CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 05/04/2019 Scarica PDF
Nuovi poteri investigativi del curatore e profili penali nel codice della crisi: handle with care
Luca Cosentino, Dottore Commercialista in PescaraIl decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, avrà un impatto notevole anche per gli inediti poteri investigativi di cui sarà investito il Curatore, con potenziali riflessi del suo operato sulle conseguenze penali a carico dei soggetti coinvolti nella procedura di liquidazione giudiziale.
Gli strumenti demandati dal legislatore al professionista nominato ai sensi dell’art. 125 CCII sono innanzitutto elencati alla lettera f), comma III, art. 49 CCII.
Letteralmente sembrerebbe che l’esercizio di tali poteri sia sottoposto ad una preventiva autorizzazione dell’A.G. ma, nella realtà, si tratta di un automatismo in quanto la stessa sentenza di apertura della liquidazione giudiziale conterrà il dispositivo che autorizza il Curatore ad accedere alle banche dati dell’Anagrafe tributaria e dell’archivio dei rapporti finanziari; alla banca dati degli atti assoggettati ad imposta di registro; all’elenco clienti e fornitori di cui all’art. 21 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla Legge 122/2010; alla documentazione contabile in possesso delle banche e degli altri intermediari finanziari relativa ai rapporti con l’impresa debitrice, anche se estinti ed infine ad acquisire le schede contabili dei fornitori e dei clienti inerenti ai rapporti con l’impresa debitrice.
Il legislatore ha, nel concreto, attribuito al Curatore poteri non solo inediti rispetto alla precedente figura del Curatore fallimentare ma persino enormemente superiori a quelli di cui dispone il Consulente Tecnico del Pubblico Ministero il quale, nel caso in cui ritenga di intraprendere tale tipo di attività investigativa, dovrà essere prima autorizzato all’accesso alle banche dati pubbliche in sede di conferimento incarico o, successivamente a fronte di specifica istanza, poi, di fronte al sistematico diniego da parte degli uffici pubblici (chi scrive dispone di una casistica totalitaria sul punto) dovrà avvalersi dell’ausilio della P.G. che, se non previsto in sede di conferimento incarico dovrà essere oggetto di apposita richiesta; a sua volta la P.G. dovrà avvalersi di un ordine di esibizione documenti rilasciato dal Pubblico Ministero specialmente nel caso in cui si tratti del profilo analogo a quello di cui al punto 5), lettera f), comma III, art. 49 CCII.
Come noto, la platea dei Consulenti Tecnici del P.M. è molto più ristretta e selettiva rispetto a quella dei Curatori ed è basata su criteri fiduciari e di estrema riservatezza nell’esercizio delle funzioni mentre il ventaglio dei Curatori è molto più ampio ed elastico anche nella logica rotativa degli incarichi. Lo strumento del quale il legislatore ha deciso di dotare centinaia di migliaia di Curatori può incidere in misura rilevante sui diritti dei terzi e, per questa ragione, dovrà essere maneggiato con estrema cautela.
La previsione di cui al punto 1), lettera f), comma III, dell’art. 49 CCII consente al Curatore di accedere all’Anagrafe tributaria ovvero alla banca dati contenente tutti gli elementi utili al fisco per monitorare i contribuenti italiani. L’Anagrafe tributaria possiede oggi la maggior parte delle informazioni relative a prestiti, mutui, bonifichi bancari, assegni ecc.. L’obbligo, per gli operatori finanziari, di comunicare all’Anagrafe tributaria le informazioni sui saldi e sulle movimentazioni dei rapporti attivi dei contribuenti italiani, è stato introdotto dal decreto legge 201/2011 (c.d. decreto Salva Italia). La comunicazione dei dati al fisco deve essere effettuata attraverso il SID (sistema di interscambio dati). Banche, Poste Italiane ed altri operatori finanziari (tra cui consorzi, cooperative di garanzia collettiva dei fidi, imprese di investimento, organismi di investimento collettivo del risparmio, società di gestione del risparmio, società fiduciarie, società ed enti di assicurazione) inviano periodicamente (ed in modalità telematica) all’Anagrafe tributaria i dati di natura qualitativa e quantitativa dei loro clienti italiani, i dati relativi ai rapporti finanziari ed alle operazioni extra conto (operazioni effettuate direttamente allo sportello bancario attraverso assegni circolari o contanti). Con periodicità annuale, invece, gli operatori finanziari comunicano i dati relativi ai saldi dei rapporti con distinta indicazione delle movimentazioni in Dare e Avere nonché la giacenza media annua. Per particolari tipologie di rapporti bancari o finanziari, esiste l’obbligo di comunicare ulteriori dati aggiuntivi; ad esempio, per le cassette di sicurezza, la banca deve comunicare il numero totale degli accessi effettuati nell’anno dal contribuente; anche le cosiddette carte di credito o di debito ricaricabili sono oggetto di trasmissione da parte degli operatori finanziari.
La disposizione di cui al punto 2), lettera f), comma III, dell’art. 49 CCII permette al Curatore l’estrazione degli atti oggetto di registrazione presso l’Ufficio del Registro. In particolare, rilevano i contratti di locazione di immobili e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite nonché i contratti di trasferimento ed affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato e di costituzione/trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse. Questa tipologia di indagine è attualmente consentita al Curatore, attraverso la consultazione del cassetto fiscale e dell’archivio camerale.
Il punto 3), lettera f), comma III, dell’art. 49 CCII prevede la possibilità di acquisire l’elenco anagrafico di clienti e fornitori, ovvero di tutti i soggetti passivi ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto che hanno effettuano operazioni, rilevanti ai fini di tale imposta, con il soggetto nei cui confronti è stata aperta la procedura di liquidazione giudiziale.
Il punto 4), lettera f), comma III, dell’art. 49 CCII conferma quanto già di prassi acquisibile dal curatore presso banche ed altri intermediari finanziari relativamente ai rapporti con l’impresa debitrice, anche se estinti, pur tacendo sulla possibilità di acquisire le copie fronte/retro degli assegni bancari che, dal tenore letterale della norma (documentazione contabile) risulterebbero esclusi, fatta salva la facoltà ex comma III, art. 130 CCII di cui si riferirà nel prosieguo.
Il punto 5), lettera f), comma III, dell’art. 49 CCII contiene lo strumento più invasivo verso i terzi privati, in quanto permette al Curatore di acquisire le schede contabili dei fornitori e dei clienti relative ai rapporti con l’impresa debitrice. Occorre, in proposito, sottolineare che si tratta di schede contabili, quindi mastrini e partitari, per cui è inibita la richiesta di altra documentazione quali fatture o mezzi di pagamento. Si osserva che, pretestuosamente, il terzo potrebbe obiettare che si tratta di fonti contabili di cui il codice civile non prevede la tenuta obbligatoria.
Nella versione precedente alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ai punti 1 e 2 della lettera f), comma III, dell’art. 49 CCII era scritto “gratuitamente” ma tale parola è stata cancellata nella versione definitiva. Si pone quindi il problema del pagamento di tali servizi resi da terzi, pubblici o privati. Per i primi, la norma rinvia alle modalità di cui agli articoli 155 quater, 155 quinquies e 155 sexies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, mentre per la fattispecie che interessa i privati, limitata ai punti 4 e 5, la produzione documentale è sovente senza aggravio di costi mentre appare corretta la richiesta di rimborso spese qualora l’istanza del Curatore esuli da quanto delimitato dall’art. 49 CCII ovvero costui si avvalga dell’autorizzazione ex comma II, art. 130 CCII.
Quest’ultima norma apre scenari inesplorati.
Mentre, infatti, il comma III, dell’art. 130 CCII attribuisce al Giudice Delegato la facoltà di chiedere documenti alle pubbliche amministrazioni, il secondo comma dello stesso articolo sembrerebbe attribuire al Giudice Delegato un potere illimitato a fronte della richiesta del Curatore, investendo sia soggetti pubblici che privati. Si rinvia, all’immaginazione del lettore, la comprensione della portata che può avere tale delicatissimo passaggio evidenziando che, ad esempio, il curatore potrebbe chiedere al G.D., con argomentazioni persuasive, documenti e contabilità di una società terza, completamente estranea alla procedura, semplicemente ipotizzando, nell’istanza, che la società sottoposta a liquidazione giudiziale abbia avuto rapporti occulti con tale società terza pur privi di riflesso nella contabilità della prima; malignamente si rammenta che il Curatore è sempre un libero professionista, che veste il ruolo di Curatore, il quale svolge la sua attività nel medesimo contesto socio-economico dell’impresa sottoposta a liquidazione giudiziale, per cui, per mezzo di tale qualifica, potrebbe accedere ad informazioni di estrema riservatezza che potrebbero in teoria non corrispondere all’interesse proprio della procedura.
A completamento di questo profilo, si segnala il combinato disposto dagli artt. 42 e 367 del Codice della Crisi inerente alle modalità di accesso alle informazioni sui debiti risultanti dalle banche dati pubbliche per cui il Curatore potrà agevolmente attingere utili elementi anche con istanza alla Cancelleria del Tribunale.
L’esito di questa intensa attività investigativa troverà, naturalmete, asilo nelle relazioni di cui ai commi I, IV e V, dell’art. 130 CCII.
La necessità di procedere ad una rapida chiusura di una procedura infruttuosa potrebbe avere conseguenze significative (cfr. art. 209, comma I, CCII) in quanto l’omessa verifica del passivo non consente la sedimentazione dell’entità del deficit patrimoniale che la procedura consente a seguito della verifica del passivo. L’assenza di uno Stato Passivo può comportare serie problematiche in sede di istruttoria penale considerando che potrebbe essere proprio il caso delle liquidazioni giudiziarie prive di risorse attive, ma con un oceanico passivo concorsuale, a celare le posizioni penalmente più significative. L’indagine penale in ambito concorsuale ha la fondata esigenza di un propedeutico vaglio civilistico dell’entità e della fondatezza dei crediti dei terzi, sia di ordine qualitativo che quantitativo. Si pensi, inoltre, che l’omessa verifica del passivo non permette al C.T. del P.M. neppure di accedere alla banca dati sottesa alle domande di ammissione allo Stato Passivo la cui consultazione è, oggi, estremamente facilitata dalle piattaforme informatiche in uso a vari tribunali che permettono anche al C.T. del P.M. di accedere, con proprie credenziali, all’interno del fascicolo elettronico della procedura.
Incidentalmente al profilo qui trattato, rileva la possibilità di esercizio dell’impresa dopo la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, ai sensi del comma III, art. 211 CCII, riparando all’inibizione alla continuità aziendale dopo la sentenza dichiarativa di fallimento contenuta nel Regio Decreto del 1942; svelando altresì una virtuosa analogia con la legislazione Antimafia, in particolare con quanto previsto agli artt. 36 e 41 CAM. In proposito, oltre a notare che, in alcuni passaggi, il legislatore concorsuale abbia proficuamente attinto dal D.Lgs 159/2011, come modificato dalla legge 17 ottobre 2017, n. 161, rileva il coordinamento tra le due normative consacrato dall’art. 317 CCII nel senso della prevalenza delle misure cautelari reali.
Il comma IV, art. 256 CCII, introduce la possibilità per il Pubblico Ministero di chiedere l’estensione del fallimento dei soci occulti nel caso in cui, dalle relazioni del curatore o dalle indagini demandate dallo stesso P.M., sopravvengano tali figure. Prima della novella, la possibilità di formulare istanza di estensione della procedura concorsuale dopo la sentenza di “fallimento” era preclusa al Pubblico Ministero (art. 147 L.F.).
Pur apprezzandone le enormi potenzialità, le novità sinteticamente sopra esposte circa i poteri investigativi del Curatore ed i profili penali da questi derivanti, così come concepiti nel Codice della crisi, aprono scenari inediti i cui riflessi sostanziali, ipoteticamente ferali se non maneggiati con cura e nel rispetto dei diritti dei terzi, appaiono contrastare con la forma di un’edulcorazione lessicale adottata dal legislatore della procedura di liquidazione giudiziale in luogo del fallimento.
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