.d. testo
base che ha costituito l'oggetto dell'emendamento alla finanziaria. Malgrado
fosse ancora ben lontano dall'approvazione e, quindi, probabilmente con qualche
sorpresa e rammarico da parte di chi più si era impegnato in commissione. Anche
perché nel corso dell'andirivieni tra Camera e Senato il testo è stato
ampiamente modificato su iniziativa del governo.
Ne è risultato qualcosa di peggio di un semilavorato con necessità di
rifiniture ad opera della giurisprudenza, con la collaborazione della dottrina.
Questa è una caratteristica generale della legislazione dei nostri tempi, la
cui paternità "tecnica" è sovente ignota e in qualche caso
inesistente.
Qui sembra a prima vista di essere di fronte allo scheletro di una struttura
capace di servire sia per l'edificazione di una cattedrale, sia per
l'ampliamento di una parrocchia.
2.-Fuor di metafora, occorre prima di tutto ricordare che in parlamento si
fronteggiavano numerosi progetti di legge, agevolmente classificabili secondo
una modellistica stipulativa a suo tempo anche da me adottata, che contrappone
azioni di classe da un lato e azioni collettive dall'altro.[3] Alcuni progetti
si ispiravano infatti alla c.d. class action nordamericana del terzo tipo, come
regolata dall'art. 23 (b) 3 delle Federal Rules of Civil Procedure. Un'azione
instaurabile anche da un singolo individuo che deduce in giudizio i diritti di
una pluralità di soggetti (la classe) titolari di un credito al risarcimento
dei danni originato da un illecito imputabile al convenuto (quasi sempre
un'impresa)[4] e sottoposta ad un vaglio preventivo di ammissibilità (la c.d.
certification), opportuno, anzi direi necessario perché in caso di ammissione
il risultato finale vincola, a certe condizioni, tutti gli appartenenti alla
classe che non abbiano dichiarato di volersene sottrarre (c.d. opt out). Tanto
se si tratti di un provvedimento, sia di accoglimento sia di rigetto, quanto se
si tratti di una frequentissima conciliazione. Tanto se si tratti di una
sentenza di puro accertamento quanto se si tratti di una sentenza di condanna.
Quest'ultima, alla pari della conciliazione, può portare alla creazione di un
fondo in denaro destinato alla soddisfazione, sotto controllo di un
"amministratore", dei crediti riconosciuti ai singoli membri della
classe. Crediti comprensivi anche dei c.d. danni punitivi, sui quali avranno
agio di soddisfarsi gli avvocati, i cui onorari sono qui di solito stabiliti in
una percentuale delle somme recuperata. Senza contare che molto spesso accade
che il denaro pagato dall'impresa convenuta vada tutto a compensare gli
avvocati, mentre i membri della classe sono soddisfatti con il sistema dei
coupons, valevoli per acquisti scontati o gratuiti di prodotti dell'impresa.
Altri progetti e in particolare quello governativo si inquadravano all'interno
di un'evoluzione delle azioni di tutela dei consumatori già previste
dall'ordinamento e recentemente consolidate nel c.d. codice del consumo. Azioni
"collettive" instaurabili esclusivamente da associazioni nate e
affermatesi come "centri di imputazione" di interessi che fanno capo
ad un insieme di utenti e consumatori sovente più ampio rispetto agli associati
e non legati tra loro da alcun rapporto giuridico. Esse tendono ad ottenere la
tutela giurisdizionale degli interessi comuni attraverso provvedimenti che
accertino l'illegittimità di comportamenti dell'impresa convenuta
pregiudizievoli a quegli interessi, ne inibiscano la reiterazione e,
eventualmente, adottino misure idonee ad eliminare gli effetti dannosi delle
violazioni accertate.
Ebbene, la pericolante struttura di cui si parlava contiene elementi che fanno
pensare ad un legislatore orientato verso quest'ultima alternativa. Ma ne
contiene altri che possono far pensare ad un orientamento nella direzione
opposta. Assecondando una tendenza al compromesso tipica dell'attività del
parlamento italiano, che produce sovente assemblaggi sbilenchi e probabilmente
effimeri, con sovrana indifferenza verso il rischio dell'irrazionalità
complessiva e delle difficoltà di applicazione.
Non ci si deve dunque stupire se i primi, autorevoli commentatori sono divisi
nella loro opera ricostruttiva. Alcuni edificano la cattedrale dell'azione di
classe. Altri sembrano preferire l'ampliamento della vecchia parrocchia
dell'azione collettiva.
Con un'avvertenza però. Si tratta di differenze percepibili soprattutto nella
prospettiva teorico concettuale, oltre che della terminologia adottata, dove i
primi asseriscono che nell'azione risarcitoria sono dedotti i singoli crediti
di aderenti e intervenuti, mentre a giudizio dei secondi l'oggetto del processo
collettivo è costituito esclusivamente dalle questioni comuni ai danneggiati.
Può, invece, capitare che le differenze per quanto riguarda le conseguenze
operative siano estremamente modeste. Intendo, se ci mettiamo dal punto di
vista della soddisfazione degli interessi in gioco. Non certo dal punto di
vista dei problemi processuali, insorti a decine, dove si è detto tutto e il
contrario di tutto[5].
Può capitare cioè che chi guarda all'azione di classe all'americana ammetta sì
l'emanazione in sede collettiva di una sentenza di liquidazione del danno a
favore dei singoli, quando vi siano i presupposti per determinare la
"somma minima" ai sensi del quarto comma secondo periodo dell'art.
140 bis. Ma asserisca nello stesso tempo che si tratta di una sentenza con
riserva delle eccezioni personali avanzabili dall'impresa condannata[6]. Mentre
chi, guardando ad un'evoluzione delle azioni collettive già presenti nel nostro
ordinamento, ritiene che i provvedimenti emanabili in sede collettiva non
possano andare al di là dell'accertamento sulle questioni comuni, risolve con
il ricorso ad un successivo decreto ingiuntivo o con la proposta di forme
semplificate di cognizione il problema della "finalizzazione" del
bisogno di tutela giurisdizionale dei singoli che della somma suddetta
intendano accontentarsi (naturalmente qualora non si arrivi alla conciliazione
a seguito della messa in moto dei meccanismi previsti dal sesto comma della
medesima norma[7]. Differenza veramente da poco. Cambiano soltanto le posizioni
processuali nel cd. giudizio di completamento. Il singolo danneggiato sarà
l'attore nel secondo caso; il convenuto nel primo.
3.-Prima di addentrarmi nell'analisi devo compiere due operazioni preliminari.
Si tratta anzitutto di sgombrare il campo da una tesi che sta cominciando ad
emergere nei convegni, in questo periodo numerosi, a sintomo del grande
interesse destato dal nuovo istituto.
Taluno[8] sostiene che il nuovo articolo 140 bis del codice del consumo non si
limita ad arricchire (piuttosto avaramente, come si vedrà) gli strumenti
processuali indirizzati alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori.
La norma avrebbe creato una nuova posizione di diritto sostanziale prima
inesistente. Ubi (nova) actio, ibi (novum) ius, insomma.
Mi rendo conto che questa tesi conviene assai all'universo dei potenziali
convenuti. In virtù del principio di irretroattività della legge sostanziale,
qui non esplicitamente derogato, ne conseguirebbe l'inapplicabilità dell'art.
140 bis a comportamenti illeciti delle imprese verificatisi prima della sua
entrata in vigore il 30 giugno prossimo. Ma a mio giudizio siamo in presenza di
una tesi errata. E' vero che il numero 1 del comma 2 dell'art. della legge
finanziaria piuttosto enfaticamente parla dell'azione collettiva risarcitoria
come di un "nuovo strumento generale di tutela nel quadro delle misure
nazionali volte alla disciplina dei diritti dei consumatori e degli
utenti" - corsivi miei, dove generalità e novità assieme a disciplina dei
diritti potrebbero far pensare in qualche modo ad una posizione di diritto
sostanziale prima inesistente. Ma basta proseguire nella lettura del testo normativo
per rendersi conto che così non è. A prescindere dalle più o meno trasparenti
enunciazioni di principio, l'art. 140 bis del codice del consumo è chiarissimo
nel dire che l'azione è indirizzata alla tutela degli interessi collettivi dei
consumatori e degli utenti: cioè di quelle medesime posizioni giuridiche a cui
è indirizzata l'azione inibitoria generale già disciplinata dall'art. 140[9].
4.-Appunto, l'inibitoria generale. La seconda operazione preliminare riguarda
questo istituto. Non lo posso ignorare per due buone ragioni. Mi tocca
rispondere all'accusa diretta di eccesso di timidezza e indiretta di coltivare
idee poco chiare[10] per avere a suo tempo manifestato contrarietà, per molti
motivi, nei confronti dell'introduzione di un'azione di classe alla
nordamericana nel nostro ordinamento, come volevano alcuni progetti di legge
presentati nella legislatura appena terminata e per aver sostenuto che
risultati importanti per la tutela degli interessi dei consumatori si potevano
già ricavare, senza eccessi di audacia interpretativa, da una corretta
utilizzazione dell'inibitoria. Ma, soprattutto, mi pare che non si possa
prescindere da una ricognizione del complesso sistema normativo in cui la nuova
azione si va ad inserire, quando ci si propone lo scopo di affrontare i
problemi da essa presentati.
Ricordo brevemente i punti della mia ricostruzione[11]. L'accoglimento di una
domanda inibitoria generale ai sensi dell'art. 140 del codice del consumo
presuppone che si accertata la commissione di un illecito -contrattuale o
extracontrattuale- da parte dell'impresa convenuta. Questo accertamento
costituisce la "minima unità strutturale"[12] di una sentenza ed è
pertanto suscettibile di acquistare l'autorità della cosa giudicata. Autorità
che, se favorevole, può venir invocata dal singolo consumatore nella propria
causa individuale[13], per una serie di buone ragioni che qui è superfluo
ripetere e che sono da molti condivise[14]. Mi limito a ribadire che le
preoccupazioni[15] circa una violazione nella causa individuale del diritto di
difesa dell'impresa che ha perso la causa in sede collettiva non hanno ragione
di sussistere. In ordine all'accertamento della responsabilità "in
astratto" -ad esempio la dannosità del prodotto messo sul mercato-
l'impresa ha già esercitato il diritto di difesa nella sua pienezza nel corso
della causa collettiva. Se esistono peculiarità del rapporto individuale -ad
esempio mancanza del nesso di causalità o addirittura dell'evento dannoso-
l'impresa potrà esercitare il diritto di difesa, di nuovo nella sua pienezza,
nella causa individuale. Quanto poi all'obiezione che si sottopone l'impresa
alla grave incertezza derivante dalla proponibilità in sede individuale di una
miriade di cause ad opera dei singoli consumatori per il caso inverso in cui
essa abbia vinto si tratta a mio giudizio di un'obiezione che, quando non sia
semplicemente strumentale, è frutto di scarsa sensibilità pratica. E' vero, il
diritto di azione ex art. 24 Cost. esige la proponibilità suddetta, almeno
dalla prospettiva di una giurisprudenza della Corte costituzionale storicamente
legata non solo alla sostanza ma purtroppo anche al formalismo delle garanzie[16].
Tuttavia, è difficile che i singoli consumatori si avventurino in una
controversia, dopo che la responsabilità del convenuto è stata negata nella
causa collettiva. La forte probabilità di perderla costituisce un deterrente
efficace. Se lo si ritiene insufficiente basterebbe introdurre forme ufficiose
di responsabilità aggravata, in modo da contribuire ulteriormente alla
limitazione della litigiosità individuale a quei casi, presumibilmente
pochissimi, in cui la causa collettiva conclusa con il rigetto della domanda è
stata, intenzionalmente o no, assai malamente gestita. Dobbiamo ora farci
carico di un'altra obiezione, questa all'apparenza ancora più seria, nei
confronti di un'azione collettiva che si limiti all'accertamento della
responsabilità dell'impresa. Si dice che in confronto ad una vera e propria
azione di classe all'americana questa limitazione determina un'insufficienza
della tutela e una mancata razionalizzazione del contenzioso che vedrebbe
sopravvivere un enorme numero di controversie individuali.
Non ne sarei così sicuro. Intanto va considerata la forza della spinta a
conciliare operata da un accertamento definitivo di responsabilità. In secondo
luogo bisogna considerare che in molti casi il singolo danneggiato potrà
avvalersi del decreto ingiuntivo. E quando ne manchino i presupposti si può
pensare di introdurre forme di concentrazione e semplificazione delle
controversie individuali analoghe al giudizio di verifica dei crediti nelle
procedure concorsuali[17] o, meglio ancora, di attuare una conversione verso il
monitorio puro, almeno per questa materia.
Un'ultima obiezione lamenta il fatto che la mancanza di un'autentica azione di
classe impedisce che si arrivi al risarcimento e soprattutto si ottenga
l'effetto di deterrenza tipico della class action per i tort mass cases, quando
l'ammontare dei danni sia così limitato, da non stimolare il singolo ad agire
in giudizio per ottenerne il risarcimento.
Ma già l'inibitoria generale, (perfettamente simmetrica all'injunctive class
action nordamericana) se utilizzata secondo le sue potenzialità ha ovviamente
un ottimo effetto di deterrenza nei confronti della reiterazione dei
comportamenti inibiti. Tanto più che a seguito dell'approvazione della legge
comunitaria 2001, il settimo comma dell'art. 140 del codice del consumo ha
introdotto una forte misura coercitiva a garanzia dell'obbedienza al comando
inibitorio, assistito per di più dall'efficacia esecutiva nei casi previsti
dallo stesso art. 140 comma 1° lettera b.
Quanto al rilievo che il singolo non agisce per il risarcimento di danni
bagatellari il rilievo viene dagli Stati Uniti dove non si applica il principio
della soccombenza. Non vale per l'Italia dove sono noti casi di decine di
migliaia di cause seriali vinte per cifre irrisorie sia davanti al giudice di
pace, sia quando vi sia la competenza per materia, davanti al tribunale[18].
Dovute al fatto che se irrisoria è la cifra richiesta, irrisori non sono gli
onorari di avvocato a carico del soccombente. Fortemente stimolato quindi a
scovare tanti clienti pronti a conferire la procura, senza esborsi, né prima né
dopo. Con grave danno per l'efficienza dell'amministrazione della giustizia e
contro lo stesso interesse delle imprese o degli enti pubblici coinvolti, che
certamente preferirebbero l'azione collettiva per casi del genere.
5.-Insomma, non sarebbe né timida né rinunciataria né carente di chiarezza una
disciplina composta da un'azione collettiva degli enti esponenziali in forma
associativa, eventualmente riservando al giudice invece che alla pubblica
amministrazione il riconoscimento dell'adeguata rappresentatività. Un'azione
indirizzata al risarcimento dei singoli danneggiati per il tramite di un
accertamento di responsabilità efficace a loro favore, e alla determinazione
dei criteri per la liquidazione dei singoli crediti quando non siano necessari
accertamenti di fatto relativi alle singole posizioni individuali (cioè quando
i criteri di determinazione siano a tutti comuni o in altre parole abbiano
sostanza collettiva), seguita da istanze conciliative opportunamente
strutturate, nonché, per il caso di fallimento di queste ultime, da giudizi
individuali veloci e semplificati. La si sarebbe potuta introdurre con un
semplice perfezionamento della disciplina già oggi vigente, senza le complicazioni
e ambiguità del nuovo art. 140 bis.
Devo tuttavia riconoscere che lo sviluppo dell"inibitoria generale in
direzione risarcitoria come vero strumento di democrazia economica, esigerebbe
un calcolo degli onorari degli avvocati, oggi che il patto di quota lite è
venuto meno, indirizzato a individuare il valore della causa aggregando
l'ammontare dei danni subiti dai singoli, secondo un calcolo di massima, quando
non sia possibile una determinazione più precisa. Potremmo così più facilmente
vedere all'opera quell' "individualismo altruistico" di cui con
felice ossimoro parla Michele Taruffo[19]. Riferito però al professionista e
non al singolo individuo legittimato alla class action.
6.-Si tratta ora di vedere come vanno sciolte le ambiguità e complicazioni
appena ricordate. Prevalgono gli elementi indirizzati ad una ricostruzione
dell'art. 140 bis nei termini di una copia, più o meno fedele, della class
action oppure, come già appare chiaro essere per me preferibile, quelli
indirizzati ad una ricostruzione nei termini di un'azione collettiva, nel solco
delle scelte finora operate dal nostro legislatore?
Un primo elemento di somiglianza con l'istituto nordamericano troviamo nel
secondo comma dell'art. 140 bis, che estende la legittimazione al di là delle
associazioni di consumatori ed utenti rappresentative a livello nazionale anche
ad "associazioni e comitati che sono rappresentativi degli interessi fatti
valere". Dico questo, che potrebbe sembrare a prima vista strano, per una
ragione assai semplice. E' noto che negli Stati Uniti la decisione di proporre
l'azione di classe appartiene nella realtà allo studio legale, che allo scopo
si mette alla ricerca dell'individuo legittimato. Questi assume la funzione di
opportuno attaccapanni o uomo di paglia, a volte addirittura retribuito sotto
banco[20]. Ebbene, se ora ci concentriamo sui comitati di cui al secondo comma
del nostro art. 140 bis ci rendiamo conto che dal punto di vista della
legittimazione la situazione non è così diversa, anche se malamente occultata
da un velo di ipocrisia indirizzato a far vedere che non si abbandona la
tradizione italiana che attribuisce ad enti esponenziali la legittimazione per
la tutela degli interessi collettivi. Un comitato può essere formato da due
persone appartenenti alla classe, con un accordo non bisognoso di formalità:
eventualmente anche orale. Qualsiasi studio legale può dunque mettersi in
caccia, senza neanche bisogno di un'organizzazione particolarmente complessa,
se si tratta di azioni collettive semplici e territorialmente limitate. E'
vero, non potrà accontentarsi di arruolare un membro della classe. Ne dovrà
trovare due e farli accordare per la costituzione di un comitato. Questa non mi
pare una grande differenza in confronto al sistema nordamericano[21]. Insomma,
l'autentico significato dell'innovazione introdotta va visto principalmente
nella rottura del monopolio professionale degli avvocati di fiducia delle
associazioni nazionali dei consumatori iscritte nell'elenco ministeriale.
L'azione risarcitoria potrà avere come rappresentante tecnico uno qualunque
degli oltre 200.000 avvocati italiani che sia abbastanza intraprendente. Non
sono in grado di esprimere una valutazione su questo fondamentale cambiamento.
La legittimazione allargata produrrà probabilmente un numero maggiore di azioni
risarcitorie in confronto alla legittimazione ristretta, tuttora conservata per
l'inibitoria generale dell'art. 140. La cosa, i cui aspetti positivi sono stati
giustamente messi in rilievo[22], nasconde anche due insidie: la fioritura di
controversie in conflitto di interesse; l'affollarsi di azioni infondate, nella
speranza di chiuderle con una conciliazione o una transazione, sia pure non
molto onerosa per il convenuto, a causa dell'avversione al rischio di
soccombenza, sia pure basso, dei rappresentanti organici delle imprese.
Il secondo aspetto di estrinseca somiglianza con la class action si trova nel
giudizio preliminare di ammissibilità previsto nel terzo comma dell'art. 140
bis. Ha qualche analogia con la certification, compito attribuito al giudice
nordamericano dall'art 23 (c) (1) delle FRCPR. Ma con ambito assai più
ristretto. Il giudice in un'udienza di comparizione che deve precedere quella
di trattazione prevista dall'art. 183 ai commi quarto e seguenti c.p.c., provvede,
con ordinanza reclamabile alla Corte d'appello, "sentite le parti ed
assunte quando occorre sommarie informazioni" sull'ammissibilità della
domanda e la dichiara inammissibile "quando è manifestamente infondata,
quando sussiste un conflitto di interessi, ovvero quando non ravvisa
l'esistenza di un adeguato interesse collettivo suscettibile di tutela".
Dico subito che il giudizio di ammissibilità, malgrado le apparenze, non serve
a sventare le due insidie di cui ho appena parlato. La probabile infondatezza
di una domanda è cosa diversa dalla manifesta infondatezza. Può essere ben
presente all'attore che agisce per una transazione o una conciliazione, senza
che sia immediatamente rilevabile all'udienza, sia pure con l'ausilio delle
sommarie informazioni[23]. Quanto al conflitto di interessi, si tratta di una
situazione difficilmente percepibile dal giudice, specialmente nella fase
preliminare. Non viene ovviamente sollevato dalle parti, ambedue intenzionate a
tenerlo nascosto. Né si capisce da dove il giudice possa ricavare le sommarie
informazioni per rilevarlo di ufficio, non potendosi immaginarlo dotato di
particolari poteri inquisitori a questo scopo.
Le analogie incontestabili con il modello nordamericano finiscono qua e, come
si vede, non sono gran cosa. Semplicemente, si è pagato il prezzo
dell'allargamento della legittimazione ad agire fin quasi al singolo
appartenente alla classe con l'introduzione del giudizio preliminare di
ammissibilità. L'esperienza ci dirà se ne è valsa la pena, oppure se i giudizi
collettivi risarcitori si incaglieranno nelle secche di una fase preliminare
troppo dilatata oppure in eccessi di incontrollata severità da parte dei
giudici di merito chiamati a valutare l'ammissibilità dell'azione.
7.-Esistono tuttavia altre caratteristiche della nuova azione risarcitoria
strutturalmente così ambigue da aver indotto una parte della dottrina ad una
ricostruzione, a dire il vero alquanto "visionaria", che la avvicina
alla class action, come strumento capace di condurre a provvedimenti di
completa tutela dei crediti individuali i cui titolari abbiano tenuto i due
possibili comportamenti preveduti dalla norma: l'adesione e l'intervento.
Ai sensi del secondo comma dell'art. 140 bis "I consumatori o utenti che
intendono avvalersi della nuova tutela prevista dal presente articolo devono
comunicare per iscritto al proponente la propria adesione all'azione
collettiva. L'adesione può essere comunicata, anche nel giudizio di appello,
fino all'udienza di precisazione delle conclusioni. Nel giudizio promosso ai
sensi del comma 2 è sempre ammesso l'intervento dei singoli consumatori o
utenti per proporre domande aventi il medesimo oggetto".
Gli scrittori più decisi e con più ampia messe di argomentazioni a favore di
un'interpretazione della norma come se essa fosse indirizzata all'aggregazione
di una serie di domande individuali gestite dal proponente sono Remo Caponi[24]
Claudio Consolo[25] e Andrea Giussani[26]. Sia pure con molte rilevanti
differenze nella individuazione delle conseguenze operative, dove il primo
appare il più prudente e l'ultimo il più audace.
Vediamo come, prendendo a paradigma l'analisi operata da Claudio Consolo.
Comincio dall'adesione[27], simulacro alquanto fasullo di opt in, assoluta
novità per il processo italiano, totalmente estranea al sistema degli
interventi. A parte le questioni più minute di ricostruzione della disciplina,
certo è che questa comunicazione scritta al proponente prevista dal secondo
comma dell'art. 140 bis, che non richiede l'intermediazione di un legale, si
presenta, almeno al giurista ingenuo, come un atto unilaterale recettizio
indirizzato ad ottenere l'estensione degli effetti della sentenza preveduti dal
quinto comma[28] . Questo sembra esigere la connessione sistematica tra le due
norme. Invece secondo Consolo si tratterebbe di un contratto atipico con il
proponente, tra il mandato e il contratto d'opera: l'adesione si configurerebbe
come l'accettazione della proposta al pubblico, contenuta nell'"idonea
pubblicità dei contenuti dell'azione". La proposta, se abbiamo capito
bene, di gestire i rapporti individuali nel corso dell'azione collettiva,
deducendo prove, argomentando in diritto e così via (esclusi "i poteri
processuali che presuppongano la titolarità o la piena disponibilità di quegli stessi
diritti, quali rispondere agli interrogatori, specie formale, rendere
confessione o deferire giuramento"[29] e prestarlo, aggiungerei).
Sottolineo subito che pubblicizzare l'instaurazione dell'azione collettiva,
come ad esempio già avviene in Germania con la KapitalanlegerMusterverfahrengesetz
(KapMuG), non significa proporre alcunché, ma dare notizia agli interessati,
per stimolare all'azione. Un offerta contrattuale all'insieme dei titolari dei
diritti al risarcimento occorrerebbe che fosse esplicita nella sua
articolazione grammaticale.
Ma, soprattutto, qui occorre intendersi: se si vuole sostenere, che il
proponente è legittimato, a seguito dell'adesione, a gestire i diritti
individuali esclusivamente per i profili di essi che hanno valenza
collettiva[30], allora parlare di oggetto del processo come fosse formato
dall'insieme delle relative controversie, introducendo il concetto di
litisconsorzio aggregato, o qualsiasi altra bella figurazione dogmatica si
voglia escogitare non mi sembra corretto. Introduce una superfetazione dannosa,
fonte di fraintendimenti e di complicazioni inutili. Ad esempio, nella
ricostruzione della sentenza che chiude il giudizio collettivo. Si arriva a
parlare, in relazione ai diritti individuali, di una condanna del convenuto con
riserva delle eccezioni, di cui non trova alcuna traccia nel testo
legislativo[31].
Molto più banalmente e, bisogna aggiungere, nel solco della tradizione, è
sufficiente vedere il proponente come ente esponenziale del fascio di questioni
comuni ai danneggiati, oggetto esse, ed esse soltanto, del processo e del
giudicato collettivo. Un giudicato purtroppo, a seguito di una scelta
legislativa discutibile, ad esclusivo favore, nel caso di vittoria, degli
autoinvitati di pietra che abbiano aderito. Soltanto essi infatti potranno
avvalersi degli effetti della sentenza di accertamento positivo sull'insieme
delle questioni comuni (variabile, come vedremo più avanti, a seconda della
tipologia delle controversie).
Se invece si vuole sostenere, ho difficoltà a crederlo, ma così sembra, a
leggere qualche passo di Consolo[32], che il diritto dell'aderente entra nel
processo collettivo nella sua concretezza, con tutte le peculiarità rispetto ai
diritti degli altri, allora la ricostruzione proposta va incontro a difficoltà
insormontabili
Come si giustificherebbe, dal punto di vista della ragionevolezza
costituzionale le limitazione del diritto alla prova spettante al convenuto? E
poi: come si giustificherebbe la facoltà di inoltrare l'adesione fino
all'udienza di precisazione delle conclusioni, addirittura in appello? Se
avviene a questo punto, sarebbe ragionevole sottrarre ad ambedue le parti un
grado di giudizio per il solo fatto del ritardo nell'inoltrare l'adesione?
E' vero la facoltà in discorso viene severamente criticata sottolineando che il
processo "per effetto dei "regressi" continui alla fase
istruttoria rischierà di riavvitarsi infinite volte e non finire mai"[33].
Ma questi tre inconvenienti, gravissimi e inaccettabili, originano
esclusivamente dalla ricostruzione proposta, che oltretutto non trova alcun
conforto nella lettera e nello spirito della legge. Lo trova, tautologicamente,
soltanto grazie ad un modo "visionario" di percepirla, che sembra
frutto di pensiero desiderante.
Chi scrive è stato sempre convinto che le stanze degli studiosi non sono il
luogo di esercizio della sovranità popolare. Si propone pertanto di prendere la
norma esclusivamente per quello che dice nelle sue connessioni sistematiche.
Cercando di schivare gli sforzi arcani nell'iperuranio della
Begriffsjurisprudenz, per i quali si sente poco adatto.
8.-L'art. 140 bis, dalla prospettiva dell'oggetto del processo e del contenuto
del provvedimento, oltre che guardando alla sua collocazione, rappresenta uno
sviluppo delle azioni collettive già presenti nell'ordinamento e in particolare
dell'inibitoria generale come più sopra ricostruita. Con notevoli passi in
avanti, di cui mi occuperò tra poco. Ma anche con un deplorevole passo indietro
del quale voglio occuparmi subito.
La ricostruzione dell'efficacia dell'azione collettiva inibitoria a favore dei
singoli consumatori per quanto riguarda l'accertamento della responsabilità
dell'impresa non può venir estesa all'azione collettiva risarcitoria. Qui il
legislatore è stato chiarissimo nel restringere l'efficacia della sentenza
collettiva, sia a favore che contro i singoli consumatori, a quelli di essi che
abbiano aderito o siano intervenuti. Il comma quinto del nuovo art. 140 bis
recita, questa volta con la massima chiarezza: "la sentenza che definisce
il giudizio promosso ai sensi del comma 1 fa stato anche nei confronti dei
consumatori o utenti che hanno aderito all'azione collettiva o che sono
intervenuti nel giudizio"[34]. Dal che bisogna desumere, a contrario, che
non fa stato nei confronti dei consumatori o utenti non intervenuti né
aderenti. Conclusione confermata dalla previsione immediatamente successiva,
secondo cui "è fatta salva l'azione individuale" di questi ultimi. La
contraria opinione, pur autorevolmente espressa[35], secondo cui anche i
consumatori estranei al giudizio possono avvalersi della sentenza favorevole
purtroppo non può essere accolta. A parte l'argomento letterale va sottolineato
che, se così davvero stessero le cose, non sarebbe fatta propria da alcuno la scelta
di aderire all'azione risarcitoria. Si tratterebbe di una scelta suicida, visto
che con l'adesione si corre il rischio di subire gli effetti della sentenza di
rigetto, che il consumatore estraneo non subirebbe affatto.[36]
L'aver ristretto l'efficacia del giudicato ai soggetti a vario titolo partecipi
del giudizio comporta anche un pericolo sul piano dell'interpretazione della
normativa previgente. Diventa a questo punto assai probabile che perda
definitivamente terreno la tesi circa l'efficacia ultra partes e secundum
eventum dell'inibitoria. Per l'interprete diventa difficile spiegare come mai
l'accertamento della responsabilità dell'impresa in sede di azione inibitoria
giovi incondizionatamente ai singoli consumatori e invece lo stesso accertamento
in sede di azione risarcitoria giovi solo ai consumatori aderenti o
intervenuti. Anche perché, cosa ovvia, azione inibitoria e azione risarcitoria
ben possono essere esercitate cumulativamente dalle associazioni legittimate ai
sensi dell'art. 140.
I passi in avanti derivano da un campo più vasto di applicazione del nuovo
strumento di tutela in confronto all'inibitoria.
Nell'azione risarcitoria possiamo avere l'accertamento del diritto al
risarcimento del danno in casi, presumibilmente assai numerosi, nei quali
l'inibitoria non sarebbe proponibile. Basti pensare ad un atto illecito che
provochi danni ad una massa di consumatori ed utenti, ma che non sia
conseguenza di un comportamento continuativo dell'impresa, idoneo a legittimare
l'esercizio dell'inibitoria. Ad esempio, il disastro aereo dovuto a colpa del
pilota, invece che alla cattiva manutenzione degli aerei.
Inoltre l'azione risarcitoria può condurre non solo all'accertamento
dell'illecito contrattuale o extracontrattuale dell'impresa -accertamento a cui
sempre si limita l'inibitoria. Può condurre anche alla determinazione dei
"criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere o da
restituire ai singoli consumatori o utenti che hanno aderito all'azione
collettiva o che sono intervenuti nel giudizio". In più "se possibile
allo stato degli atti, il giudice determina la somma minima da corrispondere a
ciascun consumatore o utente" (scilicet, aderente o intervenuto).
Qui bisogna intendersi: siamo sempre di fronte a capi diversi di una sentenza di
accertamento. Mai di condanna a favore di singoli. Tutte le possibili
determinazioni successive sono determinazioni "in astratto" su
questioni comuni, rese possibili da particolarità della fattispecie. Ce lo dice
con chiarezza non solo il linguaggio adottato dal legislatore, ma soprattutto
la circostanza dell'uso reiterato del termine "collettivo" per
indicare il tipo di tutela giurisdizionale che ci troviamo di fronte.
Per meglio comprendere il dettato legislativo conviene riflettere sulla
variegata tiplogia delle possibili azioni risarcitorie.
1) da un lato abbiamo ipotesi dove la liquidazione dei danni o il calcolo
dell'importo delle restituzioni è frutto di calcoli elementari e di criteri
uniformi da applicare a ciascun avente diritto e nello stesso tempo non
residuano altre questioni da decidere. Si pensi al caso che venga dichiarato il
diritto alla restituzione di somme pagate ad una società telefonica per consumi
dovuti all'abilitazione di numerazioni fuori del controllo dell'utente; oppure
al caso che venga dichiarato il diritto al risarcimento del danno a favore di
sottoscrittori di azioni che hanno subito gravi perdite rispetto al prezzo di
sottoscrizione, in presenza di omissioni o falsità nel prospetto informativo;
2) d'altro lato abbiamo ipotesi dove non solo è particolarmente complicata la
determinazione del se e il quanto del danno subito dal singolo consumatore, e
magari è possibile mettere in discussione il nesso di causalità, ma addirittura
la singolarità della fattispecie esonera l'imprenditore dalla responsabilità
(si pensi alle pretese di risarcimento dei danni per difettosità di un
prodotto, quando il giudice accerti il mancato assolvimento dell'onere della
prova circa il fondamento della domanda proposta dal singolo consumatore, oppure
alla trattativa individuale che fa venir meno l'abusività di una clausola ai
sensi dell'art. 34 quarto comma codice del consumo).
Orbene, nella seconda classe di ipotesi in sede collettiva il giudice non potrà
che limitarsi all'accertamento della responsabilità dell'impresa per la messa
in circolazione del prodotto difettoso Tutti gli altri elementi che integrano
il diritto al risarcimento del danno del singolo e la relativa liquidazione
dovranno essere oggetto della controversia individuale. Non possono formare
oggetto di accertamento nel giudizio collettivo per la semplice ragione che non
si tratta di elementi comuni a tutti, per chi ritiene di non poter costruire
l'azione collettiva come un'aggregazione delle cause individuali di aderenti e
intervenuti, volendo evitare gli inconvenienti più sopra analiticamente
denunciati
Nella prima classe di ipotesi, invece, un maggior numero di elementi della
fattispecie potranno già venir accertati in sede collettiva. Per fare un altro
esempio, torniamo al disastro aereo, senza superstiti. Qui il singolo erede
dovrà allegare e in caso di contestazione dimostrare la qualità e cioè la
legitimatio ad causam nel successivo giudizio individuale. Ma, se ha aderito,
la sentenza collettiva farà stato a suo favore non solo sulla responsabilità
della compagnia, ma anche sul se del danno oltre che sul nesso di causalità. In
più il giudice potrà determinare, oltre ai criteri in base ai quali liquidare
la somma da corrispondere, anche la somma minima dovuta, ai sensi del comma 4°
dell'art. 140 bis.
Comunque, in base allo jus quo utimur -magari da opportunamente rivedere-si
tratterà pur sempre di un capo di accertamento, non suscettibile di essere
accompagnata da una provvisionale dello stesso ammontare predeterminato, né di
costituire titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale[37]. Conclusione
avvalorata dalla stessa disciplina della conciliazione successiva disciplinata
dalla prima parte del sesto comma dell'art. 140 bis. Qui si ricava che
l'esecutività della determinazione giudiziale risulta condizionata dalla
successiva proposta conforme dell'impresa e dall'accettazione di aderenti e
intervenuti.
9.- Una breve osservazione finale. E' difficile sfuggire alla sensazione che
coloro i quali, con maggiore o minor coerenza costruiscono l'azione ex art. 140
bis come un'aggregazione di domande individuali gestite dal proponente non
siano soltanto mossi dall'ammirazione per la class action. Sembra altresì che
essi si sentano disturbati dalla novità di trovarsi dinanzi questioni comuni
che integrano elementi delle singole fattispecie che danno origine al diritto
al risarcimento dei singoli. Ma non bisogna farsi prigionieri dell'incrocio o
meglio dalla sovrapposizione tra interesse collettivo di cui si fa portatore
l'ente esponenziale e diritti dei singoli, così da pensare (a torto) che sia
impossibile separarli concettualmente, ascrivendo a ciascuno la dovuta
autonomia. Dal punto di vista dell'azione risarcitoria ciò che conta è
esclusivamente la valenza collettiva delle questioni comuni. Molti parlano al
riguardo di diritti "isomorfi" Può anche andar bene. A patto sia
chiaro che l'attore dell'azione collettiva fa valere esclusivamente
l'"isomorfia".
* questo saggio è destinato agli Studi in onore di Modestino Acone.
[1] Cfr. CONSOLO, E' legge una disposizione sull'azione collettiva
risarcitoria: si è scelta la via svedese dello "opt-in" anziché
quella danese dello "opt out" e il filtro ("L'inutil
precauzione"), in Corr. Giur. 2008, p. 5.
[2] Cfr. www. Corriere.it del 15 novembre 2007.
[3] A patto però di rovesciare specularmene la terminologia prescelta dai
singoli parlamentari proponenti e dallo stesso governo. Come ho avuto occasione
di sottolineare, in Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei
consumatori, in Riv. dir. proc., 2007, p. 568 s.,la proposta di legge n. 1834,
di iniziativa del deputato Pedica; la proposta n. 1443 di iniziativa dei
deputati Poretti e Capezzone, la proposta n. 1330 di iniziativa del senatore
Fabris sono tutte proposte chiaramente ispirate al modello nordamericano della
azione di classe (azione a legittimazione individuale; giudizio preventivo di
ammissibilità, nomina del c.d. curatore amministrativo). Ma le azioni ivi
previste sono denominate, azione collettiva (proposta Fabris), oppure azione
giudiziaria collettiva (proposte Poretti e Pedica).
Per converso, la proposta di legge di iniziative dei ministri Bersani e
Mastella, la proposta n. 1662 di iniziativa del deputato Buemi e altri, la
proposta n. 679 di iniziativa del senatore Benvenuto sono tutte proposte che si
limitano a segnare un'evoluzione (neanche così marcata) dell'azione collettiva
inibitoria già presente per il nostro ordinamento nel ricordato art. 140 del
codice del consumo. Ma le azioni ivi previste sono denominate, in inglese,
class action nella relazione della prima proposta e addirittura nella rubrica
del primo articolo delle ultime due[3], con una non molto lodevole
manifestazione di esagerato cosmopolitismo.
La ragione di questa singolare inversione terminologica è un mistero. Si
potrebbe forse pensare che i proponenti di una semplice, piccola evoluzione di
un meccanismo giurisdizionale da anni presente nel nostro ordinamento l'abbiano
voluta verniciare con un riferimento di gran moda e che, per converso, i proponenti
dell'importazione del modello nordamericano abbiano scelto l'understatement
allo scopo di far passare più facilmente una vera e propria rivoluzione che ha
trovato un certo numero di oppositori al tempo di analoghe iniziative della
passata legislatura. Opportuno comunque sottolineare che la terminologia e la
contrapposizione adottate nel testo sono sì stipulative, ma si adeguano alla
discussione in corso nel nostro paese. Non rendono, invece, giustizia ai
giuristi nordamericani che parlano indifferentemente di collective o di class
action con riferimento al medesimo fenomeno processuale.
[4] Val la pena di notare che la legittimazione all'azione di classe non è
limitata negli Usa all'universo dei consumatori, anche se la maggior parte
delle azioni viene instaurata a loro tutela. Si danno anche azioni di classe
risarcitorie a tutela dei diritti civili e della pubblica salute contro
disastri ambientali. E si danno anche azioni di classe passive, come quella
contro una diocesi cattolica in situazione di bankrupcy, che ha visto eleggere
a membri della classe tutti i cattolici residenti nella sua circoscrizione, a
difesa dei loro interessi minacciati dalla vendita dei beni, in particolare
degli edifici adibiti a scuola.
[5] Si veda l'analisi di BRIGUGLIO, L'azione collettiva risarcitoria, Torino,
2008, passim.
[6] Cfr. CONSOLO, in CONSOLO-BONA-BUZZELLI, Obiettivo Class Action: l'azione
collettiva risarcitoria, Milano 2008, p. 240.
[7] Cfr. COSTANTINO nel saggio a nota 17.
[8] Ad esempio VIETTI, in un recente convegno torinese.
[9] Alla stessa conclusione giunge GIUSSANI, Azioni collettive risarcitoria nel
processo civile, Bologna, 2008, p. 226, in base al diverso argomento secondo
cui "la situazione di vantaggio avente per oggetto la pronuncia di un
provvedimento di portata superindividuale presenta un contenuto meramente
processuale"; v. anche Carratta, L'azione collettiva risarcitoria e
restitutoria: presupposti ed effetti, in Riv. dir. proc., 2008, § 13.
[10] Cfr. Consolo, È legge una disposizione sull'azione collettiva
risarcitoria, cit., p. 5 ss.
[11] La si trova in Per la chiarezza di idee, cit., p.
[12] Rubo l'espressione a VERDE, Sulla" minima unità strutturale"
azionabile nel processo (a proposito di giudicato e di emergenti dottrine), in
Riv. dir. proc., 1989, p. 573 ss.
[13] se l'impresa non avrà attivato forme di conciliazione di massa, cosa per
essa in molti casi assai conveniente.
[14] Cfr. per tutti e da ultimo un autorevole studioso del giudicato come
MENCHINI, in La tutela giurisdizionale dei diritti individuali omogenei:
aspetti critici e prospettive ricostruttive, in Le azioni seriali, Napoli,
2008, p. 83 ss.
[15] Manifestate da CARRATTA, Brevi osservazioni sull'inibitoria a tutela di
consumatori e utenti, in Giusto processo civile e procedimenti decisori
sommari, a cura di Lanfranchi, Torino, 2001, p. 132..
[16] CONSOLO, Obiettivo, cit., p. 177 ss.; GIUSSANI, L'azione collettiva
risarcitoria, cit., p.; Carratta, Azione collettiva, cit., § 8; VIGORITI,
Impossibile la class action in Italia?, in Resp. Civ. e prev., 2006, p. 38 sono
favorevoli all'introduzione di un meccanismo di opt out nel nostro ordinamento
(a differenza d'altri, v, ad esempio, da ultimo MENCHINI, La nuova azione
collettiva risarcitoria e restitutoria, in Il giusto processo civile, 2008, p.
43) e non pensano che vi siano ostacoli di ordine costituzionale. Lo penso
anch'io. Ma dovremmo contare su una giurisprudenza della Corte costituzionale
più attenta ai valori coinvolti e meno agli ostacoli che risulterebbero da un'interpretazione
formalistica del combinato disposto degli art. 24 comma 1° Cost, 2909 c.c. e
101 c.p.c.
[17] Cfr., per questo suggerimento, COSTANTINO, Note sulle tecniche di tutela
collettiva, in Riv. dir. proc., 2004, p. 1030 s.
[18] Basterà ricordare il caso delle migliaia di cause di lavoro contro le
ferrovie di qualche anno fa (caso famigerato, che avrebbe dovuto interessare
qualche procura della repubblica per la resistenza delle ferrovie di fronte
all'evidenza del torto); l'enorme numero di cause previdenziali per pochi euro
in certe regioni del paese; l'ancora più enorme numero di cause davanti al
giudice di pace per il risarcimento di danni da black out elettrico o per il
risarcimento di danni da accordi di cartello tra compagnie assicuratrici della
responsabilità civile da incidente stradale.
[19] Cfr., Modelli di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, in
Aa.Vv., La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura
di L. Lanfranchi, Torino 2003, p. 65.
[20] Lo riconosce anche un convinto apologeta del modello nordamericano come
GIUSSANI, in Controversie seriali e azione collettiva risarcitoria, in Riv.
dir. proc.,2008, p. 467.
[21] Questa impostazione non è condivisa da MENCHINI, La nuova azione
collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., p. 45, a cui giudizio la
soluzione intermedia accolta dall'art. 140 bis eviterebbe "gli abusi e le
distorsioni che hanno caratterizzato, negli ultimi decenni, l'esperienza
nordamericana, soprattutto sotto l'aspetto del ruolo assunto, in quegli
ordinamenti, dagli studi legali, quali promotori delle domande risarcitoria di
classe".
[22] RUFFINI, Legittimazione ad agire, adesione ed intervento nella nuova
normativa sulle azioni collettive risarcitorie e restitutorie di cui all'art.
140 bis del codice del consumo, in Studi in onore di Punzi, Torino 2008, Vol.
I, p. 456 approva l'estensione della legittimazione, osservando che mantenere
al restrizione "si sarebbe posto in conflitto con gli obiettivi perseguiti
dal legislatore, individuabili principalmente nella emersione di esigenze di
giustizia altrimenti destinate a rimanere insoddisfatte, nella prevenzione
degli illeciti plurioffensivi e nell'economia processuale". L'innovazione
è valutata positivamente anche da Menchini, Op. loc. cit. e da Carratta, Azione
collettiva, cit., § 5.
[23] Senza contare poi che, come è stato giustamente sottolineato da CONSOLO,
in Obiettivo class action, cit., p156, la manifesta infondatezza deve
"riguardare più che altro una prognosi in jure, visto che la fase
preliminare del giudizio di ammissibilità non si presta ad una penetrante
verifica dei fatti". Nello stesso senso Carratta, Azione collettiva, cit.,
§ 7.
[24] Cfr. Litisconsorzio «aggregato». L'azione risarcitoria in forma collettiva
dei consumatori, in corso di pubblicazione in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008.
[25] CONSOLO, in Obiettivo Class Action, cit., p. 143 ss.
[26] In L'azione collettiva risarcitoria nell'art. 140 bis cod. cons., in corso
di pubblicazione in Riv. dir. proc., 2008.
[27] Non intendo occuparmi a fondo dell'intervento, che sarebbe stato meglio
omettere di prevedere. Mi limito ad osservare che non sembra opportuno
interpretarlo come se si trattasse dell'esercizio dell'azione individuale entro
la controversia collettiva, con tutte le complicazioni che ne potrebbero
derivare in termini di economia del giudizio. Anche se è vero che questa è per
ora la tesi più diffusa: cfr. per tutti COSTANTINO La tutela collettiva
risarcitoria: note a prima lettura dell'art. 140 bis cod. consumo, in Foro it.,
2008, V, c 24; Carratta, Azione collettiva, cit., § 8. Osservo in contrario: il
legislatore ha chiaramente stabilito che l'intervento è ammesso "per
proporre domande aventi il medesimo oggetto". Ovviamente, il medesimo
dell'azione collettiva. D'altra parte, se si tiene conto che gli intervenuti
hanno tutti i poteri processuali (dei quali sono invece totalmente privi gli
aderenti) non occorre molta fantasia casistica per immaginare quando
l'intervento del singolo può essere molto utile per l'accoglimento della
domanda collettiva, specialmente sul piano istruttorio.
[28] Oltre che provocare gli effetti interruttivi della prescrizione previsti
al secondo comma. Dal che si desume l'insufficienza della comunicazione al
proponente. Malgrado il silenzio del legislatore occorrerà esigere anche che le
adesioni siano rese note al convenuto, almeno con la produzione in giudizio.
[29] Op. cit., p. 188.
[30] Questa sembra essere l'ultima evoluzione del pensiero di CAPONI in Oggetto
del processo e del giudicato ad assetto variabile (note in margine alla
polemica sull'azione collettiva risarcitoria), in corso di pubblicazione in
Foro it., 2008 numero di giugno. Trovo qui una bella metafora per
concettualizzare quanto esposto più avanti nel testo a proposito della
differente possibile tipologia delle azioni risarcitoria dovuta al più o meno
ampio ambito delle questioni comuni a tutti i danneggiati e che avevo gia avuto
occasione di anticipare nell'intervento, per mia inettitudine non pubblicato,
in Le azioni seriali, Atti del convegno tenutosi presso l'Università di Pisa a
cura di Menchini il 4 e 5 maggio 2007, Napoli, 2008, ma ricordato in Una breve
replica di PELLEGRINI GRINOVER, ivi, p. 235.
[31] Cfr. CONSOLO, Obiettivo, cit., nel luogo già citato alla nota 6.
[32] Difficile una conclusione diversa, quando leggo in CONSOLO, Obiettivo
Class Action, cit., p. 189 "Dire che le adesioni ricevute e accolte
possono venire introdotte lungo tutto il corso processuale significa
chiaramente dover offrire al convenuto, ogniqualvolta arrivi un nuovo credito
(corsivo mio), una possibilità rinnovata di "difendersi provando",
ben dopo le "canoniche" scadenze del rinnovato art. 183 c.p.c. Ma il
dubbio sul punto di vista di questo autore ritorna, quando in altro luogo leggo
in Op. cit., 240, che, secondo un'opzione interpretativa, si dovrà riconoscere
all'impresa convenuta nel giudizio individuale dal singolo consumatore
"una certa lata facoltà di opporre allo stesso ancora contestazioni
specifiche e personali...per esempio l'intervenuta prescrizione". In
sostanza, come dire che si ha una condanna con riserva delle eccezioni di
merito individuali. Per poi però subito dopo non rifiutare l'opzione
ricostruttiva che vuole il convenuto sollevare già nel giudizio collettivo le
contestazioni individuali contro il singolo aderente, "con conseguente
definitivo accertamento implicito o comunque preclusione del potere di
sollevare poi l'eccezione nel giudizio individuale", e sostenere altrove,
p. 204, che la sentenza si spinge "ben oltre lo schema della mera azione
collettiva sulle questioni comuni.
[33] Conviene qui sottolineare che ricostruire l'azione collettiva come un
aggregato di domande individuali comporta una durata irragionevole del processo
anche se la disciplina non prevedesse questi pretesi "regressi".
STIER B.G., Resolving the Class Action Crisis: Mass Tort Litigation as Network,
in Utah Law Review, 2005, p. 865, nota 12, ricorda che in Arch v. Am. Tobacco
Co., 175 F.R.D. 469, 488 n.19 (E.D. Pa. 1997) il giudice osserva : "tobacco
class-action trial would take approximately 250 years even if only one hour
were used for individual issues per class member").
[34] cioè, oltre che nei confronti degli intervenuti. Non mi pare che
l'avverbio sia interpretabile nel senso che la sentenza fa comunque stato nei
confronti delle associazioni che non hanno proposto l'azione, come suggerisce
CONSOLO, Obbiettivo Class Action, cit., p. 207 ss.
[35] MENCHINI, La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., p.
53.
[36] Così, molto giustamente, CONSOLO, Obiettivo, cit., p. 210.
[37] Così anche COSTANTINO, La tutela collettiva cit., c. 23.
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