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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 14/02/2014 Scarica PDF
I rapporti giuridici pendenti nel fallimento
Giuseppe Fichera, Magistrato del Massimario della Corte di cassazioneSommario: 1. Introduzione. - 2. I lavori preparatori della riforma. - 3. art. 72 l.fall.: i rapporti pendenti. - 4. Contratti relativi ad immobili da costruire. - 5. Effetti sui finanziamenti destinati ad uno specifico affare. - 6. Locazione finanziaria. - 7. Vendita con riserva di proprietà. - 8. Contratti ad esecuzione continuato o periodica. - 9. Restituzione di cose non pagate. - 10. Contratto di borsa a termine. - 11. Associazione in partecipazione. - 12. Conto corrente, mandato, commissione. - 13. Affitto d’azienda. - 14. Locazione di immobili. - 15. Appalto. - 16 Contratto di assicurazione. - 17. Contratto di edizione. - 18. Clausola arbitrale.
1. La disciplina dei rapporti pendenti concerne la valutazione della sorte dei rapporti contrattuali in corso alla data del fallimento. Vengono definiti “pendenti”, ovvero in corso, i rapporti contrattuali che sono sorti prima del fallimento, ma non sono stati ancora eseguiti oppure sono stati eseguiti solo in parte. L’avvento del fallimento pone infatti non solo i beni, ma anche i rapporti contrattuali in una prospettiva liquidatoria, che non consente l’adempimento delle prestazioni contrattuali negli stessi termini in cui sarebbe avvenuta senza il sopravvenire del fallimento.
Il codice di commercio del 1882 non si occupava in modo specifico degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, fissando soltanto poche norme sparse qua e là[1]; la materia è stata, invece, disciplinata in una apposita sezione (la IV del capo III del titolo II) dedicata agli “effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti” dalla legge fallimentare del 1942; ma tra i dodici articoli dedicati ai rapporti pendenti, mentre difettava una norma di portata generale[2], ben cinque si occupavano della vendita o di contratti affini alla vendita[3]; altri cinque dei contratti di associazione in partecipazione (art. 77), conto corrente, mandato, commissione (art. 78), locazione di immobili (art. 80), appalto (art. 81) e assicurazione contro i danni (art. 82); uno si limitava a rinviare ad altra legge speciale per il contratto di edizione nel caso di fallimento dell’editore (art. 83); uno (art. 79) sembrava addirittura estraneo alla materia in esame[4]; in compenso, una norma contenuta fra quelle della sezione II – l’art. 60, relativo alla rendita perpetua e alla rendita vitalizia – poteva essere senz’altro inserita nella sezione IV.
Era opinione comune che si trattasse di una disciplina assolutamente frammentaria e insufficiente: numerosi contratti tipici, assai frequenti nell’attività delle imprese commerciali, quali i contratti bancari, il contratto di agenzia, la locazione di mobili, l’affitto di azienda, il contratto di deposito, etc., non sono neppure menzionati.
Peraltro, la sorte di taluni rapporti non era (e continua a non essere) disciplinata nella legge fallimentare, ma nel codice civile[5] o in altre leggi speciali[6].
In sostanza, essendo disciplinata la sorte nel fallimento di determinati contratti – con riguardo al tipo, o più raramente all’oggetto (art. 80) o alle peculiarità caratterizzanti in concreto il rapporto contrattuale (art. 81, comma secondo) –, rimaneva aperto il problema dell’individuazione della disciplina dei contratti la cui sorte nel fallimento non sia espressamente regolata e, in particolare – laddove non fosse possibile utilizzare lo strumento dell’interpretazione analogica – quello dell’individuazione della norma di chiusura del sistema.
La frammentarietà e l’insufficienza della disciplina contenuta nella legge fallimentare (e nelle altre fonti normative) ha obbligato gli interpreti a colmare le lacune, estrapolando da quella un principio più generale, al quale fare riferimento per individuare la sorte dei rapporti pendenti non espressamente menzionati; e poiché, com’è noto, gli artt. 72 e seguenti l.fall. prevedevano, a seconda dei casi, la sospensione del rapporto pendente o la sua prosecuzione (automatica o per volontà del curatore fallimentare oppure per volontà del contraente in bonis) o il suo scioglimento (automatico o per volontà del curatore oppure a seguito dell'iniziativa del contraente in bonis), dottrina e giurisprudenza si sono domandate quale di queste tre soluzioni costituisca la regola e quali le eccezioni.
La tesi che ha finito per prevalere, soprattutto in giurisprudenza, è quella secondo cui, in mancanza di diversa disposizione, la sorte del contratto pendente doveva essere regolata dal principio enunciato nell’art. 72, commi secondo, terzo e quarto, l.fall. che prevedeva la sospensione del rapporto, fino a quando il curatore fallimentare non avesse esercitato il potere di subentrare in esso, assumendo a carico della massa (e, quindi, in prededuzione) tutti gli obblighi del contraente fallito, oppure quello di sciogliersi dal medesimo, senza rispondere di eventuali danni arrecati dallo scioglimento al contraente pronto ad adempiere[7].
2. Nel corso della XIVa legislatura il Parlamento si è occupato in più riprese della riforma della legge fallimentare; il 14 marzo 2002 il Governo depositava in Senato un disegno di legge[8] che si proponeva di attuare una parziale “Riforma urgente” (o mini-riforma) della legge fallimentare; tale disegno di legge, tuttavia, nella versione iniziale non prevedeva modifiche di alcun genere alla disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti.
Più o meno nello stesso periodo di tempo, però, cioè all’inizio dell'anno 2002 il Governo aveva istituito una (nuova) Commissione di Studi (la c.d. Commissione Trevisanato, dal nome del suo presidente), conferendole l’incarico di predisporre un testo di legge-delega per una riforma organica della legge fallimentare, che veniva redatto (ed approvato peraltro soltanto dalla maggioranza della Commissione) il 20 giugno 2003[9]; contemporaneamente altro schema di disegno di legge delega era proposto (come “testo alternativo”) dalla minoranza della Commissione Trevisanato.
Entrambi i progetti prevedevano, come regola generale, la sospensione dei rapporti pendenti, con facoltà di scelta per il curatore se subentrare o recedere; ed entrambi, però, consentivano deroghe per casi particolari (sostanzialmente identificabili in relazione alle “caratteristiche” o alla “complessità” di determinati rapporti).
Successivamente, anche al fine di superare i contrasti sorti all’interno della menzionata Commissione, il Governo costituì una Commissione ristretta, nel febbraio dell’anno 2004[10], con l’incarico di predisporre un progetto di legge avente ad oggetto la disciplina integrale di una nuova legge fallimentare, da sottoporre al Parlamento, progetto che però, una volta predisposto, non ebbe alcun seguito.
In tale progetto agli effetti della “procedura di liquidazione concorsuale” sui rapporti giuridici pendenti era dedicato un intero Capo, ove erano contenuti gli articoli dal 119 al 130; precisamente nella prima norma (art. 119) erano inseriti i principi generali in materia, accogliendosi la regola della sospensione del rapporto, della facoltà di scelta del curatore fra esecuzione e scioglimento, della facoltà del contraente in bonis di mettere in mora il curatore, al fine di provocare lo scioglimento del rapporto medesimo, con esclusione del suo diritto a risarcimento del danno in caso di scioglimento; nell’ultima (art. 130) si stabiliva la preminenza di dette regole sulle disposizioni previste in leggi speciali, applicabili solo in quanto compatibili con l’art. 119; nelle altre norme (artt. 120 e 121) si indicavano in modo specifico quali contratti proseguivano automaticamente con gli organi della procedura o, viceversa, quali si scioglievano automaticamente; e infine si dettavano regole specifiche per alcune fattispecie contrattuali, in parte già disciplinate nella vigente legge fallimentare (vendita, vendita a rate e a consegne ripartite, somministrazione, appalto), in parte prevedendone di nuove (affitto di azienda, contratto di lavoro subordinato, clausola arbitrale e compromesso).
Nel dicembre del 2004, il Governo propose un diverso testo di parziale riforma della vigente legge fallimentare[11], che rispetto a quello originario presentato nel 2002, per quanto ci interessa, introduceva nella legge fallimentare alcune novità: un articolo 72-bis sugli effetti del fallimento sui finanziamenti ad uno specifico affare; un articolo 72-ter sulla locazione finanziaria e un articolo 83-bis, destinato a costituire la regola generale in materia, e cioè quella, enucleata da dottrina e giurisprudenza, della sospensione del rapporto, con la facoltà di scelta del curatore fra esecuzione e scioglimento.
Si arriva così all’approvazione del comma 6 dell’art. 1 della legge delega 14 maggio 2005, n. 80, che fra i principi e criteri direttivi della “riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267” si occupa anche dei rapporti giuridici pendenti, impegnando il Governo a “modificare la disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, ampliando i termini entro i quali il curatore deve manifestare la propria scelta in ordine allo scioglimento dei relativi contratti e prevedendo una disciplina per i patrimoni destinati ad uno specifico affare e per i contratti di locazione finanziaria” (n. 7)e prevedendo che nel“programma di liquidazione – che il curatore deve predisporre e sottoporre all’approvazione del comitato dei creditori –, siano specificate, fra l’altro, le eventuali possibilità di cessione “di rapporti giuridici individuabili in blocco” (n. 10.4).
Ora, mentre nello schema di decreto legislativo predisposto nell’estate del 2005 dal Ministro dell’Economia e delle Finanze[12] e da questo trasmesso al Ministro della Giustizia, si prevedeva – in stretta ottemperanza alle linee direttive della legge delega – una limitata novellazione della sezione IV della legge fallimentare[13], lo schema di decreto legislativo redatto dal gruppo di lavoro istituito presso il Ministero della Giustizia[14], ha previsto un intervento complessivo su tutta la disciplina dei rapporti pendenti contenuta nella legge fallimentare, attraverso la modifica di otto degli articoli che compongono la sezione[15] e l’introduzione di cinque nuovi articoli[16].
Il testo redatto dal Gruppo di lavoro istituito presso il Ministero della Giustizia (con poche significative variazioni nella parte che ci riguarda), venne quindi approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 23 settembre 2005, e, dopo l’esame delle commissioni competenti dei due rami del parlamento (che hanno esitato pareri condizionatamente favorevoli[17]) e la deliberazione finale del Governo nella riunione del 22 dicembre 2005, è divenuto il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (pubblicato sulla G.U. del 16.1.2006, n. 12).
Successivamente, sulla base di una ulteriore delega prevista nell’art. 1, comma 5-bis, della cennata legge 80/2005, come interpolato dall’art. 1, comma 3, l. 12 luglio 2006, n. 228, è intervenuta una revisione complessiva della normativa appena approvata, con il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 recante Disposizioni integrative e correttive del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante la disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 1, commi, 5, 5-bis e 6 della legge 14 maggio 2005, n. 80 (c.d. decreto correttivo), con cui sono state aggiunte disposizioni integrative e correttive all’intera sezione, con una portata innovatrice assai rilevante, considerato che sono stati novellati gli artt. 72, 72-bis, 72-quater, 73, 74, 79, 80 e 80-bis (quest’ultimo, per vero, risulta alfine soppresso).
Da ultimo vanno segnalate le novità introdotte dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, che a parte una assai trascurabile modifica dell’art. 72 l.fall., ha introdotto un nuovo articolo nella legge fallimentare – l’art. 169-bis – integralmente dedicato alla disciplina dei contratti in corso di esecuzione nell’ambito del concordato preventivo[18], procedura in precedenza pacificamente ritenuta incompatibile con la disciplina contenuta dagli artt. 72 e segg., considerato che all’imprenditore ammesso al concordato rimane l’amministrazione dei beni e l’esercizio dell’impresa[19].
3. La suddivisione più ampiamente condivisa della disciplina dei rapporti pendenti è quella che li distingue in tre categorie: a) rapporti che si sciolgono per effetto della dichiarazione di fallimento; b) rapporti che proseguono ope legis con la massa dei creditori; c) rapporti che subiscono all’atto della dichiarazione di fallimento, una temporanea sospensione, in attesa della scelta di subentro, ovvero di scioglimento del curatore.
Il nuovo articolo di esordio della sezione dedicata ai rapporti pendenti, con la lodevole intenzione di dettare una disciplina della materia per regole generali, ha previsto che non più al solo contratto di vendita, bensì a qualunque contratto “ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti”, si applica la regola della sospensione del contratto in attesa della determinazione del curatore di subentro, con assunzione di tutti gli obblighi conseguenti, ovvero di scioglimento con la risoluzione del contratto, fatte salve “le diverse disposizioni della presente Sezione” (comma primo).
La dizione contenuta nel primo comma dell’art. 72 l.fall. novellato appare però riduttiva. Infatti, norme che regolano la sorte nel fallimento di determinati contratti si rinvengano anche altrove nella legge fallimentare: così quella del ricordato art. 60 l.fall. sulla rendita perpetua e vitalizia, inserita nella sezione relativa agli effetti del fallimento per i creditori; altre norme, poi, lo si è detto[20], si rinvengono in altri testi normativi, ma – a differenza di quella relativa agli effetti del fallimento dell’editore sul contratto di edizione, richiamata dall’art. 83 l.fall. contenuto nella sezione in esame – non sono espressamente richiamate nel corpo della legge fallimentare.
Poiché le norme che regolano gli effetti del fallimento su determinati rapporti contrattuali, contenute in altre sezioni della legge fallimentare o in altri testi normativi, non sono state abrogate, né è prospettabile una loro abrogazione per incompatibilità, è stato sostenuto che la norma generale dell’art. 72 l.fall., si deve considerare applicabile non “salve le diverse disposizioni della presente sezione” ma “salve diverse disposizioni di legge”[21].
Altro problema interpretativo è stato prospettato con riferimento ai numerosi contratti tipici e, soprattutto, atipici non considerati dall’art. 72 l.fall., né dai restanti articoli contenuti nella sezione in esame, potendosi avanzare il dubbio[22] che sia comunque necessario stabilire prima se sia applicabile alla fattispecie in via estensiva o anche analogica una delle discipline dedicate a particolari contratti, piuttosto che la previsione generale di cui alla cennata norma, essendo fondate ciascuna delle “diverse disposizioni di legge” su di una ratio differente da quella che sorregge la norma generale, come tale suscettibile di applicazione analogica[23].
L’affermazione della descritta regola generale, pure non esplicitamente prevista dal legislatore delegante[24], era già prevista dall’art. 119 dello schema di d.d.l. elaborato dalla Commissione ministeriale c.d. Trevisanato bis[25], nonché dall’art. 83 bis del c.d. maxiemendamento[26].
Le scelte operate dal legislatore non sono peraltro state del tutto uniformi nell’ambito delle diverse procedure concorsuali. Nell’amministrazione straordinaria il legislatore aveva preferito, con l’art. 50 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 279, stabilire la regola che i contratti pendenti “continuano ad avere esecuzione” sino a che il commissario non eserciti la facoltà di sciogliersi dal contratto, oppure che tale scelta sia esercitata dal contraente in bonis dopo la approvazione del programma e previa intimazione al commissario di conoscerne le determinazioni. Si tratta di una soluzione ispirata evidentemente dalla esigenza della conservazione dell’azienda, la cui funzionalità e valore dipende anche dalla esistenza e conservazione dei contratti effettivamente utili all’esercizio dell’azienda stessa.
Nel nuovo testo dell’art. 72 l.fall., invece, come detto, è prevista la sospensione del contratto sino a quando il curatore[27], con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di volere subentrare nel contratto in luogo del fallito (assumendo tutti i relativi obblighi), ovvero di sciogliersi dal contratto.
Si tratta di una scelta più flessibile e omogenea alle diverse esigenze di conservazione oppure di liquidazione dell’azienda, che possono essere perseguite, a seconda delle diverse fasi di evoluzione della gestione della procedura, dagli organi del fallimento.
Opportunamente il legislatore ha ampliato (rispetto agli otto giorni previsti nel previgente art. 72 l.fall.) lo spatium deliberandi in capo al curatore, qualora costituito in mora, stabilendo, nel secondo comma dell’art. 72 l.fall., l’assegnazione di un termine non superiore a sessanta giorni da parte del giudice delegato, su istanza del contraente in bonis[28], decorso il quale inutilmente il contratto si intende sciolto.
Il potere di scelta stabilito, tra continuazione e scioglimento del contratto, come visto deve essere esercitato dal curatore previa autorizzazione del comitato dei creditori che, è noto, ha sostituito in questo ruolo il giudice delegato[29] e deve essere nominato da quest’ultimo, ai sensi dell’art 40 l.fall. novellato, nei trenta giorni successivi alla dichiarazione di fallimento.
La norma, anche nella attuale più recente formulazione, non specifica in modo inequivoco se tale autorizzazione sia richiesta, oltre che nel caso della continuazione del rapporto contrattuale da parte del curatore, anche nel caso in cui la scelta di quest’ultimo sia nel senso dello scioglimento del contratto.
La necessità della autorizzazione sembrerebbe univocamente stabilita solo per l’efficacia della dichiarazione del curatore di subentrare nel contratto e la ragione è evidente, trattandosi di un atto di autonomia privata che comporta atti di disposizione del patrimonio fallimentare. Va considerato, infatti, che con il subentro nel rapporto, il curatore viene ad assumere tutti gli obblighi propri del contratto, e pertanto viene ad utilizzare le risorse destinate alla soddisfazione di creditori per una attività contrattuale, la cui convenienza per la procedura dovrà essere attentamente valutata anche dall’organo autorizzativo, che in particolare dovrà valutare se dalla continuazione del contratto, anche se solo in via indiretta, potranno derivare utilità ai fini della soddisfazione concorsuale dei creditori.
Una analoga espressa previsione della necessità dell’autorizzazione per l’ipotesi in cui il curatore scelga lo scioglimento del contratto, non pare rinvenirsi, né si rinveniva in passato, nell’art. 72 l.fall.. Questo ha fatto ritenere nel vigore del vecchio testo che lo scioglimento potesse essere autonomamente deciso dal curatore senza necessità di autorizzazione da parte del giudice delegato[30].
Del resto, in mancanza di scelta del curatore, il secondo comma dell’art. 72 l.fall. (al pari del terzo comma nella precedente formulazione delle norma) fa conseguire lo scioglimento del contratto dal decorso del termine fissato dal giudice delegato appunto per l’esercizio del diritto di scelta o del subentro, senza che sia necessaria una espressa autorizzazione nel caso in cui il curatore faccia decorrere il termine senza rispondere.
E stato, tuttavia, sottolineato[31] come l’opportunità dell’autorizzazione tanto per lo scioglimento quanto per il subentro, trova maggiore giustificazione nel nuovo schema di ripartizione delle competenze designato dal legislatore della riforma, ove al giudice delegato si è sostituito il comitato dei creditori, il quale ha ampi poteri di valutazione dell’opportunità e della convenienza economica delle scelte di gestione del patrimonio fallimentare.
In mancanza di una tale scelta da parte del curatore[32], il sopravvenire del fallimento impedisce comunque che il contratto possa continuare ad avere esecuzione da entrambe le parti.
Fra le novità introdotte dalla norma generale dell’art. 72 l.fall. si segnala la disposizione relativa al contratto preliminare (comma terzo) che, salva la previsione di cui all’art. 72-bis l.fall. (in materia di immobili da costruire: su cui infra), ha dato veste legislativa all’orientamento della dottrina e della giurisprudenza sull’inclusione del preliminare nella regola generale in tema di vendita non ancora eseguita, nel senso che era estesa al preliminare di vendita la disciplina del contratto di vendita contenuta nel vecchio articolo 72[33].
Dunque, anche per il contratto preliminare, quale che sia il contratto definitivo che le parti si sono obbligate a stipulare, vale la regola generale del novello art. 72 l.fall., restando sospeso il negozio in attesa delle determinazioni del curatore.
Soggiunge, peraltro, il nuovo art. 72, comma settimo, l.fall. come novellato dalla riforma del 2006 e poi rivisto anche dal correttivo del 2007, che ove il preliminare sia stato trascritto nei registri immobiliari – secondo l’espressa previsione contenuta nell’art. 2645-bis c.c. – ed il curatore abbia scelto lo scioglimento del contratto, l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito per il prezzo versato, escluso il risarcimento del danno, con il privilegio speciale immobiliare di cui all’art. 2775-bis c.c., a condizione che non siano cessati gli effetti della trascrizione del preliminare anteriormente alla dichiarazione di fallimento[34].
Ancora, sempre con il decreto correttivo del 2007, il legislatore delegato è tornato ad occuparsi della materia, inserendo un nuovo comma (l’ottavo), in coda all’art. 72 l.fall., ove è precisato che le disposizioni del primo comma, in tema di sospensione dei contratti non ancora eseguiti alla data del fallimento, non si applicano al contratto preliminare immobiliare, purché precedentemente sia stato trascritto ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. e abbia ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale per l’acquirente o per i suoi parenti o affini fino al terzo grado[35]. Successivamente la stessa tutela è stata accordata, con la novella della norma in commento ad opera del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, anche ai preliminari aventi per oggetto un immobile ad uso non abitativo, destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente[36].
In presenza delle descritte condizioni (preliminare trascritto, immobile ad uso di abitazione principale per l’acquirente o i suoi congiunti, ovvero ad uso come sede principale dell’attività dell’acquirente), il curatore perde quindi il diritto a sciogliersi dal contratto preliminare, restando soggetto all’eventuale richiesta avanzata dal contraente in bonis di stipulare il contratto definitivo[37].
Con la nuova formulazione dell’art. 72 l.fall., che ora è divenuta norma di carattere generale per tutti i rapporti contrattuali e non più relativa alla sola vendita, è venuta meno la previsione, già contenuta al primo comma dell’art. 72 l.fall., ora abrogato, secondo cui, nel caso di fallimento del compratore, al venditore in bonis era consentito di eseguire la prestazione, facendo valere nel passivo del fallimento il credito per la controprestazione dovuta dal compratore fallito.
È difficile stabilire se la modifica è il risultato di una consapevole scelta legislativa. Ciò che emerge dalla complessiva nuova disciplina dell’art. 72 l.fall. è, comunque, la esclusione della possibilità che i contraenti possano unilateralmente decidere la continuazione dell’esecuzione del rapporto contrattuale, ponendo mano dopo la dichiarazione di fallimento all’esecuzione delle prestazioni ed imponendo quindi, nel nostro caso al curatore fallimentare, la ricezione di prestazioni con conseguente assunzione da parte del passivo del fallimento di oneri per prestazioni corrispettive anche se in moneta fallimentare.
Il legislatore della riforma non ha inteso innovare (e così anche meglio precisare) la disciplina relativa agli effetti del subentro del curatore nei contratti pendenti, riproducendo il vigente art. 72, comma primo, ultima parte, l.fall. la frase “assumendo tutti i relativi obblighi” già contenuta nel vecchio art. 72, comma secondo (“assumendone tutti gli obblighi relativi”).
Ora, nel caso di contratti ad esecuzione istantanea nessun problema si pone, laddove, anteriormente al fallimento, l’uno o l’altro dei contraenti abbia corrisposto degli acconti, essendo dovuto soltanto il residuo e collocandosi il curatore nella stessa posizione del contraente fallito.
Assai più problematico risulta individuare gli effetti del subentro nei contratti di durata; poiché, in questi contratti, l’interesse dell’avente diritto alle prestazioni rimane parzialmente ma definitivamente soddisfatto ad ogni singola prestazione ed il rapporto è quindi caratterizzato dalla frazionabilità, la regola dovrebbe essere quella dell’assunzione come debiti della massa delle controprestazioni relative a prestazioni effettuate dopo il fallimento a favore dell’amministrazione fallimentare e della soggezione a regolazione concorsuale delle controprestazioni relative a prestazioni effettuate prima del fallimento a favore del fallito.
Invero, in un primo tempo, la prededucibilità del credito pregresso era stata espressamente sancita dal legislatore del 2006 per la somministrazione, la vendita a consegne ripartite e l’assicurazione contro i danni (artt. 74, comma secondo e 82, comma secondo, l.fall.); mentre per il contratto di locazione, in caso di fallimento del conduttore, e per il contratto di lavoro viene considerata pacifica la concorsualità del credito al corrispettivo maturato anteriormente al fallimento.
Sembrava allora potersi condividere la tesi dottrinaria[38], a tenore della quale nei contratti di durata la regola era quella della prededucibilità solo per i corrispettivi relativi alle prestazioni successive al fallimento ed in questo contesto, mentre la norma dell’art. 82, comma secondo, l.fall. si giustificava perché il mancato pagamento dei premi implica l’automatica sospensione della garanzia assicurativa ripristinabile soltanto con il pagamento anche del pregresso, rimaneva l’inquadramento non coerente della norma dell’art. 74, comma secondo, l.fall. relativa alla prededucibilità del credito pregresso soltanto nei contratti di somministrazione e di vendita a consegne ripartite[39].
Il legislatore del correttivo del 2007 ha inteso porre rimedio all’esposto problema interpretativo in maniera tranchant, novellando l’art. 74 l.fall., ora rubricato “contratti ad esecuzione continuata o periodica”, prevedendo in maniera generalizzata che nei detti contratti – e quindi non più soltanto per la somministrazione e per la vendita a consegne ripartite – se il curatore subentra nel rapporto deve pagare integralmente anche il prezzo delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati[40].
La novella del 2006, pure ribadendo che in caso di scioglimento del contratto il contraente ha diritto di fare valer nel passivo “il credito conseguente al mancato adempimento” (art. 72, comma quarto, l.fall.), non aveva poi riformulato l’inciso contenuto nel medesimo comma quarto, ultima parte, dell’art. 72 abrogato, a tenore del quale in caso di scioglimento del contratto, il contraente in bonis aveva diritto a fare valere il suo credito nel passivo “senza che gli sia dovuto risarcimento del danno”[41].
Un parte della dottrina[42] tendeva peraltro decisamente ad escludere che all’esercizio della scelta di sciogliersi dal contratto da parte del curatore possa oggi corrispondere un diritto del contraente in bonis al risarcimento del danno.
La decisione del curatore di sciogliersi dal contratto avrebbe dovuto essere, infatti, ricondotta al riconoscimento di un diritto potestativo di recesso che trova fondamento in una giusta causa di immediata evidenza, consistente nella sopravvenuta procedura fallimentare, che modifica radicalmente l’interesse della parte fallita alle sorti del contratto in corso e che, anzi, sostituisce all’interesse della parte originaria, quelli dei creditori fallimentari in relazione ai quali il curatore, secondo anche il volere del comitato dei creditori che autorizza, decide sullo scioglimento. E’ difficile, quindi, pensare che da tale decisione possa derivare a carico del fallimento l’obbligo di un risarcimento a favore del contraente in bonis.
A tale proposito si è considerato che, se è vero che nel nuovo sistema la sospensione del contratto consente al curatore di valutare con gli organi fallimentari di continuare nel rapporto contrattuale in corso, questa scelta deve pur sempre intendersi come sostanzialmente eccezionale e possibile solo se giustificata da una autentica convenienza da valutarsi caso per caso, mentre lo scioglimento del contratto continua a costituire la soluzione che, in modo certamente prevalente, rispecchia le reali esigenze liquidatorie dei rapporti in corso.
Altri[43], ponevano in evidenza come, mentre nella disciplina previgente si parlava soltanto di “proprio credito” e tale espressione veniva unanimemente interpretata da dottrina e dalla unanime giurisprudenza[44] come riferita al credito di restituzione degli acconti versati prima del fallimento, nel nuovo testo normativo di faccia riferimento al “credito conseguente al mancato adempimento” che è qualcosa di diverso e di più.
Tale novità, unitamente a quella, sopra evidenziata, concernente la scomparsa dell’inciso che si riferiva al risarcimento del danno, aveva indotto taluni[45] a ritenere che al contraente in bonis doveva comunque essere riconosciuto se non proprio un diritto al risarcimento del danno – per mancanza del presupposto dell’ingiustizia del danno –, una sorta di equo indennizzo da atto lecito, come del resto era espressamente previsto dall’art. 80, comma secondo, e dal nuovo art. 79 l.fall. (già 80 bis), rispettivamente, in tema di locazione di immobili e affitto d’azienda in caso di recesso del curatore.
Anche in questo caso, con il correttivo del 2007, il legislatore delegato ha inteso sopire il nascente dibattito dottrinario, ripristinando la formula originaria della legge fallimentare, stabilendo in maniera espressa, nel quarto comma dell’art. 72 l.fall., che in caso di scioglimento del contratto al contraente non spetta alcun risarcimento del danno.
Va rilevato, peraltro, che al credito discendente da mancato adempimento l’art. 72 l.fall. attribuisce, a differenza di quanto fanno gli art. 79 e 80, comma secondo e terzo, l.fall. per i crediti da equo indennizzo in caso di recesso del curatore dai contratti di affitto d’azienda e di locazione, il rango di credito chirografario.
Peraltro, anche prima dell’ultima novella, una specifica esclusione del diritto al risarcimento del danno del contraente in bonis che ha subito lo scioglimento del rapporto, era già sancita dal penultimo comma dell’art. 72, per l’ipotesi in cui il curatore avesse deciso di sciogliersi dal contratto preliminare di vendita di immobile, ribadendosi in questo modo la medesima regola già precedentemente stabilita dal quinto comma del precedente art. 72 l.fall. [46].
L’art. 72 novellato con la riforma del 2006[47] disciplina per la prima volta, recependo una interpretazione peraltro consolidata nella giurisprudenza[48], l’azione di risoluzione nel fallimento, che potrà essere coltivata nei confronti della procedura soltanto se promossa, appunto, prima della dichiarazione di fallimento[49], “fatta salva, nei casi previsti, l’efficacia della trascrizione della domanda”, restando quindi la massa soggetta all’eventuale condanna alla restituzione e al risarcimento se soccombente all’esito del giudizio.
In questo caso, precisa ora l’art. 72, comma quinto, l.fall. se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma di denaro o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre domanda secondo le forme richieste per l’accertamento del passivo, vale a dire a norma degli artt. 92 e segg. l.fall. sulla verifica dei crediti e sulla restituzione dei beni[50].
Era discusso nel vigore della precedente disciplina, quali fossero gli effetti dell’eventuale accoglimento della domanda di risoluzione proposta da parte del contraente in bonis. Secondo la giurisprudenza maggioritaria[51], data la retrodatazione degli effetti della sentenza di risoluzione, il detto contraente in bonis aveva diritto di recuperare in ogni caso la proprietà dei beni oggetto del contratto (salvo che si trattasse di beni fungibili). La dottrina prevalente[52], invece, riteneva applicabile l’art. 1458, comma II, c.c. che per l’ipotesi di risoluzione del contratto esclude che la stessa pregiudichi i diritti acquistati dai terzi salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione, e che quindi data la posizione di terzo rivestita dalla massa dei creditori, al contraente in bonis vittorioso nell’azione di risoluzione non spettasse la restituzione del bene consegnato ma solo un credito concorsuale per l’equivalente monetario, salvo che non avesse trascritto la domanda di risoluzione prima del fallimento.
Secondo alcuni autori[53], con il nuovo art. 72, comma quinto, l.fall. il legislatore della novella avrebbe fatto propria quest’ultima tesi, laddove, stabilendo che l’azione di risoluzione spiega effetto nei confronti del curatore, fa salva nei casi previsti l’efficacia della trascrizione della domanda di risoluzione, così subordinando all’adempimento di tale onere pubblicitario il diritto alla restituzione dei beni (ovviamente solo immobili o mobili registrati).
L’espresso riferimento legislativo alla “azione di risoluzione”, poi, non dovrebbe valere ad escludere l’acquisizione del diritto alla risoluzione con lo strumento della diffida di adempiere o della dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, richiedendosi ovviamente in tali casi, per l’opponibilità al fallimento, che la diffida o la dichiarazione risultino da atti aventi data certa anteriore al fallimento[54].
Tra i primi commentatori della norma[55], ha suscitato perplessità la scelta del legislatore delegato di stabilire espressamente la regola della necessaria efficacia nei confronti del curatore solo per l’azione di risoluzione per inadempimento, e non anche per le altre ipotesi di risoluzione, ovvero per le azioni di rescissione, annullamento o nullità, dovendo anche per tali azioni valere la regola generale (desumibile dall’art. 45), secondo cui la trascrizione della domanda prima della dichiarazione di fallimento rende la stessa opponibile al fallimento.
Si è quindi auspicata una lettura estensiva del nuovo quinto comma dell’art. 72 l.fall., da considerare quale specifica espressione del più generale principio secondo cui la proposizione di una domanda avente ad oggetto l’efficacia o la validità di un contratto farebbe nascere in capo al soggetto che ha agito una sorta di “diritto quesito” alla pronuncia, venendo meno, conseguentemente, la facoltà per il curatore di sciogliersi dal contratto.
Il legislatore della riforma, poi, ha evitato di prendere posizione in modo espresso sulla controversa questione della sorte dell’azione di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre promossa prima della dichiarazione di fallimento.
Infatti con la nota pronuncia del 2004 a sezioni unite[56], la Cassazione aveva stabilito che la trascrizione, anteriormente alla data di deposito della sentenza dichiarativa di fallimento, della domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, determina l’opponibilità della relativa sentenza alla massa dei creditori ed impedisce l’apprensione del bene da parte del curatore, il quale non potrebbe, quindi, avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall’art. 72 l.fall.; successivamente, sempre la Suprema Corte[57] sembrava avere inteso ribadire la prevalenza di quest’ultima norma e, dunque, la facoltà di scioglimento spettante al curatore fino a quando la sentenza costitutiva non sia passata in giudicato.
Successivamente i Giudici di legittimità hanno decisamente mostrato di volere aderire alla svolta maturata con la pronuncia a sezioni unite del 2004, ribadendo l’orientamento a tenore del quale la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto preliminare di vendita, se sia stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento del promittente venditore, rende la sentenza che l’accoglie, anche se trascritta successivamente, opponibile alla massa dei creditori e impedisce l’apprensione del bene da parte del curatore del contraente fallito, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall’art. 72 l.fall..
È ciò, in quanto gli effetti della anzidetta sentenza di accoglimento retroagiscono alla data della trascrizione della domanda, così da rendere la situazione controversa insensibile agli eventi successivi incidenti sulla titolarità e sulla disponibilità del bene oggetto della pretesa[58].
Siffatto orientamento è stato sottoposto a critica da chi ha osservato come la riforma del 2006 (e pure il correttivo del 2007) non hanno inteso accordare al promissario acquirente la medesima tutela prevista soltanto per il soggetto che agisce per la risoluzione del contratto (art. 72, comma quinto, l.fall.)[59], dovendosi soggiungere che una deroga espressa al disposto del primo comma dell’art. 72 l.fall. è oggi prevista soltanto per il promissario acquirente di un immobile destinato ad abitazione principale ovvero a sede principale dell’impresa, quando il preliminare sia stato trascritto, non potendosi quindi estendere alle altre fattispecie negoziali siffatta lex specialis[60].
Da ultimo la Cassazione ha inteso rimettere in discussione l’approdo delle sezioni unite del 2004, sollecitando un nuovo arresto del massimo collegio nella sua composizione allargata, tenuto conto dell’esistenza di una norma – l’art. 72 l.fall. – che costituisce impedimento al perfezionamento dell’effetto traslativo pure previsto dall’art. 2932 c.c. a prescindere dall’avvenuta trascrizione della domanda giudiziale.[61]
Ancora, il legislatore delegato[62] ha espressamente stabilito l’inefficacia tout court, a fronte di una diffusa prassi negoziale incline al ricorso alle stesse, delle clausole che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento in sé stesso considerato, in ciò conformandosi ai pochi, e peraltro risalenti, precedenti giurisprudenziali editi[63].
La previsione dell’inefficacia piuttosto che della nullità delle clausole in discussione potrebbe dipendere dal valutato difetto di legittimazione dei contraenti a disporre per l’eventualità dell’insolvenza che ha ripercussioni anche sui terzi[64]; il risultato comunque, sarà, che in forza di tale previsione non scattano le condizioni per applicare alla fattispecie il comma primo dell’art. 1419 c.c., non potendo la patologia parziale del contratto determinare la caducazione dell’intero contratto.
L’inserimento di un siffatto divieto rende necessario valutare l’efficacia di clausole che tendano ad aggirarlo e, ad esempio, prevedano la risoluzione del contratto col manifestarsi in una delle parti del rischio dell’inadempimento, e cioè al verificarsi di un significativo mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente. In questo modo si potrebbe pensare ad anticipare la risoluzione del contratto ad un momento antecedente a quello della (eventuale) dichiarazione di fallimento.
Secondo un autore[65], la validità di una siffatta clausola andrebbe in ogni caso attentamente esaminata particolarmente sotto il profilo dei presupposti delle condizioni per la risoluzione del contratto, la quale non risulta ammissibile se l’inadempimento non si è verificato, in quanto la risoluzione può avere luogo solo col verificarsi dell’inadempimento e non certo del mero pericolo dell’inadempimento. Tale pericolo può, come è noto, consentire la decadenza dal beneficio del termine nel caso in cui il rischio dell’inadempimento sia causato dalla sopravvenuta insolvenza del debitore; ma tale decadenza dal termine non è certo ancora inadempimento, il quale invece si potrà verificare solo allorquando il contraente decaduto dal beneficio del termine e richiesto dell’adempimento della prestazione, risulti poi effettivamente inadempiente all’obbligo di eseguire la prestazione dovuta.
Innovando significativamente rispetto alla disciplina previgente, con la riforma del 2006, nel caso in cui il tribunale abbia autorizzato l’esercizio provvisorio dell’impresa, è ora previsto dal nuovo art. 104[66], settimo comma, l.fall. che “durante l’esercizio provvisorio i contratti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli”, mentre secondo quanto previsto dallo stesso articolo, all’ultimo comma, se cessa l’esercizio provvisorio tornano ad applicarsi le regole generali degli art. 72 e seguenti l.fall..
Tale disciplina costituisce una conferma del fatto che, quando la procedura assume un carattere liquidatorio dell’azienda, la continuazione del contratto pendente è ammissibile solo sulla base di specifiche valutazioni in tal senso effettuate dagli organi della procedura: tutto ciò analogamente a quanto prevede anche l’ultima proposizione dell’ultimo capoverso dell’art. 104- bis l.fall. in caso di affitto di azienda o di rami di azienda da parte del curatore per l’ipotesi di retrocessione degli stessi al fallimento, ove riprendono ad applicarsi le disposizioni di cui alla sezione in esame.
È stato criticamente evidenziato nei primi commenti alla riforma[67], come con la scelta del legislatore novellistico di assegnare al curatore la facoltà di scegliere se sospendere l’esecuzione o sciogliersi dal contratto, si è attribuito all’impresa in crisi che continua la propria attività un rilevante vantaggio competitivo sugli altri concorrenti, potendosi avanzare dubbi sulla compatibilità di tale agevolazione con un ordinamento (nazionale e comunitario) che tutela la concorrenza e il mercato imponendo di assicurare parità di opportunità per tutti gli operatori.
Inoltre, considerato che l’esercizio provvisorio dell’impresa potrebbe essere disposto dal giudice delegato anche in un momento successivo alla dichiarazione di fallimento, dovrebbe ritenersi applicabile, in un primo momento, la disciplina di cui agli artt. 72 e seguenti l.fall. e solo in un secondo tempo, quando sia intervenuto il relativo decreto del giudice delegato, quella di cui all’art. 104, comma settimo, l.fall..
Tale successione, tuttavia, può creare problemi atteso che per alcuni contratti il fallimento determina lo scioglimento automatico del contratto, e dunque non sarebbe possibile poi disporne la continuazione in sede di esercizio provvisorio; al riguardo si è proposto[68] di considerare lo scioglimento del contratto sottoposto alla condizione risolutiva della intervenuta continuazione dell’esercizio dell’impresa ai sensi dell’art. 104 l.fall..
Si è segnalata[69] l’inopportunità della mancata previsione della disciplina dei rapporti pendenti nell’ambito del programma di liquidazione (art. 104-ter l.fall.), che il curatore deve predisporre entro sessanta giorni dalla redazione dell’inventario e sottoporre, all’approvazione del comitato dei creditori – e non più, dopo la novella del 2007, del giudice delegato –, considerato che il detto programma, apparendo quale un vero e proprio programma di gestione della procedura[70], giustificherebbe una trattazione simultanea anche dei rapporti giuridici pendenti.
Così, tenuto conto della necessità dell’autorizzazione del giudice delegato per l’esecuzione di tutti gli atti conformi al programma di liquidazione approvato (art. 104-ter, ultimo comma, l.fall.), nonché nel caso di affitto d’azienda (art. 104-bis, primo comma, l.fall.), oltre che di esercizio provvisorio (art. 104, secondo comma, l.fall.), come pure di liquidazione dei beni (qualora il ritardo risulti pregiudizievole dell’interesse dei creditori: art. 104-ter, sesto comma, l.fall.), i rapporti pendenti finiscono per essere l’unica parte nell’ambito del subprocedimento latu sensu liquidatorio della procedura fallimentare sottratti al potere autorizzatorio del giudice delegato.
4. Il d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122 emanato in attuazione della legge delega 2 agosto 2004, n. 210, ha dettato norme a tutela dei compratori di immobili da costruire, per garantirli in caso di dissesto del costruttore.
Tale decreto legislativo ha rappresentato l’ultimo atto di una profonda riforma attuata dal legislatore e diretta ad assicurare maggiore protezione al promissario acquirente di un immobile, cominciata con il d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito in l. 28 febbraio 1997, n. 30, che introdusse nel Codice Civile gli artt. 2645-bis e 2775-bis c.c. e nella legge fallimentare aggiunse un comma (il quinto) al vecchio testo dell’art. 72 l.fall..
La prima delle cennate norme ha previsto la trascrivibilità del preliminare che abbia per oggetto la conclusione di un contratto di vendita di immobili o un diritto reale di godimento o la costituzione della comunione – anche quando si tratti di edifici da costruire o in corso di costruzione –, purché risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata o con sottoscrizione accertata giudizialmente.
La seconda disposizione ha stabilito che il credito del promissario acquirente conseguente alla mancata esecuzione del contratto preliminare, ha privilegio speciale sull’immobile oggetto del preliminare, posposto soltanto ai creditori muniti di ipoteca relativa ai mutui erogati al promissario acquirente per l’acquisto del bene immobile nonché ai creditori garantiti da ipoteca a garanzia di finanziamento per mutuo fondiario (ex art. 2825-bis c.c.).
L’introduzione nel vecchio art. 72 l.fall. di un nuovo comma quinto, infine, aveva previsto – e si tratta della medesima norma, come visto supra, oggi riprodotta nel comma settimo del plurinovellato art. 72 l.fall. – che ove il preliminare fosse stato trascritto ed il curatore avesse scelto lo scioglimento del contratto, l’acquirente avesse diritto di far valere il proprio credito per il prezzo versato, con il privilegio di cui si è detto, a condizione che non fossero cessati gli effetti della trascrizione del preliminare anteriormente alla dichiarazione di fallimento.
Con il cennato d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122, invece, si è significativamente innovata la disciplina relativa esclusivamente agli immobili di costruire, avendo il legislatore stabilito (art. 2) l’obbligo per il costruttore, in caso di stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire, di procurare il rilascio e consegnare all’acquirente una fideiussione di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro corrispettivo riscosso dal costruttore e che deve ancora riscuotere – secondo le previsioni contrattuali – prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento.
L’art. 11 del detto decreto legislativo ha introdotto poi l’art. 72-bis l.fall., nel quale si stabilì, in conformità con la legge delega, che il contratto preliminare s’intende sciolto se, prima che il curatore comunichi la scelta tra esecuzione e scioglimento, il promissario acquirente abbia escusso la fideiussione dandone comunicazione al curatore medesimo.
Il nuovo principio introdotto dal legislatore delegato del 2005 ha innovato fortemente la disciplina dei rapporti pendenti nel fallimento, considerato che nel preliminare di vendita il contraente in bonis non aveva mai il potere di provocare lo scioglimento del contratto prima della decisione del curatore di subentrare o meno; si trattava, peraltro, di una evidente deroga anche alla disciplina generale prevista per i contratti dal novellato art. 72 l.fall..
Comunque, occorre rilevare come il promissario acquirente non dovrebbe avere di norma un particolare interesse ad escutere subito la fideiussione, perché l’attesa non lo pregiudica[71], potendo escutere la garanzia anche in caso di scioglimento del contratto provocato dal curatore: solo la decisione del curatore di subentrare nel contratto gli impedisce infatti di pretendere il pagamento di quanto versato dal garante (art. 3, comma 3, d.lgs. 122/2005).
Nel quadro normativo così sommariamente delineato si è inserita quindi la novella dell’intera legge fallimentare introdotta con il d.lgs. 5/2006, il quale, in proposito, si è limitato ad operare quello che è stato definito un mero collage di commi (tre in totale) [72].
Anzitutto è stata modificata la rubrica della norma in esame: dalla precedente “contratti relativi ad immobili da costruire” alla nuova “fallimento del venditore e contratti relativi ad immobili da costruire”.
Il primo comma, relativo alla intangibilità della vendita nel caso in cui sia già avvenuto il trasferimento della proprietà della cosa, al momento del fallimento del venditore, poi, non era altro che la riproposizione del vecchio art. 72, comma quarto, prima parte.
Si trattava invero di un pacifico principio, già desumibile dalla complessiva lettura dell’art. 72 l.fall., e a tenore del quale la sospensione del contratto – e il conseguente potere di scioglimento da parte del curatore – si determinano in linea di massima solo per la vendita con effetti obbligatori, in cui il passaggio di proprietà avviene in un momento successivo alla stipulazione del contratto[73].
Il secondo comma, concernente il preliminare di vendita dell’immobile e la natura privilegiata del credito del promissario acquirente, non era altro che la riproduzione dell’art. 72, comma quinto, l.fall. previgente[74] e, singolarmente, costituiva mera duplicazione di norma identica contenuta nel nuovo art. 72, settimo comma, l.fall. tanto da indurre qualche autore a parlare di un episodio di “distrazione collettiva” dei redattori del testo finale della riforma[75].
Il terzo comma riproduceva la disposizione introdotta dal riformatore del 2005 dall’originario art. 72 bis, con la previsione del diritto del promissario acquirente di paralizzare la scelta del curatore attraverso la rapida escussione della garanzia fideiussoria che determina senz’altro lo scioglimento del contratto.
Può dunque confermarsi l’impressione che il legislatore della novella del 2006 – privo peraltro di specifica delega sulla materia (esercitata dal Governo solo qualche mese prima) – in nulla aveva innovato la pregressa disciplina, riuscendo tuttavia a pasticciare con le norme, inopinatamente riproducendo in due articoli diversi (72, comma settimo, e 72 bis, comma secondo, l.fall.) la medesima disposizione[76].
Con il correttivo del 2007, assai opportunamente, si è fatto ordine nella ingarbugliata matassa fatta di commi ed articoli, intervenendo sia sull’art. 72 l.fall. che sull’art. 72-bis l.fall.
Anzitutto, al fine di ricondurre la norma in esame al suo originario limitato oggetto, la rubrica dell’art. 72-bis l.fall. è stata nuovamente modificata, con un assai opportuno ritorno al passato: dalla nuovissima “fallimento del venditore e contratti relativi ad immobili da costruire” alla vecchia “contratti relativi ad immobili da costruire”.
Inoltre, poiché nell’articolo 72, comma primo, l.fall. si è inteso specificare che il contratto traslativo si considera ineseguito sino a quando non si è realizzato l’effetto reale, è subito emersa la superfluità la disposizione contenuta nel nuovo primo comma dell’art. 72-bis l.fall., che infatti è stato interamente soppresso.
La riformulazione della norma in parola è passata poi attraverso la soppressione dell’originario comma secondo, contenente la norma sul privilegio del promissario acquirente, in quanto ripetizione della medesima regola già leggibile nell’articolo precedente (al comma settimo).
Infine, nell’unico comma rimasto a comporre la disposizione in commento, si è ribadito quanto già stabilito dal legislatore del 2005, id est che per tutti i contratti preliminari di immobili da costruire per i quali trova applicazione la disciplina del cennato d.lgs. 122/2005[77], l’escussione della garanzia da parte dell’acquirente, purché comunicata al curatore, determina ex lege lo scioglimento del contratto.
5. Uno dei punti della delega in materia di effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti riguardava – come visto sopra – la disciplina per i patrimoni destinati ad uno specifico affare di cui agli artt. 2447-bis c.c. e seguenti[78]; peraltro la legge delega non aveva fissato alcun criterio, limitandosi ad indicare ciò che doveva essere oggetto di regolamentazione.
Già la disciplina di riforma del diritto societario si era occupata dell’ipotesi del fallimento della società che aveva costituito il patrimonio separato, prevedendo nell’ultimo capoverso dell’art. 2447-novies c.c. che – con riferimento al patrimonio di cui alla lettera a) dell’art. 2447-bis c.c. – in tal caso, come in qualsiasi altro caso di cessazione della destinazione del patrimonio allo specifico affare (ad esempio, in quello della liquidazione del patrimonio separato, chiesta dai creditori le cui obbligazioni contratte per lo svolgimento dello specifico affare non siano state “integralmente soddisfatte”), deve essere redatto il rendiconto finale, determinandosi automaticamente la cessazione della destinazione del patrimonio allo specifico affare e la conseguente liquidazione dello stesso ad opera del curatore.
Inoltre, nel sesto comma dell’art. 2447-decies c.c., per l’ipotesi del finanziamento destinato ad uno specifico affare (di cui alla lettera b dell’art. 2447-bis c.c.) è previsto che se il fallimento della società impedisce la realizzazione o la continuazione dell’operazione, cessano le limitazioni di responsabilità previste dai commi precedenti e il finanziatore ha diritto di insinuarsi al passivo al netto delle somme già percepite.
Certo è che la legge delega, riferendosi espressamente ai “patrimoni destinati ad uno specifico affare”, sembrava essersi riferita ad entrambe le fattispecie previste dall’art. 2447-bis c.c. e cioè sia ai “patrimoni” di cui alla lettera a), sia al “contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare” di cui alla lettera b)[79].
Con sorpresa di taluni[80] il nuovo art. 72-ter l.fall. è stato concepito dal legislatore della novella, solo con riferimento agli “effetti sui finanziamenti destinati ad uno specifico affare”, riprendendo peraltro in toto un testo già adottato in sede di lavori parlamentari[81], mentre la disciplina degli effetti del fallimento della società sui “patrimoni destinati ad uno specifico affare” è stata collocata nel capo XI del titolo II, in precedenza dedicato al procedimento sommario (e ora intitolato “dei patrimoni destinati ad uno specifico affare”), e più precisamente novellando gli artt. 155 e 156[82].
Prendendo quindi le mosse dal detto art. 72-ter l.fall., occorre anzitutto rilevare che la norma di nuovo conio prevede che il fallimento della società determina lo scioglimento del contratto di finanziamento ex art. 2447-bis c.c, primo comma, lettera b) c.c., quando impedisce la realizzazione ovvero la continuazione dell’operazione; in questo caso si applica l’art. 2447-decies comma sesto c.c. e quindi cessano gli effetti di sospensione delle azioni sui beni strumentali e il finanziatore ha diritto di insinuarsi al passivo per il suo credito al netto dei proventi e dei frutti percepiti.
Se invece il fallimento non impedisce la realizzazione o la continuazione dell’operazione, il comma secondo dell’art. 72-ter l.fall. riconosce la facoltà di subentro del curatore, sentito il parere del comitato dei creditori[83], con l’assunzione dei relativi oneri; e si tratta di una ipotesi che presenta continuità sistematica con l’esercizio provvisorio dell’impresa nel fallimento di cui all’art. 104 l.fall..
Qualora il curatore non subentri nel contratto, il finanziatore può chiedere al giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, di realizzare o continuare l’operazione, in proprio oppure affidandola a terzi, e in tale ipotesi egli potrà trattenere i proventi dell’affare ed insinuarsi al passivo del fallimento in via chirografaria per l’eventuale credito residuo.
Nelle ipotesi di realizzazione o di continuazione dell’operazione (direttamente da parte del curatore ovvero del finanziatore) si applica la disciplina dell’art. 2447-decies, terzo, quarto e quinto comma c.c., che stabilisce la separazione patrimoniale dei proventi dell’affare, con l’insensibilità dei frutti e degli investimenti eventualmente effettuati alle azioni dei creditori sociali.
Decisamente innovativa nel quadro della legge fallimentare risulta, dunque, la previsione della possibilità in capo al finanziatore di completare l’operazione (previa autorizzazione del giudice delegato), direttamente in proprio o con l’affidamento a terzi, potendo egli in questo modo rientrare dal finanziamento dello specifico affare concesso, trattenendone i proventi e con la facoltà di insinuarsi al passivo in via chirografaria per l’eventuale credito residuo.
È stato osservato[84] come la disciplina dell’art. 72-ter l.fall. risulti incoerente laddove consente al finanziatore di insinuarsi al passivo per il residuo credito qualora abbia continuato l’operazione finanziata, mentre nell’ipotesi in cui sia stato il curatore a subentrare nel contratto, l’insinuazione al passivo sembrerebbe preclusa, tenuto conto del disposto dell’ultimo comma del detto art. 72-ter l.fall. che prevede l’applicabilità del sesto comma dell’art. 2447-decies c.c. (cioè la facoltà del finanziatore di insinuarsi al passivo per il suo credito) solo nel caso in cui il curatore non sia subentrato, ovvero il medesimo finanziatore non abbia deciso di continuare l’operazione.
Da altri[85] si è ritenuto che i proventi dell’affare continuato dal curatore in costanza di fallimento, saranno destinati esclusivamente ai creditori particolari e cioè ai finanziatori, potendosi interpretare in tale direzione l’inciso “assumendone gli oneri relativi” contenuto nel secondo comma dell’art. 72-ter l.fall.
Per i patrimoni destinati ad uno specifico affare, il novellato art. 155 l.fall. al primo comma prevede che se è dichiarato il fallimento della società, l’amministrazione del patrimonio previsto dall’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), c.c. è attribuita al curatore che vi provvede con gestione separata.
Si tratta di una disposizione ritenuta superflua, almeno nella prima parte, in quanto la separazione non influisce sulla titolarità del patrimonio separato e quindi il potere di amministrazione spetta al curatore già in base alla norma generale dell’art. 31 l.fall..
Detto questo, la disciplina in esame opera una distinzione secondo che a giudizio del curatore il patrimonio separato sia incapiente o meno.
Se il curatore ritiene che il patrimonio sia capiente può scegliere di gestire direttamente e separatamente l’affare, come nel caso di esercizio provvisorio dell’azienda ex art. 104 l.fall. (art. 155, comma primo, ultima parte, l.fall.), oppure cedere a terzi il patrimonio destinato, a norma del nuovo art. 107 “al fine di conservarne la funzione produttiva” (art. 155, comma secondo, l.fall.) e in tal caso il corrispettivo della cessione, al netto dei debiti del patrimonio, è acquisito dal curatore nell’attivo fallimentare (art. 155, comma terzo, l.fall.).
Se invece la cessione non è possibile il curatore procederà alla liquidazione del patrimonio secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili (art. 155, comma secondo, seconda parte, l.fall.) e anche in tal caso l’attivo residuo è acquisito dal curatore, detratto quanto spettante ai terzi che vi abbiano effettuato apporti ai sensi dell’art. 2447-ter, primo comma, lett. d), c.c.
Quando il curatore ritiene che il patrimonio separato sia incapiente provvede, previa autorizzazione del giudice delegato, alla sua liquidazione secondo le regole previste per la liquidazione delle società in quanto compatibili (art. 156, comma primo, l.fall.); inoltre i creditori particolari del patrimonio separato, nel caso di responsabilità sussidiaria o illimitata della società[86], possono presentare domanda di insinuazione al passivo fallimentare (art. 156, comma secondo, l.fall.).
Ove risultino violate le regole di separatezza fra uno o più patrimoni destinati costituiti dalla società medesima, il curatore può agire in responsabilità ex art. 146 l.fall. nei confronti degli amministratori e sindaci della società (art. 156, comma terzo, l.fall.).
A differenza che nell’ipotesi disciplinata dall’art. 72–ter l.fall., ogni valutazione in ordine alle scelte da assumere in ordine alla gestione del patrimonio separato sembra riservata in via esclusiva al curatore, il quale è del tutto esonerato dal consultare il comitato dei creditori, organo questo che risulta del tutto estromesso dalla gestione separata, forse in quanto la stessa risulta estranea alla massa fallimentare[87]; mentre l’autorizzazione da parte del giudice delegato si rende necessaria solo per procedere alla eventuale liquidazione del patrimonio, in caso di valutata (dal curatore) incapienza del patrimonio separato.
Va soggiunto che, come già detto supra, il legislatore societario si era già occupato della sorte del patrimonio separato nel caso di fallimento della società c.d. gemmante, stabilendo all’ultimo capoverso dell’art. 2447-novies c.c. che in tale ipotesi, come in qualunque altro caso di cessazione della destinazione del patrimonio allo specifico affare, doveva essere redatto il rendiconto finale.
È quanto meno dubbio[88], dunque, che il legislatore novellistico fosse delegato a disciplinare la materia in modo diverso da quanto previsto dalla riforma del diritto societario, ma occorre registrare che il nuovo art. 155 l.fall. si pone in palese contrasto con il codice civile, escludendo che il fallimento della società determini senz’altro la “cessazione della destinazione”. (art. 2447-novies, ultimo comma, c.c.).
6. L’impianto originario della legge fallimentare disciplinava espressamente la sorte di singoli contratti nominati ed è del tutto ovvio che nella stessa non si trovasse un’autonoma regolamentazione di quella nuova e particolare figura contrattuale di origine anglosassone, impostasi in Italia negli anni sessanta del secolo scorso sotto forma di contratto atipico designata con il termine leasing, tradotto sovente, nell’utilizzo corrente e anche nel linguaggio legislativo come “locazione finanziaria”.
In assenza di una disciplina specifica del contratto, l’applicazione delle regole fallimentari dei contratti in corso alla data del fallimento oscillava tra l’applicazione delle regole della vendita con riserva di proprietà e dunque dell’art. 73, comma secondo, l.fall. per il c.d. leasing traslativo[89] e l’applicazione delle regole della locazione, di cui all’art. 80 l.fall., per il c.d. leasing di godimento[90], con una profonda discrasia di soluzioni.
Nel primo caso, ritenuta prevalente la causa di vendita, il curatore aveva la scelta tra il subentro nel contratto e lo scioglimento dello stesso. Nell’ipotesi di scioglimento, il Curatore procedeva alla restituzione del bene e si riteneva applicabile l’art. 1526 c.c.: di conseguenza era esclusa l’insinuazione dei canoni con scadenza successiva al fallimento, mentre i canoni già corrisposti dal fallito in favore del concedente potevano essere chiesti in ripetizione, detratto l’equo compenso per l’uso della cosa[91].
Al contrario, ritenuta prevalente la causa di godimento, l’applicazione dell’art. 80 l.fall. conduceva a risultati diametralmente opposti.
In primo luogo era rimessa al curatore l’iniziativa per lo scioglimento del contratto, come nel caso della locazione. Inoltre, in applicazione dell’art. 1458 c.c., che esclude la ripetizione per le prestazioni eseguite prima della risoluzione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, si riteneva che i canoni pagati dall’utilizzatore non fossero soggetti a ripetizione, mentre il bene doveva essere retrocesso al concedente[92].
La legge delega per la riforma della disciplina fallimentare ha previsto espressamente che il Governo fosse delegato a predisporre “una disciplina (…) per i contratti di locazione finanziaria”. Si tratta di un criterio di delega in verità assolutamente generico che finisce per rimettere nelle mani del legislatore delegato ogni scelta di merito.
Occorre in proposito considerare, anzitutto, che la novella sembra prescindere dalla tradizionale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, optando per una regolamentazione concorsuale unitaria degli effetti dello scioglimento del contratto di locazione finanziaria[93].
Disciplinando anzitutto il caso di fallimento dell’utilizzatore l’art. 72-quater, comma primo, l.fall. rinvia alla regola generale di cui all’art. 72 l.fall.. Peraltro, soggiunge la medesima norma, se è disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ai sensi degli artt. 90 e 104 l.fall., il contratto continua ad avere esecuzione, salvo che il curatore dichiari di volersi sciogliere dal contratto[94].
In virtù del richiamo contenuto al primo comma all’art. 72 l.fall., la dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore comporta la sospensione del contratto sino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto, assumendone, pertanto, tutti gli obblighi secondo quanto previsto nel contratto di leasing. Sorge in questo caso il conseguente obbligo della procedura di pagare tutti i canoni scaduti dopo la dichiarazione di fallimento in prededuzione, acquisendo peraltro in questo modo il curatore il diritto di riscattare il bene e di acquisirne la proprietà alla scadenza del contratto, pagando sempre in prededuzione il corrispettivo stabilito contrattualmente per l’acquisto.
In caso di scioglimento del contratto (comma secondo), il concedente ha diritto alla immediata restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione[95] del bene stesso – che deve avvenire oggi a valori di mercato[96] – rispetto al credito residuo in linea capitale; per le somme già riscosse, inoltre, si applica l’esonero dalla revocatoria fallimentare previsto dall’articolo 67, terzo comma, lettera a), l.fall.[97].
Nell’ipotesi in cui il ricavato della vendita non fosse sufficiente a colmare il credito in linea capitale vantato dal concedente (comma terzo), quest’ultimo ha poi diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.
Va precisato che il diritto del concedente a soddisfare il suo credito per canoni rimasti insoluti con il ricavato dalla vendita o, comunque, dalla collocazione del bene, è limitato “al credito residuo in linea capitale” restando esclusa dunque la possibilità di soddisfare anche il credito per interessi, o spese ed eventuali commissioni sempre che siano effettivamente dovute e giustificate.
In sostanza la società di leasing ha diritto di soddisfarsi direttamente sul ricavato del bene riallocato, per recuperare il capitale residuo, intendendosi per tale il capitale compreso nelle sole rate con scadenza successiva alla data della dichiarazione di fallimento; mentre per le quote di capitale delle rate scadute e non pagate fino a detta data, le quali formano oggetto di un credito di natura concorsuale unitamente a tutti gli interessi maturati fino alla dichiarazione di fallimento – come pure per l’eventuale capitale residuo (quote capitale delle rate a scadere) non coperto dal realizzo del bene – sarà necessario insinuarsi al passivo nelle forme ordinarie[98].
Si è voluto, pertanto, limitare la possibilità della soddisfazione al di fuori del concorso solamente a quella parte del credito relativa al capitale a suo tempo finanziato ed utilizzato per l’acquisto del bene poi concesso in locazione finanziaria e, cioè al solo credito di restituzione e non ai corrispettivi per il finanziamento erogato, costituiti principalmente dagli interessi[99].
Rimane poi da affrontare la questione relativa ai tempi e alle modalità attraverso cui il concedente, nel momento in cui il curatore ha manifestato l’opzione per lo scioglimento del rapporto, può insinuarsi al passivo.
Secondo un primo orientamento manifestato dai giudici di merito e accolto dalla S.C., ai sensi dell’art. 72-quater l.fall., il concedente, non potrebbe richiedere subito, mediante l’insinuazione al passivo ex art. 93 l.fall., anche il pagamento dei canoni residui che l'utilizzatore avrebbe dovuto corrispondere nell'ipotesi di normale svolgimento del rapporto di locazione finanziaria, in quanto con la cessazione dell'utilizzazione del bene viene meno l'esigibilità di tale credito; in realtà il concedente avrebbe soltanto il diritto alla restituzione immediata del bene ed un diritto di credito eventuale, da esercitarsi mediante successiva insinuazione al passivo, nei limiti in cui, venduto o altrimenti allocato a valori di mercato il bene oggetto del contratto di leasing, dovesse verificarsi una differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e la minor somma ricavata dalla allocazione del bene cui è tenuto il concedente stesso[100].
Secondo altro recente arresto dei Giudici di legittimità il concedente, potrebbe soddisfarsi sul bene oggetto del contratto di locazione finanziaria al di fuori del concorso, previa ammissione del credito al passivo fallimentare, essendo egli destinato ad essere soddisfatto al di fuori del riparto dell’attivo mediante la vendita del bene a valori di mercato; in sostanza quella del concedente sarebbe assimilabile alla posizione del creditore pignoratizio e a quello garantito da privilegio speciale ex art. 53 l.fall., i quali a determinate condizioni possono essere esonerati dal concorso sostanziale, ma non dal concorso formale[101].
Quanto all’ipotesi dell’assoggettamento del concedente a procedura concorsuale, la stessa era stata già regolata dall’art. 7 d.l. 24 dicembre 2004, n. 354, convertito in l. 26 febbraio 2004, n. 45, emanato dichiaratamente[102] per porre rimedio in via d’urgenza alle incertezze sul regime applicabile alla locazione finanziaria nel caso di sottoposizione del concedente a procedura concorsuale, provocate da un precedente arresto della S.C.[103].
Detta norma stabiliva che la sottoposizione a procedura concorsuale delle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, non era causa di scioglimento dei relativi contratti, inclusi quelli a carattere traslativo, né consentiva agli organi della procedura di optare per lo scioglimento dei contratti stessi. Inoltre l’utilizzatore conservava la facoltà di acquistare alla scadenza, la proprietà del bene venduto dietro pagamento del prezzo pattuito.
Con la riforma delle procedure concorsuali, il legislatore ha deciso di inserire la norma suddetta all’interno della legge fallimentare, e così il quarto comma dell’art. 74-quater l.fall. ribadisce la regola eccezionale della prosecuzione del contratto di leasing in caso di fallimento della società autorizzata alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, confermando che l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare alla scadenza la proprietà del bene previo pagamento dei canoni e del prezzo pattuito.
È da osservare che mentre lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 settembre 2005, prevedeva – come, del resto, il testo dell’art. 7 del d.l. 24 dicembre 2004, n. 354 – che nel caso di fallimento della società autorizzata alla concessione di finanziamenti prosegue il contratto di leasing “incluso quello a carattere traslativo”, nel testo definitivo, a seguito delle osservazione della Commissione Giustizia della Camera[104], non vi è più traccia del suddetto inciso, avendo in sostanza il legislatore delegato, in coerenza con l’atteggiamento “agnostico”[105] assunto in ordine alla distinzione giurisprudenziale tra leasing di godimento e leasing traslativo, abbandonato ogni esplicito riferimento alla duplicazione di figure di locazione finanziaria.
Il testo adottato dal Governo nel 2006 presenta per la locazione finanziaria una soluzione che è stata definita sui generis[106], mescolando la disciplina ricavabile dall’art. 72, commi secondo e terzo, l.fall., sulla sorte del contratto di vendita (nell’ipotesi di fallimento dell'utilizzatore senza esercizio provvisorio dell'impresa) sia con frammenti della disciplina ricavabile dall'art. 80, comma secondo, l.fall. sulla sorte del contratto di locazione di beni immobili (nell’ipotesi che la procedura concorsuale investa il concedente), sia con quella ricavabile dall’art. 73, comma secondo, l.fall. sulla sorte del contratto di vendita con riserva di proprietà (nell’ipotesi di fallimento dell'utilizzatore con esercizio provvisorio dell’impresa).
Alcuni autori[107], prendendo spunto dall’esplicito riferimento nel secondo comma dell’art. 72-quater l.fall. al residuo credito in linea capitale, come pure dal riferimento soggettivo contenuto nel quarto comma alle società autorizzate alla concessione di finanziamenti sotto forma di locazione finanziaria, opinano che il legislatore della novella abbia inteso dare una qualificazione del contratto di leasing come contratto di finanziamento: e ciò sostanzialmente recependo un minoritario indirizzo giurisprudenziale di merito[108].
Se allora il contratto non è più di durata, ma ad esecuzione istantanea con obbligazione unilaterale dell’utilizzatore alla restituzione del finanziamento, non pare alla dottrina citata configurabile in caso di fallimento, la sua pendenza, la quale presuppone la bilaterale in esecuzione o non completa esecuzione da entrambe le parti.
7. La norma, originariamente riferita nella rubrica all’ipotesi di vendita a termine o a rate, non ha subito modifiche di rilievo a seguito della novella del 2006, essendosi soltanto sostituito l’autorizzazione del giudice delegato con quella del comitato dei creditori, nella scelta di subentrare nel contratto da parte del curatore del fallimento del compratore, in coerenza con il “nuovo assetto dei rapporti tra gli organi della procedura e del ruolo rilevante attribuito dalla riforma ai rappresentanti dei creditori”[109].
Con il correttivo del 2007, invece, la disposizione è stata integralmente riscritta, opinando il legislatore delegato necessario limitare l’applicabilità della norma non a tutte le fattispecie di vendita a termine o a rate – dove l’effetto traslativo potrebbe già essersi verificato e, dunque, non può parlarsi di rapporti pendenti –, ma soltanto nella ipotesi in cui non sia avvenuto il passaggio della proprietà, id est quando sia stata apposta la clausola sul riservato dominio[110].
Anche per la vendita con riserva di proprietà, naturalmente, deve essere richiamata la generale previsione dell’art. 72 l.fall.. Questo vale naturalmente per il fallimento del compratore che sopravviene allorquando il periodo di tempo stabilito per il pagamento delle rate del prezzo non si è ancora esaurito e le rate sono state solo parzialmente pagate. Trattandosi di un contratto non compiutamente eseguito, il generale principio surrichiamato comporta che la esecuzione rimanga sospesa sino a che il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal contratto.
Questa disciplina, già prevista dall’articolo in commento prima della novella, contiene peraltro una previsione di garanzia per il venditore – così da giustificare la sopravvivenza della norma –, consistente nel diritto di chiedere una cauzione a garanzia del pagamento del prezzo da parte del curatore. Alla dazione della cauzione il curatore può ovviare pagando immediatamente il prezzo residuo con lo sconto, in questo caso, dell’interesse legale conseguente al pagamento del debito anticipato.
Riproducendo poi, la previsione legale dell’art. 1526 c.c., in tema di vendita con riserva di proprietà, il correttivo del 2007 ha ribadito che in caso di scioglimento del contratto, il venditore deve restituire le rate del prezzo già riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, con esclusione peraltro del diritto al risarcimento del danno, secondo la regola generale prevista dall’art. 72 l.fall..
Infine, la norma in commento conferma l’originaria previsione a tenore della quale il fallimento del venditore non è mai causa di scioglimento del contratto di vendita con riserva di proprietà.
8. Seguendo l’impostazione della legge fallimentare del ‘42, con la riforma del 2006 per i contratti di somministrazione e a consegne ripartite il primo comma dell’art. 74 l.fall. disponeva un mero rinvio alla disciplina (ormai generale) sancita dai primi due commi dell’art. 72 l.fall., essendosi sostituito il precedente rinvio ai vecchi commi secondo, terzo e quarto del citato articolo relativi alla vendita.
Con la nuova formulazione della disciplina degli effetti del fallimento sui rapporti pendenti ed in particolare con il nuovo testo dell’art. 72, comma primo, l.fall. l’esecuzione della vendita a consegne ripartite o della somministrazione, in caso di fallimento di una delle parti, rimaneva quindi sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, avesse dichiarato di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo.
Dal momento che la sospensione, con la facoltà di scelta da parte del curatore tra continuazione o scioglimento, rappresenta la soluzione adottata dal legislatore per tutti i rapporti pendenti, fatte salve le diverse disposizioni espressamente previste, il primo comma dell’art. 74 l.fall. costituiva quindi una norma sostanzialmente inutile, limitandosi ad applicare nelle due fattispecie contemplate una regola di portata generale[111].
Opportunamente il legislatore del 2007, ha modificato la rubrica della norma, estendendola a tutti i “contratti ad esecuzione continuata o periodica”, eliminando ogni riferimento al contratto di somministrazione o a consegne ripartite, la cui disciplina sostanzialmente oggi rientra in toto nelle regole generali di cui all’art. 72 l.fall..
In questo quadro, particolare interesse presenta il novellato secondo comma dell’art. 74 l.fall., divenuto, dopo il correttivo del 2007, l’unica norma inserita nell’articolo in esame, ove si prevede che se il curatore decide di subentrare nel contratto di somministrazione – rectius in qualsiasi contratto ad esecuzione continuata o periodica – deve pagare integralmente il prezzo non solo delle consegne già avvenute ma anche “dei servizi già erogati”.
In tal modo il legislatore, almeno nell’ambito della disciplina dei rapporti pendenti nel fallimento, pare prendere posizione sulla sorte del contratto avente per oggetto prestazioni periodiche o continuative di servizi.
In sostanza, nel sistema creato dalla riforma, è previsto che ne contratti di durata, in caso di subentro del curatore, questi deve pagare integralmente il prezzo relativo alle prestazioni già eseguite anteriormente alla dichiarazione del fallimento. Si tratta, come già visto supra, di una regola che contrasta con il principio, per cui il corrispettivo, concernente le obbligazioni anteriori alla dichiarazione di fallimento, si colloca all’interno del concorso.
La giustificazione di tale deroga al principio della par condicio creditorum, inizialmente prevista con la novella del 2006 solo per i contratti di somministrazione, era stata individuata sottolineando vari profili propri del modello in esame, quali il carattere di durata del medesimo o l’unitarietà della causa, ovvero richiamando facoltà di sospendere l’esecuzione della prestazione riconosciuta al somministrante in caso di pregressi inadempimenti (art. 1565 c.c.)[112]; la circostanza che oggi per tutti i contratti di durata vale indistintamente la detta deroga, rende la novella del 2007 assai apprezzabile.
Va osservato che con riguardo ad alcuni contratti atipici quali la concessione di vendita e il franchising (quest’ultimo disciplinato, sotto alcuni profili, dalla l. 6 maggio 2004, n.129), il carattere personale del rapporto, aveva indotto la dottrina[113] a ritenere applicabile in caso di fallimento di una delle parti la regola dello scioglimento automatico prevista in tema di mandato dall’originario ex art. 78 l.fall.; in giurisprudenza[114], invece, è stata sostenuta una diversa soluzione, applicandosi proprio la disciplina relativa al contratto di somministrazione.
Oggi il panorama normativo appare profondamente mutato, dal momento che il legislatore fissa una regola generale valida per tutti i contratti a prestazioni corrispettive e regole particolari applicabili solo ai casi espressamente previsti. Pertanto, in assenza di una normativa ad hoc, la concessione di vendita ed il franchising paiono da ricondurre all’area di applicazione della regola generale. Con la conseguenza che il curatore potrà optare per la continuazione o per lo scioglimento del rapporto.
9. Nessuna modifica è stata introdotta alla norma in tema di vendita di cose mobile, spedita al compratore prima del fallimento e non ancora in possesso dello stesso.
In sostanza la norma contenuta nell’art. 75 l.fall., nell’ambito della vendita di cose mobili assicura al venditore, per il caso di fallimento del compratore, la facoltà di riprendere il possesso della cosa venduta anche dopo aver eseguito l’obbligazione di consegna, purché assuma su di se i relativi costi e restituisca gli acconti ricevuti e sempre che altri non abbia acquistato diritti sulla cosa venduta.
Resta ferma, da un lato, la possibilità per il contraente in bonis di dare seguito al contratto insinuandosi al passivo per il credito del prezzo, e dall’altro, la facoltà del curatore di farsi consegnare la cosa pagandone il prezzo integrale[115].
Dall’interpretazione testuale (il venditore può riprendere il possesso “semprechè[…] il curatore non intenda farsi consegnare la cosa”) si desume che la volontà del venditore è gerarchicamente subordinata a quella del curatore; ciò comporta che l’effettiva ripresa del possesso delle cose vendute presuppone la previa messa in mora del curatore, cioè l’assegnazione di un termine entro il quale egli deve dichiarare la sua volontà di subentrare o meno[116].
Inoltre, dall’interpretazione sistematica (id est, dal rapporto di regola-eccezione che intercorre tra l’art. 72 l.fall. e l’art. 75 l.fall.) discende che il curatore può sì pretendere la consegna di un bene che il venditore vorrebbe riprendersi, ma non può rifiutare un bene di cui il venditore mostra di voler lasciare perfezionare la consegna.
10. Il primo contratto indicato nella legge fallimentare fra quelli che si sciolgono per il fallimento di una delle parti è il contratto di borsa a termine; la definizione di tali contratti è stata sempre incerta e si sono formate numerose opinioni dottrinarie in proposito. Con l’entrata in vigore dell’art. 203 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria ogni dubbio è stato eliminato, stabilendo detta norma che l’art. 76 l.fall. della legge fallimentare viene esteso a tutte le fattispecie contrattuali che, insieme con il mercato di borsa in senso stretto, compongono l’insieme degli strumenti finanziari “a termine” utilizzati sui mercati monetari e finanziari.
Nel testo originario l’art. 76 l.fall. prevedeva la “risoluzione” del contratto di borsa a termine al momento della dichiarazione di fallimento. La dottrina ha dibattuto a lungo sulla appropriata qualificazione della risoluzione di tali contratti: alcuni hanno parlato di risoluzione vera e propria, altri di novazione ex lege, altri ancora, la maggioranza, hanno sostenuto che si tratta semplicemente di scadenza anticipata del contratto[117].
Il legislatore della novella è intervenuto sul punto sostituendo le parole “è risolto” con le parole “si scioglie”, mostrando, come si esprime la relazione governativa, di volere effettuare un intervento di “carattere redazionale” senza incidere sulla portata della norma, al fine sostanzialmente di uniformare la terminologia utilizzata nella sezione in commento.
In effetti, salvo a rilevare che il termine risoluzione mal si conciliava con quella giurisprudenza secondo la quale l’eventuale debito del contraente in bonis, traendo origine dal contratto e non dalla risoluzione dello stesso, poteva essere compensato con un eventuale altro credito vantato nei confronti del fallito[118], l’intervento novellistico non mostra altro interesse in quanto, come è stato detto a proposito del dibattito dottrinario sul punto[119], sia che si tratti di risoluzione, novazione, scadenza anticipata del contratto o mero scioglimento, gli effetti del fallimento sono comunque quelli previsti dalla norma.
11. La riforma organica delle procedure concorsuali ha conservato all’associazione in partecipazione la prerogativa di essere l’unico contratto associativo dotato di una disciplina espressa quanto agli effetti della dichiarazione di fallimento di una delle parti.
Il contratto di associazione in partecipazione si scioglie automaticamente per il fallimento dell’associante, fermo restando il diritto dell’associato di insinuarsi nel passivo per i conferimenti non assorbiti dalle perdite a suo carico (comma primo); l’associato, inoltre, deve versare l’apporto dovuto nei limiti delle perdite che sono a suo carico (comma secondo).
L’intervento della novella sul secondo comma dell’art. 77 l.fall. ove alla parola “egli” è stato sostituita la parola “L’associato”, al fine, è da ritenere, di fugare ogni dubbio sul soggetto obbligato, ha carattere di intervento meramente redazionale[120] e sostanzialmente inutile.
12. L’art. 78 l.fall. disponeva espressamente lo scioglimento a causa del fallimento di una delle parti, del contratto di “conto corrente” senza aggiungere ulteriori specificazioni; il codice civile, invece, da una parte disciplina il contratto di conto corrente “ordinario” (art. 1823 e segg.) e dall’altro (all’interno del capo intitolato “Dei contratti bancari”) detta disposizioni in materia di operazioni bancarie in conto corrente.
Nella relazione al Re della legge fallimentare si affermava che “si sciolgono per fallimento di una delle parti il conto corrente, i contratti bancari, il mandato” e dunque deve ritenersi che solo in sede di redazione finale del testo si sia preferito eliminare il riferimento tout court ai contratti bancari, attesa la natura non omogenea dei detti contratti.
La dottrina e giurisprudenza maggioritaria hanno ritenuto che la dizione “conto corrente” fosse riferita solo al conto corrente ordinario, anche se non è mancata qualche decisione che ha ritenuto la norma riferita ad entrambi i due tipi di conto corrente[121].
Peraltro, in via interpretativa dottrina e giurisprudenza giungevano ad analogo risultato, ritenendo estendibile in via analogica l’art. 78 l.fall. anche al contratto di conto corrente bancario[122].
Il legislatore della riforma, adeguandosi all’orientamento giurisprudenziale sopra ricordato, ha espressamente previsto che tutti i contratti di conto corrente, “anche bancario” si sciolgono per il fallimento di una delle due parti, dovendosi soggiungere che poiché una delle due parti nel contratto di conto corrente bancario è un istituto di credito, sottratto al fallimento, ai sensi del d.lgs. 1 settembre 1993 Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, è chiaro che la norma si riferisce sostanzialmente al correntista.
Significative novità sono state introdotte in tema di mandato, considerato che la previgente normativa prevedeva senz’altro lo scioglimento del contratto in caso di fallimento di una delle due parti, come del resto anche nell’ipotesi del contratto di commissione.
Ora la novella ha diversificato la disciplina tra contratto di commissione e contratto di mandato, ancorché la modifica dell’art. 78 l.fall. non compaia tra i principi e i criteri direttivi contenuti nella legge delega, residuando così qualche dubbio di eccesso di delega da parte del legislatore delegato[123].
Il primo dei detti contratti, espressamente definito dall’art. 1731 c.c. come “un mandato che ha per oggetto l’acquisto o la vendita di beni”, viene comunemente considerato una particolare sottospecie del mandato, caratterizzata dall’oggetto dell’incarico (l’acquisto o la vendita di beni mobili), continua a sciogliersi automaticamente in caso di fallimento sia del committente che del commissionario, mentre per il secondo il legislatore delegato ha introdotto una distinzione tra il fallimento del mandante e quello del mandatario.
La nuova differenza di disciplina tra mandato e commissione si palesa alquanto singolare, in quanto il rapporto di genere a specie tra oggetto del mandato (qualsiasi atto giuridico) e oggetto della commissione (acquisto e vendita) già di per sé genera il sospetto di una disparità di trattamento difficilmente spiegabile[124]: se ogni mandato incide sulla sfera patrimoniale del mandante, a prescindere dal contenuto dell’incarico, e ciò non ostante la legge non ne prevede l’indefettibile scioglimento in caso di fallimento di quest’ultimo, non si scorge la ragione per cui un trattamento diverso dovrebbe valere per il mandato a comprare o a vendere (senza rappresentanza)[125].
In ipotesi di fallimento del mandante è ora disposta la sospensione del rapporto, con contestuale attribuzione al curatore della facoltà di subentro; inoltre è stata introdotta – nell’ipotesi di subentro del curatore – una disciplina specifica della sorte dei crediti derivanti dal mandato, ai quali è stato espressamente riconosciuto il beneficio della prededucibilità, se maturati in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento.
Nel caso di fallimento del mandatario, invece, riprende vigore la regola previgente per cui il contratto si scioglie, in ragione dell’intuitus personae che caratterizza tale contratto, cui si aggiunge anche l’argomento della necessità di tutelare il mandante in bonis che sarebbe privato della garanzia patrimoniale sui beni della controparte.
La scelta del legislatore della novella è stata criticata in dottrina[126], sostenendosi che la vera ratio della originaria disciplina del mandato – omogenea per entrambe le ipotesi di fallimento del mandante e del mandatario – era la prevalenza attribuita ai principi disciplinanti l’attività del curatore che ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare ed esercita personalmente le attribuzioni del proprio ufficio senza delegarle ad altri.
Se dunque il fondamento della regola dello scioglimento automatico del mandato in caso di fallimento del mandate andava correttamente individuata nella oggettiva incompatibilità della prosecuzione del rapporto con i vincoli e le modalità dell’amministrazione fallimentare, appare arduo comprendere la ragione della diversa regola della sospensione del contratto accompagnata dalla facoltà di subentro del curatore.
In direzione contraria, è stato rilevato[127] come la detta previsione della facoltà di subentro del curatore nel contratto di mandato si pone in coerenza con la nuova previsione dell’art. 32, primo comma, l.fall. a tenore del quale il curatore esercita personalmente le proprie funzioni e può delegare ad altri specifiche operazioni, previa autorizzazione del giudice delegato; norma questa che ribalta il generale principio, affermato nella vigenza del vecchio testo, della intrasmissibilità delle attribuzioni del curatore, non delegabili, se non che per singole operazioni, previa autorizzazione del giudice delegato.
In ogni caso, non può sottacersi l’interesse del mandatario in bonis a liberarsi del vincolo, che potrebbe avere assunto in considerazione del particolare rapporto fiduciario con il contraente originario, idoneo a configurare una giusta causa di rinuncia al mandato ai sensi dell’art. 1727 c.c., da esercitare ancora prima che il curatore decida di subentrare la rapporto.
Nel caso di mandato in rem propriam, cioè nell’interesse del mandatario o di terzi, ex art. 1723, comma secondo, c.c., è noto come in passato si sia registrata una divergenza di fondo tra la dottrina[128], schierata a favore dello scioglimento del mandato ai sensi dell’art. 78 l.fall., e la giurisprudenza[129], compatta nel senso della prosecuzione del contratto attesa la specialità dell’art. 1723, comma 2, c.c. rispetto alla norma fallimentare e dovendosi la morte e la perdita di capacità (ostative allo scioglimento del mandato in rem propriam) equiparare al fallimento.
La nuova norma non prevedendo più l’automatico scioglimento del mandato in caso di fallimento del mandante, segue il solco della giurisprudenza in tema di mandato in rem propriam, peraltro estendendo la facoltà di scelta del curatore anche in caso di mandato semplice.
È stato sottolineato[130] come anche dopo la novella deve ritenersi applicabile quell’orientamento giurisprudenziale[131], sviluppatosi in tema di mandato all’incasso in favore di istituto di credito, che escludeva la possibilità di compensare il debito da restituzione verso la massa delle somme incassate dalla banca, con il credito concorsuale di quest’ultima verso il fallito sorto prima del fallimento, in quanto a ritenere il contrario si finirebbe per consentire alla mandataria di ottenere il pagamento di propri crediti concorsuali nel corso della procedura senza ricorrere alle forme ordinarie.
Si è tuttavia osservato da taluno[132], che normalmente nei mandati in rem propriam all’incasso, l’obbligo di trasferire le somme incassate al mandante sia espressamente escluso al fine di consentire al mandatario l’autosoddisfacimento e ciò porta a negare che di compensazione in senso proprio si tratti; e allora potrebbe invocarsi il principio che il curatore optando per il subingresso in quello specifico rapporto subentra in tutte le clausole del contratto, ivi compresa quella che autorizza il mandatario a trattenere quanto incassato per il suo autosoddisfacimento impedendo la nascita stessa di un suo debito restitutorio.
Quanto alla procura alle liti pendente al momento del fallimento del cliente, la giurisprudenza ha ritenuto che potesse trovare applicazione l’art. 78 l.fall. previgente[133], restando così la stessa automaticamente caducata; ora, a seguito della novella, è stato sostenuto[134] che, attesa la peculiarità della procura, il rapporto tra difensore e cliente venga comunque meno ai sensi dell’art. 43, primo comma, l.fall. che prevede la sostituzione del curatore al fallito in tutte le controversie di natura non personale e in ogni caso tenuto conto che per il disposto del terzo comma del detto art. 43 (come introdotto dal legislatore novellistico), l’apertura del fallimento determina automaticamente l’interruzione dei processi in corso.
13. L’originaria disposizione dell’art. 79 l.fall. della legge fallimentare non disciplinava la sorte di rapporti contrattuali pendenti, occupandosi esclusivamente delle vicende relative ai beni mobili in possesso del fallito che dovevano essere restituiti all’avente diritto, e se ne era dunque criticata la sua collocazione nella sezione che ci occupa.
Il legislatore della riforma del 2006 si era limitato ad introdurre una invero oscura variante lessicale nel primo comma, sostituendo le parole “il giorno della dichiarazione di fallimento” con le parole “dal giorno della dichiarazione di fallimento”, sulla quale non vi era peraltro cenno di sorta nella relazione governativa. Inoltre, nel secondo comma, era stato aggiunta la precisazione che se le cose che il fallito doveva restituire non si trovavano più, dopo che era avvenuta l’apposizione dei sigilli, il credito per il controvalore venale delle cose perdute assumeva natura prededucibile[135].
Con una operazione di ortopedia normativa di certo apprezzabile, il legislatore del decreto correttivo del 2007, ha espunto dalla sezione in commento la norma sul possesso di cose mobili del fallito – la cui disciplina si rinviene sostanzialmente ormai nel solo art. 103 l.fall. –, collocandovi interamente la disposizione, già contenuta nell’art. 81-bis l.fall., che era stato introdotto dal d.lgs. 5/2006 ed ha avuto vita assai effimera, essendo stato abrogato proprio dal d.lgs. 169/2007, con la sostituzione integrale della rubrica ora intitolata appunto al “contratto di affitto d’azienda”.
In effetti, con la riforma del 2006, mentre sono rimasti privi di una disciplina ad hoc la locazione di cose mobili, l’affitto di fondi rustici, il deposito e il comodato, pure nel silenzio della legge delega, il legislatore delegato ha ritenuto di introdurre ex novo una disciplina degli effetti del fallimento sul contratto di affitto d’azienda, con una disposizione che, ponendosi questa volta come eccezione alla regola generale di cui all’art. 72 l.fall., prevede la prosecuzione del contratto con facoltà non già del curatore (secondo il principio espresso dalla cennata norma), ma di entrambe le parti di recedere entro sessanta giorni, corrispondendo un equo indennizzo che, nel dissenso delle parti è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati[136].
Anche per la norma dell’attuale art. 79 l.fall. (già art. 80-bis), sono stati avanzati dubbi di eccesso di delega avuto riguardo alla carenza di disposizioni che consentissero al legislatore delegato di disciplinare in modo innovativo il contratto d’affitto d’azienda[137].
Prima della novella, nel silenzio della legge fallimentare si riteneva che gli effetti del fallimento dell’affittante sul contratto d’affitto d’azienda fossero regolati, per via analogica, dall’art. 80, comma primo, l.fall. [138]; nel caso di fallimento dell’affittuario, per contro, l’estendibilità dell’art. 80, comma secondo, l.fall. veniva posta in dubbio dalla dottrina e dalla giurisprudenza[139], posto che ne sarebbe derivata la continuazione dell’esercizio dell’impresa in capo al curatore, con sostanziale violazione delle rigide condizioni contenute nell’art. 90 l.fall..
Come nel contratto di locazione, anche nell’affitto d’azienda il credito discendente dall’equo indennizzo dovuto dalla curatela, in caso di recesso dal contratto, gode della prededuzione, restando così risolti i dubbi sollevati sul punto da taluni autori[140].
L’equo indennizzo, come detto, ha natura indennitaria e non risarcitoria[141] e, in assenza di parametri per la sua quantificazione, ci si potrebbe attenere alla giurisprudenza formatasi in tema di giusto compenso riconosciuto, ex art. 80 ante riforma, al proprietario dell’immobile in caso di recesso del curatore del fallimento del conduttore. Vi è peraltro da segnalare che, lo si dirà infra, nonostante il giusto compenso di cui al vecchio testo dell’art. 80 l.fall. fosse considerato una sorta di indennizzo a favore del locatore per l’anticipata fine del contratto, il legislatore della riforma ha modificato il testo dell’art. 80 l.fall., sostituendo proprio alla locuzione “giusto compenso” la stessa terminologia utilizzata per il contratto di affitto di azienda, vale a dire “equo indennizzo” per l’anticipato recesso.
Viene quindi da chiedersi se il nuovo equo indennizzo introdotto dal legislatore (tanto nell’art. 80 l.fall., quanto nell’art. 79 l.fall., quanto, infine, nell’art. 104-bis l.fall.) sia concetto differente dal giusto compenso e se, pertanto, anche per il caso dell’affitto di azienda non sia invocabile la giurisprudenza formatasi sotto il vecchio testo dell’art. 80 l.fall., dovendosi quindi fare riferimento a criteri diversi dal ristoro indennitario per l’anticipata risoluzione, da parametrarsi ai margini di guadagno attesi dalla naturale prosecuzione del contratto.
In realtà, al di là di modeste differenze lessicali, l’unica strada percorribile per determinare l’equo indennizzo non potrà che essere quella di indennizzare la parte che subisce il recesso del mancato guadagno rispetto al contratto che tale recesso comporta, posto che non si comprende quale altro parametro sia applicabile dal giudice delegato in assenza di un accordo fra le parti[142].
14. Prima della riforma il subingresso nel contratto di locazione di beni immobili da parte del curatore, in caso di fallimento del locatore, era subordinato al ricorrere di due presupposti: da un lato, l’opponibilità ai terzi della locazione, dall’altro l’assenza di patto contrario.
Il primo di questi presupposti, in quanto espressione di un principio generale, risulta senz’altro operante; opponibili al fallimento sono, ai sensi dell’art. 2923, comma primo, c.c. le locazioni risultanti da atto scritto avente data certa anteriore al fallimento.
Il vecchio articolo 80 l.fall. nello stabilire il subingresso del curatore, tuttavia, come detto, faceva salvo il patto contrario con cui le parti avessero previsto lo scioglimento del contratto in caso di fallimento.
La nuova formulazione della norma in esame non contiene più l’inciso richiamato, in coerenza alla regola generale contenuta nel sesto comma dell’art. 72 l.fall., della inefficacia delle clausole negoziali che prevedono che il contratto si sciolga, se nel corso del rapporto contrattuale una delle parti o entrambe vengono sottoposte alla procedura di fallimento.
Dunque, la regola della continuazione del contratto di locazione non risulta più derogabile da diverse previsioni delle parti, in quanto l’art. 80 l.fall., nel ripetere la disposizione che il fallimento del conduttore non scioglie il contratto di locazione d’immobili, è stata cancellato l’inciso “salvo patto contrario”.
Con il decreto correttivo del 2007, peraltro, si è inteso aggiungere un secondo comma con il quale si è voluta limitare la durata dei contratti di locazione di immobili stipulati prima del fallimento, e ciò al fine di contemperare le esigenze dei terzi di tutela della stabilità dei rapporti giuridici contratti con l’impresa poi fallita con l’interesse del fallimento di evitare che l’esistenza di un vincolo locatizio di lunga durata possa deprimere eccessivamente il valore del bene al momento della vendita.
Si è cosi previsto che in caso di locazione di durata superiore a quattro anni a decorrere dalla dichiarazione di fallimento, il curatore può – entro un anno dalla dichiarazione di fallimento – recedere dal contratto corrispondendo al conduttore in bonis un equo indennizzo. In questo caso il recesso avrà effetto decorsi quattro anni dalla dichiarazione di fallimento.
Nell’ipotesi di fallimento del conduttore di beni immobili il rapporto di locazione in corso, secondo la vecchia norma e anche in base alla novella, continua nei confronti della massa dei creditori. Il subingresso del curatore non viene peraltro espressamente previsto dal legislatore[143], il quale però lo presuppone nella norma dell’art. 80, comma terzo, l.fall. ove si attribuisce al curatore il potere di sciogliere anticipatamente il contratto, dietro versamento di un giusto compenso per l’anticipato recesso, oggi definito dalla norma riformulata, lo si è detto in precedenza, quale “equo indennizzo”.
Quanto alla determinazione dell’indennizzo dovuto in ipotesi di recesso del curatore, in primo luogo la legge fallimentare rimette all’accordo delle parti (curatore e controparte) ogni decisione; sul punto va soggiunto che, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione (ex art. 35 l.fall.), i cui effetti incidono direttamente sulla massa attiva, è evidente che il curatore dovrà essere autorizzato dal comitato dei creditori alla conclusione dell’accordo con la controparte (mentre il giudice delegato deve esserne solo “informato”, e sempre che il valore dell’atto superi 50 mila euro).
Qualora invece le parti non raggiungano un accordo sull’equo indennizzo, l’entità della somma da corrispondere dalla massa al contraente in bonis (locatore o conduttore) dovrà essere determinata dal giudice delegato previa audizione delle parti[144].
La nuova dizione normativa, che collega l’equo indennizzo all’“anticipato recesso”, chiarisce – conformemente a quanto già ritenuto in passato dalla giurisprudenza pronunciatasi in materia – come lo scopo di tale corrispettivo sia quello di indennizzare il locatore o il conduttore, costretto a subire l’iniziativa del curatore, del mancato guadagno conseguente alla cessazione immediata ovvero soltanto anticipata della locazione per effetto dell’esercizio, da parte del curatore, della facoltà di recesso. Esso rappresenta il rimedio alla perdita economica, per il locatore, dei canoni successivi sino alla scadenza contrattuale; mentre, per il conduttore, se si tratta di locazione commerciale, l’indennizzo serve a ristorare la perdita dell’avviamento acquisito esercitando l’impresa, se si tratta di locazione ad uso abitativo, invece, costituirà ristoro al disagio affrontato per la ricerca di altro alloggio.
L’equo indennizzo costituisce un debito della massa, giacché esso non costituisce un debito del fallito, considerato che il recesso del curatore avviene dopo il subentro automatico nel contratto di locazione e quindi costituisce attività svolta nell’amministrazione dell’impresa.
Prima della riforma alcuni interpreti[145] avevano sostenuto che il compenso spettante al locatore dovesse subire la falcidia fallimentare, in considerazione della previsione della natura privilegiata ex art. 2764 c.c. del detto compenso.
Con la novella del 2006 è espressamente previsto che il credito del locatore per l’equo indennizzo va liquidato in prededuzione e tuttavia il legislatore ha continuato a prevedere la natura privilegiata dello stesso.
La ragione per cui il legislatore della legge fallimentare (sia nel testo originario che in quello novellato) ha voluto espressamente qualificare come privilegiato ex art. 2764 c.c.[146] il credito per equo indennizzo, trova spiegazione nella circostanza che detto credito trae fondamento non in un inadempimento del conduttore, bensì nell’esercizio di un diritto riconosciuto dalla legge, quale è il diritto di recesso riconosciuto al curatore.
Oggi, a seguito della riforma, essendo il credito in esame qualificato dal legislatore sia come prededucibile ex art. 111, primo comma, n. 1) l.fall., che privilegiato (ex art. 2764 c.c.), si è detto[147] che detta ragione creditoria diventa una sorta di “supercredito”, poiché è credito di massa e fra questi gode del privilegio; pertanto in caso in cui l’attivo fallimentare sia insufficiente a coprire i debiti della massa, il credito del locatore per l’equo indennizzo – sia pure sui limitati beni assoggettati al privilegio dell’art. 2764 c.c. – viene preferito agli altri crediti prededucibili.
15. Rispetto alla formulazione precedente, il testo dell’art. 81 l.fall., quale risulta a seguito della novella del 2006, non presenta novità di rilievo, continuando il contratto di appalto a restare sciolto in caso di fallimento di una delle parti a meno che il curatore non manifesti entro un congruo termine all’altra parte la volontà di subentrare nel rapporto offrendo idonee garanzie[148].
Segnatamente le modifiche riguardano anzitutto il termine entro cui il curatore è chiamato a rendere la dichiarazione di subentro nei confronti dell’altro contraente, passato da venti a sessanta giorni decorrenti (come in passato) dalla dichiarazione di fallimento.
Inoltre, secondo una costante della riforma, in vista della scelta di subentro nel contratto, il curatore deve ottenere l’autorizzazione non più del giudice delegato bensì del comitato dei creditori, chiamato dunque a rendere un parere che non è più quello, obbligatorio ma non vincolante, già previsto dalla norma ora riformata.
Anche a seguito della novella, rimane esclusa la possibilità di subentro del curatore in caso di fallimento dell’appaltatore, quando la “qualità soggettiva”[149] del predetto è stata un motivo determinante del contratto.
La novità introdotta dal legislatore delegato è costituita dalla facoltà da parte del committente di consentire in questo caso egualmente la prosecuzione del contratto, a seguito della richiesta di subentro del curatore; peraltro, pure nel silenzio della normativa sul punto, in passato al dottrina unanime, valutando che la disciplina fosse disposta nell’interesse esclusivo del contraente in bonis, riteneva che costui potesse consentire comunque al subentro[150].
È rimasta ferma, infine, la norma[151] che fa salva la disciplina speciale prevista per il contratto di appalto di opere pubbliche.
16. La disciplina del contratto di assicurazione è rimasta immutata, prevedendosi dunque la continuazione del contratto di assicurazione nel caso di fallimento dell’assicurato, subentrando il curatore ex lege, secondo l’orientamento della invero scarna giurisprudenza edita[152], nella identica posizione giuridica del fallito.
Secondo una parte della dottrina[153], a seguito della novella occorre domandarsi se la norma in commento rappresenti, a tutti gli effetti, una deroga alla disposizione generale introdotta dall’art. 72 l.fall., oppure se quest’ultima possa ritenersi, in ogni caso, applicabile al contratto di assicurazione, il quale, in tale ipotesi, non dovrebbe proseguire ope legis, bensì divenire oggetto di scelta, quanto alla sua sorte, da parte del curatore del fallimento dell’assicurato.
Dall’esame del novellato articolato della sezione IV, infatti, emergerebbe il seguente dato: il legislatore, allorquando prevede la sopravvivenza d’un rapporto di durata ancora pendente alla data di dichiarazione di fallimento di uno dei paciscenti, stabilisce expressis verbis il subentro del curatore nel negozio (art. 80, comma primo, l.fall.) oppure, in caso di silenzio sul punto, riconosce sempre espressamente il diritto di recesso tanto al medesimo curatore (art. 80, comma secondo, l.fall.), quanto anche al contraente in bonis (art. 79), nulla invece disponendo per i soli contratti di vendita con riserva di proprietà, qualora fallisca il venditore (art. 73, comma secondo, l.fall.), e di assicurazione, qualora fallisca l’assicurato (art. 82, comma primo, l.fall.).
In tale ultima ipotesi, stante l’impossibilità per l’amministrazione fallimentare d’esercitare un diritto potestativo di recesso, aderire alla tesi della prosecuzione ope legis significherebbe concludere nel senso che l’esclusione della facoltà di scioglimento equivalga necessariamente ad un obbligo di subentro.
Da qui la tesi che reputa preferibile sostenere che la dizione letterale della norma in commento escluda soltanto che l’assicurazione contro i danni rientri tra i contratti che si sciolgono automaticamente e che essa comporti esclusivamente l’obbligo dell’assicuratore di rispettare il diritto dell’assicurato alla copertura assicurativa ove siano stati pagati i premi dovuti ex contractu; il tutto con l’effetto conclusivo di reputare applicabile il principio generale di cui all’art. 72, comma primo, l.fall. con conseguente possibilità per il curatore di decidere se sciogliersi o meno dal vincolo negoziale assicurativo.
Non è dato comprendere il motivo per cui l’art. 82 l.fall. in tema di contratto di assicurazione, continui a consentire patti contrari alla continuazione del contatto, in contrasto con la previsione generale del novellato sesto comma dell’art. 72 l.fall., di cui si è detto supra.
Si è sostenuto[154] che il mantenimento della disposizione che fa salvi i patti contrari, è unicamente conseguenza del fatto che, avendo scelto di non modificare l’art. 82 l.fall., il legislatore delegato ha così “dimenticato” di cancellare quell’inciso “salvo patto contrario”, che invece non compare più nel novellato art. 80 l.fall. in tema di fallimento del locatore. Ciò porterebbe a ritenere, alla luce della nuova disciplina, che tale inciso debba oggi considerarsi tacitamente abrogato, in quanto, anche sul piano sistematico, l’assicuratore sarebbe più che sufficientemente tutelato dalla previsione della possibilità di far valere il recesso in caso di fallimento dell’assicurato, applicando l’art. 1898 c.c., se dal fallimento è derivato un aggravamento del rischio[155].
17. Nulla risulta innovato nella regolamentazione del contratto di edizioni in caso di fallimento dell’editore, dovendosi sottolineare peraltro che la norma in questione si limita ad un mero rinvio alla disciplina contenuta nella normativa speciale[156].
18. Il legislatore delegato del 2006 ha introdotto una significativa novità in materia di clausole arbitrali, prevedendo che se il contratto in corso alla data del fallimento si scioglie in base alle norme contenute nella legge fallimentare, l’eventuale procedimento arbitrale pendente non può essere proseguito.
Secondo un prevalente orientamento dottrinario e giurisprudenziale il compromesso e la clausola compromissoria vengono meno per effetto del fallimento, sorgendo la competenza esclusiva del tribunale fallimentare ai sensi degli artt. 24 e 92 l.fall.[157], ovvero palesandosi la sopravvenuta inefficacia della detta clausola[158], ovvero ancora dovendosi dette clausole compromissorie essere trattate come contratti sospesi alla data di apertura del fallimento[159].
Altra dottrina ha contestato le conclusioni cui è giunto l’orientamento maggioritario, assumendo che il compromesso o la clausola compromissoria devono essere concepiti come un accessorio della disciplina sostanziale, potendosi gli stessi ritenere efficaci e vincolanti per la curatela nel momento in cui il curatore decide di subentrare nel contratto[160].
Tale principio di accessorietà pare ora esplicitamente accolto – ancorché in termini negativi – dall’art. 83-bis l.fall.[161], laddove pur riferendosi al giudizio arbitrale, condiziona la prosecuzione dello stesso al subentro del curatore nel contratto, restando, in caso di scioglimento del rapporto, il giudizio improcedibile ed ovviamente neppure proponibile.
Comunque, dopo l’entrata in vigore della novella della legge fallimentare non possono sorgere più dubbi sulla proponibilità di giudizi arbitrali in cui sia parte una curatela fallimentare, atteso che l’art. 25 l.fall., come novellato al n. 7), attribuisce espressamente al giudice delegato il potere di nominare gli arbitri “verificata la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge”.
Nel caso di lodo non definitivo pronunciato prima della dichiarazione di fallimento, la giurisprudenza[162] ha ritenuto che la dichiarazione di fallimento di una delle parti comporti l’improcedibilità dell’arbitrato sul quantum, poiché la relativa domanda di quantificazione del credito dovrebbe essere necessariamente proposta con le forme dell’ammissione al passivo fallimentare e ancorché il lodo di condanna generica non sia più impugnabile, attesa l’irrilevanza per la procedura della decisione non definitiva degli arbitri.
Alla luce della sopravvenuta novella, è stato sostenuto[163] che, ove il lodo di condanna generica sia divenuto definitivo, lo stesso non potrebbe essere semplicemente disatteso dal giudice fallimentare, la cui attività dovrebbe essere riferita unicamente alla quantificazione del danno già accertato; ma anche nell’ipotesi in cui il lodo di condanna non fosse ancora divenuto definitivo, il giudice delegato non potrebbe sic et simpliciter respingere l’insinuazione al passivo senza che, preliminarmente, il curatore proceda all’impugnazione della decisione.
Del resto, se l’art. 83-bis l.fall. da facoltà al curatore a sciogliersi dai contratti ed a rendere così improseguibile il procedimento arbitrale pendente, tale improseguibilità non dovrebbe fare venire meno quanto già avvenuto innanzi agli arbitri e consacrato in un provvedimento decisorio, sia pur non conclusivo dell’intera controversia.
[1] Si trattava dell’art. 191 che prevedeva lo scioglimento della società per fallimento del socio di società in nome collettivo o del socio accomandatario o quella dell’art. 703 che, in caso di fallimento del conduttore di immobili, attribuiva al curatore una facoltà di recesso anticipato; in particolare poi era regolato il caso di fallimento del compratore di merci, con l’attribuzione al venditore della facoltà di ritenere le merci (art. 805) e di riprenderne il possesso se non ancora pervenute a disposizione del compratore nei suoi magazzini o in altri luoghi di deposito o custodia (art. 804) ed al curatore la facoltà di farsele consegnare pagando il prezzo convenuto (art. 806).
[2] Per vero nei progetti di legge fallimentare Bonelli e d’Ameglio, era prevista una regola generale per i rapporti pendenti, ma nel successivo progetto Asquini, che in tema di rapporti pendenti venne interamente adottato al momento della stesura della legge del ‘42 si era deciso di non inserirla
[3] Art. 72: vendita non ancora eseguita da entrambi i contraenti; art. 73: vendita a termine o a rate; art. 74: contratto di somministrazione; art. 75: restituzione di cose non pagate; art. 76: contratto di borsa a termine.
[4] La norma riguarda il possesso del fallito a titolo precario che, più correttamente, poteva essere inserita nella disciplina degli effetti del fallimento per il fallito o per i creditori.
[5] È il caso del contratto di società: si pensi all’art. 2288 in tema di esclusione di diritto del socio dichiarato fallito nelle società di persone; ovvero del contratto di lavoro: l’art. 2119, comma II, c.c. esclude espressamente che la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, di per sé, costituisca giusta causa per il recesso dal rapporto.
[6] Ad esempio, la cessione dei crediti di impresa: art. 7, commi 2 e 3 della l. 21 febbraio 1991, n. 52; il contratto di edizione: art. 135 della legge 22 aprile 1941, n. 633; l’appalto pubblico: d.lgs. 163/2006
[7] Cass. 5 febbraio 1980, n. 799, in Il fall. 1980, 501.
[8] Atto Senato n. 1243; si tratta del c.d. disegno di legge “Caruso”, dal nome del relatore, nonché presidente della Commissione Giustizia di Palazzo Madama
[9] Nell'art. 10 dello schema di disegno di legge approvato dalla maggioranza si legge che la disciplina dei rapporti giuridici pendenti, “diretta ad assicurare la migliore gestione del patrimonio del debitore”, doveva essere regolata dai seguenti criteri direttivi: a) stabilire la sospensione dell'esecuzione dei contratti in corso alla data di apertura della procedura, con esclusione di diritti risarcitori e restitutori non quesiti e salvezza delle disposizioni di tutela in materia di rapporti di lavoro e di trattamento di integrazione salariale; b) disporre che il giudice delegato fissasse un termine, a richiesta dell'altra parte, per la manifestazione della volontà del curatore di prosecuzione del rapporto, conseguendo in difetto lo scioglimento dello stesso; c) assicurare il trattamento della prededuzione, nei casi di prosecuzione dei contratti di durata o a prestazioni continuate o periodiche, con riguardo ai soli crediti verso l'insolvente sorti successivamente all'apertura della procedura; d) determinare e disciplinare i casi di deroga alle regole di cui sopra in ragione delle caratteristiche del rapporto, della qualità delle parti e della compatibilità con la procedura concorsuale.
[10] Si tratta della Commissione istituita con D.M. 27 febbraio 2004 dal Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, denominata come Trevisanato bis.
[11] Si tratta del c.d. “maxi-emendamento” al testo di d.d.l. Caruso (atto n. 1243), in discussione alla Commissione Giustizia del Senato.
[12] L’art. 1, comma 5, della legge delega stabiliva che i decreti legislativi fossero adottati su proposta del Ministero della Giustizia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro delle Attività Produttive. La previsione di una co-proponenza, nonostante la circostanza che l’unico “Gruppo di Lavoro per l’elaborazione dei decreti legislativi recanti la Riforma Organica della disciplina delle procedure concorsuali” fosse stato creato presso il Ministero della Giustizia, non ha impedito la separata elaborazione di due progetti, uno “targato” Ministero della Giustizia del 22 luglio 2005 (c.d. bozza Giuliano dal nome del sottosegretario alla Giustizia che presiedeva il gruppo di lavoro) ed uno del Ministero dell’Economia e delle Finanze (c.d. bozza Vietti, dal nome del sottosegretario all’Economia che presiedeva il gruppo operante presso il detto ministero) reso pubblico il 6 luglio 2005.
[13] Nella c.d. bozza Vietti, gli interventi dedicati alla materia che ci occupa erano esattamente quattro: l’ampliamento da otto a sessanta dei giorni previsti dall'art. 72, comma terzo, per l’esercizio del potere di scelta da parte del curatore dopo la messa in mora da parte del contraente in bonis; l’articolo 76 bis concernente gli effetti sui finanziamenti ad uno specifico affare; l’articolo 83 bis riferito alla locazione finanziaria e l’articolo 83 ter che disciplinava in via generale i rapporti giuridici pendenti; tutte queste norme ricalcano sostanzialmente i corrispondenti articoli del c.d. maxi-emendamento al d.d.l. Caruso.
[14] È la c.d. bozza Giuliano. dal nome del sottosegretario alla Giustizia che presiedeva il detto gruppo di lavoro; tale testo, è stato approvato con poche significative variazione nella parte che ci riguarda dal consiglio dei ministri nella seduta del 22 settembre 2005, e, dopo l’esame delle commissioni competenti dei due rami del parlamento (che hanno esitato pareri condizionatamente favorevoli) è divenuto il testo del d.lgs. 5/2006.
[15] A cui va aggiunta la novella degli artt. 155 e 156, oggi dedicati ai patrimoni destinati ad uno specifico affare.
[16] Si tratta degli art. 72 bis, 72 ter, 72 quater, 80 bis e 83 bis; per vero l’art. 72 bis rubricato “Contratti relativi ad immobili da costruire” era stato già introdotto dal d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122 (pubblicato in G.U. del 6 luglio 2005 ed entrato in vigore il successivo 21 luglio) e la novella si è limitata ad anteporre due commi a quello originario (divenuto così comma terzo) modificando altresì la rubrica
[17] Si vedano il parere della Commissione Giustizia della Camera reso il 16 novembre 2005 e il parere della Commissione Giustizia del Senato reso il 22 novembre 2005.
[18] La nuova disciplina accorda al debitore, che abbia presentato ricorso per l’ammissione al concordato, la facoltà di chiedere al tribunale – ovvero al giudice delegato, dopo il decreto di ammissione – l’autorizzazione a sciogliersi dai contratti i corso di esecuzione al momento del deposito del ricorso per l’ammissione al concordato. Può essere anche chiesta la sola sospensione dei contratti in corso per un periodo limitato (sessanta giorni, prorogabili per una sola volta). La disciplina in discorso non si applica, comunque, per i rapporti di lavoro subordinato, nonché ai contratti preliminari trascritti e relativi agli immobili da destinare ad abitazione principale ovvero a sede principale dell’impresa, nonché ai finanziamenti destinati ad uno specifico affare di cui all’art. 72-ter l.fall. e ai contratti di locazione di immobili, quando il debitore ammesso alla procedura sia il locatore.
[19] Tra le tante Trib. Milano, 10 giugno 1985, in Il fall. 1986, 555.
[20] Cfr. le note 5 e 6.
[21] L. Guglielmucci, in Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da A. Jorio, Bologna, 2006, 1119. è opportuno ricordare come l’art. 83 bis della legge fallimentare introdotto dall’art. 17, comma 5, del c.d. maxiemendamento al d.d.l. “Caruso”, interamente recepito nella c.d. bozza Vietti, faceva salve tutte le disposizioni contenute nella sezione e nelle “diverse disposizioni di legge”.
[22] A. GENOVESE Effetti del fallimento sui contratti in corso di esecuzione. Prime considerazioni sulle novità della riforma, in Dir. fall., 2006, I, 1148. L’autore invoca l’esempio del factoring, contratto atipico al quale, a seconda della soluzione seguita, in caso di fallimento dell’imprenditore cedente potrebbe ritenersi applicabile la disciplina del mandato di cui all’art. 78 ovvero quella prevista dall’art. 72: va rilevato, tuttavia, che in questo caso, quale che si ritenga la disciplina applicabile, alla luce della novella il risultato sarebbe identico e cioè la sospensione del rapporto in attesa della scelta del curatore.
[23] Si pensi alla locazione di beni mobili, disciplina alla quale – in coerenza con l’identità di natura rispetto alla locazione immobiliare – pare doversi applicare l’art. 80 e non l’art. 72.
[24] Si veda P.F. CENSONI, I rapporti pendenti nella legge delega di riforma, in Il fall., 2005, 1033.
[25] Come ricordato supra, lo schema di d.d.l. elaborato dalla Commissione Trevisanato bis aveva anche previsto, prima di una più analitica regolazione di specifiche fattispecie, l’indicazione espressa dei contratti che proseguono e di quelli che si sciolgono automaticamente; in particolare l’art. 120 dello schema disponeva che il contratto prosegue automaticamente nei casi di vendita con riserva della proprietà, locazione e locazione finanziaria se la procedura di insolvenza riguardava il venditore il locatore o il concedente; a sua volta l’art. 121 del detto schema stabiliva che il contratto si sciogliesse automaticamente nel caso di cessione dei crediti d’impresa, conto corrente anche bancario, mandato in caso di fallimento del mandatario e associazione in partecipazione per l’apertura della procedura nei confronti dell’associante.
[26] Che tuttavia, come ricordato supra (nota 19), a differenza dell’attuale art. 72, faceva salve tutte le disposizioni contenute nella sezione e nelle “diverse disposizioni di legge”.
[27] Nel parere reso dalla Commissione Giustizia della Camera il 16 novembre 2005 sullo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 22 settembre 2005, al fine di tutelare il contraente non fallito, si proponeva di prevedere nel primo comma dell’art. 72 un termine di durata del periodo di sospensione dell’esecuzione del contratto.
[28] Lo schema di d.d.l. approvato dalla c.d. commissione Trevisanato bis prevedeva all’art. 119 l’assegnazione al curatore di un termine non superiore a dieci giorni, mentre l’art. 83 ter della c.d. bozza Vietti stabiliva in modo assai innovativo che la dichiarazione di subentro da parte del curatore dovesse avvenire entro sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento, pena lo scioglimento del contratto.
[29] La relazione governativa al decreto delegato sottolinea come il trasferimento del potere autorizzatorio dal giudice delegato al comitato dei creditori costituisca “un punto qualificante del nuovo assetto dei rapporti tra gli organi della procedura e del ruolo rilevante attribuito dalla riforma ai rappresentanti dei creditori”.
[30] M. BIANCA, La Vendita e la permuta, II ed., 1993, Torino, 1997; in giurisprudenza, da ultimo, Cass., 25 agosto 2004, n. 16860, in Il fall., 2005, 90; Cass. 14 aprile 2004, n. 7070, ivi, 2004, 1156; Cass. s.u. 14 aprile 1999, n. 239, ivi, 1999, 1247.
[31] G. Verdirame, I rapporti giuridici pendenti dopo la riforma della legge fallimentare, in Dir.fall., 2006, I, 1173.
[32] L’art. 83 ter della c.d. bozza Vietti di decreto delegato, come ricordato (nota 22), stabiliva che il curatore dovesse dichiarare di subentrare nel contratto in luogo del debitore entro un termine fisso decorrente dalla sentenza di fallimento, decorso il quale il contratto si intendeva ex lege risolto.
[33] Cass. 25 agosto 2004, n. 16860; Cass. 14 aprile 2004, n. 7070, in Foro it., Rep. 2004, voce fallimento, n. 488.
[34] Ai sensi dell’art. 2645-bis, comma terzo, c.c. gli effetti della trascrizione del preliminare, cessano dopo tre anni se non si è trascritto il contratto definitivo o altro atto che lo sostituisca, ovvero ancora se non si è trascritta la domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica del preliminare medesimo.
[35] La relazione al decreto correttivo del 2007 evidenzia come la novella sia stata dettata dall’esigenza di accrescere, ai sensi dell’art. 47 Cost., la tutela del promissario acquirente di immobile destinato a casa di abitazione. Va rammentato, peraltro che già il legislatore della riforma urgente del 2005 aveva previsto l’esenzione dalla revocatoria fallimentare, ex art. 67, comma 3, lett. c), per le vendite, concluse a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado. Con il correttivo del 2007, poi, l’esonero da revocatoria è stato esteso anche ai preliminari di vendita, trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione.
[36] Con la novella del 2012, modificando l’art. 67, comma 3, lett. c), l.fall., si è anche stabilito la non revocabilità degli atti preliminari di vendita trascritti, compiuti al giusto prezzo, relativi ad immobili destinati a costituire sede principale dell’impresa dell’acquirente, purché tale attività alla data della dichiarazione di fallimento fosse effettivamente esercitata, ovvero fossero stati comunque “compiuti investimenti per darvi inizio”. Ancora va ricordato che la nuova disciplina dei contratti in corso di esecuzione al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo, non trova applicazione, ai sensi dell’art. 169-bis, ultimo comma, l.fall. nei casi appena descritti.
[37] D. Finardi, Facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto preliminare e aspetti innovativi dell’art. 72 l.fall., in Il fall., 2008, 771.
[38] L. Guglielmucci, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 1134.
[39] Un tentativo di giustificazione è stato prospettato considerando il meccanismo di tutela del contraente in bonis – quello della facoltà di sospendere l’esecuzione della prestazione – che il somministrante può invocare anche per inadempimenti pregressi (art. 1565 c.c.). A fronte di questo strumento di tutela, il curatore che intenda subentrare – si è detto – deve assicurare l’adempimento anche delle obbligazioni relative a prestazioni pregresse.
[40] Né da conto chiaramente la relazione al decreto correttivo.
[41] L’art. 119, comma 4, del testo predisposto dalla c.d. Trevisanato bis, invece ribadiva espressamente che nessun risarcimento del danno spetta al contraente in bonis in caso di scioglimento del contratto.
[42] B. INZITARI, Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento ed incerti poteri autorizzativi del comitato dei creditori, in www.Ilcaso.it., 7.
[43] G. VERDIRAME, op. cit., 1178.
[44] Cass. 12 aprile 2001, n. 5494, in Fall., 2001, 933; Cass. 3 novembre 2000, n. 14358, ivi, 2001, 911.
[45] VerdiramE, op. cit., 1178
[46] Così come introdotto dall’art. 3, comma 6, del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito in L. 28 febbraio 1997, n 30.
[47] Il testo riproduce sul punto pressoché pedissequamente il dettato dell’art. 119 dello schema di d.d.l. elaborato dalla c.d. Commissione Trevisanato bis.
[48] Per l’inammissibilità della domanda di risoluzione per inadempimento da parte del contraente in bonis, a seguito della dichiarazione di fallimento: Cass. 26 marzo 2001, n. 4365, in Il fall. 2001, 1018.
[49] Cfr. Cass. 6 febbraio 2004, n. 2261; Cass. 11 ottobre 1994, n. 8295, in Il Fall., 1995, 392. L’azione di risoluzione relativa a beni immobili si considera “quesita” se il relativo atto di citazione sia stato iscritto nei registri immobiliari prima del fallimento: così Cass. 29 ottobre 2008, n. 25984 in Il fall. 2009, 1179;
[50] Rimane il dubbio se la necessità, ora imposta dalla norma novellata, di trattare con il rito dell’accertamento del passivo le domande di restituzione e di risarcimento, imponga l’attrazione secondo il medesimo rito innanzi al tribunale fallimentare anche della domanda di risoluzione già assoggettata al rito ordinario cfr. F. Di Marzio Azione di risoluzione del contratto (e di risarcimento danni) e fallimento della parte inadempiente, in Il fall. 2009, 1183.
[51] Cass. 9 luglio 2003, n. 10780, in Il fall. , 2004, 1007; Cass. 21 febbraio 1994, n. 1648, in Giur. It., 1995, I, 196.
[52] R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974, II, 1192.
[53] G. Verdirame, op. cit., 1174.
[54] Cfr. Cass. 15 febbraio 2011, n. 3728. Secondo la S.C. nel caso in cui sia stato esercitato – prima del fallimento – il recesso del promittente venditore, ex art. 1385, comma 2, c.c., la fattispecie risolutiva risulta già perfezionata con la dichiarazione del promittente venditore; ne discende che la domanda di accertamento della legittimità del recesso e del diritto alla ritenzione della caparra, promossa dal contraente non inadempiente nei confronti del promissario prima della dichiarazione di fallimento, non può essere paralizzata, una volta sopravvenuto il fallimento di quest’ultimo, dall’esercizio, da parte del curatore, della facoltà di sciogliersi dal contratto, a norma dell’art. 72.
[55] G. Santagada Sulle impugnazioni esperibili dal curatore fallimentare avverso un lodo rituale pronunciato anteriormente alla dichiarazione di fallimento e sulle possibili ripercussioni derivanti dal nuovo 5° comma dell’art. 72 l. fall., in wwwJudicium.it.
[56] Cass. s.u. 7 luglio 2004, n. 12505, in Foro it., 2004, I, 1963.
[57] Cass. 18 maggio 2005, 10436; per vero la detta pronuncia non affronta ex professo la questione dell’opponibilità della domanda giudiziale trascritta anteriormente al fallimento, avendo esaminato una fattispecie in cui il contraente in bonis aveva spiccato domanda ex art. 2932 c.c. dopo la dichiarazione di fallimento nei confronti del curatore. Successivamente l’indirizzo tradizionale è stato ribadito da Cass. 13 gennaio 2006, n. 542; Cass. 1 marzo 2007, n. 4888; Cass. 7 gennaio 2008, n. 33; Cass. 24 luglio 2009, n. 17405. Vedi anche Trib. Catania 15 luglio 2010, ined.
[58] Cass. 23 giugno 2010, n. 15218; Cass. 8 luglio 2010, n. 16160; Cass. 15 dicembre 2011, n. 27093.
[59] M. MONTANARI; in Il fall. 2010, 1256.
[60]Così Trib. Torino 7 settembre 2011, in www.ilcaso.it
[61]Cass. 4 dicembre 2013, n. 27111.
[62]Anche in questo caso la previsione normativa trova la sua genesi nel citato art. 119 dello schema di d.d.l. elaborato dalla Trevisanato bis.
[63] Trib. Roma, 21 febbraio 1983, in Dir. Fall., 1984, II, 1122.
[64] A. Genovese, op. cit. , 1140.
[65] B. INZITARI, Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento ed incerti poteri autorizzativi del comitato dei creditori, cit., 9.
[66] A differenza del testo originario della legge fallimentare che, pur prevedendo la possibilità dell’esercizio provvisorio dell’impresa, non conteneva alcuna disposizione che consentisse di escludere in tale eventualità lo scioglimento automatico o la sospensione dell’esecuzione di quei contratti per i quali i detti effetti venivano ricollegati, dalla sezione IV, al fallimento di uno dei contraenti.
[67] A. GENOVESE, op. cit , 1138.
[68] A. GENOVESE, op. cit., 1142.
[69] A. PATTI I rapporti giuridici preesistenti nella prospettiva della liquidazione fallimentare, in Il fall. 2006, 876.
[70] Si tenga conto che in detto programma di liquidazione – lett. a) c) ed e) dell’art. 104 ter comma secondo – il curatore deve indicare l’eventuale opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa o l’affitto della stessa, nonché le azioni risarcitorie recuperatorie e revocatorie che intende proporre e le condizioni di vendita dei cespiti.
[71] PANZANI, I fallimenti immobiliari, in Il fall., 2006, 257.
[72] F. MACARIO, I rapporti pendenti, in Foro it., 2006, V, 185.
[73] È il caso della vendita di cose generiche (art. 1378 c.c.), di cose altrui (art. 1478 c.c.) di cosa futura (art. 1472 c.c.), etc.
[74] Come introdotto dal citato D.L. 31 dicembre 1996, n. 669.
[75] P. F. Censoni, Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Dir. fall., 2006, I, 1158.
[76] E' opportuno ricordare come il d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122 (pubblicato nella G.U. del 6 luglio 2005) che ha introdotto nella legge fallimentare l’articolo 72-bis, è entrato il vigore dal 21 luglio 2005, mentre la c.d bozza Giuliano elaborata dagli uffici del Ministero della Giustizia il 18 luglio 2005 opportunamente non prevedeva l’attuale settimo comma del novellato art. 72 (che riproduce esattamente il quinto comma del vecchio art. 72); solo nella bozza definitiva approvata dal Consiglio dei Ministri il 23 settembre 2005, compare per la prima volta il detto settimo comma dell’art. 72 – inutile riproduzione della norma ora contenuta nell’art. 72-bis – che peraltro erroneamente richiama il potere del curatore di sciogliersi dal contratto “ai sensi del precedente comma” (come era in realtà nel vecchio art. 72), anziché ai sensi del nuovo primo comma, considerato che il precedente comma (il sesto) si occupa oggi dell’inefficacia di talune clausole contrattuali. E ciò nonostante nel parere reso dalla Commissione Giustizia del Senato il 22 novembre 2005, si fosse segnalata l’opportunità di riscrivere l’intera disposizione con il giusto richiamo “al primo comma”.
[77] Ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 122/2005, la disciplina prevista dai precedenti articoli 2, 3 e 4 si applica “ai contratti aventi ad oggetto il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili per i quali il permesso di costruire o altra denuncia o provvedimento abilitativo sia stato richiesto successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
[78] A norma degli artt. 2447-bis, comma primo, c.c. le società per azioni possono costituire uno o più patrimoni destinati in via esclusiva ad uno specifico affare (lettera a), oppure convenire che nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati i proventi dell’affare stesso o parte di essi (lettera b).
[79] Va ricordato che lo schema di d.d.l. approvato dalla Trevisanato bis dedicava un intero capo alla disciplina della insolvenza dei patrimoni destinati ad uno specifico affare (artt. 200–209).
[80] P.F. CENSONI, I rapporti pendenti nella legge delega di riforma, cit. 1039.
[81] Il comma 3 dell’art. 17 del c.d. maxiemendamento al d.d.l. “Caruso” riproduceva esattamente il testo dell’attuale art. 72-ter della legge fallimentare.
[82] Il testo degli articoli 155 e 156 riproduce, con qualche variante, l’art. 148 bis della legge fallimentare, come introdotto dall’art. 41, comma 2, del c.d. maxiemendamento al d.d.l. “Caruso”.
[83] Nel parere reso dalla commissione giustizia del Senato in data 22 novembre 2005, si raccomandava che il subentro del curatore fosse subordinato all’autorizzazione del comitato dei creditori e non al mero parere non vincolante; ma il Governo, come visto, non ha inteso accogliere il rilievo.
[84] A. ORIFICI, Patrimoni destinati ed insolvenza, relazione svolta all’incontro di studio C.S.M. tenuto a Roma il 24 ottobre 2005, 37.
[85] D. Manente, Patrimoni e finanziamenti destinati ad uno specifico affare, in Il sistema dei rapporti preesistenti nel fallimento, in L. GUGLIELMUCCI (a cura di) I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, , Padova, 2006, 787.
[86] Si tratta delle ipotesi di cui all’art. 2447quinquies, commi III e IV, cioè i crediti derivanti da responsabilità da fatto illecito, da mancata spendita del nome dell’affare, e quella in cui la delibera istitutiva del compendio preveda in via convenzionale la responsabilità della società (eventualmente sussidiaria). La responsabilità della s.p.a. istituente può essere infatti tanto illimitata, quanto limitata tanto sussidiaria, quanto senza beneficio della preventiva escussione.
[87] A. Orifici, op. cit., 22.
[88] P.F. CENSONI, Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, cit., 1158.
[89] Secondo la communis opinio, nel leasing di godimento i canoni costituiscono essenzialmente corrispettivo per il godimento di un bene che, per le sue caratteristiche merceologiche e tecniche, tenderà ad esaurire le proprie utilità entro un limitato periodo di tempo, sostanzialmente coincidente con quello di durata dello stesso contratto di leasing.
[90] Nel leasing traslativo, invece, il bene oggetto del contratto ha generalmente un valore intrinseco più elevato rispetto ai beni oggetto del leasing di godimento, non è soggetto ad obsolescenza, anzi, per le sue caratteristiche tende a mantenere, se non ad aumentare nel corso del tempo, il suo valore; ne consegue che il corrispettivo pagato dall’utilizzatore, anche se viene definito canone, costituisce parte, e la parte più rilevante, del prezzo in quanto unito al cosiddetto prezzo del riscatto finale, costituisce un vero e proprio corrispettivo per la vendita del bene. Da ultimo in giurisprudenza Cass. 23 maggio 2009, n. 13418, in Il fall., 2009, 303.
[91] Siffatto orientamento giurisprudenziale si fa risalire al sestetto di pronunce della prima sezione della Corte di Cassazione del 13 dicembre 1989, n. 5569, 5570, 5571, 5572, 5573 e 5574, in Il Fall., 1990, 266, con nota di F. LAMANNA; successivamente la tesi della summa divisio si è ampiamente consolidata in giurisprudenza, ricevendo indirettamente sigillo da due pronunce delle sezioni unite: Cass. s.u. 7 gennaio 1993, n. 65, in Il fall., 1993, 521, e Cass. s.u. 10 gennaio 1992, n. 199, in Vita not., 1993, 314.
[92] Si veda la giurisprudenza citata alla nota che precede.
[93] L. Quagliotti, La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento, in Il fall., 2006, 1239.
[94] Si tratta di una applicazione coerente del disposto dell’art. 104, comma settimo, come novellato dal legislatore del 2006, che appunto conferma la prosecuzione dei contratti durante l’esercizio provvisorio, salvo che il curatore intenda sciogliersi dagli stessi.
[95] L’art. 83 bis della c.d. bozza Vietti – sulla scia dell’art. 72-ter del c.d. maxiemendamento al d.d.l. “Caruso” – parlava espressamente del ricavato derivante dalla vendita o dalla “rilocazione” del bene. A. PATTI I rapporti giuridici preesistenti nella prospettiva di liquidazione fallimentare, cit., 880, si chiede in chiave problematica se nell’espressione preferita (“altra collocazione”) possa oggi rientrare anche la sola concessione del bene nella disponibilità di terzi, con riserva della sua proprietà.
[96] Così precisa oggi la novella dell’art. 72-quater introdotta dal d.lgs. 169/2007. Secondo una giurisprudenza edita la riallocazione del bene restituito al concedente deve avvenire applicando, in quanto compatibili, le norme sulla vendita in danno di cui all’art. 1515 c.c.: cfr. Trib. Pordenone 4 novembre 2009, in Il Fall. 2010, 809.
[97] Ai sensi della cennata norma sono esenti dalla revocatoria i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa e nei termini d’uso.
[98] Così Trib. Milano 24 aprile 2012, in www.ilcaso.it
[99] B. INZITARI Nuove riflessioni in tema di leasing nella disciplina dei rapporti pendenti della novella fallimentare (art. 72 quater l.fall.), in wwwIlcaso.it, 9.
[100] Così Cass. 11 marzo 2010 n. 4862, in Il fall. 2010, 808.
[101] Così Cass. 15 luglio 2011, n. 15701, in Il fall. 2012, 68. La decisione della S.C. di invocare la disciplina prevista per il creditore pignoratizio lascia perplessi, in quanto mentre nel caso di c.d. vendita diretta, ex art. 53, le ragioni della massa sono tutelate dalla previsione della necessaria autorizzazione del giudice delegato, il quale deve pure determinare le modalità della vendita ex art. 107, nulla si rinviene in tema di leasing; inoltre, se il creditore pignoratizio o quello munito di privilegio speciale, prima devono insinuarsi al passivo e poi possono soddisfarsi direttamente mediante la vendita del bene, sul chiaro assunto che, di regola, il valore dello stesso non supera il credito vantato – ché, in caso contrario, il curatore, debitamente autorizzato dal giudice delegato, avrebbe la facoltà di pagare direttamente il creditore, riprendendosi le cose già sottoposte a pegno o privilegio –, nel leasing non può di certo escludersi a priori che, per effetto della vendita o della nuova collocazione del bene, la somma ricavata sia addirittura superiore al credito spettante al concedente, così restando individuata la ratio di una previsione normativa che impone a quest’ultimo di insinuarsi al passivo solo dopo che sia intervenuta la vendita del bene e purché residui una eventuale differenza a suo favore (cfr. Trib. Catania 19 aprile 2012, ined.).
[102] Si veda la relazione di accompagnamento al testo del citato decreto legge
[103] Cass. 9 maggio 2003, n. 5552, in Il Fall. 2004, 511. Questa sentenza ha infatti rimesso in discussione la pacifica applicazione dell’art. 73, comma secondo, al leasing traslativo, ritenendo che data la natura eccezionale della suddetta norma, avrebbe dovuto trovare applicazione la regola generale del vecchio art. 72, comma quarto, con conseguente discrezionale scelta del curatore circa il subentro nel contratto o meno.
[104] Nel parere reso dalla Commissione Giustizia della Camera il 16 novembre 2005, si sottolinea che il riferimento al solo leasing traslativo contenuto nel comma quarto dell’art. 72-quater pone “un grave dubbio interpretativo”.
[105] D. MANENTE, Leasing, in I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, cit. , 717.
[106] P.F. CENSONI, I rapporti pendenti nella legge delega di riforma, cit., 1040.
[107] A. PATTI, I rapporti giuridici preesistenti nella prospettiva di liquidazione fallimentare, cit., 881; L. PANZANI, I Contratti pendenti, in S. AMBROSINI (a cura di) La riforma della legge fallimentare, Bologna, 2006, 180; nella medesima direzione B. INZITARI, Nuove riflessioni in tema di leasing nella disciplina dei rapporti pendenti della novella fallimentare (art. 72 quater l.fall.), cit., 6.
[108] Trib. Monza 7 dicembre 2004, in Il fall., 2005, 1174.
[109] Così si esprime la relazione governativa al decreto delegato del 2006.
[110] Illuminante sul punto la relazione al d.lgs. 169/2007.
[111] O. CAGNASSO, in Il nuovo diritto fallimentare, cit. , 1208.
[112] Si veda retro (nota 33).La novella, del resto, sembra inserirsi nel solco dell’art. 124 dello schema di d.d.l. elaborato dalla commissione Trevisanato bis, che prevedeva l’obbligo da parte del curatore che subentra nel contratto di somministrazione di pagare integralmente anche i servizi già erogati prima del fallimento.
[113] G. ZUDDAS, Somministrazione.Concessione di vendita. Franchising, Torino, 2003, 348.
[114] Trib. Torino, 11 gennaio 1995, in Contratti, 1995, 597.
[115] L’art. 125 dello schema elaborato dalla commissione Trevisanato bis, viceversa, faceva espressamente salva solo la volontà del curatore di farsi consegnare la cosa pagandone il prezzo integrale.
[116] M. SPIOTTA, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 1217.
[117] In tal senso anche la S.C.: si veda Cass. 27.5.1975, n. 2127.
[118] Cass. 13 marzo 1982, n. 1634, in Foro it., 1982, I, 2879; Cass. 27 maggio 1975, n. 2127; Cass. 10 marzo 1975, n. 882.
[119] L. VATTOVANI, Contratti di Borsa a Termine, in I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, cit., 107.
[120] Così si esprime la relazione governativa al testo del decreto delegato del 2006.
[121] Trib. Catania, 9 ottobre 1997, in Giur.comm., 1999, II, 460.
[122] Cass. 20 dicembre 2000, 16032; Cass. 6 dicembre 1974, n. 4043, in Banca borsa tit. cred., 1975, II, 17; in Dir. fall., 1975, II, 524; in Foro it., 1976, I, 802; Cass. 20 gennaio 1988, n. 407, in Giur. comm., 1988, II, 872; in Dir. fall., 1988, II, 397; Cass., 1° agosto 1992, n. 9167, in Fallimento, 1993, 150; in Giur. it., 1993, I, 1268; Cass., 22 settembre 1995, n. 10056, in Banca borsa tit. cred., 1998, II, 138,
[123] E. BRAN, Mandato, commissione e spedizione, in I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, cit., 117.
[124] Così G. Presti, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 1246.
[125] Nell’art.121 del progetto predisposto dalla commissione c.d. Trevisanato bis non veniva espressa alcuna regola specifica per la commissione, alla quale, pertanto, con soluzione più corretta di quella indicata nell’articolo in commento, si applicava de plano la nuova disciplina prevista per il mandato, con la distinzione di conseguenze a seconda che il concorso riguardasse il mandante (committente) ovvero il mandatario (commissionario).
[126] E. BRAN, ult. op. cit., 119.
[127] A. PATTI I rapporti giuridici preesistenti nella prospettiva della liquidazione fallimentare, cit., 878.
[128] A. Bonsignori, Il fallimento, in Trattato Galgano IX, 1986, 420.
[129] Cass. 19 novembre 1987, n. 8505, in Il fall., 1988, 203; Cass. 1 febbraio 1983, n. 857, id., 1984, 833.
[130] M. Arato, Fallimento e rapporti bancari pendenti, in Dir. fall., 2006, I, 1197.
[131] Cass., 20 agosto 1993, n. 8806, in Fall., 1994, 142; Cass. 12 marzo 1984, n. 1689, in Mass. Foro it., 1984; Cass. 1 febbraio 1983, n. 857, in Giur. it., 1984, I, 1, 352; Cass. 2 luglio 1981, n. 4282, in Giur. it., 1981, I, 1, 1417. Va ricordato che in giurisprudenza si è affermato più volte che, qualora il mandato integri una cessione del credito con funzione solutoria, la banca cessionaria – incamerando il credito di cui è divenuta titolare – non è tenuta a restituire il relativo importo alla curatela (cfr. Cass., 4 novembre 1992, n. 11966, in Fall., 1993, 287; Cass. 19 novembre 1987, n. 8505, ivi, 1988, 203).
[132] G. Presti, op. cit., 1244.
[133] App. Roma, 2 ottobre 2000, in Dir. Fall., 2001, II, 179; App. Torino, 23 ottobre 2000, in Foro pad., 2001, I, 91.
[134] M. ARATO, op. cit., 1197.
[135] Occorre peraltro osservare come già prima della novella, la dottrina aveva sostenuto che la massa fosse tenuta a pagare in prededuzione nel caso in cui la cosa fosse andata perduta dopo l’apposizione dei sigilli e in tal senso era orientata anche la giurisprudenza: Cass. 30 dicembre 1997, n. 13136, in Il fall. 1998, 1163.
[136] La norma riproduce pressoché in modo integrale l’art. 126 dello schema di d.d.l. predisposto dalla commissione Trevisanato bis.
[137] C. MARTONE, op. cit., 373.
[138] Cass. 11 febbraio 2004, n. 2576; Cass. 28 aprile 1993, n. 5012, in Il fall. 1993, 1123.
[139] Trib. Como, 3 marzo 1987, in Il fall. 1987, 882; L. Guglielmucci, Lezioni di diritto fallimentare, Torino, 2005, 150.
[140] C. MARTONE, op. cit., 377.
[141] Cass., 3 giugno 1991, n. 6237, in Mass. Foro it., 1991; Cass. 30 ottobre 1990, n. 10520, ivi, 1990.
[142] A. Giovetti, in , cit. 1298.
[143] Nel parere reso dalla commissione giustizia del Senato il 22 novembre 2005 si suggeriva di inserire una moratoria di 90 ovvero 180 giorni (a seconda che fosse stato autorizzato o meno l’esercizio provvisorio dell’azienda) per l’eventuale azione di sfratto per morosità da parte del locatore in bonis nei confronti della curatela; ma il Governo non ha inteso accogliere detta proposta.
[144] Rimangono dubbie le modalità procedimentali con le quali si pervenga alla determinazione dell’indennizzo. Secondo una prima opinione si può ritenere che il giudice determinando la entità dell’indennizzo, emani un decreto come tale suscettibile di reclamo ex art. 26 e successivi gradi di impugnazione, posto che esso incide su diritti soggettivi perfetti. Per contro si può affermare che insorta controversia fra il curatore e il terzo, detto indennizzo debba essere determinato attraverso il procedimento di verifica dei crediti.
[145] BOZZA, La natura del credito del locatore al giusto compenso di cui all’art. 80 l. fall., in Il fall. 1987, 10.
[146] Com’è noto, l’art. 2764 c.c. prevede il privilegio del locatore per i crediti derivanti da pigioni, fitti, mancate riparazioni a carico del conduttore, danni arrecati all’immobile e ogni altro credito dipendente da inadempimento del contratto.
[147] C. Martone, Locazione e affitto, in I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, cit., 368.
[148] Anche questa norma novellata riprende in grande misura il testo dell’art. 128 dello schema di d.d.l. elaborato dalla commissione Trevisanato bis, ove peraltro rimaneva immutato il termine (di venti giorni) dall’apertura della procedura, entro cui il curatore doveva dichiarare di volere subentrare nel contratto.
[149] Il testo abrogato dell’art. 81 parlava di “considerazione della sua persona”, ma non sembra che la diversa formulazione determini una apprezzabile modifica della portata del testo normativo.
[150] Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2002, 369.
[151] Nel testo originario essa costituiva il terzo comma dell’art. 81, mentre dopo la novella la disposizione fa parte del secondo comma della cennata norma, ultima parte.
[152] Trib. Roma, 27 novembre 1985, in Fall., 1986, 1368; Trib. Bologna, 6 dicembre 1969, in Giur.it., 1970, I, 2, 792;Trib. Napoli, 4 dicembre 1969, cit.;Trib.Verona, 24 gennaio 1955, in Rep. Foro it.,1955, voce “Fallimento”, n. 368.
[153] L. Jeantet, in Il nuovo diritto fallimentare, cit. 1320.
[154] B. INZITARI, Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento ed incerti poteri autorizzativi del comitato dei creditori, cit., 8.
[155] Peraltro l’art. 120 dello schema di d.d.l. elaborato dalla Trevisanato bis, continuava a fare salvo e soltanto per il contratto di assicurazione “il patto contrario”, pure disponendo il precedente art. 119 l’inefficacia di tutte le clausole negoziali che facevano dipendere la risoluzione del contratto dall’apertura della procedura concorsuale.
[156] Trova applicazione la norma contenuta nell’art. 135 L. 22 aprile 1941 n. 633 sul diritto di autore, a tenore del quale il fallimento dell’editore non determina la risoluzione del contratto di edizione; tuttavia il contratto è risolto se il curatore, entro un anno dalla dichiarazione di fallimento, non continua l’esercizio dell’azienda editoriale o non la cede a un altro editore nelle condizioni indicate dall’art. 132.
[157] R. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, II, Milano 1974, 1323; Cass. 11 giugno 1969, n. 2064, in Foro it., 1969, I, 2490.
[158] Cass. 20 marzo 1965, n. 462, in Rass. avv. Stato, 1965, I, 1075.
[159] A. BONSIGNORI, Arbitrati e fallimento, Padova, 1995, 38.
[160] A. CAVALAGLIO, Arbitrato libero, giurisdizione ordinaria e verifica fallimentare dei crediti: gli incerti confini, in Rass. Avv. Stato, 2001, 709; in giurisprudenza, conforme Trib. Milano, 19 giugno 2002, in Riv. Dott. Comm., 2003, 351.
[161] È interessante rilevare come la c.d. bozza Giuliano, prevedeva un primo e un terzo comma dell’art. 83 bis non più riprodotti nel testo finale approvato dal Consiglio dei Ministri dal seguente tenore: (comma 1) “La dichiarazione di fallimento nei confronti di uno dei compromettenti non è causa di scioglimento del procedimento arbitrale pendente se è stato già designato l’arbitro o uno degli arbitri” (comma 3) “Nei casi previsti dal primo e dal secondo comma, il procedimento arbitrale non può essere promosso o proseguire se ha ad oggetto un diritto compreso fra quelli indicati nell’articolo 52”. Si tratta di due disposizioni che riproducevano pedissequamente il testo dell’art. 129 dello schema di d.d.l. elaborato dalla commissione Trevisanato bis, che da un lato sembrava ampliare ulteriormente gli spazi per l’applicazione dell’arbitrato nel fallimento e, dall’altro, ribadiva il tradizionale principio dell’esclusività della disciplina del concorso.
[162] App. Salerno, 19 gennaio 2004, in Riv. arbitrato, 2004, 503.
[163] G. Canale, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 1351.
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