ProcCivile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 20/09/2014 Scarica PDF
Prime note sulle "Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile"
Luigi D'Agosto e Sonia Criscuolo, AvvocatiSommario: 1. Una breve panoramica sui temi d’intervento e sulla scansione temporale di efficacia del nuovo articolato normativo. 2. Il trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria. 3. La procedura di negoziazione assistita da un avvocato. 3.1. Segue: la procedura di negoziazione assistita come condizione di procedibilità ed esclusioni. 3.2. Il ruolo e le funzioni degli avvocati nella procedura di negoziazione assistita. 4. La separazione consensuale, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’Ufficiale dello Stato civile. 5. Le altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione. In particolare: La trasformazione del rito ordinario in rito sommario. 6. Le dichiarazioni scritte rese al difensore. 7. Nuove norme sul processo esecutivo. 7.1. Segue: Il deposito della nota di iscrizione a ruolo e dei titoli nel procedimento per espropriazione mobile, immobile e presso terzi. 7.2. La ricerca dei beni da pignorare con modalità telematiche. 7.3. Le novità in tema di pignoramento presso terzi.
1. Una breve panoramica sui temi d’intervento e sulla scansione temporale di efficacia del nuovo articolato normativo
L’ennesimo, tanto atteso, prodotto dell’oramai inflazionato abuso della decretazione d’urgenza ha visto finalmente la luce con il Decreto legge, approvato il 12 settembre 2014, n. 132, pubblicato in Gazzetta Ufficiale al numero 212, del 13 settembre 2014, a mezzo del quale il Governo è intervenuto,con una ventina di articoli, sia attraverso la modifica e l’introduzione di diversi istituti in senso più propriamente deflattivo rispetto al processo, sia attraverso misure di semplificazione e snellimento processuale tanto in fase di cognizione quanto in fase di esecuzione.
Si collocano nell’ambito della prima categoria le norme di cui, rispettivamente, al capo I (“Eliminazione dell’arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti”), ai capi II (“Procedura di negoziazione assistita da un avvocato”) e III (“Ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio”), questi ultimi, appunto, attraverso l’implementazione della negoziazione assistita quale condizione di procedibilità in alcuni procedimenti e quale strumento facoltativo, pur sempre alternativo a quello giurisdizionale, in qualsiasi materia nell’ambito dei diritti disponibili, compreso il diritto del lavoro (rispetto al quale l’accordo eventualmente concluso è destinato a produrre gli effetti di cui all’art. 2113, comma 4, c.c.) e, infine, utilizzabile persino per la soluzione consensuale della separazione personale, della cessazione degli effetti civili e dello scioglimento del matrimonio e della modifica delle relative condizioni.
Il potenziamento della negoziazione assistita da un avvocato, in particolare, ci pare assurgere a vero liet-motive di questa riforma.
Sono stati, infatti, individuati due gruppi (ad ampia latitudine) di controversie per le quali l’istituto si pone come condizione di procedibilità e si è così imposto, da un lato, al Giudice, il dovere di valutare la mancata risposta entro il termine di trenta giorni (ovvero il rifiuto) all’invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita ai fini della distribuzione delle spese del giudizio, della condanna al risarcimento del danno per lite temeraria e al pagamento di un’ulteriore somma equitativamente a determinarsi dal magistrato, e della stessa concessione dell’immediata esecutività del decreto ingiuntivo ex art. 642, comma 1, c.p.c.; correlativamente si è imposto all’avvocato, dall’altro,l’obbligo, ai sensi dell’art. 4 d.l., cit., di formulare esplicito avvertimento, da inserire nell’invito stesso, circa le sopra accennate conseguenze negative della mancata risposta o rifiuto alla richiesta di stipulazione della convenzione di negoziazione assistita.
Accanto a tale strumento, inoltre, il Governo ha predisposto un’ulteriore misura di degiurisdizionalizzazione in cui, per l’assenza (in essa) di pattuizioni relative a trasferimenti di carattere patrimoniale, non è nemmeno richiesta la presenza dell’avvocato; si tratta, in particolare, dell’accordo di separazione personale, di cessazione degli effetti civili e dello scioglimento del matrimonio ovvero di modifica delle relative condizioni innanzi all’ufficiale dello stato civile (art. 12, d.l., cit.).
Si collocano, invece, tra le misure di semplificazione e snellimento processuale, la disposizioni di cui ai capi IV (“Altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione”) e V (“Altre disposizioni per la tutela del credito nonché per la semplificazione e l’accelerazione del processo di esecuzione forzata e delle procedure concorsuali”).
Tra gli strumenti di accelerazione del processo nella fase di trattazione e istruttoria dei procedimenti di cognizione ordinari, merita ricordare, in particolare:
- il potere del Giudice monocratico di disporre, con ordinanza non impugnabile, la prosecuzione del processo nelle forme del rito sommario, ai sensi dell’art. 702 – ter, c.p.c. (art. 14, d.l., cit.);
- l’introduzione delle dichiarazioni scritte rese da terzi al difensore, e dallo stesso assunte unilateralmente al di fuori del processo e del contraddittorio (art. 15, d. l., cit.);
- la riduzione del periodo di sospensione feriale dei termini processuali e del periodo di ferie dei magistrati (art. 16, d. l., cit.);
Non mancano, inoltre, misure volte a migliorare l’efficienza del processo esecutivo, tra le quali, l’introduzione di termini ristretti per l’iscrizione a ruolo dello stesso e il deposito dei titoli in copia autentica, a pena di inefficacia del pignoramento (art., 18, d. l., cit.),la modifica relativa al foroper l’espropriazione forzata di crediti (art. 19, comma 1, lett. a, b, d.l., cit.), della ricerca con modalità telematiche dei beni pignorabili (art. 19, comma 1, lett. c), l’anticipazione della liberazione degli immobili al momento dell’autorizzazione alla vendita (art. 19, comma 1, cit., lett. h), la modifica della disciplina dei provvedimenti circa i beni mobili estranei all’esecuzione con misure più incisive e volte a ridurre il rischio di inutili rallentamenti (art. 19, comma 1, cit., lett. i).
Pur sempre riconducibili alla finalità di ridurre il contenzioso e nel contempo di incrementare l’efficienza delle corti, ci pare debbano essere considerate anche alcune modifiche finalizzate a scoraggiare lo stesso abuso del processo.
Anzitutto, proprio l’art. 13, del decreto in commento, attraverso la modifica dell’art. 92, comma 2, c.p.c., sul potere discrezionale (fino a oggi arbitrariamente utilizzato da parte) dei giudici di disporre la compensazione delle spese di lite, ha l’ambizione di rinsaldare il criterio di soccombenza attraverso la riduzione a ipotesi vincolate dei casi di compensazione delle stesse (ossia, al caso della soccombenza reciproca, della novità della questione trattata e del mutamento della giurisprudenza).
Nello stesso segno sembra doversi collocare anche la misura introdotta, sotto la rubrica “misure per il contrasto del ritardo nei pagamenti”, dall’art. 7, d.l. 132/14, cit., che, con i due ultimi nuovi commi introdotti all’art. 1284, codice civile, prevede l’applicazione generalizzata, durante la pendenza del processo di cognizione, così come del giudizio arbitrale, del saggio di interessi previsti dal d.lgs. 231/2002 per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali – in mancanza di preventivo accordo tra le parti.
Desta, però, non poche perplessità, già a una prima lettura, la scansione temporale di efficacia delle misure introdotte dal decreto; solo alcune, infatti, sono destinate a entrare in vigore con il decreto in commento.
Tra queste, in particolare, la previsione del trasferimento (su istanza congiunta delle parti) alla sede arbitrale dei procedimenti pendenti in primo e in secondo grado (art. 1, d.l., cit.), la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato facoltativa (art. 2), quella per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio (art. 6), il riconoscimento dell’efficacia di titolo esecutivo anche per l’iscrizione di ipoteca giudiziale anche all’accordo che compone la controversia e sottoscritto dalle parti e dai rispettivi avvocati (art. 5), l’estensione della non impugnabilità ex art. 2113 c.c. agli accordi di conciliazione aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro, conclusi a seguito di procedura di negoziazione assistita da un avvocato (art. 7), il riconoscimento dell’efficacia interruttiva della prescrizione e (per una sola volta) della decadenza alla comunicazione dell’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero alla sottoscrizione della convenzione (art. 8), l’utilizzazione delle dichiarazioni rese da terzi al difensore al di fuori del processo e del contraddittorio (art. 15).
Sono, invece, destinate ad acquistare efficacia decorsi i novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, l’art. 3, del decreto, che eleva a condizione di procedibilità l’invito alla stipulazione della convenzione assistita da un avvocato per le controversie in tema di risarcimento del danno da circolazione stradale di veicoli e natanti, e di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti gli euro cinquantamila - e conseguentemente, deve ritenersi, anche l’art. 4, sulle conseguenze della mancata accettazione e del rifiuto all’invito.
Viene, inoltre, differita - al trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto che si commenta - l’applicazione delle norme sugli accordi di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di scioglimento dello stesso, nonché di modifica delle relative condizioni, avanti l’ufficiale dello stato civile (art. 12, comma 7, d.l., cit.).
Analogamente si stabilisce per il nuovo regime di compensazione (residuale e vincolata) delle spese di lite, di cui all’art. 13, cit., applicabile, ai sensi del comma 2 dello stesso, ai soli procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto; e così anche per il potere del Giudice di disporre il passaggio dal rito ordinario al rito sommario (art. 14, cit..), per il nuovo saggio legale degli interessi durante i procedimenti di cognizione (art. 17, cit.), per le disposizioni sull’iscrizione a ruolo, sull’efficienza e sulla semplificazione dei processi esecutivi (artt. 18, cit., e 19, cit.); tra queste ultime, anzi, l’applicazione delle norme sul potere di autenticazione del difensore degli atti, dei titoli e del precetto nonché del deposito telematico di essi e della nota di iscrizione a ruolo, è stata rinviata al 31 marzo 2015.
Differita viene, altresì, anche l’efficacia delle norme sul monitoraggio delle procedure esecutive individuali e concorsuali e sul deposito della nota di iscrizione a ruolo con modalità telematiche (art. 20, d.l., cit.), nonché sui tramutamenti successivi dei magistrati (art. 21, d.l., cit.).
Considerati, dunque, i numerosi rinvii applicativi, alcuni dei quali riguardanti le misure forse maggiormente qualificanti del nuovo articolato normativo, i dubbi sulla sussistenza dei presupposti di legittimità della decretazione d’urgenza appaiono più che giustificati.
2. Il trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria
L’art. 1 del decreto in commento attribuisce alle parti il potere di chiedere, con istanza congiunta, nelle cause civili innanzi al tribunale o in grado di appello, di promuovere un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni del Titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile.
Tale facoltà vale per le cause pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legge, a precise condizioni:
- che non abbiano a oggetto diritti indisponibili, in linea con la disciplina vigente in tema di arbitrato;
- che non vertano in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale;
- che le cause, nell’ambito delle quali venga presentata l’istanza di “trasferimento”, non siano state assunte in decisione.
Il comma 2 dell’art. 1, poi, attribuisce al giudice il dovere di verificare la sussistenza delle predette condizioni e, al presidente del consiglio dell’ordine del circondario in cui ha sede il tribunale o la corte d’appello, cui dovrà essere trasmesso il fascicolo dalla cancelleria su disposizione del magistrato, il dovere di individuare gli arbitri, in assenza di accordo tra le parti, scegliendoli tra gli avvocati iscritti da almeno tre anni all’albo dell’ordine circondariale, i quali non abbiano riportato condanne disciplinari definitive e che, prima della trasmissione del fascicolo al presidente, abbiano reso una dichiarazione di disponibilità al Consiglio stesso.
La norma non pone, ad avviso di chi scrive, particolari problemi, atteso che il legislatore ha opportunamente precisato, da un lato, all’art. 1, comma 3, che rimangono fermi gli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale, e che il lodo ha gli stessi effetti della sentenza, così salvaguardando il diritto di azione e difesa in un giudizio equo, costituzionalmente tutelato dagli artt. 3, 24 e 111, Cost.; e, dall’altro, al comma 2, che rimangono ferme le preclusioni e le decadenze intervenute. Né, su quest’ultimo punto, sarebbe stata ragionevolmente prospettabile una diversa soluzione, la quale magari importasse l’automatica rimessione in termini delle parti, considerato che il principio dell’onere di tempestiva allegazione assertiva e istruttoria delle parti, risponde non solo (e forse non tanto) al vigente sistema di preclusioni e decadenze disciplinato dal vigente codice di procedura civile, ma al dovere di lealtà e collaborazione delle parti nel processo, a sua volta, discendente dal dovere di solidarietà ex art. 2, Cost. e dal principio del giusto processo ad armi pari ex art. 111, Cost., di cui il primo è corollario.
Ai sensi dell’art. 1, comma 4, invece, per il caso di trasmissione alla sede arbitrale disposta in grado d’appello, ove il procedimento arbitrale non si concluda con la pronuncia del lodo entro centoventi giorni dall’accettazione della nomina del collegio arbitrale, il processo deve essere riassunto entro il termine perentorio dei successivi sessanta giorni e, appunto, quando il processo è riassunto il lodo non può più essere pronunciato.
Si prevede, poi, che, se nessuna delle parti procede alla riassunzione nel termine, il procedimento si estingue e si applica l’art. 338 c.p.c.; ma quando, a norma dell’art. 830, c.p.c., è stata dichiarata la nullità del lodo pronunciato entro il termine di centoventi giorni (di cui al primo periodo) o, in ogni caso, entro la scadenza di quello per la riassunzione, il processo deve essere riassunto entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di nullità.
Sennonché il richiamo alla nullità del lodo e la previsione dell’onere della riassunzione entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che la dichiara, contenuto nell’art. 1, comma 4, decreto, cit., parrebbero previsioni incompatibili con la disposizione del comma 2, dell’art. 830, c.p.c., che impone alla Corte d’appello, nei casi ivi previsti, di decidere anche la controversia nel merito, salva diversa convenzione delle parti.
Non è chiaro, dunque, se, con tale formulazione, l’art. 1, comma 4, intenda confermare che, in ogni caso di nullità del lodo, anche nelle ipotesi di cui all’art. 830, comma 2, c.p.c., alla Corte d’appello investita dell’impugnazione sia preclusa la decisione sul merito che, ex art. 1, comma 4, cit., rimarrebbe subordinata alla successiva riassunzione nel termine di sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di nullità; ovvero se, comunque, le parti possano validamente prevedere nell’istanza di trasmissione della causa alla sede arbitrale che la vertenza sia in ogni caso decisa nel merito dalla stessa Corte d’appello in caso di successivo annullamento del lodo; o, infine, se, per contro, il richiamo all’art. 830, c.p.c. contenuto nell’art. 1, comma 4, valga solo per le ipotesi di nullità diverse dalle ipotesi del comma 2.
La prima soluzione parrebbe, in verità, quella maggiormente in linea con lo spirito della norma e del provvedimento in cui essa è contenuta, costituendo comunque la previsione dell’onere della riassunzione nei termini previsti dall’art. 1, comma 4, del decreto citato, in ogni caso di pronuncia della nullità del lodo, un adempimento potenzialmente deflattivo dei carichi della giustizia.
Altro dubbio interpretativo riguarda la previsione dell’ultima parte dell’art. 1, comma 4, cit., che impone appunto l’onere della riassunzione nel caso di dichiarazione di nullità del lodo “pronunciato entro il termine di centoventi giorni di cui al primo periodo o, in ogni caso, entro la scadenza per la riassunzione”.
Appare, invero, pacifico il fatto che il riferimento al lodo pronunciato (“in ogni caso, entro la scadenza per la riassunzione”) debba intendersi riguardare la riassunzione per mancata pronuncia del lodo nel termine di legge susseguente alla trasposizione del giudizio dalla sede giurisdizionale (in grado di appello) a quella arbitrale (disciplinata dall’art. 1, comma 4, prima parte, d.l., cit.).
Né appare revocabile in dubbio che, pur nel silenzio della norma sul punto, in entrambi i casi disciplinati dall’art. 1, comma 4, d.l., cit., la “riassunzione” (tanto quella susseguente alla mancata pronuncia del lodo nel termine di centoventi giorni, quanto quella susseguente alla pronuncia di nullità del lodo di cui all’art. 1, comma 4, cit., ultima parte) debba avvenire avanti al giudice di secondo grado dal quale proviene il giudizio.
Lo stesso riferimento alla preclusione della pronuncia del lodo a processo riassunto, infatti, conferma che la riassunzione non può che avvenire avanti l’Autorità giudiziaria ordinaria e, conseguentemente, innanzi al giudice naturale e precostituito per legge ex art. 25 della Costituzione.
Tutt’altro che di immediata comprensione, tuttavia, rimane il coordinamento tra la prima, la seconda e l’ultima parte dell’art. 1, comma 4, cit.; ivi, in sostanza, si prevede, da un lato, che, se il lodo non venga pronunciato entro centoventi giorni dall’accettazione della nomina del collegio arbitrale, il processo debba essere riassunto nei sessanta giorni successivi; e, dall’altro, che, se il processo è riassunto, il lodo non possa essere pronunciato.
Quid iuris, allora, nel caso in cui il lodo venga pronunciato dopo lo spirare del termine di centoventi giorni dall’accettazione della nomina del collegio arbitrale, ma prima della riassunzione del processo ad opera delle parti ?
È proprio questa l’ipotesi cui parrebbe riferirsi l’ultima parte dell’art. 1, comma 4, cit., nella parte in cui fa riferimento – per inciso - al caso in cui venga dichiarata la nullità del lodo pronunciato entro la scadenza del termine previsto per la riassunzione (e, quindi, successivo alla scadenza del termine di centoventi giorni).
Il dubbio è se la pronuncia successiva al termine di centoventi giorni, ma anteriore alla riassunzione, sia per ciò stesso motivo di nullità o meno.
Se, infatti, non pare dubbio che il lodo pronunciato fuori termine e dopo la riassunzione sia affetto da nullità per espressa previsione dell’art. 1, comma 4, seconda parte, del decreto, a tenor del quale “quando il processo è riassunto il lodo non può più essere pronunciato”; diversamente, nel caso in cui il lodo sia stato pronunciato tardivamente, dopo lo spirare dei centoventi giorni prescritti dall’art. 1, cit., ma anteriormente alla riassunzione, rimane dubbio se il lodo rimanga valido sempre e comunque o se, per contro, possa applicarsi, quantomeno in via analogica, il principio di cui all’art. 829, comma 1, n. 6, c.p.c., e dell’art. 821, c.p.c., dal cui combinato disposto discende che, ai fini della successiva impugnativa per ragioni connesse allo spirare del termine per la pronuncia del lodo, la parte che intenda farla valere come causa di nullità avrebbe l’onere di preventivamente notificare la propria volontà in tal senso alle parti e agli arbitri.
Diverse sono anche le perplessità che questa nuova disciplina suscita, anche sotto il diverso profilo dell’opportunità.
Anzitutto, la previsione di un termine, sia pure relativamente ristretto – rispetto a quello ordinario – per la pronuncia del lodo nel caso di trasmigrazione disposta in grado di appello, con decorrenza dall’accettazione della nomina del collegio arbitrale (la cui tempistica, di fatto, può essere tutt’altro che immediata), senza la previsione di un adeguato limite temporale entro cui quest’ultima debba intervenire, avvalora l’idea del rischio che il trasferimento del processo in sede arbitrale, quand’anche in grado di appello, possa rivelarsi, nell’ipotesi patologica (mancato rispetto del termine di centoventi giorni per la pronuncia del lodo), un rimedio, sotto il profilo della riduzione dei tempi di causa, peggiore del male, quanto meno in relazione all’interesse delle parti.
Sorge spontaneo, poi, chiedersi, nel caso di eccessiva dilatazione dei tempi di nomina e accettazione degli arbitri e di mancata pronuncia del lodo nel termine di centoventi giorni che costringa le parti a riassumere la causa davanti all’Autorità Giudiziaria, chi debba rispondere del conseguente danno da illegittimo allungamento del processo.
Non sembra, dunque, che questa nuova opportunità abbia serie e concrete possibilità di essere valorizzata, tanto più considerati gli elevati costi dell’arbitrato rispetto ai quali, la previsione dell’art. 1, comma 5, del decreto, che attribuisce alla potestà regolamentare del Ministero della giustizia la facoltà di eventualmente stabilire riduzioni dei parametri relativi ai compensi degli arbitri, non sembra dare adeguate garanzie di risparmio stante la sua genericità e l’intuibile incertezza sulla relativa e concreta attuazione; senza che, in senso contrario, l’esclusione (fisiologica e scontata, in un processo arbitrale destinato a rimpiazzare quello giudiziario e a condurre a un provvedimento equiparato in toto alla sentenza) della solidarietà delle parti al pagamento dei compensi arbitrali di cui all’art. 814, comma 1, seconda parte c.p.c., possa risultare decisiva nella valutazione dei contendenti, comunque astrattamente soggetti, tutti, all’alea del giudizio e delle relative spese esattamente come “complici nel dilemma del prigioniero”.
3. La procedura di negoziazione assistita da un avvocato
Altra novità, degna di nota, è senz’altro l’introduzione della procedura di negoziazione assistita da un avvocato.
Sotto un primo e generale profilo, pare evidente l’intento del Governo di legittimare il favor verso questa nuova misura di degiurisdizionalizzazione, tanto attraverso l’introduzione di filtri obbligatori quanto di misure di incentivazione.
Nella prima prospettiva, l’art. 3 del decreto, infatti, erige a condizione obbligatoria di procedibilità l’invio dell’invito a stipulare la c.d. “convenzione di negoziazione assistita”, per le cause relative a controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, nonché di pagamento a qualsiasi titolo di somme di danaro fino a euro cinquantamila compresi al di fuori dei casi previsti dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. 28/2010, in tema di mediazione obbligatoria - della quale, invero, la procedura negoziata assistita ricalca, quantomeno in parte, la disciplina - (ossia delle cause “in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari”).
Sono previste, inoltre, importanti e gravose responsabilità a carico degli stessi professionisti, dagli artt. 2, 4 e 5, del decreto, cui meglio accenneremo nei paragrafi successivi.
Per altro verso, la negoziazione assistita da un avvocato diventa anche una vera e propria opportunità, alternativa alla giurisdizione, per la separazione consensuale e la richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
L’art. 6, comma 2 del decreto, tuttavia condivisibilmente, esclude l’applicabilità dell’istituto nel diritto di famiglia in presenza di figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.
Naturalmente, ai sensi dell’art. 6, comma 3, del decreto, l’accordo eventualmente raggiunto a seguito della convenzione di negoziazione assistita terrà luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio e, salva diversa disposizione o eventuali modifiche nella emananda legge di conversione, dovrà essere conservato negli archivi istituiti presso l’ufficio dello stato civile[1], negli atti di matrimonio[2] e negli atti di nascita[3].
Il decreto reca, pertanto, alcune disposizioni necessarie per l’armonizzazione del nuovo istituto - il cui risultato ultimo, del resto, dovrebbe essere (almeno nelle più nobili intenzioni) un accordo destinato a produrre effetti in tutto e per tutto equiparati a quelli delle sentenze e dei provvedimenti giudiziari nei procedimenti in cui è applicabile – con le norme sulla prescrizione, sulla decadenza e sull’antiriciclaggio.
Si prevede, infatti, all’art. 8, che “dal momento della comunicazione dell’invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero dalla sottoscrizione della convenzione si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”, e che “dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l’invito è rifiutato o non è accettato nel termine di cui all’art. 4, comma 1, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione del termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati”.
Viene, altresì, modificato l’art. 12, comma 2, del d. lgs. 21 novembre 2007, n. 231, recante le norme sulla prevenzione del riciclaggio e del terrorismo, che ora esclude espressamente l’obbligo di segnalazione (ma, si deve ritenere, non da quello dell’identificazione e adeguata verifica della clientela) di operazioni sospette (di cui all'articolo 41 del d. lgs. 231/07, cit.), a carico dei professionisti, per le informazioni ricevute e/o ottenute sui propri clienti, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento ora, appunto ( ai sensi dell’art. 10, d. l., 132/14, cit.), “anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ai sensi di legge”.
Si tratta di modifica quanto mai opportuna giacché, in assenza di tale specificazione, la natura tipicamente negoziale dell’istituto avrebbe senz’altro comportato la ricomprensione dell’attività professionale svolta dall’avvocato in tale ambito tra quelle soggette agli obblighi di prevenzione antiriciclaggio e antiterrorismo, con la conseguenza che, nelle materie previste dall’art. 12, comma 1, lett. c), d. lgs. 231/07, cit., l’avvocato sarebbe stato appunto soggetto all’obbligo di segnalare eventuali operazioni sospette in cui avesse avuto motivo di ritenere coinvolto il proprio cliente: obbligo per sé difficilmente conciliabile con il diritto di difesa cui, anche l’istituto della negoziazione assistita afferisce giusta la sua funzione sostitutiva e deflattiva della giurisdizione cui l’accordo finale è integralmente equiparato quanto ad effetti.
L’art. 7, del decreto, introduce, infine, a chiusura del cerchio, una rilevante modifica all’art. 2113, quarto comma, del codice civile, che ora esclude l’impugnabilità delle rinunzie e delle transazioni aventi a oggetto diritti dei prestatori di lavoro, anche per le conciliazioni concluse a seguito di procedura di negoziazione assistita da un avvocato.
In altri termini, anche nelle cause di lavoro, le parti disporranno di un mezzo o un’alternativa, in più, per cercare la risoluzione conciliativa della controversia, con caratteristiche di stabilità pari a quelle che connotano gli altri istituti conciliativi previsti per questo tipo di cause, con anche le garanzie tipiche che questo istituto ha parzialmente mutuato dalla mediazione civile, di cui al d. lgs. 28/2010, puntualmente descritte all’art. 9 del decreto, tra le quali l’obbligo di riservatezza circa le informazioni ricevute, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese (e delle informazioni acquisite nel corso del procedimento) nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto, l’esenzione dall’obbligo di testimoniare sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite, per i difensori e per i soggetti che partecipano al procedimento e l’estensione a tutti i partecipanti al procedimento di negoziazione assistita delle garanzie previste a favore del difensore dagli artt. 103 e 200 del codice di procedura penale.
3.1. Segue: la procedura di negoziazione assistita come condizione di procedibilità ed esclusioni
Il procedimento di negoziazione assistita da un avvocato è strutturato, nelle cause in cui esso costituisce condizione di procedibilità, in modo abbastanza simile alla mediazione obbligatoria di cui al d.lgs. 28/2010.
Anche nella procedura di negoziazione assistita, come nella mediazione ex d. lgs. 28/2010, infatti, si prevede che l’improcedibilità possa essere eccepita solo su eccezione di parte, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice entro la prima udienza.
Il giudice, inoltre, quando rileva che la negoziazione assistita è condizione di procedibilità ed è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine fissato dalle parti nella convenzione, che comunque non può mai essere inferiore ad un mese.
Provvede, inoltre, allo stesso modo se non è stata esperita, assegnando (esattamente come nella mediazione) alle parti un termine di quindici giorni per la comunicazione dell’invito.
All’art. 3, comma 2, viene, altresì, opportunamente previsto un termine per l’adesione, pari a trenta giorni dalla ricezione dell’invito.
Scaduto, infatti, inutilmente il predetto termine di trenta giorni, senza che l’altra parte comunichi adesione, ovvero, qualora sia prestata adesione, il diverso e successivo termine per l’espletamento della procedura (stabilito dalle parti concordemente nella convenzione di negoziazione assistita, comunque non inferiore ad un mese), senza che essa giunga alla stipulazione di un accordo, comunque la condizione di procedibilità si considera avverata.
Sono previste, tuttavia, delle esclusioni dall’obbligo della procedura di negoziazione assistita quale condizione di improcedibilità.
Anzitutto, l’art. 3, comma 1, ultima parte, ne esclude l’applicazione alle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori.
In secondo luogo, ai sensi dell’art. 3, comma 3, del decreto, è escluso l’obbligo della procedura negoziata assistita per i procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, per i procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’art. 696-bis, c.p.c., per i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata – rimane dubbio, invece, se si possa ricomprendere in tale categoria anche l’eventuale azione di nullità degli atti di una procedura esecutiva, nei casi in cui non sia stata dedotta mediante l’opposizione ex art. 617 e 619 c.p.c., bensì mediante azione ordinaria, ove ammessa – nonché per i procedimenti in camera di consiglio e, infine, per le azioni civili esercitate nel processo penale.
Ai sensi dell’art. 3, comma 4, del decreto, l’esperimento della procedura di negoziazione assistita – che, comunque, è esclusa anche per i procedimenti urgenti e cautelari (tra i quali, dunque, è ricompreso l’accertamento tecnico preventivo per ragioni di necessità e urgenza ex art. 696 c.p.c.) - pur nei casi in cui essa è obbligatoria ai fini della procedibilità della domanda, non preclude la trascrizione della domanda giudiziale; una diversa soluzione sarebbe stata, invero, sicuramente e costituzionalmente illegittima, a tacer d’altro, per la violazione del diritto di azione e difesa in giudizio equo nonché del principio di effettività della tutela giurisdizionale, di cui agli artt. 3, 24, 111 e 113, Cost.[4].
La rilevanza dell’impatto dell’obbligatorietà della procedura di negoziazione assistita sul sistema di tutela del credito, inoltre, si coglie almeno sotto due importanti profili.
Mette conto rilevare, anzitutto, che, ai sensi dell’art. 3, comma 5 del decreto, restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati.
Ci si potrebbe, quindi, chiedere se, nei procedimenti rientranti nell’ambito dell’obbligatorietà della negoziazione assistita, già ricadenti sotto altre disposizioni che prevedano tentativi obbligatori di conciliazione e mediazione, debba farsi applicazione cumulativa delle relative norme con conseguente – e, a dir poco, irragionevole – moltiplicazione dei filtri e degli ostacoli di accesso alla giustizia a carico dei cittadini; o se, per contro, i filtri conciliativi debbano ritenersi in rapporto di specialità con conseguente applicazione meramente residuale e recessiva della procedura di negoziazione assistita, limitata ai casi non rientranti nell’ambito di applicazione di altre procedure conciliative o di mediazione.
Quest’ultima lettura parrebbe essere suffragata dall’espressa previsione che la procedura di negoziazione assistita è obbligatoria per le cause relative al pagamento, a qualsiasi titolo, di somme di danaro fino agli euro 50.000,00=, al di fuori delle ipotesi di danno da circolazione di veicoli e natanti (siccome già contemplati dalla prima parte del comma 1, dell’art. 3, d. l. in commento) e, soprattutto, delle ipotesi di cui all’art. 5, comma 1 bis, d. lgs. 29/2010 , per il quali, infatti, è comunque obbligatorio il preventivo ricorso al tentativo di mediazione.
Certo è che difficilmente pare potersi escludere il cumulo, per le cause di risarcimento del danno da circolazione stradale di veicoli e natanti, tra l’obbligo della procedura di negoziazione assistita e i filtri di accesso previsti (ora) dall’art. 145, d. lgs. 209/2005, e ss. mm., recante il vigente codice delle assicurazioni, per le domande di risarcimento del danno a cose e a persone, proponibili solo dopo il decorso del termine (rispettivamente) di sessanta e novanta giorni dall’invio di richiesta scritta, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, all’Assicurazione obbligata.
Una soluzione senz’altro più ragionevole, anche nell’ottica di un’interpretazione costituzionalmente orientata del coordinamento tra le discipline in questione, potrebbe essere quella di un cumulo relativo tra l’applicazione dei predetti filtri temporali e la condizione di procedibilità dell’esperimento della negoziazione assistita; nel senso che il danneggiato potrebbe esperire congiuntamente la richiesta di risarcimento del danno con contestuale invito alla stipulazione di convenzione di negoziazione assistita, di modo che il termine ultimo previsto dai filtri di cui all’art. 145 del codice delle assicurazioni assorba senza sommarsi a quello di trenta giorni per l’accettazione dell’invito alla stipulazione della procedura di negoziazione.
Le sopra accennate questioni finiscono per avvalorare l’idea di un concreto pericolo di inasprimento degli ostacoli frapposti ai cittadini nell’accesso alla giustizia sotto molteplici punti di vista e, non ultimo, dell’appesantimento burocratico e dell’allungamento dei tempi che, inevitabilmente, l’obbligo della procedura di negoziazione assistita comporta, quantomeno nell’ipotesi in cui all’invito segua un rifiuto o una mancata risposta dell’altra parte o, peggio ancora, la mancata conclusione dell’accordo al termine della procedura stessa.
Il pregiudizio che il cittadino rischia di subire da tale dilatazione dei tempi di accesso alla giustizia, a ben vedere, se certamente trova il suo contrappeso (forse) nell’interesse dello stato a una deflazione (o quantomeno a una razionalizzazione attraverso un contingentamento maggiormente scaglionato) nell’accesso dell’utenza al contenzioso, difficilmente può ritenersi scongiurato dall’esclusione dell’obbligo della procedura negoziata nei procedimenti urgenti, cautelari e monitori; né tantomeno adeguatamente compensato dalle misure di disincentivazione dell’abuso del processo quale quella di incremento del saggio di interessi - equiparati (attraverso l’aggiunta di un quarto e un quinto comma all’art. 1284, c.c.) dall’art. 17, del decreto, nel caso di mancata determinazione convenzionale delle parti, a quelli moratori ex d.lgs. 231/02 – operante durante il procedimento di cognizione giurisdizionale e arbitrale; e ciò, invero, non solo per l’assorbente considerazione che, appunto, tale ultima norma è destinata operare a giudizio avviato e per la durata dello stesso ma anche perché, al di fuori dei casi in cui sussistano i presupposti per il decreto ingiuntivo ovvero delle ipotesi in cui sia possibile dimostrare ab initio l’esistenza dei requisiti per invocare la tutela cautelare o d’urgenza, il debitore della somma di danaro in contesa avrebbe gioco facile nel compromettere la garanzia patrimoniale a favore del suo creditore e, quindi, conseguentemente, la stessa effettività e utilità della tutela giurisdizionale.
Neppure l’esclusione dell’obbligo della procedura negoziata per le controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori appare, del resto, per sé sufficiente a porre al riparo le ragioni dei cittadini e nemmeno gli stessi crediti dei professionisti, ad esempio per i propri compensi, quantomeno tutte le volte in cui il cliente non abbia i requisiti per essere definito consumatore, come nel caso di aziende o di soggetti a favore dei quali la prestazione professionale sia resa, comunque, nell’ambito e per le finalità professionali e imprenditoriali del cliente.
Sarà, pertanto, a maggior ragione, necessario, persino per l’avvocato, stipulare preventivamente un contratto con predeterminazione del compenso per iscritto, quale presupposto ritenuto dalla giurisprudenza più recente imprescindibile ai fini della tutela monitoria[5] esclusa, insieme alla successiva fase di opposizione, ai sensi dell’art. 3, d.l. 132/14, cit., come detto, dall’obbligo del previo esperimento della procedura negoziata assistita.
3.2. Il ruolo e le funzioni degli avvocati nella procedura di negoziazione assistita
La logica che tutto sommato sembra informare l’intervento normativo in commento, invero, più che la decantata “degiurisdizionalizzazione” di una parte dei contenziosi, appare quella della deresponsabilizzazione della giurisdizione e dello Stato, finalizzata com’è a scaricarne direttamente i costi e gli oneri sui contribuenti, cittadini e avvocati.
Si prevede, anzitutto, l’obbligo deontologico degli avvocati di informare il cliente, ai sensi dell’art. 2, comma 7, del decreto, all’atto del conferimento dell’incarico, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita, l’obbligo degli stessi avvocati di certificare l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione di negoziazione, ex art. 2, comma 6, del decreto, e della firma apposta all’invito a stipulare la convenzione di negoziazione, ex art. 4, commi 1 e 2 (mentre la dichiarazione di mancato accordo è certificata dagli avvocati designati); e, ancora, l’obbligo di certificare l’autografia delle firme delle parti dell’accordo e la sua conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico; nonché, infine, il divieto, a pena di illecito deontologico ex art. 5, comma 4, per l’avvocato, di impugnare un accordo alla cui redazione a partecipato.
Il fine risulta, all’evidenza, quello di assicurare efficacia, diffusione applicativa e stabilità alle nuove misure, nella consapevolezza che, verosimilmente, esse saranno poco gradite quanto meno a una parte dell’avvocatura.
Ai difensori che sottoscrivono l’accordo raggiunto dalle parti a seguito della convenzione di negoziazione assistita, inoltre, l’art. 9 del decreto impone l’ulteriore obbligo di trasmetterne copia al Consiglio dell’ordine circondariale del luogo presso cui risulta iscritto almeno uno degli avvocati. Si tratta di obbligo non esplicitamente sanzionato ma che, evidentemente, è propedeutico a quell’attività di monitoraggio sulle procedure di negoziazione assistita affidata ai Consigli degli ordini che ne trasmettono i dati al Ministero della giustizia.
Desta più di qualche perplessità, infine, la previsione a carico dell’avvocato - contenuta nell’art. 6, comma 3, del d. l. in commento, per il caso di convenzione di negoziazione assistita nelle soluzioni consensuali di separazione, cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio ovvero di modifica delle condizioni di separazione o divorzio - dell’obbligo di trasmettere, entro un termine ristretto (dieci giorni), all’ufficiale dello Stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia dallo stesso autenticata dell’accordo sottoscritto dalle parti, dagli avvocati che certificano l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo medesimo alle norme imperative e all’ordine pubblico; obbligo stabilito, ed è questo l’aspetto più inquietante, a pena di sanzione amministrativa pecuniaria (irrogabile direttamente a carico dell’avvocato dal Comune in cui devono essere eseguite le annotazioni di cui all’art. 69, d.p.r. 396/2000) da euro cinquemila a euro cinquantamila.
Appare, in ultima, persino vessatoria la previsione di cui all’art. 3, comma 6, del decreto, il quale prevede che, quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda, all’avvocato non è dovuto alcun compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello stato, ai sensi dell’art. 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al d.p.r. 115/2002 e ss. mm.
Ovviamente, a tal fine, si prevede che la parte sia tenuta a depositare all’avvocato apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere dallo stesso autenticata, nonché a produrre, ove l’avvocato lo richieda, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato; rimane il fatto, tuttavia, che il punctum dolens di tale innovazione non sta, ad avviso di chi scrive, nel rischio di un abuso della parte ai fini di conseguire un illecito arricchimento attraverso l’esenzione dall’obbligo di corrispondere il compenso all’avvocato quanto, piuttosto, nella decisione di negare agli avvocati, anche quelli (per scelta) non iscritti all’elenco del gratuito patrocinio, il diritto al proprio compenso per l’assistenza prestata a clienti con i requisiti per il gratuito patrocinio in procedure di negoziazione assistita; privazione che, al di là del carattere vessatorio e discriminatorio rispetto al trattamento riservato nelle controversie dove la negoziazione assistita non è condizione di procedibilità e in quelle ove sono parte soggetti non aventi diritto al gratuito patrocinio, rischia di minare la stessa indipendenza e l’autonomia di quei professionisti che, più di tutti, svolgono o avrebbero potuto svolgere un ruolo importante per il successo dell’istituto pensato in chiave deflattiva rispetto ai contenziosi giurisdizionali - nei quali soltanto, invero, gli avvocati continuerebbero a conservare intatto il diritto ai propri compensi.
Stanti anche le responsabilità di cui l’avvocato è onerato (certificazione delle firme e anche della conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico, autenticazione e trasmissione a pena di pesanti sanzioni economiche) e, a maggior ragione, l’ansia di abbattere i costi e di semplificare le procedure di definizione dei contenziosi, mal si comprendono le ragioni per cui l’art. 5, del decreto in commento, ai fini della trascrizione dell’accordo che conclude uno dei contratti o compie uno degli atti di cui all’art. 2643, c.c., continui a richiedere l’autenticazione del processo verbale di accordo da parte di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
4. La separazione consensuale, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’Ufficiale dello Stato civile
L’art. 12, d.l. 132/14, cit., apre e chiude il capo III, rubricato “Ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio”.
Si prevede, in via di estrema sintesi, che i coniugi possano concludere l’accordo di separazione personale, ovvero, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, direttamente innanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune di residenza di uno di essi ovvero del Comune presso cui è stato iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.
Anche in questo caso, ovviamente, l’art. 12, comma 2, esclude l’applicazione di tale istituto in presenza di figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.
Ai fini della conclusione dell’accordo avente uno dei contenuti sopra indicati, l’art. 12, comma 3, prevede che l’Ufficiale dello stato civile debba ricevere da ciascuna delle parti personalmente la dichiarazione che esse vogliono separarsi ovvero far cessare gli effetti civili del matrimonio, ovvero ottenerne lo scioglimento, secondo le condizioni da essi concordate, ovvero la modifica delle condizioni di separazione o divorzio.
Solo dopo il ricevimento di tali dichiarazioni, quindi, l’atto contenente l’accordo può e deve essere compilato e immediatamente sottoscritto (art. 12, comma 3, penultima parte).
Come per la negoziazione assistita ex art. 6, anche in questo caso, l’art. 12, comma 3, ultima parte prevede espressamente che l’accordo[6] tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio e, correlativamente, è menzionato tra gli atti che lo stesso ufficiale dello stato civile deve inserire, rispettivamente, negli archivi di cui all’art. 10, d.p.r. 396/2000[7], negli atti di matrimonio[8] e negli atti di nascita[9].
Tale particolare variante alternativa alla giurisdizione non è, tuttavia, perfettamente sovrapponibile alla convenzione di negoziazione assistita da un avvocato, prevista all’art. 6, più sopra ricordato, giacché l’accordo stipulato innanzi all’Ufficiale dello stato civile non può contenere patti di trasferimento patrimoniale.
5. Le altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione. In particolare: la trasformazione del rito ordinario in rito sommario
Il Governo ha varato, come sopra accennato, alcune misure destinate a incrementare la funzionalità del processo civile di cognizione, contenute nel capo IV del decreto in commento, che modificano direttamente il codice di procedura civile.
Si tratta, anzitutto, dell’introduzione ex art. 13, cit. (operante per i procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione), all’art. 92 c.p.c.,di un nuovo regime di compensazione delle spese di lite non più rimessa, quindi, alla discrezionalità (più spesso, all’arbitrio) del giudice - il quale nel tempo ha dimostrato, dietro la criptica formula coniata dal legislatore “gravi ed eccezionali ragioni” da indicarsi esplicitamente in motivazione, una certa tal quale riluttanza nell’adempiere ai propri obblighi motivazionali in ordine alla decisione sulle spese.
Il potere di compensare integralmente o parzialmente le spese di lite, infatti, viene ora limitato, per effetto della precitata norma, ai casi di soccombenza reciproca, di novità della questione ovvero di mutamento giurisprudenziale.
In secondo luogo, con l’art. 14, del decreto, destinato a operare nei procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione (comma 2), viene, altresì, inserito nel codice di procedura un nuovo articolo 183-bis, che disciplina il potere del giudice di disporre il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione.
La nuova norma prevede che, nelle cause in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica (le sole per le quali è applicabile il rito sommario di cui agli artt. 702 bis e ss., c.p.c.), all’udienza di trattazione il Giudice, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, potrà disporre, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda a norma dell’art. 702 – ter c.p.c., invitando le parti a indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendano avvalersi e la relativa prova contraria.
Su richiesta il giudice potrà anche fissare una nuova udienza con termine perentorio non superiore a quindici giorni per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali, nonché termine perentorio di ulteriori dieci giorni per le sole indicazioni di prova contraria; ed è probabile che questa risulti, poi, nella prassi applicativa, l’ipotesi più frequente.
Difficilmente, infatti, il Giudice chiederà alle parti di indicare, all’udienza stessa, i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendano avvalersi e la relativa prova contraria (a pena di indulgere su lunghe verbalizzazioni e dilatazioni della durata delle udienze, certamente poco compatibili con l’esigenza di efficienza e celerità del processo); mentre sarà, appunto, più probabile che lo stesso fissi, su richiesta delle parti, una nuova udienza, assegnando i termini per memorie meramente “istruttorie”.
In quest’ultima eventualità, tuttavia, si dubita che la norma in commento sia realmente in grado di assicurare un concreto risparmio di tempi e/o attività processuali, atteso che la sostituzione della trattazione scritta ex art. 183, comma 6, c.p.c., potrebbe risultare egualmente dispendiosa, tutte le volte in cui, in applicazione del nuovo art. 183 bis, c.p.c., anche a fronte del contrasto tra le parti, il Giudice debba o ritenga di dare impulso alla trattazione scritta che precede l’adozione dell’ordinanza non impugnabile di trasformazione del rito e a quella successiva per la precisazione dei mezzi istruttori.
Sotto altro profilo, il potere riconosciuto al giudice è di natura discrezionale ed è subordinato a una valutazione che egli dovrebbe compiere, stante la formulazione letterale della disposizione, circa “la complessità della lite e dell’istruzione probatoria”.
Non si chiarisce, tuttavia, a quale udienza di trattazione il giudice possa disporre la trasformazione in rito sommario, anche se non pare revocabile in dubbio che tale potere possa essere esercitato soltanto alla prima udienza non potendo sicuramente, invece, essere esercitato all’udienza di ammissione dei mezzi istruttori, perché non è ipotizzabile un invito del giudice alle parti di precisare, in quella stessa udienza, i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendano avvalersi e la relativa prova contraria né, tantomeno, la fissazione di una successiva udienza con concessione dei ristretti termini per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali, e di successivo termine di dieci giorni per le sole indicazioni di prova contraria.
Ciò - in disparte la considerazione che il processo, in questo modo, non subirebbe alcuna accelerazione giusta il dilatarsi della stessa attività di trattazione e istruttoria che obererebbe il giudice più di quanto non accada attraverso il rito ordinario - per l’assorbente rilievo che un tale provvedimento all’udienza successiva al deposito delle memorie ex art. 183, c.p.c., si risolverebbe in una rimessione delle parti in termini processuali, ampiamente spirati, non meno che nei poteri istruttori rispetto ai quali debbono punto ritenersi già maturate le decadenze di cui all’art. 183, c.p.c.
Ma se il potere di trasformazione del giudice può essere esercitato solo alla prima udienza di trattazione (o, al più, a quella successiva ove nella prima sia stato disposto un mero rinvio), allora, non si capisce come il giudice possa valutare quantomeno la complessità dell’istruzione probatoria, posto che normalmente questa viene articolata in modo compiuto dalle parti proprio nelle memorie che il giudice deve concedere, su loro richiesta, ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., anche all’esito di quella ulteriore attività assertiva e, al limite, anche riconvenzionale che le parti esercitano nella prima memoria ex art. 183, comma 6, cit., sia pur in modo meramente consequenziale alle eccezioni e deduzioni avversarie che si contrappongono nell’ambito del normale sviluppo della dialettica processuale occorrente tra l’atto introduttivo dell’attore e la prima udienza.
Se, dunque, quantomeno in teoria, nessun problema potrebbe sorgere quando le parti, alla prima udienza, rinunciano di propria sponte ai termini per memorie ex art. 183, c.p.c., caso nel quale, comunque, forse verrebbe persino meno l’utilità della conversione, più dubbia appare, invece, l’ipotesi in cui le parti abbiano fatto espressa richiesta di concessione dei predetti termini; giacché, in tal caso, risulterebbe tutt’altro che scontato il ritenere che quelle facoltà difensive tipicamente previste dall’art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., possano essere frustrate dalla decisione del Giudice istruttore che, nonostante una richiesta (anche congiunta) di concessione dei termini per memorie delle parti, disponga con ordinanza non impugnabile, pur a seguito di un contraddittorio, al limite anche a trattazione scritta,la trasformazione del rito ordinario in rito sommario eventualmente anche fissando successiva udienza e assegnando i ristretti termini per l’articolazione dei mezzi di prova diretta e contraria.
Quanto sopra, invero, vale a più forte ragione nel caso di riconvenzionale e/o di eccezioni proposte dal convenuto in sede di comparsa di costituzione e risposta - che obbligano, a loro volta, l’attore a contestare ed eventualmente a formulare domande conseguenti alle difese svolte nel primo atto difensivo della parte convenuta – e di conseguente richiesta dell’attore (e/o anche del convenuto) di termini per memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.
Disporre, in tali casi, il mutamento del rito ordinario in rito sommario, invitando le parti a indicare i propri mezzi istruttori, anche documentali, nonché le prove contrarie (nella stessa udienza o in memorie successive), significherebbe precludere alle stesse l’esercizio di alcune importanti facoltà e attività difensive, difficilmente compatibili – a tacer d’altro - con la perdurante vigenza dell’art. 183, comma 6, c.p.c., a meno di ritenere che l’introduzione del nuovo art. 183 bis c.p.c. abbia anche l’intrinseca finalità di ulteriormente comprimere i tempi concentrando tutte le attività assertive nella prima udienza di trattazione che, in tal guisa, diverrebbe l’unico momento utile per poter sollevare eventuali contro eccezioni o domande conseguenti alle difese svolte dal convenuto nella sua comparsa di costituzione e risposta; con la conseguenza che i procuratori delle parti, onde evitare il rischio di incorrere in decadenze e preclusioni, dovrebbero proprio in prima udienza, senza indugio, formulare a verbale e illustrare compiutamente le proprie contro eccezioni e domande, per poi chiedere termini per memorie ex art. 183/6, c.p.c. ed essere pronti, nella peggiore delle ipotesi, all’esito di un contraddittorio che potrebbe svolgersi anche solo oralmente, a precisare, su invito del Giudice, in quella stessa udienza (o nelle memorie istruttorie successive) le proprie istanze istruttorie e produzioni documentali, nonché le indicazioni di prova contraria.
Si potrebbe, poi, verificare il caso che la domanda riconvenzionale formulata dal convenuto in sede di costituzione in giudizio richieda, a sua volta, un’istruzione non sommaria, ovvero non rientri tra quelle di cui all’art. 702 bis c.p.c.; e, ove il Giudice lo rilevi già alla prima udienza, si dubita che lo stesso possa ordinare il mutamento del rito per poi disporre, ai sensi dell’art- 702-ter, c.p.c., nel primo caso, la separazione dei processi e dichiarare, nel secondo caso, inammissibile la domanda del convenuto; e, tanto più considerato che difficilmente il Giudice giunge alla prima udienza con piena cognizione di causa, vi è da attendersi – e ci si auspica – un uso, a dir poco, prudente ma, soprattutto, condiviso con le parti, di questo nuovo strumento.
6. Le dichiarazioni scritte rese al difensore
Sempre nel segno di una maggior efficienza del processo, infine, l’art. 15 del decreto introduce nel codice di procedura il nuovo art. 257 ter c.p.c. che riconosce alle parti il diritto di produrre, sui fatti rilevanti ai fini del giudizio, dichiarazioni di terzi, capaci di testimoniare, rilasciate al difensore, il quale identifica i testimoni a norma dell’art. 252 c.p.c., e attesta l’autenticità delle dichiarazioni dagli stessi rilasciate avvertendoli che la dichiarazione può essere utilizzata in giudizio, delle conseguenze delle false dichiarazioni e che il giudice potrà disporre anche d’ufficio che siano chiamati a deporre come testimoni.
La norma parrebbe assolvere a una funzione similare a quella svolta dall’istituto delle investigazioni difensive di cui all’art. 397bis c.p.c. nel processo penale.
Il legislatore aveva già introdotto, all’art. 257 bis c.p.c., giustappunto aggiunto dall’art. 46, comma 8, della legge 18 giugno 2009, n. 69, l’istituto della testimonianza scritta che, nondimeno, ha avuto scarsa applicazione nella prassi, verosimilmente anche per la diffidenza che gli avvocati (e forse gli stessi giudici) nutrono verso di esso, strumento pericoloso e di discutibile legittimità considerando che la prova sulla quale il Giudice è chiamato a decidere verrebbe a formarsi al di fuori di qualsiasi contraddittorio e del processo, pur se in pendenza dello stesso.
Gli autori della nuova norma, evidentemente, forse persuasi che la deformalizzazione della testimonianza possa arrecare notevoli vantaggi sotto il profilo della riduzione dei tempi dei processi, al punto tale da facoltizzare le parti all’utilizzo di tali “dichiarazioni scritte” senza alcun previo accordo tra le stesse né provvedimento di ammissione (come invece richiede l’art. 257-bis c.p.c.) del giudice (che, comunque, ne potrà rilevare ammissibilità e rilevanza ai fini della decisione, nel corso del processo), dovevano essere ben consci di tale pericolosità, oggi come allora, tanto da aver ritenuto imprescindibile, anche (soprattutto) in questa sede, il controllo del giudice che, infatti, in entrambe le forme di deposizione scritta, conserva il potere di disporre d’ufficio che il terzo venga chiamato a deporre come testimone.
Un ruolo centrale nell’impedire che questa nuova opportunità apra la via ad abusi che sminuiscano la stessa ritualità e sacralità del processo, pertanto, continueranno a svolgere la prudenza del giudice e il corretto uso, da parte sua, del potere di chiamare a deporre i terzi dichiaranti, pur nella consapevolezza che tale clausola di salvaguardia non vale a escludere il rischio che istituti come la testimonianza scritta e le dichiarazioni al difensore frustrino i principi di oralità e di immediatezza, a loro volta, alla base del convincimento per cui la prova deve formarsi all’interno del processo e attraverso la percezione che il giudice deve maturare in udienza e al momento stesso in cui le prove si formano.
Se non altro, il nuovo art. 257-ter c.p.c. potrà assolvere almeno a una funzione filtro nella stessa decisione delle parti di agire in giudizio: scelta che, presumibilmente, sarà negativa tutte le volte che l’escussione preventiva dei terzi, sotto avvertimento delle conseguenze delle dichiarazioni false e della possibilità di essere chiamati a deporre davanti al giudice, non fornirà adeguato riscontro probatorio.
In ogni caso, la maggior libertà di utilizzo e di forma di tali dichiarazioni scritte rende dubbia l’utilità della stessa permanenza del primo prototipo di testimonianza scritta di cui all’art. 257 bis c.p.c.
Si auspica, pertanto, che ove l’art. 15 del decreto venga confermato in sede di conversione, il legislatore provveda anche ad abrogare l’oramai desueto art. 257-bis, c.p.c., magari sostituendolo con la nuova norma sulle dichiarazioni scritte.
7. Nuove norme sul processo esecutivo
Il decreto in commento ha apportato alcune importanti novità anche nell’ambito del processo esecutivo.
Si tratta, anzitutto, della nuova disciplina del deposito della nota d’iscrizione a ruolo nei procedimenti esecutivi di espropriazione forzata mobiliare, mobiliare e presso terzi, che ora prevede, entro un termine perentorio a pena di inefficacia del pignoramento, il deposito della nota e dei titoli non più in originale ma in copia conforme, nonché, con decorrenza dal 31 marzo 2015, l’utilizzo a tal fine delle forme telematiche e l’estensione del potere di autenticazione del difensore.
È stata, inoltre, disciplinata anche la ricerca delle cose da pignorare attraverso la consultazione, ora con modalità telematiche, delle banche dati pubbliche, comprese l’anagrafe tributaria, mediante l’introduzione di un nuovo art. 492-bis, c.p.c.
Sono state apportate ulteriori modifiche alle modalità di esecuzione del pignoramento presso terzi, di cui agli artt. 543, 547, 548, c.p.c., nonché alla competenza di quella particolare forma di esso riguardante più specificamente l’espropriazione dei crediti, attraverso l’abrogazione dell’art. 26, comma 2, c.p.c. e l’introduzione di un nuovo art. 26-bis, c.p.c.
È stato, altresì, modificato anche l’art. 560, comma 3, c.p.c. (art. 19, comma 1, lett. h, d.l. 132/14, cit.), anticipando al momento dell’autorizzazione alla vendita, nel processo esecutivo immobiliare, l’obbligo del giudice di disporre la liberazione dell’immobile pignorato, presumibilmente anche allo scopo di accelerare e facilitarne la stessa vendita rendendo più appetibile l’immobile con la sua liberazione.
È stata, infine, introdotta una disciplina articolata sui provvedimenti circa i mobili estranei all’esecuzione, attraverso la riscrittura dell’art. 609 c.p.c. (art. 19, comma 1, lett. i, d.l. 132/14, cit.).
7.1. Segue: Il deposito della nota di iscrizione a ruolo e dei titoli nel procedimento per espropriazione mobile, immobile e presso terzi
Con l’art. 18, commi 1 e 2, del decreto in commento, applicabile ai procedimenti esecutivi iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione, il Governo è intervenuto in più punti onde disciplinare la formazione della nota di iscrizione a ruolo e del fascicolo dell’esecuzione.
1) Si sostituisce, anzitutto, l’art. 518, comma 6, c.p.c., a tenor del quale, ora, l’ufficiale giudiziario, una volta compiute le operazioni di pignoramento, non deposita più il processo verbale e il titolo e il precetto in cancelleria ma, prescrive la norma, li consegna senza ritardo al creditore affinchè questi ne faccia copia conforme da depositare lui stesso, unitamente alla nota di iscrizione a ruolo, presso il tribunale competente per l’esecuzione, entro un termine perentorio, a pena di inefficacia del pignoramento, di dieci giorni dalla consegna così che il cancelliere provvederà, già al momento del deposito, a formare il fascicolo dell’esecuzione; copia del processo verbale, peraltro, dovrà essere conservata dall’ufficiale giudiziario, a disposizione del debitore, fino alla scadenza del termine di novanta giorni dal pignoramento, spirato il quale, come noto, esso perde efficacia ai sensi dell’art. 497 c.p.c.;
2) Si sostituisce, altresì, l’art. 543, comma 4, c.p.c., che ora detta una norma similare a quanto sopra anche per il pignoramento presso terzi; anche in questo caso, infatti, dopo l’ultima notificazione, l’ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l’originale dell’atto di citazione e quest’ultimo, entro trenta giorni dalla consegna, deve poi depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, le copie conformi dell’atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto così che il cancelliere, al momento del deposito, formerà il fascicolo dell’esecuzione;
3) Si sostituisce, infine, anche l’art. 557 c.p.c., che ora, per il pignoramento immobiliare, prevede che, eseguita l’ultima notificazione, l’ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l’atto di pignoramento e la nota di iscrizione a ruolo restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari; anche qui, ancora una volta, sarà il creditore a depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell’atto di pignoramento e della nota di trascrizione, nel termine perentorio (a pena di inefficacia) che torna ad essere di dieci giorni; salvo che alla notifica e alla trascrizione non abbia provveduto direttamente il creditore procedente, ai sensi dell’art. 555, u.c., c.p.c., nel qual caso egli dovrà depositare la nota di trascrizione non appena restituitagli dal conservatore.
Viene, tuttavia, all’uopo espressamente precisato che sono previsti, a pena di inefficacia del pignoramento, solo i termini per il deposito del pignoramento, della nota di iscrizione a ruolo, del titolo, del precetto, ma non quello per il deposito della nota di trascrizione restituita dal conservatore;
Il contenuto della nota di iscrizione a ruolo è ora disciplinato dal nuovo art. 159–bis, delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile, introdotto dall’art. 18, comma 2, cit., a tenor del quale essa, nel processo esecutivo per espropriazione, deve sempre contenere l’indicazione delle parti, le generalità, il codice fiscale (ove attribuito) della parte che iscrive la causa a ruolo, del difensore, della cosa o del bene oggetto di pignoramento – dati ulteriori da inserire nella nota possono essere indicati con decreto regolamentare del Ministero della giustizia.
4) L’art. 18, comma 4, cit., con efficacia a decorrere dal 31 marzo 2015, modifica infine l’art. 16-bis, del decreto legge n. 179/2012, convertito con modificazioni in legge n. 221/2012, aggiungendo dei periodi al comma 2 della disposizione citata, ove si prevedono due importanti novità di raccordo con la disciplina del processo telematico:
- anzitutto, il deposito della nota di iscrizione di iscrizione a ruolo, nonché, delle copie conformi dei pignoramenti, titoli, precetti e della nota di trascrizione, nei procedimenti di espropriazione, avrà luogo esclusivamente con modalità telematiche;
- al fine di semplificare dette formalità, è conferito al difensore il potere di autenticare le copie dei suddetti atti agli originali anche al di fuori dei casi previsti dall’art. 16-bis, comma 9-bis, d.l., cit.
Quest’ultima estensione del potere di autenticazione degli atti a favore del difensore, forse, non si presenta di immediata comprensione atteso che l’art. 16 bis, comma 9-bis, introdotto dall’art. 52, d.l. 90/14, convertito con modificazioni in l. 114/14, già dispone che “le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici dei procedimenti indicati nel presente articolo, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere. Il difensore, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore ed il commissario giudiziale possono estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei provvedimenti di cui al periodo precedente ed attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico. Le copie analogiche ed informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico e munite dell’attestazione di conformità a norma del presente comma, equivalgono all’originale […]”.
Il senso dell’innovazione, tuttavia, a parte la sua evidente interconnessione e consequenzialità rispetto all’introduzione dell’obbligo del deposito telematico della nota di iscrizione a ruolo e delle copie autentiche dei titoli e del precetto per i processi esecutivi di espropriazione mobiliari, immobiliari e presso terzi (per i quali, come per tutti i processi esecutivi disciplinati dal libro III del codice di procedura, come noto, ai sensi dell’art. 16-bis, commi 1 e 2, d. l. 179/21, cit., l’obbligo del deposito telematico degli atti processuali e dei documenti di parte, a partire dal 30 giugno 2014, vale solamente per quelli successivi al deposito dell’atto con cui inizia l’esecuzione che, nell’espropriazione forzata, coincide con il pignoramento), si coglie non appena si consideri che, a ben vedere, proprio l’art. 16, comma 9 bis, d. l. 179/12, cit., mentre consente al difensore di autenticare copia informatica degli atti processuali e dei provvedimenti del giudice estratti dal fascicolo informatico, non consente, per esempio, siffatta operazione con riferimento alla formula esecutiva che appone il cancelliere – la quale non costituisce né atto di parte né atto del giudice o dei suoi ausiliari e che pur fa parte del titolo esecutivo (a formazione giudiziale) da depositare - né dell’atto di precetto notificato che, avendo natura sostanzialmente stragiudiziale, non può essere estratta dal fascicolo informatico con la conseguenza che, in assenza della precitata modifica contenuta all’art. 18, comma 4, d.l. 132/14, in commento, il difensore non avrebbe avuto il potere di autenticarli; l’art. 16 – bis, comma 9 bis, cit., inoltre, consentiva il potere di autenticazione del difensore per gli atti processuali che non contenessero provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme vincolate all’ordine del giudice laddove, per quanto riguarda la prova della notifica del titolo e del precetto, invece, il potere di autenticazione del difensore sussisterebbe, ai sensi e con le forme di cui all’art. 16 quater, d. l. 179/12, cit. (che ha aggiunto all’art. 9, l. 53/1994, un nuovo comma 1 bis), solo per le notifiche eseguite in via telematica (e, dunque, ai sensi dell’art. 3 bis, comma 1, l. 53/1994, inserito dall’art. 16 quater, d.l. 179/12, cit.), ammessa soltanto nei confronti di quei soggetti i cui indirizzi PEC risultino dai pubblici elenchi (al momento solo enti pubblici, aziende e professionisti).
L’innovazione introdotta dall’art. 18, comma 4, cit., pertanto, appare quanto mai opportuna sia sul piano della semplificazione dell’attività processuale che del risparmio di costi per il rilascio delle copie autentiche anche se, in verità, non si comprende perché il Governo abbia inteso rimandarne l’applicazione al 31 marzo 2015.
7.2. La ricerca dei beni da pignorare con modalità telematiche
Con l’introduzione del nuovo art. 492 – bis, c.p.c. (art. 19, comma 1, lett. d, decreto 132/14, cit.), inoltre, viene riformulata la disciplina (invero, già parzialmente prevista dall’art. 492, comma 7, c.p.c., ora abrogato, rimasta, fin dalla sua introduzione, sostanzialmente inattuata) della ricerca dei beni da pignorare presso l’anagrafe tributaria e le altre banche dati pubbliche che, ora, infatti, potrà avvenire con modalità telematiche.
La norma prevede, in sintesi, che tale ricerca dovrà essere preventivamente autorizzata dal presidente del tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore, su istanza del creditore procedente – il cui procedimento sarà soggetto a un contributo unificato di quarantatré euro[10].
Con l’autorizzazione il presidente stesso o un giudice da lui delegato dovranno disporre che l’ufficiale giudiziario acceda mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari e, ancora, nel pubblico registro automobilistico e nelle banche dati degli enti previdenziali.
L’accesso riguarda tutte le informazioni necessarie per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione forzata, comprese le informazioni relative ai rapporti tra debitore e istituti di credito, datori di lavoro o committenti – si tratta, in sostanza, di un accesso alle informazioni patrimoniali pressoché illimitato.
L’ufficiale giudiziario, al termine delle operazioni, nelle quali è assicurata anche la partecipazione del creditore[11], ha l’obbligo di redigere un unico processo verbale nel quale saranno indicate tutte le banche dati consultate e le relative risultanze.
Da quel momento in poi, ove la ricerca si sia rivelata fruttuosa, il procedimento esecutivo dovrebbe procedere in modo più spedito, tanto è vero che, se venissero rinvenute cose appartenenti al debitore compresi nel territorio di competenza dell’Ufficiale giudiziario interrogante, quest’ultimo, d’ufficio[12], accede agli stessi per provvedere agli incombenti di cui agli artt. 517, 518 e 520 c.p.c.; se, invece, non è territorialmente competente, rilascia al creditore procedente copia autentica del verbale così che quest’ultimo, entro dieci giorni dal rilascio e a pena di inefficacia della richiesta, la presenti unitamente all’istanza per lo svolgimento dei predetti adempimenti di cui agli artt. 517. 518 e 520, c.p.c., all’ufficiale giudiziario territorialmente competente.
A tutela del divieto, per il debitore, di sottrarre beni da sottoporre all’esecuzione del creditore procedente, il Governo ha introdotto una nuova fattispecie di reato, estendendo l’applicazione dell’art. 388, comma sesto, c.p., al caso in cui la cosa individuata con l’accesso alle banche dati non venga rinvenuta e il debitore ometta di indicare, nei quindici giorni successivi all’intimazione che l’Ufficiale giudiziario deve rivolgergli, il luogo dove si trovi il bene mancante.
A tal fine, il nuovo art. 492 bis c.p.c. prevede l’obbligo dell’ufficiale giudiziario di formulare, con la predetta intimazione, esplicito avvertimento che la omessa o la falsa comunicazione è punita penalmente nei termini di cui sopra.
Sempre nel segno di una maggior speditezza del procedimento, attraverso la previsione di un dovere d’impulso a carico dell’ufficiale giudiziario, si colloca la previsione contenuta nella norma che impone a quest’ultimo, per il caso in cui l’accesso alle banche dati abbia portato alla luce l’esistenza di crediti del debitore o cose in sua proprietà che si trovino nella disponibilità di terzi, di provvedere alla notifica d’ufficio del processo verbale di accesso telematico alle banche dati (ove possibile, a norma dell’art. 149-bis c.p.c., ossia a mezzo posta elettronica o, altrimenti) anche mezzo telefax, sia al debitore che al terzo.
Il verbale (da notificarsi al debitore e al terzo ma, per quest’ultimo, solo per estratto contenente esclusivamente i dati a quest’ultimo riferibili), pertanto, dovrà contenere:
- l’indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e del precetto;
- l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata (anche a tal fine, oltre che ai fini dell’art. 547, c.p.c., infatti, l’art. 492-bis, comma 1, c.p.c., prescrive l’indicazione obbligatoria per il difensore anche della PEC, nella stessa istanza con cui il creditore procedente richiede al Presidente del Tribunale competente l’autorizzazione alla ricerca con modalità telematiche dei beni da sottoporre a pignoramento) e del luogo in cui il creditore procedente ha eletto domicilio o ha dichiarato di essere residente;
- dell’ingiunzione, dell’invito e dell’avvertimento al debitore di cui all’art. 492, primo, secondo e terzo comma;
- dell’intimazione al terzo di non disporre delle cose o delle somme dovute, nei limiti di cui all’art. 546, c.p.c.
Da una lettura coordinata del nuovo art. 492 bis, commi 3, 6 e 7, c.p.c., con l’art. 155-ter, comma 2, disp. att., c.p.c., introdotti dall’art. 19, d.l. 132/14, cit., poi, oltre alla redazione e alla notificazione del processo verbale con i contenuti e modalità predette, emerge un ulteriore adempimento, per i casi in cui, in buona sostanza, dall’interrogazione telematica delle banche dati emergono più crediti e/o più beni mobili in luoghi del debitore e/o nella disponibilità di terzi.
In tal caso, infatti, ai sensi dell’art. 492 bis, commi 3, 6 e 7, cit., spetta al creditore individuare i beni da sottoporre a pignoramento ma, a tal fine, l’ufficiale giudiziario ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 155-ter, comma 2, disp. att., c.p.c., di comunicare al creditore via telefax o anche via posta elettronica anche non certificata[13], le banche dati interrogate e le relative risultanze, così che il creditore dovrà, a sua volta, indicare all’ufficiale giudiziario i beni da pignorare entro dieci giorni dalla comunicazione di quest’ultimo, a pena di inefficacia della richiesta di pignoramento.
L’istituto in commento si presenta, sulla carta, un’ottima opportunità per incrementare l’efficienza e l’effettività - anche (ma non solo) nella tutela del credito – dello stesso potere giudiziario[14], ma sul piano pratico lascia aperti diversi dubbi e incertezze, soprattutto sotto il profilo dei costi e della sua concreta applicazione.
Quanto alla concreta applicabilità dell’art. 492-bis, c.p.c., il nuovo art. 155-quater, disp. att., c.p.c.[15], infatti, prevede che i casi, limiti e modalità di esercizio della facoltà di accesso alle banche dati di cui all’art. 492-bis, c.p.c., nonché le modalità di trattamento e conservazione dei dati e le cautele a tutela della riservatezza dei debitori[16], devono essere individuati con decreto del Ministero della Giustizia, di concerto con il Ministero dell’interno e con il ministero dell’economia e delle finanze, comunque, sentito il Garante per la protezione dei dati personali; tale decreto dovrebbe, altresì, adottare il c.d. “Modello ricerca beni”, per il registro cronologico che presso ogni Unep dovrebbe essere istituito ai sensi dell’art. 155-quater, cit., comma 3.
Ci si auspica che l’entusiasmo per questa importante novità sul fronte della tutela della realizzazione e dell’effettività del credito, non venga frustrato da un atteggiamento inerziale dei Ministeri competenti e che questi, in particolare, provvedano con solerzia, ponderatezza e responsabilità all’esercizio dei poteri normativi loro delegati e funzionali alla concreta operatività del nuovo istituto.
Nè pare sufficiente a rendere operativo il nuovo art. 492-bis, c.p.c., quanto disposto dall’art. 155-quinquies, disp. att. c.p.c.[17], il quale facoltizza il creditore procedente, pur sempre autorizzato ai sensi dell’art. 492-bis c.p.c., a ottenere le informazioni contenute nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni, direttamente dai gestori delle stesse; anzitutto, perché tale norma vale solo per il caso in cui non siano ancora operanti le strutture tecnologiche necessarie per consentire l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario ma presuppone, ad avviso di chi scrive, il previo esercizio del potere regolamentare rimesso ai ministeri dall’art. 155-quater, comma 1, cit., considerato pure che è tramite di esso che saranno individuate, ai sensi degli artt. 155-quater, cit., e 155 quinquies, cit., anche le banche dati della pubblica amministrazione cui sarà possibile accedere ai fini dell’art. 492 bis.
Sotto il profilo dei costi, benché il nuovo art. 155-quater, cit., preveda che l’accesso dell’ufficiale giudiziario alle banche dati di cui all’art. 492-bis c.p.c., e alle altre della pubblica amministrazione che spetta al potere regolamentare dei Ministeri individuare[18], così come l’accesso ex art. 155-quinquies, cit., del creditore procedente comunque autorizzato ex art. 492-bis, comma 1, c.p.c. (quando mancano le strutture tecnologiche necessarie per garantire l’accesso dell’ufficiale giudiziario) siano gratuiti, sarebbe un errore sottovalutare l’impatto economico che questa misura potrà determinare sui costi della procedura esecutiva.
A parte il contributo unificato fisso di euro quarantatré[19] per il subprocedimento di autorizzazione all’accesso telematico alle banche dati, ex art. 492-bis, comma 1, c.p.c., il legislatore ha introdotto un significativo incremento dei compensi dovuti in favore degli ufficiali giudiziari, destinato a rientrare tra le spese di esecuzione, in misura percentuale sul valore di assegnazione o del ricavato della vendita dei beni mobili pignorati, ancora più elevata in caso di espropriazione dei crediti[20], sia pur con il limite complessivo del cinque percento del valore del credito per cui si procede[21]
È stata, altresì, introdotta una causa di chiusura anticipata del processo esecutivo per il caso in cui risulti che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle possibilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo[22]; e, ai sensi dell’art. 122, comma 4, d.p.r. 1229/1959, in caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo, il compenso sarà posto a carico del creditore procedente e sarà liquidato dal giudice dell’esecuzione nella stessa percentuale prevista per in caso di realizzo attraverso la assegnazione o vendita dei beni e/o crediti pignorati, calcolata sul maggior valore tra quello dei beni pignorati e l’importo del credito per cui si procede[23].
Il rischio, pertanto, è ictu oculi che la certezza di un sensibile incremento delle spese di esecuzione[24] e del fatto che esse, in caso di infruttuosità, saranno poste a carico del creditore procedente, si risolvano in ulteriore filtro di accesso alla giustizia, in questo caso, nella fase esecutiva che, per agevolare il perseguimento dell’agognata riduzione del carico giudiziario, finisca per compromettere il fondamentale e costituzionale diritto alla tutela giurisdizionale nella sua effettività e realizzazione tra chi, ob torto collo, preferirà – o forse dovrà, a causa delle proprie condizioni economiche - rinunciare al tentativo di recuperare un credito, magari di importo elevato, nella mera ma dispendiosa incertezza di conseguirlo e chi, decidendo di essere audace, magari perché senza altra scelta, correrà il rischio e, in caso di mancato realizzo, riporterà, oltre al danno, la “beffa”.
7.3. Le novità in tema di pignoramento presso terzi
L’art. 19, d.l. 132/14, in commento, inoltre, introduce alcune rilevanti modifiche alla disciplina del pignoramento presso terzi.
1) Viene, in primo luogo, eliminata la necessità che la notifica dell’atto di pignoramento a mezzo dell’ufficiale giudiziario sia eseguita, quantomeno nei confronti del terzo, “personalmente” (inciso ora eliminato dall’art. 543, comma 1, c.p.c.) con la conseguenza che, ove la norma venga confermata in sede di conversione[25], non sarà più preclusa al creditore procedente la notifica a mezzo posta[26].
Lo stesso contenuto della citazione di cui all’art. 543, comma 2, n. 4, c.p.c., viene modificato, sostanzialmente, eliminando la pregressa distinzione tra i diversi tipi di credito ai fini delle modalità della dichiarazione da rendere - che ora potrà, in generale e per tutti i crediti, essere resa mediante raccomandata ovvero mediante posta elettronica certificata - e, soprattutto, degli effetti che la mancata dichiarazione e/o comparizione determinerà sull’accertamento del credito.
L’invito rivolto al terzo, conforme al nuovo art. 543, comma 2, n. 4, c.p.c. (riscritto dall’art. 19, comma 1, lett. e, n. 2, d.l. 1432/14, cit.), in sostanza, contiene l’avvertimento del regime disciplinato dal nuovo art. 548, comma 2, c.p.c. (riscritto dall’art. 19, comma 1, lett. g, n. 2, d.l. 132/14, cit.).
Dal combinato disposto di queste due norme si evince, pertanto, che, se il terzo, a ciò ritualmente invitato con l’atto di citazione ex art. 543, comma 2, n. 4, ult. cit., non comunica la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. (da inviarsi via raccomandata o via PEC), e il creditore all’udienza dichiara di non averla ricevuta, il giudice fisserà una nuova udienza con ordinanza da notificarsi al terzo almeno dieci giorni prima della stessa; e, se il terzo non compare nemmeno a quest’ultima, ovvero comparendo rifiuta di rendere la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene appartenente al debitore principale si considererà non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ex artt. 552 e 553, c.p.c.
È interessante, peraltro, notare come il legislatore, in linea con tale ultima modifica, non parli più di citazione del debitore e del terzo, affinchè il secondo renda la dichiarazione di cui all’art. 547, c.p.c., e il debitore sia presente agli atti ulteriori; bensì, attraverso un lessico forse più appropriato, di “citazione del debitore a comparire” e di “invito al terzo a comunicare la dichiarazione”.
La norma, dunque, rappresenta un ulteriore tappa evolutiva delle modifiche introdotte, nell’ultimo quindicennio, alla disciplina del pignoramento presso terzi la quale ha visto, nel tempo, un mutamento di prospettiva nella valutazione del contegno inerziale del terzo e delle relative conseguenze.
L’art. 548, comma 1, c.p.c., nella versione anteriore alle modifiche introdotte dalla l. 228/2012, infatti, prevedeva, per i pignoramenti presso terzi avviati posteriormente alla data della sua entrata in vigore (1 gennaio 2013), che, in caso di mancata dichiarazione o comparizione all’udienza (per i crediti di cui all’art. 545, commi 3 e 4, c.p.c.) del terzo debitor debitoris, il Giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto comunque istruire la causa di merito, su istanza del creditore procedente attribuendo, pertanto, anche all’inerzia del terzo, efficacia equiparata alla contestazione ovvero alla dichiarazione negativa.
Successivamente, la legge 228/12, cit., aveva riscritto l’art. 548, c.p.c., introducendo un meccanismo diverso e differenziato a seconda del tipo di crediti oggetto dell’espropriazione.
Nel caso di crediti di cui all’art. 545, commi 3 e 4, c.p.c. (cioè crediti a titolo di stipendio, salario o altre indennità derivanti da rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento) - per i quali (ai sensi dell’art. 543, comma 2, n. 4, c.p.c. nella formulazione previgente) l’atto di citazione doveva contenere l’invito a comparire in udienza per rendere la dichiarazione ex art. 547, c.p.c. - la mancata comparizione alla udienza equivaleva alla non contestazione del credito pignorato (nei termini indicati dal creditore, ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione) con la conseguenza che il Giudice dell’esecuzione, dunque, aveva l’obbligo di provvedere direttamente con l’assegnazione o la vendita delle cose dovute dal terzo o dei crediti ex artt. 552 e 553 c.p.c.
In tutti gli altri casi, per i quali (ai sensi dell’art. 543, comma 2, n. 4, ult. cit.) l’atto di citazione doveva contenere l’invito del terzo a rendere la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. mediante raccomandata ovvero mediante PEC da inviare nei 10 giorni successivi, invece, se all’udienza il creditore dichiarava di non aver ricevuto la dichiarazione, il Giudice avrebbe dovuto fissare un’udienza successiva mediante ordinanza da notificarsi al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza e, in caso di mancata comparizione del terzo anche a quest’ultima, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considerava non contestato; con la conseguenza che il mero silenzio del terzo non rendeva più necessaria l’instaurazione di un procedimento di cognizione per l’accertamento del credito (come invece nella formulazione pregressa), e quest’ultimo avrebbe potuto impugnare l’ordinanza di assegnazione dei crediti nelle forme e termini dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, comma 1, c.p.c., ma solo provando la mancata tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore.
Con l’art. 19, comma 1, lett. e) e g), d.l. 132/14, cit., e la riformulazione degli artt. 543 e 548, c.p.c., le conseguenze della mancata dichiarazione e/o comparizione sono state ulteriormente riscritte e disciplinate in maniera unitaria per tutti i crediti oggetto dell’espropriazione, ribadendo l’attribuzione al contegno silente del terzo del valore della non contestazione ma eliminando anche la diversità di regime (certamente più snello ma anche meno garantista nei confronti del terzo) che l’art. 548, comma 1, c.p.c., nella formulazione di cui alla l. 228/12, cit. (ora abrogato dall’art. 19, comma 1, lett. g, n. 1, d.l. 132/14, cit.), riservava all’espropriazione dei crediti da lavoro di cui agli artt. 545, commi 3 e 4, c.p.c.
Correlativamente, con l’art. 19, comma 1, lett. f), viene modificato anche il primo comma dell’art. 547, c.p.c. che ora, in linea con le nuove formalità di cui ai nuovi artt. 543/2 e 548/2, c.p.c., prevede l’invio della dichiarazione del terzo (personalmente o a mezzo del difensore munito di procura speciale) sulle cose e somme di cui sia debitor debitoris a mezzo raccomandata ovvero a mezzo PEC.
2) Il legislatore ha inteso, altresì, adeguare la nuova disciplina del pignoramento presso terzi anche al caso in cui esso sia stato eseguito, d’ufficio, dall’Ufficiale giudiziario sulle cose o crediti rinvenuti in esito all’accesso telematico alle banche dati pubbliche ai sensi dell’art. 492-bis c.p.c.
L’art. 19, comma 1, lett. e), n. 3, d.l. 132/14, cit., infatti, introduce un comma quinto all’art. 543, c.p.c., che, in sintesi, prevede, anche in questo caso, che l’ufficiale giudiziario consegni, senza ritardo, al creditore procedente verbale[27], titolo esecutivo e precetto affinché (attraverso il richiamo all’art. 543, comma 4, c.p.c., come riscritto dall’art. 18, comma 1, lett. b, del decreto in commento) quest’ultimo, entro trenta giorni dalla consegna, depositi, presso la cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione, la nota di iscrizione a ruolo, le copie conformi[28] del verbale, del titolo esecutivo e del precetto e il cancelliere, al momento del deposito, possa formare il fascicolo dell’esecuzione.
Decorso il termine dilatorio di cui all’art. 501, c.p.c., ossia dieci giorni dalla data del pignoramento, il creditore procedente e gli altri creditori intervenuti possono chiedere l’assegnazione o la vendita delle cose o dei crediti; depositata la relativa istanza, quindi, il giudice, onde provvedere sull’istanza ai sensi degli artt. 552 e 553 c.p.c., fisserà udienza per l’audizione del creditore e del debitore con decreto che dovrà essere notificato – evidentemente al debitore e al terzo - a cura del “creditore procedente” (anche se, nel caso di specie, ci pare che il legislatore non potesse che alludere a quello dei creditori che ha formulato l’istanza di vendita o di assegnazione) e dovrà contenere l’invito, nei confronti del terzo, di cui al neo riformulato art. 543, comma 2, n. 4, c.p.c., riscritto dall’art. 19, comma 1, lett. e), n. 2, d.l. 132/14, cit. (ossia l’invito a rendere la dichiarazione sul credito con raccomandata, ovvero con la PEC, ovvero comparendo alla successiva udienza all’uopo fissata).
In altri termini, dunque, pare che in caso di pignoramento presso terzi di beni individuati dall’ufficiale giudiziario ex art. 492-bis c.p.c., il momento dell’invito del terzo a rendere la dichiarazione ex art. 547 c.p.c., viene posticipato alla successiva udienza per l’assegnazione o la vendita delle cose o dei crediti e sarà contenuto nel decreto di fissazione d’udienza che il Giudice emanerà su istanza di uno dei creditori intervenuti nel processo esecutivo.
3) Un’ulteriore e importante innovazione riguarda, come si diceva più sopra, specificamente l’individuazione del foro di competenza per l’espropriazione forzata dei crediti.
L’art. 19, comma 1, d.l. 132/14, cit., infatti, ha abrogato l’art. 26, comma 2, c.p.c. che, per tale tipo di procedura esecutiva, affermava la competenza del giudice del luogo di residenza del terzo debitor debitoris; è stato, così, inserito un nuovo art. 26-bis, c.p.c., che radica la competenza in esame presso il giudice del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore principale, salvo il caso in cui quest’ultimo sia una delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 413, comma 5, c.p.c., per le quali è stabilito un foro generale, pur derogabile dalle norme della legislazione speciale, prevedendosi – salvo, appunto, quanto diversamente disposto nelle leggi speciali – la competenza del giudice del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del terzo debitor debitoris.
La norma segna, dunque, un importante risultato nella disciplina del pignoramento dei crediti, quantomeno per le ipotesi statisticamente più numerose, consentendo di radicare tutte le procedure esecutive pur afferenti a diversi crediti (magari verso terzi residenti in comuni ricompresi in circoscrizioni o financo distretti diversi) in un unico e medesimo foro, quello della residenza, domicilio, dimora o sede del debitore, assicurando una scelta più ampia e un concreto risparmio di costi a favore del creditore procedente.
7.4. I provvedimenti circa i mobili estranei all’esecuzione
Un’altra importante novità in materia di processo esecutivo, riguarda la riscrittura dell’art. 609 c.p.c.[29] il quale, ora, impone all’ufficiale giudiziario di intimare alla parte tenuta al rilascio o al proprietario degli stessi di asportarli, assegnando a ciò un termine e dando, di tanto, atto a verbale[30]; al di là delle norme che regolano i casi e i modi della custodia (cui si ricorre quando può ritenersi che il valore dei beni[31] sia superiore al alle spese di custodia e di asporto), quel che appare di rilievo è il fatto che il nuovo art. 609 c.p.c. consente all’ufficiale giudiziario di fissare un limite temporale (il termine appunto fissato nell’intimazione), scaduto il quale può provvedere alla vendita senza incanto nelle forme della vendita dei beni mobili pignorati e secondo le modalità fissate dal giudice dell’esecuzione per il rilascio di modo che, con il ricavato, si pagheranno spese e compensi per la custodia, l’asporto e la vendita liquidata dal giudice dell’esecuzione per il rilascio e l’eventuale eccedenza, salvo che le cose appartengano a persona diversa da quella tenuta al rilascio, è utilizzata per il pagamento delle spese di esecuzione ex art. 611 c.p.c.
Se, tuttavia, non è fatta istanza per la nomina del custode e non è effettuato il pagamento delle spese anticipate, e non appare evidente l’utilità del tentativo di vendita, i beni sono considerati abbandonati e l’ufficiale giudiziario ne dispone lo smaltimento o la distruzione[32].
Comunque, prima della vendita o dello smaltimento o della distruzione, pur dopo la scadenza del termine fissato dall’ufficiale giudiziario nell’intimazione, il legittimo proprietario dei beni può domandarne la restituzione al Giudice dell’esecuzione per il rilascio il quale provvede con decreto e, quando accoglie l’istanza, dispone la riconsegna previa corresponsione delle spese e dei compensi per la custodia e il trasporto.
7.5. L’incremento degli obblighi informativi finalizzati al monitoraggio dell’impatto delle nuove norme sull’andamento dei procedimenti
Al fine di verificare l’applicazione e l’impatto dei nuovi istituti e delle modifiche introdotte con il provvedimento normativo che si commenta, sull’andamento dei procedimenti, il Governo ha inserito anche delle norme attraverso cui si è inteso incrementare gli obblighi informativi a carico dei professionisti che, nei diversi settori di intervento, assumono un ruolo centrale nella conduzione dei procedimenti e, dunque, anche nel monitoraggio dell’evoluzione normativa.
Vanno segnalate in questo senso, anzitutto, le disposizioni dell’art. 11, d.l. 132/14, cit., che obbliga i difensori che sottoscrivono l’accordo raggiunto dalle parti a seguito della convenzione per la negoziazione assistita a trasmettere copia al Consiglio dell’ordine circondariale del luogo ove l’accordo è stato raggiunto, ovvero al Consiglio dell’ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati; obbligo evidentemente finalizzato agli adempimenti di monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita e di trasmissione dei dati al Ministero della giustizia che l’art. 11, comma 2, cit., pone a carico del Consiglio nazionale forense, con cadenza annuale.
L’art. 20, d.l. 132/14, cit., infine, incrementa gli adempimenti informativi posti, invece, a carico degli organi pubblici di controllo nelle procedure esecutive concorsuali e individuali, quali il curatore nel fallimento e il liquidatore nel concordato preventivo[33], il commissario giudiziale nel concordato preventivo con continuità aziendale ex art. 186-bis, l. fall.[34], il professionista (notaio, avvocato o commercialista) delegato alle operazioni di vendita ex art. 591-bis, c.p.c., nelle procedure esecutive individuali[35], il commissario straordinario nell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza[36].
Tali adempimenti informativi si sostanziano nella redazione e nella trasmissione, con modalità telematiche[37], di rapporti riepilogativi a termine delle procedure[38] e, in alcuni casi, anche di relazioni periodiche infraprocedimentali[39].
L’art. 20, ai commi 1 e 3, d.l., 132/14, cit., dispone, rispettivamente, che, proprio per la finalità principale di supportare i ministeri coinvolti nell’elaborazione delle statistiche nazionali, i dati relativi ai rapporti riepilogativi redatti nell’ambito delle procedure individuali, fallimentari e di concordato preventivo sono estratti ed elaborati a cura del Ministero della giustizia anche nell’ambito di rilevazioni statistiche nazionali; mentre quelli relativi ai rapporti riepilogativi del commissario straordinario nell’ambito dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese, vengano estratti ed elaborati, a cura del Ministero dello sviluppo economico.
Va evidenziato, infine, che, mentre per l’adozione dei modelli standard per la redazione dei rapporti e delle relazioni prescritte per il commissario straordinario nella procedura di amministrazione straordinaria nelle grandi imprese in stato di insolvenza, sussiste competenza dei Ministeri, sia pur definita “non regolamentare”[40], per quanto riguarda la definizione delle risorse umane, strumentali e finanziarie, necessarie per l’attuazione delle disposizioni di cui all’art. 20, commi 1 e 2, invece, non è chiaro il senso della disposizione dell’art. 20, comma 4, d.l. 132/14, cit., che forse potrebbe essere intesa a istituire, sul punto, una riserva di legge.
[1] Cfr., art. 6, comma 5, lett. b), d.l. 132/14, cit., che modifica l’art. 63, comma 1, d.p.r., 3 novembre 2000, n. 396, recante le norme per la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, mediante l’aggiunta della lett. g-bis).
[2] Solo per gli accordi stipulati con negoziazione assistita da un avvocato relativi alla cessazione degli effetti civili o allo scioglimento del matrimonio, Cfr., art. 6, comma 5, lett. a), d.l. 132/14, cit., che modifica l’art. 49, comma 1, d.p.r., 396/2000, cit., mediante l’aggiunta della lett. g-bis).
[3] Non, invece, per gli accordi di modifica delle condizioni di separazione o divorzio Cfr., art. 6, comma 5, lett. c), d.l. 132/14, cit., che modifica l’art. 69, comma 1, d.p.r., 396/2000, cit., mediante l’aggiunta della lett. d-bis).
[4] La funzione di principio cardine riconosciuta al
principio di effettività della tutela giurisdizionale fino alla fase esecutiva
compresa, invero, è stata sottolineata anche da PICARDI, Manuale
del processo civile, Milano 2006, pag. 16 e ss; ANDOLINA, Processo ed effettività della tutela
giurisdizionale, in Studi in memoria,
di .BONSIGNORI A, Milano, 2004, I, pag. 25-26; ed è stato, altresì, precisato
che la garanzia fondamentale della tutela giurisdizionale dei diritti opera nel
conseguire un modo procedimentale retto dai crismi della regolarità,
dell’effettività e dell’uguaglianza tanto nell’accesso, quanto in corso di
giudizio, assicurando in ultima un prodotto di giustizia connotato dai
caratteri dell’adeguatezza della tutela in relazione al bene della vita oggetto
del giudizio, affinchè se ne assicuri l’attuazione. In tal senso,
[5] Cfr., Trib. Varese, 11 ottobre 2012, in Giur. Mer., 2013, 4, 855, s.m., con nota di VACCARI M.
[6] L’art. 12, comma 6, d.l. 143/14, cit., contiene anche una disposizione di carattere fiscale, inserendo un art. 11 bis alle norme speciali della tabella D, allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, che, ai fini del diritto fisso che i Comuni dovranno esigere all’atto della conclusione degli accordi di cui all’art. 12, cit., prevede un limite per cui esso non potrà essere superiore all’imposta di bollo fissa prevista per le pubblicazioni di matrimonio (art. 4, tabella A, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 642.
[7] Cfr., art. 12, comma 5, lett. b), d.l. 132/14, cit., che modifica l’art. 63, comma 1, d.p.r., 3 novembre 2000, n. 396, recante le norme per la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, mediante l’aggiunta della lett. g-ter).
[8] Solo per gli accordi stipulati con negoziazione assistita da un avvocato relativi alla cessazione degli effetti civili o allo scioglimento del matrimonio, Cfr., art. 12, comma 5, lett. a), d.l. 132/14, cit., che modifica l’art. 49, comma 1, d.p.r., 396/2000, cit., mediante l’aggiunta della lett. g-ter).
[9] Non, invece, per gli accordi di modifica delle condizioni di separazione o divorzio. Cfr., art. 12, comma 5, lett. c), d.l. 132/14, cit., che modifica l’art. 69, comma 1, d.p.r., 396/2000, cit., mediante l’aggiunta della lett. d-ter).
[10] Cfr., art. 19, comma 3, lett. a), d.l. 132/14, cit., che ha introdotto tale previsione mediante l’aggiunta di un comma 1-quinquies, all’art. 13, d.p.r. 115/2002.
[11] Cfr., art. 155-ter, comma 1, disp. att. C.p.c., introdotto dall’art. 19, comma 2, lett. a), ai sensi del quale la partecipazione ha luogo a norma dell’art. 165, disp. att., cit., che disciplina la partecipazione del creditore al pignoramento.
[12] Ai sensi del combinato disposto dell’art. 492 bis, commi 3, 6, 7, c.p.c., introdotto dall’art. 19, comma 1, lett. d), d.l. 132/14, cit., e dell’art. 155-ter, comma 2, disp. att., c.p.c., introdotto dall’art. 19, comma 2, lett. a), quando i beni rivenuti sono più d’uno, vi è un obbligo di comunicazione da parte dell’ufficiale giudiziario al creditore procedente e, di converso, un onere di scelta e individuazione dei beni da pignorare, da parte del creditore, da comunicarsi all’ufficiale giudiziario entro dieci giorni, a pena di inefficacia della richiesta di pignoramento.
[13] Cfr., art. 155-ter, cit., comma 2.
[14] Le stesse modalità telematiche di accesso, tramite l’ufficiale giudiziario, ai dati patrimoniali dei contribuenti, infatti, varranno anche per le informazioni che l’Autorità giudiziaria potrà utilizzare al fine di ricostruire l’attivo e il passivo nell’ambito delle procedure concorsuali (per esempio anche ai fini dell’applicazione dei limiti di fallibilità e di procedibilità di cui all’art. 1, R.d. 267/1942), o anche nei procedimenti in materia di famiglia e di quelli relativi alla gestione di patrimoni altrui. Cfr., art. 19, comma 5, d.l. 132/14, cit., che integra l’art. 7, comma 9, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 605.
[15] Cfr., art. 115-quater, disp. att. C.p.c., introdotto dall’art. 19, comma 2, lett. a), d.l. 132/14.
[16] Ai sensi dell’art. 155-quater, cit., comma 2, tuttavia, il Ministro della Giustizia nel trattamento dei dati acquisiti è esonerato dall’obbligo dell’informativa di cui all’art. 13, d. lgs. 196/2003.
[17] Cfr., art. 19, comma 2, lett. a, cit.
[18] Cfr., art. 155-ter, comma 1, disp. att., cit.
[19] Cfr., art. 13, comma 1-quinquies, d.p.r. 115/02, cit., introdotto dall’art. 19, comma 3, lett. a), cit.
[20] Cfr., art. 122, comma 2, lett. a), b), d.p.r. 1229/1959, comma introdotto dall’art. 19, comma 4, lett. b), d.l. 132/14, cit.
[21] Cfr., art. 122, comma 5, cit. – comma introdotto dall’art. 19, comma 4, lett. b), cit.
[22] Cfr., art. 164-bis, disp. att. c.p.c., introdotto dall’art. 19, comma 2, lett. b, d.l. 132/14, cit.
[23] Cfr., art. 122, comma 4, cit. – comma introdotto dall’art. 19, comma 4, lett. b), cit.
[24] Necessario, ai sensi dell’art. 22, comma 2, d.l. 132/14, cit., a far fronte alle minori entrate derivanti dalle disposizioni sulla negoziazione assistita tout court (artt. 3 e 6, d.l. 132/14, cit.) e sulla separazione consensuale, sulla richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dello stesso e della modifica delle condizioni di separazione e divorzio avanti l’ufficiale dello stato civile (art. 12, d.l., cit.).
[25] Come già si è avuto modo di accennare più sopra, quella in commento rientra tra le disposizioni per le quali, ai sensi dell’art. 19, u.c., è prevista l’applicazione ai procedimenti iniziati a partire dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione.
[26] Cfr., da ultimo, C. app. Venezia, 7 marzo 2014, in Il caso.it, 2014, la quale, proprio in ragione della formulazione letterale della norma sul punto, ha ribadito che “[…] La notifica per posta nell'ipotesi di cui all'art. 543 c.p.c. è, infatti, praticabile esclusivamente nei confronti del debitore, mentre per quanto riguarda il terzo la stessa deve essere eseguita personalmente, così come esplicitamente disposto dal primo comma del medesimo articolo. La ratio della differente disciplina risiede nel fatto che la notifica al terzo attiene specificamente al pignoramento, mentre quella al debitore costituisce un atto successivo al pignoramento con finalità informativa del debitore esecutato”.
[27] Ossia, quel verbale di consultazione delle banche dati e relative risultanze da cui emerga che ci siano crediti o cose del debitore che siano nella disponibilità di terzi e che, appunto, previa comunicazione dell’ufficiale giudiziario al creditore e risposta di quest’ultimo nei dieci giorni successivi - a pena di inefficacia della richiesta di pignoramento - con la scelta dei beni da pignorare ex art.. 155-ter, disp. att. c.p.c., introdotto dall’art. 19, comma 2, lett. a), cit.,, dovrà essere notificato d’ufficio dall’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 492 bis, comma 6, c.p.c., introdotto dall’art. 19, comma 1, lett. d), cit.
[28] Vale anche in questa sede ricordare che l’art. 18, comma 4, d. l. 132/14, cit., ha modificato l’art. 16-bis, comma 2, del decreto legge n. 179/2012, convertito con modificazioni in legge n. 221/2012,c.p.c.,estendendo, a partire dal 31 marzo 2015, il potere del difensore di autenticare le copie dell’atto di citazione, dei titoli e del precetto, anche al di fuori dei casi previsti dall’art. 16-bis, comma 9-bis, d.l., cit.
[29] Articolo introdotto dall’art. 19, comma 1, lett. i, d. l. 132/14.
[30] Cfr., art. 19, comma 1, lett. d, d.l. 132/14, cit., che sostituisce l’art. 609 c.p.c., il quale prevede, peraltro, che se il soggetto tenuto all’asporto non è presente, l’atto contenente il verbale con l’intimazione e il termine deve essergli notificato a spese del creditore procedente.
[31] Ai sensi dell’art. 609, comma 1, c.p.c., nella versione di cui al d.l. 132/14, cit., il creditore procedente, quando l’asporto dei beni non è effettuato nel termine assegnato, può fare richiesta sostenendone le spese, all’ufficiale giudiziario affinchè determini, anche ai sensi dell’art. 518, comma 1, c.p.c. il presumibile valore di realizzo dei beni ed indichi le prevedibili spese di custodia ed asporto.
[32] Cfr., art. 609, comma 3, c.p.c., nella versione di cui al d.l. 132/14, cit., che detta, poi, una particolare disciplina circa la custodia di eventuali documenti inerenti l’attività professionale o imprenditoriale, ritrovati nell’immobile da liberare ma non asportati, e da conservarsi dalla parte istante per un periodo di due anni, ovvero a sue spese e su sua istanza, da un custode nominato dall’ufficiale giudiziario. Se manca l’istanza o il pagamento delle spese, e se non risulta evidente l’utilità del tentativo di vendita, i beni sono considerati abbandonati e l’ufficiale giudiziario dispone il loro smaltimento o distruzione; allo stesso modo dispone si provvede, comunque, al termine dei due anni, a cura e spese della parte istante o del custode se nominato.
[33] Cfr., art. 20, comma 1, d.l. 132/14, cit., che introduce i nuovi commi da (secondo) 9-ter a 9-sexies sub art. 16-bis, d.l. 179/12, conv. in legge, con modificazioni, in l. 221/12. Il nuovo comma 9-ter, cit., in particolare, onera di presentare un rapporto riepilogativo finale sia al curatore del fallimento che vi deve provvedere con l’istanza di chiusura ex art. 119, comma 1, l. fall., sia il liquidatore del concordato preventivo che vi provvede una volta conclusa l’esecuzione del concordato stesso, in ogni caso con le formalità previste per la relazione ex art. 33, comma 5, l. fall.
[34] Cfr., nuovo art. 16-bis, l. 179/12, conv. in legge, con modificazioni, in l. 221/12, che al comma 9-quater, introdotto con l’art. 20, comma 1, d.l. 132/14, cit., onera il commissario giudiziale nel concordato preventivo con continuità aziendale ex art. 186-bis, l. fall., di redigere (oltre al rapporto riepilogativo a esecuzione del concordato conclusa) anche un rapporto riepilogativo semestrale a decorrere dalla presentazione della relazione ex art. 172, l. fall., da trasmettere anche i creditori.
[35] Cfr., nuovo art. 16-bis, l. 179/12, conv. in legge, con modificazioni, in l. 221/12, che al comma 9-quinquies, introdotto con l’art. 20, comma 1, d.l. 132/14, cit. In questo caso il professionista delegato deve depositare il rapporto riepilogativo delle attività svolte entro dieci giorni dall’approvazione del progetto di distruzione.
[36] Cfr., art. 40, comma 1-bis, d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270, introdotto dall’art. 20, comma 2, lett. a), d.l. 132/14, cit., che introduce per l’amministratore straordinario l’obbligo di redigere e trasmettere ogni sei mesi una relazione sulla situazione patrimoniale e sull’andamento della gestione, conforme ai modelli standard da individuarsi con decreto, non avente natura regolamentare, del Ministero dello sviluppo economico; cfr., altresì, art. 75, comma 1, d.p.r. 270/1999, cit., ultima parte introdotta dall’art. 20, comma 2, lett. b), d.l. 132/14, cit., che onera il Commissario straordinario di redigere il bilancio finale della procedura e il conto della gestione in conformità a modelli standard, da adottarsi sempre con decreto, non avente natura regolamentare, del Ministero dello sviluppo economico.
[37] Il deposito con modalità telematiche di cui parla l’art. art. 16-bis, l. 179/12, conv. in legge, con modificazioni, in l. 221/12, che al comma 9-sexies, introdotto con l’art. 20, comma 1, d.l. 132/14, cit., deve avvenire, come recita testualmente la norma, “nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, nonché delle apposite specifiche tecniche del responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia”. In attesa dell’emanazione delle norme relative alle predette specifiche tecniche, l’art. 20, comma 5, d.l. 132/14, cit., estende l’applicazione delle disposizioni sugli obblighi informativi a carico del curatore (nel fallimento), del liquidatore (nel concordato preventivo), del commissario giudiziale (nel concordato preventivo con continuità aziendale) e del professionista delegato ex art. 591-bis, c.p.c. (nelle procedure esecutive individuali), anche alle procedure rispettivamente pendenti a decorrere dal novantesimo giorno dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale del provvedimento contenente le specifiche tecniche del responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia.
[38] È il caso dei rapporti riepilogativi imposti al curatore fallimentare e al liquidatore del concordato preventivo ex art. 16-bis, d.l. 179/12, convertito con modificazioni in l. 221/12, comma secondo 9 ter, introdotto dall’art. 20, comma 1, d.l. 132/14, cit., nonchè al commissario giudiziale nel concordato preventivo con continuità aziendale ex art. 182-bis, l. fall., ai sensi dell’16-bis, d.l. 179/12, convertito con modificazioni in l. 221/12, comma 9 quater, ultima parte, introdotto dall’art. 20, comma 1, d.l., 132/14, cit., e il professionista delegato ex art. 591-bis, c.p.c., nelle procedure esecutive individuali, ai sensi dell’16-bis, d.l. 179/12, convertito con modificazioni in l. 221/12, comma secondo 9 quinquies, introdotto dall’art. 20, comma 1, d.l. 132/14, cit., e infine, al commissario straordinario, ai sensi dell’art. 75, comma 1, .p.r. 270/1999, cit., ultima parte, introdotta dall’art. 20, comma 2, lett. b), d.l. 132/14, cit.
[39] Così è per il commissario giudiziale nel concordato preventivo con continuità aziendale ex art. 182-bis, l. fall., ai sensi dell’16-bis, d.l. 179/12, convertito con modificazioni in l. 221/12, comma 9 quater, prima parte, introdotto dall’art. 20, comma 1, d.l., 132/14, cit., e per il commissario straordinario, ai sensi dell’art. 40, comma 1-bis, .p.r. 270/1999, cit., ultima parte, introdotta dall’art. 20, comma 2, lett. b), d.l. 132/14, cit.
[40] Cfr., art. 20, comma 2, lett. a), d.l. 132/14, cit.; l’art. 20, comma 6, d.l. 132/14, cit., peraltro, estende l’ambito di applicabilità delle nuove norme di cui all’art. 20, commi 2 e 3, d.l. 132/14, cit., sul monitoraggio della procedura di amministrazione straordinaria nelle grandi imprese in istato di insolvenza, anche a quelle pendenti a decorrere dal novantesimo giorno dalla pubblicazione in G.U. dei decreti non regolamentari sugli standards da adottare per la formazione delle relazioni periodiche imposte al commissario straordinario dal nuovo comma 1-bis, dell’art. 40, d.p.r. 270/1999, cit.
Scarica Articolo PDF