CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 06/10/2021 Scarica PDF

C.R.O. versus esperto della crisi alla vigilia della composizione negoziata: duello o staffetta?

Francesco Aliprandi, Serena Maurutto, Alessandro Turchi, Francesco Aliprandi, Dottore commercialista in Milano. Serena Maurutto, Docente a contratto presso il dipartimento di scienze aziendalistiche e Docente al Master Universitario di II livello "Crisi d'impresa e ristrutturazioni aziendali" presso l'Università degli Studi di Bergamo. Alessandro Turchi, Dottore commercialista in Milano e cultore di "Gestione d'impresa e creazione di valore" presso l'Università degli Studi di Bergamo


Sommario: 1. Premessa; 2. Origini e caratteristiche del CRO; 3. Il ruolo dell’esperto nella composizione negoziata della crisi del D.L. 118/2021; 4. Il CRO in assetto proattivo: gli strumenti di controllo del management e dei costi del dissesto; 5. Il ruolo preventivo del CRO; 6. Conclusioni.

 

 

1. Premessa

L’evoluzione dell’ambiente economico, la crescente complessità organizzativa delle imprese, l’esistenza di mercati ipercompetitivi e il sistema sempre più ampio di relazioni con il sistema interno ed esterno di stakeholders, hanno messo in luce come anche il fenomeno della crisi d’impresa sia un momento tanto ineluttabile e ciclico, quanto difficile da affrontare e gestire autonomamente dall’imprenditore.

Questa, infatti, intacca inesorabilmente il rapporto di fiducia tra l’impresa (e quindi l’imprenditore) e tutto il mondo che lo circonda, ossia, fornitori, banche, clienti, dipendenti, istituzioni pubbliche e altri portatori di interesse coinvolti. Inoltre, molto spesso, la crisi dell’impresa si propaga e coinvolge anche le relazioni familiari dell’imprenditore, soprattutto in quei casi in cui alcuni membri della famiglia sono coinvolti nell’operatività dell’azienda.

Ciò, in particolare, è vero nel contesto di un tessuto imprenditoriale, quale quello italiano, caratterizzato da un sistema capitalistico familiare contraddistinto da una atavica riluttanza ad organizzare la vita aziendale attraverso sistemi che presuppongono la separazione tra proprietà e controllo e conseguenti meccanismi di analisi, verifica e controllo sistemici e obiettivi.

L’assenza o la scarsità di protocolli e strutture di gestione interne all’impresa in cui siano presenti stabilmente figure manageriali distinte da quelle di socio o azionista comporta un difetto di specializzazione che mostra la propria debolezza proprio nel contesto della crisi.

Le piccole e medie imprese italiane, in particolare, necessitano – oggi più che mai – di dotarsi di figure specializzate che siano in grado di governare la complessità ambientale esterna e interna al sistema-impresa, prendendo saldamente in mano il timone durante le tempeste scatenate dalla crisi d’impresa, così da assicurare una maggior probabilità di successo della ristrutturazione.

Tuttavia, anche in presenza di un adeguato sistema manageriale interno e ordinario, uno dei primi passi che l’imprenditore, i suoi manager e i suoi consulenti devono compiere in situazioni di tensione è quello di individuare e farsi affiancare da un team di advisor specializzati nella crisi d’impresa. In difetto di questo tipo di supporto si verifica spesso che anche l’azienda più strutturata a livello manageriale, sia miope rispetto alla scelta di quali possano essere le corrette azioni da intraprendere per affrontare e superare la debacle in cui è coinvolta.

Gli scenari da gestire in un contesto di crisi, proprio perché molto lontani dalla gestione ordinaria, rimangono estranei e limitatamente comprensibili dalla struttura manageriale interna che, invece, dovrà assumersi il compito, anche piuttosto arduo in tali momenti, di occuparsi dell’operatività quotidiana affidando ad altri specialisti la gestione straordinaria e di emergenza.

La necessità di un Chief Restructuring Officer ("CRO"), non di un Chief Risk Officer come potrebbe suggerire e come è stato spesso utilizzato l'acronimo, è a nostro avviso la figura manageriale fondamentale per il successo di qualsiasi processo di turnaround. Più grande o più complessa è la ristrutturazione, maggiore è la necessità di un tale intervento.

E, tuttavia, allo stesso modo della crisi che, come è universalmente riconosciuto, costituisce un momento fisiologico della vita d’impresa che può celare grandi opportunità, anche il CRO dovrebbe far parte della vita aziendale non solo quando l’evento del dissesto si è pienamente formato, costituendo quindi un intervento tardivo, ma in tutte quelle fasi in cui l’organizzazione aziendale si trova in procinto di affrontare importanti cambiamenti.

In una simile prospettiva, la lente di un esperto esterno e indipendente dall’impresa, potrebbe senz’altro favorire la cultura del cambiamento, sterilizzando il rischio di insuccessi o contenendo le probabilità di distruzione di valore.

Nell’attuale contesto di difficoltosa transizione dalla “vecchia legge fallimentare” alla riformata disciplina del diritto della crisi, nella progressione spesso convulsa dell’entrata in vigore di interventi normativi differenti e di complessa interpretazione, le poche certezze sono senz’altro da ricondursi alla persistenza di una ratio tesa sempre di più alla salvaguardia della continuità aziendale e alla correlata responsabilizzazione degli organi deputati alla gestione del sistema impresa.

L’esigenza di diffondere una simile rescue culture se, dal lato normativo e della fattispecie astratta, si estrinseca nell’idoneità degli adeguati assetti ex art. 2086, secondo comma, c.c. a prevenire il dissesto, sotto l’aspetto concreto non può che presupporre l’identificazione di figure specializzate che affianchino il management aziendale non solo nella costruzione e monitoraggio di tali assetti, ma soprattutto nel controllo del livello di rischio sopportabile ad essi associato e nell’implementazione di decisioni gestionali coerenti con tali soglie.

Non solo. Il recentissimo D.L. 118/2021, recante “Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia”, ha introdotto l’ipotesi di una procedura volontaria che l’imprenditore può adire nei casi in cui la crisi sia reversibile, attraverso un percorso standardizzato e facilitato che dovrebbe consentire il rapido ripristino dell’on going evitando così la deriva della liquidazione. Ad assistere l’impresa in tale procedura, che è stata battezzata composizione negoziata della crisi, sarà un esperto scelto tra gli elenchi istituito presso le varie camere di commercio.

Ad una prima interpretazione, potrebbe sembrare che la figura di questo esperto si sovrapponga a quella del CRO, vanificandone il ruolo che potrebbe risultare una mera duplicazione.

A parere di chi scrive, invece, le due figure, proprio in coerenza alla ratio preventiva che connota l’intera architettura della riforma del diritto fallimentare, dovrebbero coesistere. Lo scopo del presente elaborato è proprio quello di comprendere come tale duumvirato potrebbe rivelarsi salvifico per le sorti dell’impresa e quale potrebbero essere le sinergie che si creerebbero tra i due in ipotesi di avvio della nuova procedura “ultra-light”.

 

2. Origini e caratteristiche del CRO

La figura del CRO trova la propria culla in America quasi trent’anni fa, per trasferirsi poi in altre parti del mondo (principalmente in Europa occidentale), pur senza riuscire a mettere radici solide come nel territorio in cui è sorta.

Sembra[1] che tale figura sia stata per la prima volta introdotta da una banca statunitense che, nel 1993, ha attribuito ad un proprio executive il compito di gestire insieme il rischio di credito, di mercato e di liquidità, introducendo così il termine di CRO(Chief Risk Officer) per i suoi biglietti da visita[2].

È dunque nel settore bancario e finanziario che il ruolo prende forma e consistenza, con specifiche funzioni di gestione del rischio nell’ambito altrettanto precipuo della sana e prudente gestione.

Fuori dal contesto bancario e finanziario in cui ha visto la luce, possiamo definire questi specialisti come manager che hanno, propedeuticamente, maturato rilevanti esperienze di governo delle aziende e che ne hanno direttamente gestito i processi di risanamento. Nel loro percorso professionale, pertanto, hanno già vissuto i vari momenti in cui si compongono la manifestazione, l’evoluzione e la soluzione della crisi.

Essi devono aver maturato, innanzitutto, competenze finanziarie avanzate, cui si devono affiancare una combinazione tra capacità di gestione operativa delle aziende, capacità di interrelazione con soggetti interni ed esterni all’azienda e conoscenze della normativa applicabile in ambito concorsuale a grandi doti di visione strategica.

La figura del CRO, in Italia, non è ancora espressamente codificata da previsioni normative o regolamentari, anche se con l’entrata in vigore a singhiozzo del complesso di norme che costituiscono il contenuto dell’ampia riforma del diritto fallimentare vi sono i primi segnali del riconoscimento della necessità del ruolo di esperti della materia. Tra gli ultimi interventi normativi, infatti, il Decreto del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, con il quale sono state fornite le indicazioni operative per la procedura negoziata della crisi, richiama proprio la figura del CRO. In quest’ultimo si rinviene che per favorire la negoziazione, l’esperto possa proporre la nomina, d’accordo tra le parti e con costi suddivisi tra di esse, di un soggetto indipendente, dotato di adeguata competenza, responsabile del processo di risanamento in fase di esecuzione, con il ruolo di monitorare l’attuazione del piano di risanamento e il rispetto degli accordi raggiunti.

Gli obiettivi ed il perimetro di azione del suo intervento rimangono, tuttavia, ad oggi ancora ampiamente circoscrivibili dall’imprenditore, nell’autonomia decisionale delle parti. Egli potrebbe far parte o meno del consiglio d’amministrazione, così come potrebbe assumere o meno le vesti di un dirigente o di un consulente dell’azienda. Al di là dell’inquadramento funzionale, del suo collocamento nell’organigramma aziendale – tema che verrà affrontato infra – l’aspetto veramente imprescindibile è definire e condividere l’obiettivo del suo lavoro, comunicarlo e renderlo chiaro a tutti i soggetti, interni ed esterni all’azienda, coinvolti nel processo di risanamento.

Molto spesso il CRO fa parte di una struttura organizzata ovvero di un network di professionisti di fiducia e di consolidata esperienza che, per massimizzare l’efficacia dell’intervento, possono essere chiamati a collaborare con lui nel processo di turnaround, proprio in virtù di precedenti esperienze già concluse in team.

Pur non essendo figura prevista espressamente come obbligatoria, non soltanto la normativa attuale inizia a prevedere l’opportunità di un affiancamento, all’imprenditore, di un esperto nella gestione della crisi, ma capita sempre più spesso che la nomina del CRO venga “caldeggiata” da soggetti esterni all’azienda quali, in particolare, istituti di credito o fornitori strategici “illuminati”, che ritengono la sua nomina condizione essenziale per poter aiutare l’azienda nel suo percorso di risanamento. Quando ciò accade, ci si trova nella condizione in cui l’azienda ha tentato di resistere alla crisi, usando strumenti e conoscenze ordinarie di gestione, che si sono evidentemente dimostrate insufficienti, rendendo, tale situazione, evidente anche al mondo esterno.

Pertanto, prima ci si rende conto dei segnali di difficoltà strutturale e della necessità di supporto del CRO nell’azienda, meno difficoltoso, meno costoso e più celere sarà il processo di risanamento aziendale ad esso deputato.

 

3. Il ruolo dell’esperto nella composizione negoziata della crisi del D.L. 118/2021

 Il recente intervento normativo del D.L. 118/2021 dello scorso 28 agosto ha introdotto misure urgenti in materia di crisi e di risanamento aziendale, che entreranno in vigore il prossimo 15 novembre.

Tra le novità apportate, risulta di grande rilevanza la previsione di un nuovo sistema di «composizione negoziata della crisi»[3], ovvero di un procedimento che si instaura su base volontaria di carattere stragiudiziale, finalizzato ad agevolare il risanamento dell’impresa in stato di crisi temporaneo e reversibile. La composizione della crisi verrà in questi casi demandata ad un esperto indipendente[4] e in possesso di determinati requisiti di professionalità cui sarà attribuita la funzione di agevolare le trattative tra l’imprenditore, le categorie dei vari creditori e, infine, gli eventuali altri soggetti interessati. La nomina dell’esperto[5] dovrà essere effettuata tramite richiesta alla Camera di Commercio territorialmente competente e la scelta sarà circoscritta entro un elenco di iscritti depositato presso la medesima.

Nel contesto della composizione volontaria del “dissesto reversibile” l’imprenditore potrà intraprendere un’ampia serie di trattative con i creditori che possono condurre ad una altrettanto variegata tipologia di soluzioni, tra le quali: i) un contratto, con uno o più creditori, che consente l’accesso a misure premiali di carattere fiscale (rateizzazione in sei anni delle imposte non versate non iscritte a ruolo, sanzioni ridotte, riduzione interessi sui debiti tributari), a condizione che sia idoneo ad assicurare la continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni; ii) una convenzione di moratoria che produca uno stand still nel rimborso del debito; iii) un accordo scritto tra l’imprenditore, i creditori e l’esperto, che è in grado di riprodurre i medesimi effetti del piano ex art. 67 l.f., pur in assenza di attestazione, evitando in particolare l’efficacia dell’azione revocatoria del terzo creditore[6].

Con successivo D.M. dello scorso 28 settembre, è stata pubblicata una lista di controllo particolareggiata, con «indicazioni operative per la redazione del piano di risanamento e un test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento accessibile da parte dell’imprenditore e dei professionisti dallo stesso incaricati».
Il test di autovalutazione dovrebbe fungere da efficace strumento di auto-analisi sullo stato patrimoniale ed economico-finanziario dell’impresa, da effettuare prima dell’eventuale accesso alla composizione negoziata della crisi, valutando preliminarmente la complessità del risanamento «attraverso il rapporto tra l’entità del debito che deve essere ristrutturato e quella dei flussi finanziari liberi che possono essere posti annualmente al suo servizio».

Non disponendo ancora di un piano di risanamento, è sufficiente che il test riveli se la prospettiva di risanamento risulti ragionevole e, a tal fine, può limitarsi all’esame dell’indebitamento e dell’andamento economico attuale, sterilizzato degli effetti degli eventi non ricorrenti (ad esempio, effetti del lockdown, contributi straordinari conseguiti, perdite non ricorrenti, ecc.): «Il test non deve essere considerato alla stregua degli indici della crisi, ma è utile a rendere evidente il grado di difficoltà che l’imprenditore dovrà affrontare e quanto il risanamento dipenderà dalla capacità di adottare iniziative in discontinuità e dalla intensità delle stesse. Il test si fonda principalmente sui dati di flusso a regime che, secondo la migliore valutazione dell’imprenditore, possono corrispondere a quelli correnti o derivare dall’esito delle iniziative industriali in corso di attuazione o che l’imprenditore intende adottare».

Una volta determinati i flussi destinati a servizio del debito e quelli ottenuti attraverso la gestione caratteristica, il rapporto tra le due categorie fornisce un’indicazione di massima del numero di anni necessari a coprire integralmente l’esposizione debitoria sulla base dei flussi di cassa correnti, il volume delle esposizioni che necessitano un intervento di ristrutturazione e, infine, l’entità dei debiti da stralciare o da convertire in equity.

Nell’ipotesi in cui il rapporto tra i flussi faccia emergere la necessità di definire un programma puntuale di iniziative industriali opportunamente pianificate, il Decreto fornisce una check-list finalizzata a mettere l’imprenditore nelle condizioni di redigere un piano industriale adeguato ed affidabile, che dovrà in ogni caso essere successivamente sottoposto alla verifica di coerenza da parte dell’esperto incaricato.

Nel contesto di questa nuova ipotesi di risoluzione facilitata di una crisi che dovrebbe essere preventivamente qualificabile come reversibile e temporanea, la figura dell’esperto e quella del CRO si confondono e sovrappongono solo ad una prima lettura: è infatti fuor di ogni dubbio che una diagnosi sullo stato di salute aziendale effettuata sulla base del solo risultato del rapporto tra categorie di flusso non possa essere certo elemento sufficiente e valevole quale discrimen tra l’alternativa di ricorrere alla procedura di composizione negoziata o di continuare la gestione aziendale senza correttivi ufficiali.

In tal senso, a parere di chi scrive, si sta muovendo anche il legislatore. Infatti, il Decreto del Ministero della Giustizia del 28 settembre 2021, con il quale sono state fornite le indicazioni operative per la procedura negoziata della crisi, richiama proprio la figura del CRO, precisando che l’esperto e i suoi eventuali collaboratori o colleghi di studio non possano assumere il ruolo di CRO. In quest’ultimo si rinviene che per favorire la negoziazione, l’esperto possa proporre la nomina, d’accordo tra le parti e con costi suddivisi tra di esse, «un soggetto indipendente, dotato di adeguata competenza, responsabile del processo di risanamento in fase di esecuzione (CRO - chief restructoring officer) con il ruolo di monitorare l’attuazione del piano di risanamento ed il rispetto degli accordi raggiunti». La nomina del CRO, si legge nel D.L. 118/2021, appare opportuna, in particolare, quando siano previsti, a fronte dei sacrifici ai creditori, ristori agli stessi condizionati dal raggiungimento di risultati reddituali o finanziari prefissati (c.d. earn-out), o quando siano assegnati ai creditori strumenti finanziari partecipativi (SFP) di cui all’articolo 2346 del Codice Civile.

La figura del CRO deve, evidentemente, collocarsi in un momento decisamente antecedente al verificarsi di una situazione di crisi conclamata, ovvero in quello in cui le tensioni, con una o più delle categorie di stakeholder che sono legati all’impresa da un rapporto di debito/credito, cessano di essere fenomeni episodici e si manifestano con una certa frequenza e intensità.  

Ecco come, anche al fine di dare significatività ad un indicatore che rileva “semplicemente” la capacità dei flussi generati dalla gestione corrente di coprire il rimborso del debito, la presenza preventiva del CRO all’interno dell’azienda, che si sia già prefigurato una exit strategy e un piano di risanamento adeguato alle reali circostanze in cui versa l’impressa in difficoltà, può essere determinante anche ai fini di una più rapida conclusione della composizione negoziata della crisi.

Emerge in questo specifico contesto di rinnovamento normativo in tutta evidenza come il successo della procedura non possa essere deputato all’assistenza, pur preziosa, dell’esperto, ma che sia irrimediabilmente connessa alla costruzione di un piano industriale straordinario che soltanto un professionista quale il CRO, esternalizzato ma radicato in una sua esclusiva nicchia nella struttura organizzativa aziendale, potrebbe realizzare con il necessario distacco e la dovuta obiettività.

 

4. Il CRO in assetto proattivo: gli strumenti di controllo del management e dei costi del dissesto

È evidente che il successo dell’intervento del CRO nella vita dell’azienda che incontra momenti di difficoltà, ancorché non caratterizzati da uno stato avanzato di patologia, è strettamente correlato proprio a quanto gli è consentito di “giocare d’anticipo”.

La figura del CRO, infatti, potrebbe risultare determinante se collocata proprio nel contesto di quel sistema di azioni e reazioni che contraddistinguono la ratio dell’early warning e dei suoi meccanismi di esecuzione concreti. 

A fianco delle trattative che l’imprenditore deve condurre nel contesto di una composizione negoziata della crisi, vi è anche la gestione del delicato rapporto con le risorse interne all’organizzazione aziendale e, in particolare, con il management.

Nell’ipotesi in cui si sia realizzata la separazione tra proprietà e controllo e in cui, dunque, gli organi deputati alla gestione aziendale siano soggetti distinti rispetto alla proprietà, quest’ultima potrebbe trovare nel CRO un efficace supporto per il controllo, in primis, dell’operato del management aziendale che potrebbe essere anche portato, come sovente accade, a rinviare la presa di consapevolezza dello stato di imminenza della crisi, monitorando inoltre che le decisioni assunte non siano disallineate rispetto agli obiettivi dell’impresa, ordinari e straordinari.

Accade infatti non di rado che la percezione dell’avvicinarsi di uno stato di dissesto, induca il management a perseguire obiettivi egoistici e non in linea con l’oggetto sociale, peggiorando così lo stato di difficoltà, generando una “vischiosità” nell’assunzione delle decisioni. Tra i comportamenti egoistici in questione vanno ricordati: i) l’attuazione di progetti di investimento rischiosi, guidati dal principio – distorto nelle situazioni di crisi – secondo il quale, in imprese levered, le decisioni che comportano un incremento del rischio operativo migliorino la performance e, ii) l’indisponibilità degli azionisti a versare nuovo capitale di rischio. Tale comportamento penalizza certamente un’impresa in dissesto che rinuncia ad interessanti opportunità d’investimento ed è guidata dal principio secondo cui l’incremento del valore dell’impresa debba essere ripartito unicamente tra azionisti e prestatori di capitale di debito. In questo modo, ogni incremento di valore dell’impresa, generato dagli investimenti effettuati tramite l’utilizzo degli apporti di capitale degli azionisti, si suddivide effettivamente solo tra le due categorie di investitori e il recupero di valore dei titoli rappresentativi del capitale di debito risulta più elevato dei vantaggi patrimoniali di cui potrebbero beneficiare gli azionisti[7].

In questo senso, potrebbe pertanto risultare quanto mai opportuno ricorrere, con il supporto del CRO, ad una serie di strumenti di controllo dell’operato della governance, che si possono suddividere tra: i) attività di controllo interno; ii) sorveglianza diretta; iii) controllo dei sistemi di incentivazione manageriale.

Le attività di controllo interno si pongono l’obiettivo di vigilare affinchè le operazioni aziendali rispettino le norme e i principi di corretta gestione sotto i profili di legittimità procedurale e contabile. I soggetti normalmente deputati al controllo interno in Italia sono il consiglio di amministrazione (specie i consiglieri indipendenti), la Società di revisione o il revisore legale dei conti (che certifica che i dati contabili corrispondano alla realtà) e il Collegio sindacale o il sindaco unico. Nell’ambito del controllo interno, il CRO dovrebbe porre particolare attenzione alla verifica delle procedure e dei protocolli, indispensabili soprattutto quando le dimensioni dell’azienda aumentano la complessità e rendono necessaria una standardizzazione. Il controllo interno permette di creare e mantenere valore riducendo il rischio (programmazione, gestione e controllo delle attività).

La sorveglianza diretta ha come scopo la delimitazione e il controllo della discrezionalità manageriale poiché, quando l’operato del management è posto sotto osservazione, il rischio di perseguimento di vantaggi personali e disallineati rispetto agli obiettivi aziendali si riduce sensibilmente. In contesti particolari come il nostro in cui la concentrazione proprietarialimita o addirittura annulla il problema della separazione tra proprietà e controllo – ma contemporaneamente anche i benefici legati della managerializzazione – gli elementi conflittuali da porre sotto il controllo del CRO potrebbero comunque sorgere tra gli interessi degli azionisti di maggioranza e quelli degli azionisti di minoranza. 

I sistemi di incentivazione manageriale hanno, infine, l’obiettivo di allineare gli interessi del management (prestigio, denaro ecc.) con quelli degli azionisti (dividendi e capital gain). Questi meccanismi, prevedendo che la remunerazione dei manager possa variare (almeno in parte) in funzione delle performance della società, fanno in modo che la loro funzione di utilità si avvicini a quella degli azionisti.

Un problema che dovrebbe essere tenuto in debita considerazione dal CRO che decidesse di utilizzare il meccanismo dell’incentivazione manageriale per evitare disallineamenti di obiettivi che potrebbero, in un contesto di crisi, assumere una particolare gravità, è legato alla sua intrinseca correlazione ai risultati di breve periodo: in tal senso dovrebbero essere effettuate delle correzioni che ancorino l’efficacia dell’incentivazione stessa ad un periodo più lungo e adeguato ai tempi di risoluzione della crisi[8].

 

5. Il ruolo preventivo del CRO

In questo contesto, se l’utilizzo degli strumenti di controllo del management e l’affiancamento dell’imprenditore nella gestione delle relazioni con gli stakeholders in generale, fino al supporto nelle redazione di un piano industriale ragionevolmente realizzabile, mostrano l’importanza del ruolo del CRO in funzione – ma non solo – del passaggio del testimone all’esperto della composizione negoziata, non può ignorarsi che un ufficio maggiormente connotato dalla logica preventiva potrebbe essere affidato al CRO nell’ambito della verifica di adeguatezza degli assetti ex art. 2086 del Codice Civile.

Creare un framework di controllo in cui, alla pari del M.O.G. ex D. Lgs. 231, si effettui una gap analysis e un risk assessment atto a identificare chiaramente gli obiettivi di rischio sopportabili, definendo una serie di vincoli di contenimento e un sistema di soglie specifici per gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, superati i quali gli assetti medesimi devono essere considerati non adeguati ad una corretta prevenzione del dissesto, potrebbe costituire un meccanismo di prevenzione realmente efficace.

Il Risk Appetite risulta ineluttabilmente connesso con i principali processi decisionali e con il complessivo sistema di gestione, ovvero, con i sistemi di budgeting, di controllo interno, di verifica della coerenza reddituale, patrimoniale e finanziaria. Si tratta, è evidente, di un radicale cambiamento di paradigma, che prevede l’integrazione nella struttura di meccanismi e ruoli in grado di supportare il management a partire dalle decisioni strategiche e contribuire allo sviluppo sostenibile del business. Per rendere pienamente efficace, in senso preventivo della crisi, un tale approccio, è necessario che le metriche di rischio diventino linguaggio comune e rappresentino uno dei driver alla base della valutazione delle performance aziendali.

Un primo passo è rappresentato senz’altro dall’introduzione o evoluzione di metriche, metodologie e modelli di misurazione che incorporino la componente rischio: i) identificando misure di redditività coerenti con il rischio specifico dell’azienda; ii) definendo strumenti previsionali che siano in grado di simulare l’evoluzione di rischi associata allo sviluppo del business e dell’operatività.

In questo contesto, il CRO dovrebbe essere collocato entro un ruolo simile a quello cui è deputato l’Organismo di Vigilanza nell’ambito del controllo dei modelli ex 231, in modo da esercitare anche un controllo programmato con una predefinita periodicità, e non episodico.

È opportuno precisare che i compiti effettivi di un CRO possono variare notevolmente da un'azienda all'altra, a seconda della situazione specifica. Il suo mandato, tuttavia, per poter assicurare il maggior grado di efficacia del suo intervento rispetto agli obiettivi poco sopra identificati, dovrebbe quanto meno ricoprire le seguenti aree: i) stabilizzazione e gestione della liquidità e del capitale circolante; ii) gestione del piano di turnaround; iii) riclassificazione e normalizzazione del bilancio in prospettiva di gestione del debito; iv) ristrutturazione dei sistemi operativi per il miglioramento delle performance; v) gestione delle relazioni con gli stakeholders e, in particolare, con i creditori.

 

6. Conclusioni

La crisi, se può essere sostanzialmente definita come un periodo straordinario della vita di un’azienda, è allo stesso tempo quasi paradossalmente inquadrabile anche tra i momenti ad essa fisiologicamente connessi.

Proprio da questa ambiguità apparentemente solo nozionistica, si rivela una complessità concreta che, in quanto tale, va affrontata con risorse e conoscenze straordinarie e soprattutto con la massima tempestività, prima che i meccanismi che l’hanno generata si sviluppino al punto tale da diventare difficilmente gestibili, se non irreversibili.

In questo momento “fisiologicamente straordinario”, il CRO rappresenta una guida che indica all’azienda il percorso da compiere e che, attraverso un indispensabile approccio di rottura e di discontinuità manageriale e una pianificazione industriale che raccolga i consensi dei terzi coinvolti, avvii e concluda il processo di risanamento aziendale.

Il CRO va quindi considerato come il principale alleato dell’imprenditore, che si pone concretamente al suo fianco per accompagnarlo in un percorso finalizzato alla salvaguardia della esistenza e quindi ad un nuovo sviluppo dell’impresa: ricomponendo, in ipotesi di separazione tra proprietà e controllo, i disallineamenti eventualmente creatisi rispetto agli obiettivi aziendali, ovvero, in caso di coincidenza tra proprietà e governance, coprendo la troppo spesso sottovalutata problematica della demanagerializzazione.

Nell’ambito della composizione negoziata della crisi, l’innesto di una cultura concretamente preventiva e risk management oriented, combinato con l’approccio di rescue culture che permea lo spirito della riforma del diritto fallimentare, poggiando su un maggior riconoscimento del ruolo del CRO e di un’eventuale staffetta tra quest’ultimo e l’esperto della composizione negoziata, potrebbe determinare un quadro ideale effettivamente idoneo a salvaguardare la continuità delle imprese, preservandone la creazione di valore a beneficio di tutti i creditori e gli stakeholders.



[1] Fonte: The Economist, report from the Economist Intelligence Unit: The Evolving role of the CRO.

[2] La nomina, pur non essendo stata effettuata come risposta ad un evento specifico, rispecchiava al contrariola generale percezione del cambiamento che stava avvenendo nel mondo della finanza. La deregolamentazione, lo sviluppo di nuovi strumenti finanziari, la crescita e l'integrazione dei mercati dei capitali avrebbero accresciuto la complessità del sistema finanziario facendo emergere la necessità di: i) avere una visione integrata dei rischi e coglierne gli effetti di correlazione tra i medesimi; ii) avere un responsabile della struttura a presidio dei rischi aziendali che avesse statura e collocamento organizzativo di pari dignità rispetto agli altri executive.

[3] Per maggiori approfondimenti sulla nuova procedura, si rimanda a R. GUIDOTTI, La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristrutturazioni Aziendali, 8 settembre 2021. Per approfondimenti sui rapporti tra la nuova procedura e gli intermediari creditizi, si rimanda a P. RINALDI, La composizione negoziata della crisi e i rapporti con gli intermediari creditizi, in Ristrutturazioni Aziendali, 9 settembre 2021.

[4] Il decreto 118/2021 prevede che presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di ciascun capoluogo di regione e delle province autonome di Trento e Bolzano è formato un elenco di esperti nel quale possono essere inseriti: i) gli iscritti da almeno cinque anni all'albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili; ii) gli iscritti da almeno cinque anni all'albo degli avvocati che documentano di aver maturato precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione aziendale e della crisi d'impresa; iii) gli iscritti da almeno cinque anni all'albo dei consulenti del lavoro che documentano di avere concorso, almeno in tre casi, alla conclusione di accordi di ristrutturazione dei debiti omologati o di accordi sottostanti a piani attestati o di avere concorso alla presentazione di concordati con continuità aziendale omologati; iv) coloro che, pur non iscritti in albi professionali, documentano di avere svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in imprese interessate da operazioni di ristrutturazione concluse con piani di risanamento attestati, accordi di ristrutturazione dei debiti e concordati preventivi con continuità aziendale omologati, nei confronti delle quali non sia stata successivamente pronunciata sentenza dichiarativa di fallimento o sentenza di accertamento dello stato di insolvenza.

[5] Il ruolo dell’esperto all’interno della composizione negoziata della crisi è ampiamente analizzato da P. RIVA, Ruolo e funzioni dell’esperto “facilitatore”, in Ristrutturazioni Aziendali, 30 settembre 2021.

[6] In alternativa a tali soluzioni, l’imprenditore potrà comunque predisporre il piano attestato di risanamento di cui l’art.67, co.3, lett. d, del R.D. n. 267/1942, ovvero proporre la domanda di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio (di cui all’art.18 del D.L. 118/2021) o, infine, accedere ad una delle procedure disciplinate dal R.D. n.267/1942, dal decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 o dal decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.

[7] Si legga A. RENOLDI, Valore dell’impresa e creazione di valore e struttura del capitale, Milano, 1997, pp. 55-56.

[8] Cfr. A. DANOVI, Dai documenti contabili alle valutazioni gestionali: la teoria di creazione del valore, in Elementi di bilancio e finanza aziendale per giuristi, Padova, 2011, pp. 281 e ss.


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