Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/07/2019 Scarica PDF
Luci e ombre sulla delega al Governo per la riforma del Codice civile
Francesco Longobucco, Professore associato di Diritto privato nell'Università Roma Tre, Avvocato in RomaIntervista rilasciata dal Prof. Avv. Francesco Longobucco a IL CASO.it
Professore, ritiene opportuno procedere a questa riforma?
Il Prof. Avv. Francesco Longobucco, Professore di Diritto Privato nell’Università Roma Tre, si mostra incline ad accogliere con favore la recente delega di riforma al Codice civile del 1942, considerandola particolarmente opportuna e benemerita.Prosegue il professore: «occorrerà, certo, nell’ambito delle coordinate disegnate dalla proposta mettere a punto gli schemi tecnici e di dettaglio volti a modificare ovvero integrare la disciplina dei vari istituti civilistici attinti dalla delega e questo richiederà indubbiamente uno sforzo di sistematicità e di tecnicismo a cui il nostro legislatore saprà non sottrarsi. L’ambizioso progetto di riforma finalmente annunciato mira a svecchiare taluni istituti oramai anacronistici, ovvero ad innestarne di nuovi. I tempi sono ormai maturi per recepire a livello normativo novità da tempo consolidate in dottrina e in giurisprudenza e dunque già assimilate a livello sociale. È questa peraltro la logica di tutte le riforme: queste ultime si fanno quando è il momento, e adesso questo è il momento di procedere in un’ottica di ampio raggio, così evitando interventi emergenziali e sporadici come mi pare essere stato fatto finora».
Per quali istituti ritiene in particolare necessaria la riforma? Perché?
Sottolinea il Prof. Longobucco che «a leggere la delega, gli istituti attinti sono diversi e coprono i vari libri del nostro Codice civile, dagli enti, alle successioni, alla famiglia, ai contratti tipici e atipici, alle garanzie, al trust, alla responsabilità risarcitoria. Nell’ambito di questa vasta opera di riforma, appare senz’altro opportuno il preannunciato coordinamento tra la disciplina delle associazioni e delle fondazioni e il mondo del terzo settore. In fondo la normativa codicistica degli enti integra un bacino di princípi e di regole esportabili – già allo stato – nel settore degli enti non profit. Altro profilo che occorrerà attentamente vagliare è quello della individuazione degli esatti confini tra scopo ideale e scopo lucrativo, posto che, come è noto, già oggi l’attività lucrativa può essere svolta, sia pure in via eccezionale, tramite il paradigma delle associazioni e delle fondazioni, o viceversa lo scopo ideale può essere attuato tramite la struttura imprenditoriale (penso, per esempio, alla c.d. impresa sociale). Certamente benemerito è poi il tentativo di revisionare il sistema delle garanzie del credito. A parte l’esperienza ormai consolidata del contratto autonomo di garanzia, il legame, per esempio, tra assicurazione e garanzia appare infatti foriero di numerosi sviluppi anche guardando ad esperienze transnazionali (pensiamo al contratto di Assurance Crédit o alla categoria della Guaranty Insurance). La funzione di garanzia, cioè, può innestarsi su altre funzioni come quella assicurativa e può essere realizzata tramite strutture che un tempo erano ignote al nostro ordinamento. In ultimo, la necessità di rimettere a sistema il trust c.d. “totalmente interno”, pure essa preannunciata dalla riforma, appare oramai impellente. Nato come istituto di common law, il trust è ben noto e applicato anche da noi. Una volta codificato, come è avvenuto, l’effetto di destinazione patrimoniale, non vedo perché non debba finalmente ammettersi la piena legittimità anche del trust nel nostro Codice Civile, ove lo stesso persegua interessi meritevoli di tutela e possa pertanto essere trascritto». Prosegue il Prof. Longobucco che «la previsione dei patti prematrimoniali, già noti in altre esperienze straniere (si pensi ai prenuptial agreements), valorizza la regola dell’accordo familiare, già codificata dall’art. 144 c.c., fino ad estenderla alla stagione precedente le nozze. Non vi sono, a mio avviso, cause ostative a un tale riconoscimento a condizione che tali patti siano in concreto meritevoli di tutela. Il controllo di validità degli stessi non può peraltro farsi a priori ma soltanto attraverso una concreta valutazione degli interessi perseguiti tramite l’accordo di che trattasi. Occorre poi guardare, con indubbio favore, alla riforma del comparto delle successioni. Il nostro impianto successorio – a parte la passata codificazione delle c.d. successioni anomale con funzione sociale – risulta ancora troppo anacronistico per i nostri tempi, dunque eccessivamente vecchio. Ben venga dunque il coordinamento con la successione europea, il rafforzamento della tutela dei legittimari tramite l’introduzione di apposite forme di privilegio mobiliare o immobiliare, l’abrogazione del divieto dei patti successori. Tale ultimo divieto non è presente in altri ordinamenti, in quanto, a ben vedere, non viola alcun principio di ordine pubblico interno o internazionale, epperò impedisce allo stato una pianificazione opportuna e consapevole della propria successione. In qualche misura già l’introduzione del patto di famiglia, creando una sorta di successione anticipata sul bene azienda, ha tentato di neutralizzare siffatto inconveniente del nostro ordinamento. Indi la cancellazione del divieto dei patti successori consentirebbe di portare avanti l’opera già intrapresa dal legislatore, a condizione tuttavia che siano più penetranti le tecniche di controllo della volontà del testatore, la quale può avere ad oggetto anche situazioni non patrimoniali, ricchezza dematerializzata e new properties, per le quali non credo possa ancora giustificarsi il divieto in discorso». Rimarca ancora il Prof. Longobucco che «sul piano dei rimedi civilistici, appare interessante il richiamo ad una sorta di nullità di protezione volta a garantire la tutela dei diritti fondamentali della persona, nonché l’intenzione del legislatore di codificare nuovi contratti socialmente riconosciuti. Qui, però, occorre porre attenzione: la distinzione tra tipico e atipico è oggi chiaramente in crisi. Opportuna è allora la codificazione di nuovi schemi contrattuali, tuttavia anche la “prassi commerciale” deve sempre essere sottoposta in concreto ad un vaglio di meritevolezza degli interessi perseguiti, quanto a dire che il dato della diffusione di un certo schema contrattuale non è ex se sufficiente a garantire l’automatica legittimità del tipo contrattuale che si intende disciplinare. Un cenno infine va fatto al complesso sistema della responsabilità risarcitoria. L’intenzione di “atipizzare” la responsabilità privata attraverso l’introduzione di nuovi criteri selettivi va accolta sì con favore, ma stabilendo regole certe da applicare in ambito processuale. Ciò che rileva in fondo è il tipo di interesse, patrimoniale o non patrimoniale, leso dal comportamento illecito, non importa se pregiudicato dall’inadempimento contrattuale ovvero dall’illecito civile. Stabilita la natura dell’interesse leso alla luce dei superiori valori del nostro ordinamento, il problema resta però quello di governare il contraddittorio tra le parti in termini di prova e di quantum. Anche la fisionomia del nesso di causalità sta notevolmente mutando (penso al campo della medical malpractice) ed è giusto che il legislatore ne prenda atto».
È stato a suo avviso trascurato qualche aspetto che avrebbe dovuto essere considerato/aggiornato?
«Forse la materia dei diritti reali non è stata presa adeguatamente in considerazione dalla riforma (dopo le passate novità introdotte in tema di condominio). A parte l’evoluzione della stessa nozione di bene, sempre più disancorata dal profilo della cosa in senso materiale (oggi vanno più di moda i beni immateriali che costituiscono gran parte della nostra ricchezza), il libro Terzo del nostro Codice civile disciplina istituti antichissimi che probabilmente necessitano di un rimaneggiamento in senso evolutivo (penso, per esempio, all’istituto delle immissioni intollerabili, ai diritti reali di godimento, alle figure delle obligationes propter rem e degli oneri reali), poiché già la prassi ne ha convalidato un’applicazione rivolta a realizzare nuove finalità un tempo ignote al legislatore del '42. La materia dei diritti reali non è più collegata soltanto al fundus, come nelle originarie intenzioni, ma può aver ad oggetto altri beni più moderni che dovrebbero giustificare, a seconda dei casi, l’applicazione di una diversa disciplina». Il Prof. Longobucco «pensa invece alla occasione mancata di rivisitare un istituto altrettanto antico come quello della prescrizione civile. Da sempre fonte di certezza dei rapporti tra i privati (dicevano i latini, ne cives ad arma ruant), anche l’istituto della prescrizione si è però molto evoluto nel tempo fino a diventare oggi un rimedio privato extra ordinem e un’importante tecnica di difesa della parte in giudizio. In questa prospettiva, già in seno alla Commissione per la riforma dell’istituto in discorso nominata dal Presidente della Società degli Studiosi di Diritto Civile (S.I.S.Di.c.), [della quale il Prof. Longobucco fa parte], si è valutata l’opportunità di riformare i profili del dies a quo (data la sempre più ampia diffusione di figure di c.d. danni lungolatenti), delle prescrizioni presuntive, degli impedimenti di fatto quali cause di eventuale interruzione/sospensione della prescrizione, fino a giungere al tema nevralgico – già approfondito, per esempio, nell’ordinamento tedesco – dei rapporti tra autonomia privata e prescrizione».
Ha da aggiungere ulteriori considerazioni?
Il Prof. Longobucco, che ringraziamo, «manifesta dunque ampia condivisione alla riforma codicistica preannunciata, che, come visto, tocca numerosi settori del diritto civile. Per il momento si tratta soltanto di una legge delega. Molto bisogna ancora fare in termini di regole di dettaglio adeguate allo scopo, senza perdere di vista il sistema, ma l’intenzione è certamente da coltivare. Un progetto di riforma così ambizioso, volto a valorizzare sia le moderne istanze rinvenienti dal diritto vivente italo-comunitario e dai princípi generali dell’ordinamento sia i profili attinenti ai diritti fondamentali della persona, necessita di una particolare meditazione sul piano del drafting legislativo, al fine di concepire norme di dettaglio o anche più generali che siano tuttavia chiare, precise, non lacunose e non sovrabbondanti, come spesso invece è accaduto in passato per interventi di riforma più settoriali. La palla poi passerà agli interpreti (magistrati, notai, avvocati, operatori del diritto), che saranno chiamati ad applicare quelle norme, rinnovando di volta in volta il bilanciamento degli interessi in gioco e così dando giustizia ai singoli casi di conflitto. Tutto questo appartiene però ad un futuro, si spera, ormai non tanto lontano».
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