Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 15/06/2021 Scarica PDF
Responsabilità concorsuale del collegio sindacale per il reato di bancarotta alla luce delle ultime sentenze della Corte di Cassazione Penale
Emanuel Monzeglio, Dottore Commercialista in AlessandriaSommario: 1. Premessa - 2. Responsabilità civile dei sindaci – 3. Responsabilità penale dei sindaci – 4. Concorso omissivo nel reato di bancarotta (Cass. Pen. Sez. V n. 156 del 05.01.2021) – 5. Mancato presupposto del concorso omissivo nel reato di bancarotta (Cass. Pen. Sez. V n. 20867 del 26.05.2021) – 6. Conclusioni
1. Il delicato tema riguardante la responsabilità del Collegio Sindacale in rapporto al contenuto effettivo dell’incarico riveste particolare importanza in dottrina. A tal proposito, le recenti sentenze della Corte di Cassazione Sez. V n. 156 del 05 gennaio 2021 e la n. 20867 del 26 maggio 2021 hanno richiamato e, di conseguenza, hanno ribadito alcuni importanti principi di diritto sull’argomento.
Per chiarezza espositiva, occorre ricordare che il Collegio Sindacale ai sensi dell’art. 2403 del codice civile ha il dovere di vigilare “sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e dal suo concreto funzionamento”. La norma in esame prevede e descrive un vero e proprio obbligo di vigilanza, finalizzato anche a proteggere il patrimonio sociale da comportamenti distrattivi eventualmente commessi dall’organo amministrativo. A rafforzamento di ciò, interviene anche l’ex art. 2406 del c.c. assegnando ai sindaci il c.d. potere impeditivo e cioè “il Collegio Sindacale può, altresì, previa comunicazione al presidente del consiglio di amministrazione, convocare l'assemblea qualora nell'espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere” e può, inoltre, denunciare al Tribunale eventuali gravi irregolarità riscontrate (art. 2409 c.c.).
2. Concentrandoci sulla responsabilità dei sindaci va premesso che ai sensi dell’art. 2407 comma 1° “I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio”. Ne consegue che, la corretta interpretazione del concetto di diligenza è condizione fondamentale per comprendere la fonte della responsabilità dei sindaci. Essi, infatti, non sono chiamati a rispondere per l’insuccesso dei loro controlli, ma per il fatto di non averli eseguiti oppure per averli svolti senza la dovuta diligenza in conformità ai doveri propri della loro carica.
Sempre il citato articolo, al secondo comma afferma che i sindaci “sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”.
Soffermandoci, quindi, sulla ratio dell’art. 2407 c.c. si arriva alla delineazione di due diverse tipologie di responsabilità: una esclusiva e una concorrente.
La prima, infatti, si verifica nel momento in cui il Collegio Sindacale non assolve ai propri obblighi e in quanto produttivi di danno, provocano in capo agli stessi membri una responsabilità. La caratteristica della “responsabilità esclusiva” è che sussiste indipendentemente da qualsiasi ipotesi di inadempimento o inosservanza dei doveri degli amministratori. A tal proposito la Corte di Cassazione Civile Sez. I, con la sentenza n. 21566 del 18 settembre 2017, ha affermato che per l’inosservanza della vigilanza da parte dei sindaci “non occorre l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non adempiere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al Pubblico Ministero, in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria”.
La responsabilità concorrente, invece, riguarda la violazione dei doveri specifici del Collegio stabiliti dagli artt. 2403, 2403-bis, 2404, 2405 e 2406 del codice civile. Dunque, il presupposto di tale responsabilità è la violazione della legge, dello statuto o della corretta gestione degli amministratori e, contemporaneamente, la mancata vigilanza od opposizione da parte dei sindaci.
Ai fini della valutazione della responsabilità i sindaci saranno responsabili solidalmente con gli amministratori soltanto nel caso in cui gli effetti dannosi si sarebbero potuti evitare se essi avessero vigilato secondo i propri doveri.
3. La responsabilità penale dei sindaci nella maggior parte dei casi sorge a titolo di concorso omissivo con gli amministratori ai sensi dell’art. 40 comma 2, c.p., il quale prevede la c.d. clausola di equivalenza e cioè “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” tale per cui solamente i soggetti che si trovano in posizione di garanzia, potranno essere responsabili della propria condotta omissiva.
Come sopra meglio descritto, il Collegio Sindacale ha il dovere di vigilanza sull’osservanza della legge, dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, e, l’obbligo di adempiere a tale dovere con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico. La ratio dei sopra citati articoli lasciava più di un dubbio se gli obblighi dei sindaci erano o meno circoscritti al solo operato degli amministratori.
In questo senso è intervenuta la giurisprudenza che, secondo la linea unitamente seguita, appare risoluta nel ritenere che i doveri del Collegio Sindacale debbano riguardare tutta l’attività sociale. Questa tesi è stata, peraltro, sottolineata dalla Corte di Cassazione Penale nella sentenza n. 20515 del 2009 in cui esclude espressamente che ”il sindaco debba svolgere solo una attività di mero riscontro formale dell’attività degli amministratori ed ha, viceversa, riaffermato che i controlli, anche mediante l’ausilio di tecnici, devono essere tanto più penetranti quanto più inusuali e atipiche siano le condotte dell’amministrazione controllata” e ancora “l’obbligo di vigilanza dei sindaci e del collegio sindacale non è limitato al mero controllo contabile, ma deve anche estendersi al contenuto della gestione, comprendendo anche il c.d. “controllo di legalità” e cioè la rispondenza dei dati acquisiti ai parametri previsti dalla legge, controllo che non può certo limitarsi al controllo meramente estrinseco e formale dell’attività degli amministratori e non può certo trascurare i doveri che fanno capo agli amministratori medesimi”. Inoltre, la Suprema Corte afferma che “che i sindaci debbono rispondere a titolo di concorso commissivo ed omissivo, in quanto titolari di una funzione di controllo, e, in tale qualità, devono ritenersi obbligati ex lege ad impedire la commissione di un reato, secondo l’espressa previsione dell’art. 40 comma secondo codice penale”.
Ricapitolando, quindi, i membri del Collegio Sindacale risponderanno ai sensi dell’art. 40 cpv., c.p., qualora essendo a conoscenza di “segnali d’allarme”, sulla base dei flussi informativi ricevuti, omettano di attivarsi, esercitando i propri poteri, allo scopo di impedire l’evento dannoso. Il mancato intervento presuppone anche la prova della causalità dell’omissione, necessaria per dimostrare che se i membri del collegio sindacale avessero attivato i propri poteri impeditivi, l’evento non si sarebbe certamente verificato. Invero, come ha ricordato la Corte di Cassazione, “non basta imputare al sindaco - e provare - comportamenti di negligenza o imperizia anche gravi, ma occorre la prova - che può essere data, come di regola, anche in via indiziaria - del fatto che la sua condotta abbia determinato o favorito, consapevolmente la commissione dei fatti di bancarotta da parte dell’amministratore” (Cass. pen., sez. V, n. 44107 dell’11 maggio 2018).
Al giudice sarà, quindi, richiesto di effettuare un giudizio prognostico ex ante e verificare se i sindaci fossero a conoscenza o fossero conoscibili segnali di allarme, percepiti i quali si sarebbero dovuti attivare esercitando i poteri impeditivi loro attribuiti.
4. Prima di entrare nel merito della sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 156 del 05 gennaio 2021, che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai sindaci ed ha confermato la condanna in primo grado inflittagli per la “bancarotta fraudolenta patrimoniale loro ascritta commessa nella qualità di componenti del Collegio Sindacale” della società in precedenza dichiarata fallita, è doveroso ribadire questo concetto. Infatti, nei reati di bancarotta il concorso dei membri del Collegio Sindacale, nei reati commessi dagli amministratori, può verificarsi anche attraverso un comportamento omissivo del controllo dei sindaci, poiché, codesto controllo, “non si esaurisce in una mera verifica formale, quasi a ridursi ad un riscontro contabile nell’ambito della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende il riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione” (Cass. Pen. Sez. V n. 14045 del 22/03/2016).
A tal proposito, l’ex art. 223 legge fallimentare sancisce che se i membri del Collegio Sindacale non si attivano in presenza di sospetti sulla regolarità di alcune particolari operazioni possono rispondere di bancarotta fraudolenta in concorso con gli amministratori.
Nel caso in esame, i membri del Collegio Sindacale, sono stati imputati perché per via del loro potere “osservatorio privilegiato non potevano non accorgersi del programma illecito, essendo stata l’operazione negoziale contrassegnata da indici di sospetto di tale conclamata evidenza da non lasciare loro alcuna discrezionalità nell’adempimento dell’obbligo di predisporre una pronta ed efficace reazione”.
La Suprema Corte ha ritenuto coerente il ragionamento seguito dalla Corte territoriale relativamente al fatto che le “omissioni di controllo e di intervento dei sindaci fossero state animate dalla coscienza e volontà di consentire agli amministratori di azzerarne il patrimonio ad esclusivo vantaggio di altre società del gruppo”. È stato, altresì, ribadito il concetto espresso dalla sentenza citata nel terzo paragrafo (Cass. Pen. n. 20515 del 2009), ovvero, “i poteri-doveri dei sindaci non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale”.
Oltre a quanto già detto, è stata, ulteriormente, confermata la responsabilità penale a titolo di concorso omissivo ai sensi del all’art. 40, comma 2, cod. pen. dei membri del Collegio Sindacale per ciò che concerne la violazione del dovere giuridico di controllo, che attiene alla loro funzione, sul piano della causalità tra il non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire ed il cagionarlo.
Nel caso di specie, in estrema sintesi, la condanna ai sindaci era stata irrogata in relazione alla distrazione di somme dai conti correnti della società “decotta” in favore dei componenti delle famiglie ai vertici dell’amministrazione della società. Gli stessi, quali componenti del Collegio Sindacale, hanno concorso nei reati di bancarotta “omettendo i controlli dovuti nell’esercizio delle loro funzioni e con l’aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità”. Precisamente, l’organo di controllo, che avrebbe dovuto vigilare, “non aveva mai rilevato le carenze di tipo organizzativo della gestione amministrativa e contabile, né le numerose irregolarità formali e sostanziali [..] ritenendo che la macroscopica assenza di documentazione e la visibile emergenza debitoria della società avrebbero dovuto indurre i sindaci a chiedere spiegazioni all’amministrazione della società sulle modalità di tenuta della contabilità e sull’assetto organizzativo della stessa”, rimanendo, quindi, sostanzialmente inerti nonostante gli indicatori di dissesto.
Al riguardo, la Suprema Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello è incappata in un errore motivazionale nel far collimare il piano di responsabilità dei sindaci ex art. 40 cpv. cod. pen. “alla mera loro posizione di garanzia, valutando astrattamente gli indubbi doveri e poteri di controllo loro attribuiti per legge e, a posteriori, le numerose irregolarità riscontrate, senza verificare la concreta possibilità di avvedersi delle anomalie da parte dei sindaci”. Infatti, la carenza motivazionale prosegue nell’assenza di un “reale giudizio controfattuale” sulla base del quale fondare la responsabilità omissiva dei membri del Collegio Sindacale e cioè, accertare che, laddove la condotta doverosa fosse stata posta in essere dai sindaci, la condotta distrattiva non si sarebbe verificata ovvero si sarebbe verificata in epoca significativamente posteriore, o con minore intensità lesiva.
A rafforzamento di tale pronuncia, la stessa, ha ritenuto necessario ribadire il concetto espresso dalla sentenza della Corte di Cassazione Penale n. 15360 del 05/02/2010 in cui si evince espressamente che la responsabilità del Collegio Sindacale “non può desumersi da una mera loro posizione di garanzia e dal mancato esercizio dei relativi doveri di controllo, ma postula l’esistenza di elementi, dotati di adeguato e necessario spessore indiziario, sintomatici della partecipazione, sia pur libera e portata in qualsiasi modo, all’attività degli amministratori ovvero dell’effettiva incidenza causale dell’omesso esercizio dei doveri di controllo rispetto alla commissione del reato di bancarotta”.
6. Alla luce delle due recenti sentenze summenzionate, si può osservare come, nel primo caso (par. 4) sia stato rigettato il ricorso confermando, quindi, la condanna per responsabilità penale a titolo di concorso omissivo ai sensi dell’art. 40, comma 2, cod. pen. dei membri del Collegio Sindacale e, nel secondo caso in esame (par. 5) invece, è stato accolto il ricorso effettuato da parte dei sindaci rinviando a nuovo giudizio.
In seguito a questa attenta analisi, si può, dunque, dedurre che la responsabilità dei sindaci, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta, sussiste solo allorché emergano “puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l’omissione del potere di controllo, e l’inadempimento dei poteri-doveri di vigilanza il cui esercizio sarebbe valso ad impedire le condotte distrattive degli amministratori, esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, per consapevole volontà di agire anche a costo di far derivare dall’omesso controllo la commissione di illeceità da parte degli amministratori” (Cass. Pen. Sez. V, n. 20867).
Pertanto, si desume che ci sono alcuni chiari e significativi indicatori della volontà dolosa di concorrere nel reato, proprio per evitare il rischio di una responsabilità derivante dalla mera posizione di controllo.
I membri del Collegio Sindacale possono essere coinvolti, a titolo di concorso omissivo, qualora venga dimostrata sia la violazione, da parte di quest’ultimi, di uno dei propri obblighi sia il concreto apporto causale di tale violazione rispetto al pregiudizio creatosi a carico della società.
In conclusione, quindi, i sindaci non potranno essere chiamati in causa se dimostrano di aver adempiuto, correttamente e con la diligenza dovuta, ai propri doveri di vigilanza e di controllo e, nonostante ciò, non hanno potuto impedire il verificarsi del danno alla società. Tale potere-dovere di controllo, come da giurisprudenza, deve riguardare tutta l’attività sociale con funzione di tutela per l’interesse sia dei soci sia dei creditori sociali.
In relazione a ciò, ne deriva che, riveste un’importanza fondamentale la scrupolosa e diligente attività informativa e di verbalizzazione dei sindaci, monitorando costantemente l’operato degli amministratori e dell’assemblea e, a informare tempestivamente amministratori e soci nel caso in cui ravvisassero operazioni, a loro avviso, in contrasto con i principi di corretta amministrazione, giungendo nel caso più grave alla denuncia degli amministratori al Tribunale competente ai sensi dell’art. 2409 codice civile.
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