CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/11/2020 Scarica PDF
"Crisi qualificata", "concorso virtuale" ed inesigibilità del credito nella concezione sostanziale della postergazione legale
Luigi Pecorella, LL.M. International Financial Law presso King's College LondonSommario: 1. Il dibattito sulla natura della postergazione dei finanziamenti soci nel “limbo” della legislazione emergenziale. – 1.1. La reiterata interpretazione storico-evolutiva delle norme vigenti alla luce del CCI. – 2. La c.d. tesi processualista. – 3. La c.d. tesi sostanzialista. – 4. La portata dirimente di Cass., 15 maggio 2019, n. 12994. – 4.1. Il “concorso virtuale” tra i creditori sociali. 4.2. Lo stato di “crisi qualificata” ex art. 2467, co. 2, c.c. e l’auspicabile raffronto con gli “indicatori della crisi” ex art. 13 CCI. – 4.3. L’inesigibilità del credito al rimborso del socio. Implicazioni nel rapporto obbligatorio socio finanziatore-società. – 5. Conclusioni: la postergazione quale condizione in senso “a-tecnico” e i profili di responsabilità degli amministratori. Cenni.
1. Il dibattito sulla natura della postergazione dei finanziamenti soci nel “limbo” della legislazione emergenziale.
Nell’arco degli oltre tre lustri trascorsi nella vigenza delle norme apportate dalla riforma del diritto societario ad opera del D.Lgs., 17 gennaio 2003, n. 6, sono poche le innovazioni ivi introdotte che sono state capaci di animare ininterrottamente il dibattito tra gli studiosi e i tecnici intervenuti in materia quanto la disciplina della postergazione dei finanziamenti soci. Se ciò, da un lato, costituisce un indice sintomatico delle difficoltà interpretative insite nella lettera dell’art. 2467 c.c. – frutto di una tecnica legislativa dichiaratamente laconica[1], a cui ha inevitabilmente fatto seguito un ingente intervento ermeneutico da parte degli interpreti volto a delinearne compiutamente la disciplina[2] – dall’altro lato, lo stesso dibattito è rivelatore dell’importanza e della sistematicità dell’impatto che l’applicazione della postergazione legale ha, sin dai suoi albori, determinato nel panorama economico e giuridico contrassegnante le nostre piccole e medie imprese societarie, sistematicamente versanti in condizioni di sottocapitalizzazione nominale[3].
Conferma della funzione nevralgica spiegata dalla disciplina della postergazione nella scelta dei mezzi finanziari necessari al sostenimento dell’impresa in forma di S.r.l.[4] è indubbiamente rinvenibile nella decisione operata dal legislatore – nell’ambito di quelle norme che, nel tentativo di far fronte alla crisi di liquidità delle imprese scaturita dalla crisi pandemica, hanno deliberatamente interferito con le regole di diritto societario –, di prevederne la disapplicazione con riferimento ai finanziamenti effettuati dai soci a favore delle rispettive società nel periodo intercorrente tra il 9 aprile e il 31 dicembre 2020[5].
Come è evidente, la temporanea disattivazione dei meccanismi di postergazione dei finanziamenti effettuati dai soci o da chi esercita attività di direzione e coordinamento è stata ritenuta strategica al fine di sopperire all’«esigenza di incentivare i canali necessari per assicurare un adeguato rifinanziamento delle imprese»[6] mediante la valorizzazione del ruolo del socio finanziatore quale soggetto interno e conoscitore delle reali potenzialità della società e, auspicabilmente, meglio predisposto a sovvenzionarne l’attività con capitale di credito rispetto alla più difficile alternativa rappresentata dal canale bancario[7].
A fronte di tale significativa scelta operata dal legislatore, si osserva che il “congelamento” della disciplina di cui agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. sembri in parte aver assopito l’attenzione degli interpreti rispetto al dibattito inerente alla natura di tale disciplina, che tanto sembrava destinato a (e, forse, necessitava di) vivacizzarsi alla luce di alcune dirompenti pronunce[8] e, soprattutto, in vista dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCI)[9] – che su tale disciplina è intervenuto[10] – successivamente posticipata al 1° settembre 2021 dall’art. 5 del c.d. Decreto Liquidità.
Il tema del dibattito è noto ed inerisce, in particolare, alla vexata quaestio se la postergazione trovi applicazione esclusivamente in pendenza di un concorso tra i creditori della società (c.d. tesi processualista) ovvero anche durante la vita della società (c.d. tesi sostanzialista).
Rimandando ai paragrafi successivi le osservazioni nel merito di tale dibattito e delle soluzioni accolte dalla più recente giurisprudenza – ossia, l’accoglimento della concezione sostanzialista – vale la pena per il momento soffermarsi sull’importanza che un’articolata disamina dell’istituto della postergazione legale e del suo ambito di applicazione assume nella contingenza del periodo storico intercorrente tra l’entrata in vigore delle norme apportate dalla legislazione emergenziale e l’entrata in vigore del CCI.
Si tratta, invero, di un periodo di quasi 17 mesi che lascerà poi campo alle innovazioni apportate dal CCI in materia, per cui emerge – se non per altro, ai fini della certezza del diritto – l’urgenza di definire compiutamente quali saranno i più rilevanti risvolti applicativi della disciplina a cui gli operatori dovranno attenersi una volta usciti dal “limbo” del periodo c.d. emergenziale; tutto ciò, tenendo in considerazione che, necessariamente, ai finanziamenti soci concessi tra il 9 aprile e il 31 dicembre 2020 dovrà essere riservato un trattamento di riserbo (i.e. la non applicazione degli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c.) pur anche dopo il 1° settembre 2021.
1.1. La reiterata interpretazione storico-evolutiva delle norme vigenti alla luce del CCI.
La temporanea disapplicazione della disciplina della postergazione imposta dalla legislazione emergenziale, involge sul piano pratico l’opportunità di definire preliminarmente se le recenti soluzioni accolte dalla giurisprudenza in ordine alla natura sostanziale della postergazione legale in luce dell’introducendo CCI possano spiegare i propri effetti nel corso della vacatio prevista prima della sua entrata in vigore.
In questa prospettiva, ci si limita ad osservare che la giurisprudenza, con riferimento a diversi istituti che saranno interessati dalle modifiche apportate dal CCI, si è in parte già espressa in favore della possibilità di operare un’interpretazione storico-evolutiva atta a determinare una «anticipazione delle norme del CCI nell’interpretazione della disciplina vigente»[11], proferendo in tal modo una lettura delle norme vigenti maggiormente coerente con l’evoluzione del quadro normativo.
Tuttavia, va allo stesso modo segnalato che, ancor più recentemente, la giurisprudenza di legittimità pare aver recentemente adottato un criterio ermeneutico opposto[12]: ossia, una disamina della disciplina che verrà introdotta dal CCI quale criterio per interpretare, a contrario, la disciplina vigente, suggerendo pertanto, seppur implicitamente, il principio per cui le norme del CCI – per quanto astrattamente idonee a rivelare l’intenzione del legislatore rispetto all’interpretazione e alle modalità attuative di determinati controversi istituti – non possano avere, prima della loro effettiva entrata in vigore, una portata tale da prevaricare sulle norme vigenti.
Più precisamente, alla luce di tali opposti orientamenti, sembra che l’anticipazione delle norme del CCI nell’interpretazione della disciplina vigente non sia operazione correttamente attuabile con riferimento a quegli istituti che, all’indomani dell’entrata in vigore del CCI, subiranno una modifica della propria disciplina che non risulterebbe conciliabile con la lettera delle norme vigenti; laddove, al contrario, tale operazione sarebbe consentita rispetto agli istituti le cui discipline presentano un margine di incertezza suscettibile di essere colmato nell’ottica dell’evoluzione del sistema giuridico, seppur sempre nell’ambito delle norme vigenti.
Se quanto detto è vero, risulta allora evidente il rischio insito nell’indiscriminato ricorso all’interpretazione storico-evolutiva delle norme vigenti in vista dell’entrata in vigore del CCI, specialmente avendo riguardo alla salvaguardia della certezza del diritto nell’applicazione di tali norme.
Invero, tale rischio è esacerbato proprio dalla contingenza dell’emergenza sanitaria, la quale ha determinato un imprevedibile differimento dell’entrata in vigore del CCI, e, con esso, di tutte quelle norme che nella giurisprudenza successiva alla sua emanazione sono state prese come riferimento nelle predette operazioni di interpretazione “evolutiva” del diritto positivo. Sennonché, il CCI – fatta eccezione per quelle norme, di modifica del codice civile, che hanno trovato applicazione sin dal 16 marzo 2019[13] – diverrà parte integrante del diritto positivo solo a partire dal 1° settembre 2021, salvo ulteriori (a questo punto non escludibili a priori) differimenti[14]; per cui, allo stato attuale è, se non altro, dubbio che tale operazione possa essere indistintamente attuata nella legittima vigenza delle attuali norme.
Tali osservazioni – incomplete, ma si spera sufficienti a far emergere il problema – assumono una portata dirompente se calate nella prospettiva del dibattito in ordine alla natura “processuale” ovvero “sostanziale” della disciplina della postergazione legale e della già ricordata sistematicità con cui il fenomeno del finanziamento soci assume rilievo nelle valutazioni delle imprese che cerchino di reperire capitale di credito ed incapaci di autofinanziarsi sul mercato.
In questa prospettiva, è auspicabile che il dibattito in ordine ai risvolti applicativi scaturenti dalla disciplina della postergazione legale non cessi, in considerazione dell’eventualità che, verosimilmente, l’applicazione della stessa ai finanziamenti soci già concessi (ovvero la sua disapplicazione, nel caso di finanziamenti contratti nel periodo emergenziale) troverà luogo in un momento ampiamente successivo all’entrata in vigore del CCI, dovendo tale momento coincidere con quello della data prevista per il rimborso del finanziamento.
In conseguenza di ciò, nella vigenza del CCI, si profileranno inevitabilmente diverse fattispecie applicative della disciplina a seconda del momento in cui sia stato concesso il finanziamento da parte del socio; cosicché, ferma la disapplicazione della regola della postergazione finanziamenti soci concessi nel periodo emergenziale, urge esplicitare una volta per tutte se la postergazione debba, ancora prima dell’entrata in vigore del CCI, trovare applicazione secondo la concezione sostanziale, come perorato dalla più recente giurisprudenza, in virtù della predetta interpretazione storico-evolutiva dell’art. 2467 c.c., ovvero processuale, come invece sembrerebbe doversi concludere in luce dell’attuale lettera della norma e, soprattutto, di un’interpretazione della stessa che si confaccia alle caratteristiche che sono proprie dell’istituto della postergazione.
Rispetto a tale interrogativo cruciale, date le divergenti ripercussioni applicative che l’opzione per l’uno o per l’altro orientamento comporta, è bene anticipare sin da subito che tale trattazione si propone di prendere le mosse dai più recenti e già menzionati indirizzi giurisprudenziali e legislativi, per cui, come si evidenzierà, risulta oramai acclarata la tesi, pur non esente da contrapposte ed autorevoli vedute, per cui la postergazione debba operare anche al di fuori del concorso tra i creditori, e, pertanto, durante societate.
Ad ogni modo, si ritiene che una sintetica esposizione di tali contrapposte interpretazioni, facenti capo, rispettivamente, alla c.d. tesi processualista e alla c.d. tesi sostanzialista, sia essenziale per una consapevole comprensione dei più recenti sviluppi in materia, rappresentati da Cass., 15 maggio 2019, n. 12994 (e dalla giurisprudenza conseguitane) unitamente alle innovazioni apportate in materia dal CCI.
2. La c.d. tesi processualista.
Nel discorrere sinteticamente sull’annoso dibattito afferente all’ambito d’applicazione della regola della postergazione di cui all’art. 2467 c.c., va detto, preliminarmente, che ne è sempre stata considerata pacifica l’applicabilità nel contesto delle procedure concorsuali, stante la ratio sottesa alla norma, per cui è indubbio che la tutela che la medesima mira ad accordare ai terzi creditori sociali trovi il suo più naturale ambito applicativo nel concorso fra questi ultimi e i soci creditori[15].
Dunque, la questione dibattuta ha da sempre riguardato l’applicabilità della disciplina al di fuori delle procedure concorsuali, soprattutto alla luce della collocazione della norma al di fuori della legge fallimentare[16], da cui il lecito dubbio circa la configurabilità dell’art. 2467 c.c. come norma di diritto sostanziale, e non di mera norma concorsuale.
Fatta questa doverosa premessa, i sostenitori della c.d. tesi processualista[17], facendo leva sull’indubbia applicabilità dell’art. 2467 c.c. all’ipotesi del concorso tra creditori, hanno tratto la conseguenza per cui la stessa non sarebbe applicabile nel rapporto vis-à-vis tra la società e il socio finanziatore. Da ciò, la conclusione che, fin tanto che la società non entri in una procedura concorsuale, il credito del socio rimane pienamente esigibile, con l’impossibilità da parte degli amministratori di poter rifiutare la restituzione delle somme mutuate, o diversamente ottenute in prestito, alla scadenza convenuta.
Fra le diverse ragioni poste a sostegno di tale orientamento, ve ne sono in particolare due che sono state rinvenute dalla lettera della norma.
La prima muove da una nozione tecnica di postergazione, a cui l’art. 2467 c.c. afferirebbe, per cui la stessa comporterebbe la costituzione di un “antiprivilegio”[18] connesso al finanziamento del socio. Pertanto, sarebbe più rispondente ai canoni dell’istituto giuridico della postergazione, intesa come privilegio (seppur “al contrario”, e quindi non a vantaggio di chi ha contratto il finanziamento), la previsione che la medesima operi unicamente in presenza di un concorso individuale o collettivo[19] o, al più, nell’ambito di una liquidazione volontaria[20].
La seconda ragione paventata a sostegno della tesi processualista fa leva su un’argomentazione di carattere sistematico rinvenibile dalla previsione dell’art. 2467, comma 1, c.c., ai sensi della quale la somma rimborsata al socio deve essere restituita se il rimborso è avvenuto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società. Da tale rilievo discende, invero, la conclusione che tale disciplina presupponga, per un verso, la generale rimborsabilità del prestito e, per l’altro, che il rimborso non sia revocabile nel caso in cui sia avvenuto in un periodo antecedente a quello configurato dalla norma.
Più nitidamente, l’esplicita previsione normativa contenuta nella seconda parte del primo comma dell’art. 2467 c.c., che impone di fatto la revoca della somma ricevuta dal socio in caso di rimborso avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, pare presupporre che, al contrario, durante societate, i prestiti eseguiti dai soci, seppur contrassegnati dalle condizioni di anomalia di cui al secondo comma, siano rimborsabili alle scadenze pattuite originariamente[21].
Sennonché, come già ricordato, proprio rispetto a tale previsione, è da ultimo intervenuto il CCI, il quale, significativamente, ha previsto, all’art. 383, comma 1, una modifica – che, si rammenta, entrerà in vigore a partire dal 1° settembre 2021 – consistente nella soppressione delle parole «e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito»[22]. Da ciò, l’impressione che il legislatore, intervenendo proprio sul riferimento letterale nella norma da cui i fautori della c.d. tesi processualista hanno sin dalla sua genesi tratto le predette conclusioni, abbia voluto allinearsi con l’orientamento sostanzialista, ammettendo implicitamente l’applicabilità dell’art. 2467 anche durante societate[23].
3. La c.d. tesi sostanzialista.
Volgendo finalmente lo sguardo alla c.d. tesi sostanzialista, a cui ha da ultimo aderito la giurisprudenza, parte della dottrina[24] ritiene, appunto, che la disciplina dell’art. 2467 c.c., alla luce della sedes materiae esterna alla legge fallimentare, non sia limitata alle procedure concorsuali e che, pertanto, la postergazione legale operi come condizione di inesigibilità del relativo credito durante la vita della società.
In conseguenza di ciò, anticipando una delle risultanze di Cass., 15 maggio 2019, n. 12994, gli amministratori della società non sarebbero tenuti ad effettuare il rimborso del credito qualora, essendo lo stesso giunto alla sua originaria scadenza, permangano le condizioni di anomalia già sussistenti al momento dell’erogazione del finanziamento.
Vieppiù, a sostegno di tale tesi estensiva concorrono argomentazioni di carattere teleologico che guardano alla ratio perseguita dalla norma al fine di rinvenirne l’ambito di applicazione più confacente.
Come è noto, infatti, lo scopo della postergazione legale va rintracciato nell’«esigenza di reagire all’asimmetria funzionale tra la posizione del socio e quella dei creditori esterni: asimmetria che trae origine dalla possibilità per il primo di traslare sui secondi il rischio derivante dalla conservazione in vita di una società sottocapitalizzata, grazie al beneficio della limitazione di responsabilità, appropriandosi però dei vantaggi, tendenzialmente illimitati, dell’eventuale risanamento grazie alla partecipazione agli utili sociali»[25]. In tal senso, vero è che qualsiasi circoscrizione dell’efficacia della postergazione è capace di determinare un diniego di tutela per i creditori, rispetto ai quali non si spiegherebbe perché non possa anticiparsi l’intervento della postergazione ad un momento antecedente all’insorgere dello stato d’insolvenza.
D’altro canto, la mancata apertura del fallimento non significherebbe che al momento del rimborso la società non versi comunque in uno stato di crisi valevole a determinare in egual modo l’esigenza di tutela dei creditori. In particolare, l’obiezione mossa dai fautori della c.d. tesi processualista che porta a suddividere le ipotesi di società in bonis, nella quale i crediti sono sempre esigibili alla loro scadenza, e l’ipotesi del concorso tra creditori, al ricorrere del riparto fallimentare o dell’esecuzione forzata, non sarebbe condivisibile sulla base dell’assunto che «il legislatore non opera una summa divisio tra società in bonis e società in stato d’insolvenza, ma gradua – in misura diversa – le condizioni economiche nelle quali assume rilevanza l’applicazione della disciplina»[26].
Sicché, dall’impossibilità di poter ricondurre in maniera univoca le condizioni di anomalia che l’art. 2467 c.c. stabilisce per l’assoggettamento del finanziamento a postergazione allo stato d’insolvenza, deriverebbe l’opportunità di far operare la postergazione anche alla società in bonis; ossia, in situazioni che, a dire il vero, non costituiscono l’ambito di applicazione d’elezione dell’istituto, come evidenziato dai sostenitori della c.d. tesi processualista.
In altre parole, l’interpretazione che vede il presupposto della norma consistere nella condizione di sottocapitalizzazione di cui al comma secondo e nell’opportunità di anticipare la tutela verso i creditori sociali sconta l’adozione di una nozione di postergazione “a-tecnica”, che non si confà alle caratteristiche tecniche dell’istituto, pur essendo probabilmente più rispondente alla ratio di tutela dei creditori sottesa alla norma.
4. La portata dirimente di Cass., 15 maggio 2019, n. 12994.
A fronte del suddetto dibattito, che ha animato la quasi totalità degli esponenti intervenuti in materia, è adesso agevole comprendere la portata dirimente assunta da Cass., 15 maggio 2019, n. 12944. Difatti, come già anticipato, tale sentenza è intervenuta in merito all’operatività dell’art. 2467 c.c. affermando il principio secondo cui «[…] la postergazione disposta dall’art. 2467 c.c., opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando un condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma».
Ciò posto, se è vero che un’analisi confinata alla riproposizione, seppur in chiave interpretativa, delle argomentazioni adottate dalla Suprema Corte per giungere a tale esito correrebbe il rischio di rivelarsi un mero esercizio pleonastico[27], allo stesso tempo, la contingenza temporale con cui la stessa è in tal modo intervenuta merita di essere risaltata in questa sede.
In particolare, si ritiene che non possa considerarsi accidentale la prontezza con cui la Suprema Corte ha repentinamente assunto una posizione così apertamente (se non sfacciatamente, non essendosi minimamente confrontata con le ragioni afferenti alla c.d. tesi processualista) preponderante nei confronti della concezione sostanzialista, a fronte di quindici anni di morigerato silenzio, salvo qualche stringato obiter dicta[28], sulla questione che ha, sin dalle sue prime applicazioni, rappresentato lo snodo più dirimente della disciplina della postergazione dei finanziamenti dei soci.
Il motivo alla base di tale “svolta” esegetica è presto detto. Difatti, come anticipato, il revirement sul tema dell’ambito di applicazione della norma è stato inconfutabilmente propiziato dall’intervento apportato dal CCI, di recentissima introduzione rispetto alla decisione, al testo dell’art. 2467 c.c. e, più in generale, al tema dell’organizzazione gestoria dell’impresa in stato di crisi.
Anzitutto, come detto poc’anzi e come sottolineato dalla Suprema Corte, grande rilevanza era da sempre stata attribuita alla peculiare collocazione della disciplina della postergazione all’interno del codice civile. In particolare, si è già dato evidenza della circostanza per cui, da un lato, a detta degli esponenti della c.d. tesi sostanzialista, tale collocazione fosse da ritenersi rivelatrice della natura sostanziale della norma, sulla scorta della considerazione per cui, laddove il legislatore avesse inteso introdurre una norma concorsuale, sarebbe sin da subito risultata più naturale una sua precisa introduzione nella legge fallimentare. Dall’altro lato, secondo gli esponenti della c.d. tesi processualista, un rilievo decisivo avrebbe dovuto attribuirsi all’espressa previsione, in seno al primo comma dell’art. 2467, della revocabilità del rimborso effettuato nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, da cui l’opportunità di inferire l’ordinaria irrevocabilità del rimborso in tutte le ipotesi non rientranti nella fattispecie.
In questa prospettiva, il legislatore pare davvero aver colpito nel segno del dibattito prevedendo, a mezzo del già ricordato art. 383 CCI, la trasmigrazione della disciplina della revoca dall’art. 2467 c.c. all’art. 164 CCI. Operando in tal maniera, invero, la Suprema Corte ha avuto gioco facile nel declinare la disciplina della postergazione in chiave sostanzialista proprio argomentando in merito alla sedes materiae della norma, che «è rimasta quella codicistica pur dopo la rielaborazione del diritto della crisi d’impresa in forza del D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza».
Tale conclusione, pur essendo effettivamente la più rispondente alla ratio della norma e al quadro scaturente dalla riforma del diritto della crisi d’impresa, non è andata esente da critiche[29]. Tuttavia, senza voler certamente distogliere l’attenzione dalla necessità di apprezzare i rilievi, ante e post Cass., 15 maggio 2019, n. 12944, opposti alla concezione sostanzialista della postergazione, si ritiene in questa sede di dover porre maggior enfasi sulla circostanza che si sia finalmente addivenuti ad un esito che reca con sé tutti i crismi della definitività.
In altre parole, una questione è discutere di ciò che la postergazione ex art. 2467 c.c. rappresenta agli occhi del legislatore, il che implica un’indagine volta alla ricerca della mens legis alla luce del diritto positivo, altra questione è, invece, argomentare rispetto a ciò che la medesima postergazione dovrebbe essere per rispondere alle caratteristiche che sono proprie dell’istituto, il che sembra più attenere ad un’indagine di carattere sistematico capace di conferire unitarietà all’intero sistema. Ciò posto, se è vero che non vi è motivo per cui la seconda tipologia d’indagine debba arrestarsi – anzi, pare vero il contrario, e ciò, peraltro, per ogni istituto dell’ordinamento per cui vi siano margini di miglioramento da parte del legislatore individuabili, in ultima analisi, unicamente ad opera di un’attenta e critica dottrina – è altrettanto vero che non sembrerebbero residuare ulteriori margini per ciò che inerisce alla prima tipologia d’indagine; e ciò a seguito dell’intervento attuato così puntualmente dal legislatore proprio su quella parte della norma che ha per lungo tempo costituito l’ago della bilancia della vexata quaestio.
Tale conclusione sembra pertanto essere stata accolta dalla più recente giurisprudenza anche al costo di dover intendere per “postergazione” ciò che postergazione non è, tenendo conto della sua natura di “antiprivilegio” e, pertanto, della sua naturale attinenza all’ordine delle cause legittime di prelazione il cui rispetto si impone nelle ipotesi di concorso dei creditori sul patrimonio del debitore comune[30].
Invero, argomentando a contrario, e supponendo che, in virtù della postergazione, il credito dei terzi creditori fosse da considerarsi come privilegiato rispetto a quello del socio finanziatore, è indubbio che, anche al di fuori del fallimento, la soddisfazione in via privilegiata del credito da parte di ciascun terzo creditore richiederebbe l’attivazione di una fase esecutiva presupponente il concorso con gli altri creditori: ciò a norma dell’art. 510, comma 2, c.p.c., ai sensi del quale solo nel concorso tra i creditori, che implica la partecipazione del creditore privilegiato al processo esecutivo in qualità di creditore procedente ovvero di intervenente, la somma ricavata dalla vendita dei beni pignorati è distribuita tra i creditori nel rispetto delle legittime cause di prelazione. Diversamente, qualora il concorso non avesse luogo, essendo il processo esecutivo avviato da un solo creditore senza che a ciò faccia seguito l’intervento di altri creditori, il giudice potrebbe disporre il pagamento a favore del procedente senza tenere conto della sussistenza di legittime cause di prelazione[31].
4.1. Il “concorso virtuale” tra i creditori sociali.
Nell’impossibilità di poter, quindi, pervenire ad una disciplina della norma afferente alla concezione sostanzialista che fosse al contempo osservante di una nozione di postergazione implicante l’effettivo concorso tra i creditori, si osserva come la Suprema Corte abbia comunque tentato di raffigurarne la sussistenza elevandolo ad un piano “astratto”, affermando, appunto, che, pur nella mancanza di un effettivo concorso, «superato lo squilibrio patrimoniale e, quindi, la situazione di rischio per i creditori sociali che ne discende e che la norma pone a fondamento della regola della postergazione [...]» si possa «[...] allora ritenere realizzata una situazione di soddisfazione, sia pure “astratta”, dei creditori esterni e dunque esistente uno status di regolare esigibilità».
In ultima analisi, la Suprema Corte ha richiesto agli interpreti di considerare la postergazione di cui all’art. 2467 c.c. alla stregua di una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, il quale diverrebbe inesigibile, sebbene sia previsto un termine per l’adempimento dell’obbligazione ex art. 1184 c.c., in presenza degli indici di anomalia di cui all’art. 2467, comma 2, c.c. Premettendo che sulle conseguenze derivanti da tale interpretazione, espressa in termini di inesigibilità del credito, si tornerà in seguito, va qui evidenziata la più immediata ripercussione che la Suprema Corte ha configurato in capo all’organo gestorio della società. Nella fattispecie, essa ha previsto che sussista un vero e proprio obbligo della società di rifiutare il rimborso del finanziamento, qualora richiesto in condizioni di perdurante squilibrio economico-finanziario[32]. Come già rilevato, tale verifica andrebbe esperita tenendo conto delle considerazioni svolte in merito alle condizioni idonee a rivelare l’anomalia del finanziamento «[...] sia al momento della concessione del finanziamento, sia al momento della richiesta del rimborso»[33].
Ciò che si preme evidenziare di tale previsione è la circostanza che l’obbligo così configurato in capo agli amministratori è espressamente connesso alla previa adozione di un «adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società», formula richiamata dalla previsione dell‘art. 2086 c.c., così come innovato dal CCI[34]. Sicché, questo rilievo costituisce un ulteriore indice del rapporto venutosi ad instaurare tra il legislatore e i giudici di legittimità in merito alla postergazione dei finanziamenti dei soci a seguito dell’emanazione del CCI e, soprattutto, in vista della sua entrata in vigore. Dopotutto, così come è acclarato che l’elaborazione del CCI sia stata apertamente improntata ad una “prevenzione” della crisi d’impresa[35], di cui il nuovo art. 2086 c.c., unitamente alle altre previsioni in tema di allerta, costituisce il paradigma, non si può non condividere, per lo meno in termini di coerenza sistematica, la soluzione interpretativa che veda la disciplina della postergazione ex art. 2467 operare già durante la vita della società al preciso fine di eludere anzitempo l’insorgere della crisi.
Sennonché, la maggiore difficoltà insita in un siffatto obbligo configurato in capo agli amministratori risiede evidentemente nell’individuazione dell’esatto momento in cui debba ritenersi aperto il “concorso virtuale” tra i creditori sociali ai fini di ritenere subordinato il credito al rimborso del socio finanziatore. A tal proposito, va segnalato che il ricorso al parametro del concorso “virtuale” o “potenziale” non è nuovo nella giurisprudenza espressasi in merito all’applicazione dell’art. 2467 c.c. e, in particolare, in quella del Tribunale di Milano. Anche recentemente, i giudici meneghini, riprendendo taluni loro precedenti sul punto, hanno affermato che i requisiti di cui all’art. 2467 co. 2°, c.c. «costituiscono esplicitazione di una situazione di crisi qualificata, sostanzialmente equiparabile all’insolvenza, la quale unicamente giustifica la considerazione di un concorso virtuale tra i creditori»[36].
Rimandando al paragrafo successivo le osservazioni in merito a quali possano essere gli indici idonei a configurare la “crisi qualificata” implicante il “concorso virtuale” tra i creditori, alla luce di quanto stabilito dalla Suprema Corte, sembra allora doversi avvalorare l’impostazione di chi già avevo visto come insita nella norma la configurazione di un dovere di valutazione prognostica da parte degli amministratori in ordine alla perdurante solvibilità della società[37]. In altri termini, gli amministratori sono chiamati a procedere ad una valutazione preventiva sulla solvibilità della società al cui esito conseguirebbe l’esigibilità o meno del credito al rimborso del socio.
Volendo cercare di rappresentare efficacemente il “concorso virtuale” a cui gli amministratori devono attenersi nella restituzione di quanto dovuto dalla società ai creditori sociali – seguendo lo schema tracciato dalla Suprema Corte – si deve immaginare che il rimborso del credito dovuto al socio finanziatore sia subordinato all’avveramento di una condizione che si presenta, per così dire, “a due teste”: in primo luogo, l’avveramento della condizione soggiace alla previa soddisfazione di tutti gli altri creditori non postergati, venendo in tal modo meno l’esigenza di tutela dei creditori[38], pur potendo la società eventualmente permanere in una situazione di squilibrio; alternativamente, la condizione si considera avverata allorquando siano cessate le condizioni di anomalia di cui al 2467, co. 2, c.c., e la società versi, pertanto, in una situazione tale da consentire il soddisfacimento degli altri creditori, seppur su un piano “astratto”[39]. Tale ultima eventualità – sicuramente la più rilevante sul piano pratico, stante la difficoltà di riuscire a concepire una società versante in uno stato di crisi che riesca comunque a soddisfare (regolarmente, si intende) tutti i suoi creditori non postergati – verrebbe a realizzarsi più correttamente al preventivo riscontro, da parte degli amministratori, dell’ininfluenza del rimborso del credito postergato rispetto alla capacità della società di far fronte alle proprie obbligazioni[40].
Alla luce di tale meccanismo applicativo della postergazione legale – da attivarsi già nel caso in cui la società versi in una condizione di crisi “incipiente” –, è evidente come il sistema concepito dalla Suprema Corte si coniughi felicemente con il favor per la continuità aziendale perseguito dal legislatore a mezzo della riforma della crisi d’impresa, nell’ambito della quale è corretto ritenere che l’applicazione della disciplina di cui all’art. 2467 c.c. anche alla società in bonis rientri nel novero degli «strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale», ai quali gli amministratori devono ricorrere ai sensi dell’art. 2086, co. 2, c.c.[41]
4.2. Lo stato di “crisi qualificata” ex art. 2467, co. 2, c.c. e l’auspicabile raffronto con gli “indicatori della crisi” ex all’art. 13 CCI.
Come poc’anzi evidenziato, la concezione sostanziale della disciplina della postergazione legale postula una sua applicazione durante societate e, pertanto, già in una fase antecedente all’apertura di una procedura concorsuale nei confronti della società, essendo volta alla prevenzione della crisi e alla conservazione della continuità aziendale, ancor prima che alla regolazione del concorso tra i creditori sociali. Ai fini dell’applicazione della disciplina, assume pertanto con tutta evidenza un rilievo primario la qualificazione degli indici di “anomalia” (o, riprendendo l’efficace espressione di Trib. Milano, 14 febbraio 2020, n. 1465, dello stato di “crisi qualificata”) ex art. 2467, co. 2, c.c. validi ad “azionare” il meccanismo della postergazione.
Sennonché, nella prassi applicativa, il giudizio in ordine alla ricorrenza di tali presupposti risulta sistematicamente essere tanto il più cruciale quanto il più problematico e discusso, stante l’assoluta indeterminatezza caratterizzante la formulazione della norma.
Infatti, dopo aver enunciato la generale assoggettabilità alla regola della postergazione dei finanziamenti soci “in qualsiasi forma effettuati”[42], l’art, 2467, co. 2, c.c. prescrive funzionalmente che la stessa sia applicabile unicamente ai finanziamenti erogati in un momento in cui risulta un «eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto» oppure «una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento». Di conseguenza, proprio con riferimento a tali indici di anomalia, si sono ingenerati diversi dubbi in ordine al significato e alla interpretazione degli stessi, con conseguenti ripercussioni rispetto all’indagine da condurre al fine di verificare le condizioni a cui la postergazione è chiamata ad operare.
In particolare, non è chiaro se l’«eccessivo indebitamento» e la «ragionevolezza del conferimento» descrivano in realtà aspetti di un unico fenomeno, e siano come tali da intendersi come integranti un unico indice[43], oppure si riferiscano a cause di postergazione alternative fra loro, in quanto diverse[44].
Rispetto a questo primo profilo di criticità, è largamente sostenuta la tesi che attribuisce autonoma valenza alle due ipotesi[45]. Invero, tale soluzione risulta essere, anzitutto, quella più rispondente all’utilizzo nella lettera della norma della disgiuntiva «oppure»[46], oltre che l’unica a tener debitamente conto delle diverse connotazioni tecniche sottese alle nozioni di “indebitamento” e di “situazione finanziaria”, a cui si riferiscono rispettivamente il primo e il secondo indice di anomalia. Come rilevato[47], la ripartizione tecnica tra le due nozioni sembrerebbe confermata su un piano giuridico dall’art. 2423, comma 2, c.c., che, in tema di informativa da apporre nella redazione del bilancio, fa riferimento alla situazione «finanziaria» in termini distinti rispetto a quella «patrimoniale»[48]. In questo senso, la giurisprudenza, pronunciandosi proprio in tema di applicazione delle due clausole, si è espressa affermando che l’eccesso di indebitamento rispetto al patrimonio netto vada valutato con riferimento ai mezzi propri e non al capitale sociale[49], mentre la situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento è quella situazione nella quale la società, in relazione all’attività in concreto esercitata, ha la necessità delle risorse messe a disposizione dai soci pur non essendo in grado di rimborsarli[50].
I risultati raggiunti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, pur contribuendo a riempire di significato le due clausole soprattutto nell’ottica di una loro concreta applicazione, non risultano essere esaustivi, data la voluta indeterminatezza con cui il legislatore ha voluto tracciare le stesse.
Da ciò, il necessario rinvio ad altre regole, sia interne che esterne al sistema legale, a cui l’interprete deve ricorrere per dotare le clausole di un contenuto tecnico ed accertabile.
Fra queste, assume un rilievo particolare il riferimento al criterio della «ragionevolezza», utilizzato dal legislatore a più riprese: una prima volta, all’art. 2467, comma 2, c.c., con riferimento alla “ragionevolezza del conferimento” in rapporto alla situazione finanziaria della società al momento dell’erogazione del finanziamento; un’altra volta, a monte della riforma, nella Relazione Illustrativa, in cui il legislatore pone un preciso invito all’interprete ad «adottare un criterio di ragionevolezza, con il quale si tenga conto della situazione della società e la si confronti con comportamenti che nel mercato sarebbe appunto ragionevole aspettarsi»[51]. In altri termini, ed evidenziando il rivolto pratico che l’applicazione di un criterio così delineato è in grado di determinare, il giudice, o il socio stesso nell’atto dell’erogazione del finanziamento, così come l’organo gestorio nell’atto di richiederlo, è chiamato ad applicare un metro di valutazione orientato al mercato, ai sensi del quale la postergazione andrebbe esclusa ogniqualvolta un investitore esterno avrebbe reputato “ragionevole” concedere credito alla società[52].
Alla luce di tale delucidazione ermeneutica, l’interpretazione degli indici di anomalia in esame dovrebbe più propriamente delinearsi nei seguenti termini: il primo indice comporta una valutazione per così dire “statica” ed interna alla società che presuppone un’analisi contabile, patrimoniale, essenzialmente fondata su dati di bilancio e sui criteri elaborati dalle scienze aziendalistiche, laddove il secondo implica un’indagine “dinamica” e comportamentale da svolgersi prendendo come punto di osservazione un operatore di mercato terzo rispetto alla società e ai soci e sulla base delle prassi del settore di mercato nel quale la società svolge la propria attività[53].
A prescindere dall’indirizzo al quale si ritiene di dover aderire rispetto alle implicazioni interpretative di tali clausole[54], e fermo restando l’indubbia laconicità delle stesse, è evidente come la previsione di cui all’art. 2467, comma 2, c.c. non sia idonea a configurare un criterio facilmente accertabile.
Del pari, è consolidato l’orientamento per cui la stessa previsione costituisca una presunzione semplice suscettibile di prova contraria da parte del socio, al quale non è precluso di poter eccepire che il prestito alla società sia stato erogato in un momento di equilibrio in ordine alla situazione finanziaria e patrimoniale della società[55] (e, invero, ciò è quanto accade ordinariamente nei giudizi sull’art. 2467 c.c.). In particolare, è stato sostenuto che una simile eccezione possa essere esperita dal socio sull’assunto che il finanziamento erogato fosse destinato a sopperire a momentanee e transitorie carenze di liquidità o sfasamenti temporali di brevissima durata nei flussi monetari di cassa, da cui la considerazione che la società avrebbe potuto agevolmente ricorrere al credito bancario[56].
A fronte di tali criticità, si osserva come l’attuale quadro possa essere destinato a mutare alla luce della riforma della crisi d’impresa.
In particolare, così come la novella ha propiziato l’affermazione della concezione sostanziale della disciplina della postergazione, allo stesso modo, si ritiene opportuno, in chiave prospettica, guardare al CCI anche al fine di trarre le dovute indicazioni rispetto alla precisa misurazione dello stato di “crisi qualificata” descritta all’art. 2467, co. 2, c.c.
Infatti, avendo constatato che non vi sia perfetta coincidenza tra quest’ultimo e lo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 l. fall., nuove considerazioni potrebbero essere svolte alla luce dell’art. 13 CCI (“Indicatori della Crisi”), il quale fornisce una descrizione puntuale degli «squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario» rilevanti, con tanto di delega al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (CNDCEC), per la declinazione in chiave tecnica di tali indicatori a completamento del “sistema dell’allerta” previsto dal CCI[57].
Altrimenti detto, è auspicabile che l’elaborazione di tali indicatori possa nella prassi fungere da criterio di raccordo risolutivo per l’individuazione univoca delle condizioni di anomalia di cui all’art. 2467, co. 2, c.c. Ciò dovrà, ad ogni modo, scontare la possibilità, prevista all’art. 13, co. 3, CCI, che la singola impresa non ritenga tali indicatori adeguati «in considerazione delle proprie caratteristiche», mediante esplicitazione delle ragioni in nota integrativa al bilancio di esercizio unitamente all’elaborazione di autonomi indici ritenuti idonei alla rivelazione della crisi e la cui adeguatezza a tal fine sia debitamente attestata da un professionista indipendente in considerazione della specificità dell’imprese; sicché, in tale eventualità, sarebbero tali indici quelli da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione dell’art. 2467 c.c.
Un simile esercizio ermeneutico, invero, è già stato operato dal Tribunale di Milano, il quale ha ritenuto che il criterio dell’«eccessivo indebitamento» non potesse essere individuato nel rapporto tra capitale esteso ed emissione obbligazionaria di cui all’art. 2412 c.c. – come avversamente sostenuto dal socio finanziatore –, proprio in quanto, tra le altre motivazioni, «appare significativo […] che il documento del CNDCEC varato il 26 ottobre 2019 redatto ex art. 13 comma 2 c.c.i. e relativo alla elaborazione degli “indici di allerta” rivelatori della crisi d’impresa, non considera, quale indicatore di crisi, il rapporto capitale esteso / emissione del prestito obbligazionario ex art. 2412 c.c.»[58].
Pertanto, pur non avendo ancora previsto un pieno allineamento tra gli “indicatori della crisi” di cui all’art. 13 CCI e gli “indici di anomalia” di cui all’art. 2467, co. 2, c.c., è indubbio che, ancor prima dell’entrata in vigore del CCI, gli indicatori elaborati dal CNDCEC possano già essere presi in considerazione ai fini dell’applicazione dell’art. 2467 c.c., stante il loro grado di analiticità e l’inedita possibilità da parte dei giudici di poter finalmente attingere a parametri forniti dalle scienze aziendalistiche.
Oltretutto, in un’ottica ordinamentale, un intervento normativo – magari, in esercizio della legge delega, 8 marzo 2019, n. 20 – che esplicitasse un effettivo allineamento tra tali indici si lascerebbe preferire in quanto si porrebbe – al pari del “sistema dell’allerta” – nel solco di un maggior favor alla prevenzione della crisi già durante l’ordinaria vita della società, in aderenza ai principi ispiratori della Direttiva 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva, a cui già è previsto debba compiutamente improntarsi il CCI.
Un ultimo profilo, già menzionato e determinante ai fini dell’applicazione della disciplina, attiene all’individuazione del momento in cui assume rilevanza la verifica circa la sussistenza degli indici di anomalia in esame. In altre parole, l’analisi necessita di vertere sulla ricognizione del momento in cui l’interprete è chiamato ad accertare la sussistenza dello stato di “crisi qualificata” al fine di stabilire se il finanziamento erogato sia o meno da ritenersi postergato ai sensi dell’art. 2467, comma 2.
A tal riguardo, il legislatore pare aver previsto un approccio “bifasico”[59].
In primo luogo, la verifica sull’anomalia del finanziamento è da effettuarsi al momento della sua concessione, essendo il momento dell’esborso idoneo a determinare la fattispecie assoggettabile a postergazione.
In un secondo momento, la medesima verifica andrà effettuata per l’individuazione del momento applicativo della disciplina, il quale sarà necessariamente posteriore rispetto al primo.
Pertanto, è proprio con riferimento a questa seconda fase che occorre tenere conto degli interessi che la disciplina mira a tutelare, verificando se gli indici di anomalia presenti al momento della concessione del finanziamento permangano anche al momento in cui ne sia prevista la restituzione da parte della società[60]. In sostanza, i finanziamenti effettuati nelle condizioni economiche, di cui all’art. 2467, co. 2, c.c., saranno sottoposti alla disciplina della postergazione solo se le medesime condizioni non siano medio tempore cessate[61]. D’altro canto, questa risulta essere l’unica applicazione della disciplina rispondente alla ratio sottesa alla norma, dal momento che, nell’ipotesi in cui la situazione di disequilibrio economico della società sia venuta meno al momento del rimborso, la tutela che venisse ugualmente accordata ai creditori esterni risulterebbe ultronea, avendo i finanziamenti dei soci in questo caso contribuito al ritorno in bonis della società[62].
Alla luce di ciò, non vi è ragione di ritenere che il finanziamento nato come “anomalo” sia destinato a rimanere tale – e, pertanto, da postergare – a prescindere dall’effettiva e conseguente evoluzione economica della società, pena una cieca applicazione della norma che frusterebbe all’origine qualsiasi tentativo di patrimonializzazione della società in sofferenza da parte del socio diverso dall’apporto di capitale[63].
4.3. L’inesigibilità del credito al rimborso del socio. Implicazioni nel rapporto obbligatorio socio finanziatore-società.
La configurazione della postergazione in termini di inesigibilità del credito al rimborso spettante al socio finanziatore stimola, inevitabilmente, ulteriori riflessioni in merito alle conseguenze che tale qualificazione è in grado di ingenerare nella prassi applicativa dell’art. 2467 c.c.
L’opportunità di affrontare il tema partendo dalla prospettiva delle conseguenze applicative della norma – pur, come è ovvio, senza alcuna pretesa di esaurirne le molteplici fattispecie ad essa potenzialmente inerenti – origina da una precisa scelta di metodo volta ad apprezzarne la reale portata a seguito della definitiva affermazione della c.d. tesi sostanzialista. Ad ogni modo, si è già dato conto della sussistenza di autorevoli opinioni che si sono opposte alla tesi dell’inesigibilità del credito postergato ex lege, vuoi per argomentazioni che fanno leva sull’opinione che vede la postergazione, in quanto tale, operare necessariamente sul piano del concorso[64], vuoi per argomentazioni di valenza sistematica[65].
Venendo alle più concrete applicazioni della norma, assume rilievo preminente la tesi che vuole la postergazione operare alla stregua di una «condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l’inesigibilità del credito in presenza di una delle situazione previste dall’art. 2467 c.c., comma 2, con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata»[66], per cui è dato ritenere che la stessa debba intendersi come direttamente attinente al contenuto del rapporto obbligatorio. Tale statuizione non è di poco conto, in quanto induce a interrogarsi in ordine alla conseguente applicabilità al rapporto società-socio finanziatore della disciplina predisposta in tema di condizione nel contratto agli artt. 1353 ss., c.c. Tuttavia, a tal riguardo, si ritiene vi siano valide ragioni di carattere sistematico che sconsigliano, in ultima analisi, di considerare la postergazione legale come operante alla stregua di una vera e propria condizione sospensiva, intesa quale condizione direttamente incidente sull’efficacia del rapporto obbligatorio.
Ciononostante, tale conclusione non è agevole visto che la giurisprudenza ha già più volte fatto applicazione dell’art. 2467 c.c. nel senso perorato dai sostenitori della c.d. tesi sostanzialista, con ciò avvalorando la qualificazione della postergazione alla stregua di una condizione tout court.
In particolare, nell’ambito del contenzioso che possa venire ad instaurarsi tra il socio creditore e la società debitrice, l’inesigibilità del relativo credito rileva, come è noto, quale requisito negativo per la concessione di un decreto ingiuntivo[67]. In sostanza, la qualificazione del credito postergato ex art. 2467 c.c. in termini di inesigibilità inibisce la valida concessione di un decreto ingiuntivo, salvo che, qualora le condizioni della società debitrice migliorino a tal punto da consentire il pagamento, la condizione risultasse avverata, con il conseguente potere di ottenere – essendo venuta meno l’inesigibilità, seppur in un momento successivo – un decreto ingiuntivo. Come è facile accertare[68], tutto ciò è capace di impattare considerevolmente sulle dinamiche del rapporto creditorio tra il socio e la società, trovandosi il primo nell’impossibilità giuridica di ottenere un rimedio atto al rimborso a prima richiesta[69].
Volendosi soffermare ulteriormente sugli effetti che l’inesigibilità del credito postergato ex lege può determinare sul rapporto obbligatorio socio creditore-società debitrice, non può non rivolgersi l’attenzione al tema della compensabilità fra eventuali debiti reciproci che venissero a coesistere. In particolare, la quaestio iuris della compensabilità da parte del socio del credito postergato con altro credito che la società contemporaneamente vantasse nei suoi confronti, è cruciale, come noto, nell’ambito dei gruppi societari. Questi ultimi, infatti, operano ordinariamente a mezzo di rapporti creditori reciprocamente intercorrenti tra le società che vi appartengono e per le quali la compensazione costituisce la fisiologica modalità di estinzione delle rispettive obbligazioni.
Ciò detto, che la compensazione non possa operare rispetto ad un debito, quale quello della società che ha beneficiato del finanziamento, che risulta essere inesigibile al momento in cui la stessa viene eccepita è dato che traspare ictu oculi dall’art. 1243 c.c.[70]. Difatti, come è noto, ai fini dell’operatività della compensazione legale[71], tale norma richiede espressamente che i debiti, oltre ad avere per oggetto una somma di danaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere, siano ugualmente liquidi ed esigibili. In questa prospettiva, pertanto, l’applicazione dell’art. 2467 c.c. al rapporto creditorio frustra all’origine il tentativo del socio di eccepire l’estinzione del rapporto obbligatorio per intervenuta compensazione tra i rispettivi crediti.
Vieppiù, va sottolineato che, alla luce della svolta sostanzialista, non residuerebbero margini di operatività neppure per la compensazione volontaria. Quest’ultima, ai sensi dell’art. 1252 c.c., rappresenterebbe una soluzione alternativa alla compensazione legale nel caso in cui le parti concordassero, anche in maniera tacita, di compensare i rispettivi debiti, pur non ricorrendo i presupposti di cui all’art. 1243 c.c. Sennonché, sempre sulla scorta della Cass., 15 maggio 2019, n. 12994 e del CCI, tale fattispecie non può certamente operare a causa della sussistenza in capo agli amministratori di un dovere di rifiutare il rimborso opponendo al socio, che avesse eccepito la compensazione, la condizione dell’inesigibilità del credito derivante dalla postergazione[72]. A dire il vero, la compensazione volontaria potrebbe addirittura dirsi esclusa ab origine ragionando del carattere imperativo ed inderogabile, affermato a più riprese[73], dell’art. 2467 c.c. Data l’inderogabilità della norma, ricavabile dalla considerazione per cui la regola della postergazione è posta a tutela di interessi di terzi, così che a nessuna parte è dato arbitrio di frustarne le finalità[74], risulterebbe nulla la pattuizione con la quale le parti concordassero, al momento dell’erogazione del finanziamento ovvero al momento della richiesta del rimborso, la compensazione volontaria: infatti, la stessa contravverrebbe il divieto di effettuare il rimborso in presenza delle condizioni espresse dall’art. 2467, comma 2, c.c., il quale, in quanto norma inderogabile[75], configura un «divieto stabilito dalla legge» all’operatività del meccanismo compensatorio, in applicazione estensiva dell’art. 1246, n. 5, c.c.[76]
Una breve riflessione merita di essere svolta anche in riferimento al tema della compensabilità del credito postergato ai sensi dell’art. 56 l. fall.[77] In tale fattispecie, diversamente da quanto fin ora prospettato, il credito postergato in capo al socio è da egli vantato nei confronti di una società dichiarata fallita o che abbia presentato domanda di ammissione al concordato o di omologazione di un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 161 l. fall., in virtù dell’espresso rinvio all’art. 56 l. fall. attuato dall’art. 169 l. fall. Da ciò, l’opportunità di valutare se, anche in una simile evenienza, il carattere inesigibile del credito comporti l’impossibilità da parte del socio di opporre alla società fallita la compensazione fallimentare ex art. 56 l. fall., che, giova ricordare, in deroga alla regola posta dall’art. 1243 c.c., prevede la possibilità per i creditori di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano, ancorché non ancora scaduti prima della dichiarazione del fallimento.
Tale valutazione richiede necessariamente di avere contezza della ratio sottesa all'art. 56 l. fall., onde comprendere se le finalità perseguite dall'ordinamento mediante la disciplina della compensazione fallimentare debbano considerarsi prevalenti su quelle dell'art. 2467 c.c. Invero, la compensazione, che nella disciplina sostanziale risponde essenzialmente ad esigenze di rapidità e certezza dei rapporti giuridici[78], in quella fallimentare è volta a soddisfare istanze di tipo equitativo o di garanzia, costituendo in tal modo una deroga al principio del concorso sostanziale tra i creditori[79]. In particolare, la compensazione fallimentare, estinguendo reciprocamente le obbligazioni gravanti sulle parti del rapporto, consente al creditore in bonis di evitare il pregiudizio che gli deriverebbe dal fatto di dover adempiere regolarmente la prestazione nei confronti del fallito, a fronte della controprestazione di quest’ultimo in moneta fallimentare[80].
Nel solco di tali delucidazioni sulla ratio sottesa alla norma, è stata avanzata la considerazione che l’art. 56 l. fall. abbia carattere eccezionale e derogatorio rispetto al principio del concorso sostanziale, sia dal punto di vista cronologico sia dal punto di vista della sua insensibilità alla eventuale presenza di crediti muniti di rango poziore e finanche di crediti prededucibili, potendo la compensazione esser fatta valere da un creditore chirografario a prescindere dalla sussistenza di crediti privilegiati o la necessità di soddisfare le spese di procedura, e, pertanto, non rilevando la “qualità” del credito per l'operatività del meccanismo della compensazione[81]. Da ciò, l’argomentazione, paventata da alcuna dottrina, per cui escludere la compensazione fallimentare del credito postergato ex art. 2467 c.c. implicherebbe un’irragionevole ed immotivata disparità di trattamento in pregiudizio del socio finanziatore rispetto ai creditori collocati in posizione subordinata nella graduazione dei crediti, i quali, invece, possono pacificamente avvalersi della compensazione[82]. Alla luce di ciò, pertanto, la circostanza che il legislatore, mediante l'art. 2467 c.c., esprima un disvalore nei confronti della condotta del socio finanziatore non dovrebbe considerarsi dirimente ai fini della prevaricazione della disciplina della postergazione a discapito dell'applicazione della compensazione fallimentare, attesa la natura eccezionale dell’art. 56 l. fall.[83].
Tuttavia, alla luce della ratio e dell’affermata natura sostanziale dell'art. 2467 c.c., si ritiene opportuno quanto meno mettere in discussione quest’ultime conclusioni, pena la vanificazione di un’effettiva tutela ai creditori sociali che la norma mira a salvaguardare. In altre parole, la compensazione di un credito postergato ex art. 2467 c.c. nei confronti del debitore dichiarato fallito, o che abbia presentato domanda di concordato, con un controcredito, chirografario o postergato che sia, vantato da quest’ultimo, comporterebbe una riduzione dell’attivo destinato alla soddisfazione degli altri creditori, che è proprio l’effetto che la disciplina della postergazione intende scongiurare[84]. Invero, se così non fosse – e, cioè, se la disciplina di cui all'art. 56 l. fall. dovesse prevalere sull'art. 2467 c.c. nell'ambito delle procedure concorsuali – si dovrebbe giungere alla conclusione paradossale secondo cui l'art. 2467 c.c., norma concorsuale per elezione, venga meno nella sua applicazione non appena si instauri un concorso in cui il socio finanziatore risulti essere anche debitore della società alla cui crisi ha egli stesso contribuito apportando un finanziamento in una situazione di eccessivo squilibrio o in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento. Da ciò, la perplessità che connota l’assunto che vede l’art. 2467 c.c., anche nella sua rinnovata veste di norma sostanziale, cedere all’art. 56 l. fall. nel fallimento della società o a seguito della presentazione della domanda di concordato. In aggiunta a ciò, stante il divieto derivato dall’art. 2467 c.c., ad opera della Cass., 15 maggio 2019, n. 12994, di effettuare il rimborso del finanziamento anomalo concesso dal socio fintanto che permanga la situazione di squilibrio, è del tutto evidente come la compensazione, ove fosse applicabile, costituirebbe una forma di restituzione del finanziamento contraria alla norma[85].
In conclusione, la funzione satisfattiva della compensazione, così come l’effetto che la stessa realizza nel fallimento, ossia la sottrazione di risorse da destinare alla soddisfazione dei creditori concorsuali, si pone in termini di profonda contraddizione con la ratio della postergazione di cui all’art. 2467 c.c. Inoltre, la modifica apportata dal legislatore nel diritto positivo – che ha rivelato la natura sostanziale della norma – induce quanto meno a riconsiderare il problema ragionando al di là del carattere eccezionale ed eversivo della par condicio creditorum rivestito dall’art. 56 l. fall.
Un altro importante fattore che depone a favore della piena assimilazione della postergazione del credito del socio alla condizione si rinviene nella recente Cass. 20 agosto 2020, n. 17421, la quale ha tenuto a specificare – compiendo in questo senso un passo ulteriore a quanto già affermato da Cass., 15 maggio 2019, n. 12994 – che all’inesigibilità del credito postergato consegua, altresì, la non applicazione della norma dell’art. 1282 c.c., riconoscendo pertanto che il credito del socio sia improduttivo di interessi dal momento in cui vengano accertati i presupposti per l’applicazione dell’art. 2467 c.c. Invero, lo stesso art. 1282 c.c. stabilisce che la produzione di interessi di pieni diritto consegua unicamente alla natura “liquida” ed “esigibile” dei crediti pecuniari; presupposto, quest’ultimo, che non atterrebbe al credito da finanziamento spettante al socio.
Tale ultimo approdo induce a chiedersi se non possa, a questo punto, compiersi un passo ulteriore: ossia, se il credito del socio – infruttifero ex lege e il cui rimborso deve essere rifiutato dagli amministratori della società che versi nelle condizioni di “crisi qualificata” di cui all’art. 2467, co. 2, c.c. – possa considerarsi ripetibile da parte degli amministratori ove si dimostri che al momento del rimborso non era sussistente la condizione di esigibilità del relativo credito[86]. In altri termini, stante il costante perdurare della condizione di inesigibilità durante societate, è logico ritenere che il rimborso ciononostante effettuato da parte degli amministratori, a latere delle considerazioni attinenti ai profili di responsabilità degli stessi che potrebbero rilevare in un simile contesto, sia assoggettabile all’azione di restituzione secondo la disciplina dell’indebito, di cui all’art. 2033 c.c.[87]
Tuttavia, a conoscenza di chi scrive, la giurisprudenza non pare (ancora) essersi spinta ad affermare tanto. Invero, forte è la percezione che, per quanto il legislatore abbia voluto esprimere un giudizio di disvalore rispetto al credito del socio, quest’ultimo rimanga comunque un credito rispetto al quale il socio conserva sia il titolo che il diritto attuale al rimborso.
In questa prospettiva, la circostanza che la richiesta di rimborso del socio possa (anzi, debba) essere legittimamente neutralizzata dagli amministratori nel caso ricorra la situazione di “crisi qualificata” di cui all’art. 2467, co. 2, c.c. esprime al più un dovere di condotta in capo agli amministratori rispetto alla tutela dell’integrità del patrimonio sociale, non già un mutamento della natura e del titolo sui cui si regge il credito del socio. Quest’ultimo, da parte sua, così come non potrà agire per la restituzione del finanziamento che sia stata impedita dagli amministratori stante la perdurante situazione di squilibrio, allo stesso modo non potrà vedersi esercitare la condictio indebiti nel caso gli amministratori abbiano omesso di rifiutargli il rimborso.
D’altro canto, l’ordinamento ha predisposto altri e più idonei strumenti per la reintegrazione del patrimonio sociale che sia stato danneggiato dal finanziamento “indebitamente” rimborsato: primo fra tutti, l’apposita azione restitutoria di cui all’art. 2467, co. 1, c.c., che trasmigrerà, come evidenziato, nella più consona sede dell’art. 163 CCI.
Tale azione, unitamente alle altre azioni revocatorie previste dal diritto della crisi d’impresa[88], costituiscono indice del fatto che, fin tanto che la società non sia dichiarata fallita (per il futuro, finché non sia dichiarata aperta la procedura di liquidazione giudiziale della medesima), il finanziamento del socio non possa essere ripetuto dagli amministratori.
Invero, nell’ambito della società in bonis, rendere il finanziamento del socio sempre e comunque ripetibile al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 2467, co. 2, c.c. significherebbe anticipare significativamente gli effetti dei rimedi ripristinatori posti a tutela dell’integrità del patrimonio sociale quale garanzia per i creditori sociali; garanzia che, se è vero che debba essere preservata dagli amministratori già nella c.d. fase crepuscolare in un’ottica di prevenzione della crisi e della continuità aziendale, non si ritiene possa assurgere a criterio universale idoneo a frustrare completamente, nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio, la tutela al credito del socio.
In altre parole, una cosa è concepire la disciplina della postergazione quale rimedio preventivo nell’ambito del concorso “virtuale” tra i creditori della società in bonis, un’altra è concepirla come rimedio ripristinatorio esercitabile dagli stessi amministratori che abbiano proceduto al rimborso.
Se così è, allora, è vero solo che la postergazione è disciplina volta a regolare il concorso tra i creditori sociali mediante la prevenzione del danno che il rimborso del finanziamento costituirebbe per il patrimonio sociale della società, e come tale attinente al profilo della responsabilità patrimoniale di quest’ultima nei confronti dei suoi creditori. Non può, invece, ancora ritenersi come pienamente operante rispetto al rapporto obbligatorio intercorrente tra la società e il socio finanziatore alla stregua di una vera e propria condizione sospensiva (intesa come legittimante l’esercizio dell’azione ex art. 2033 c.c. nel caso di pagamento effettuato in sua pendenza), che rileva unicamente quale diritto/dovere in capo agli amministratori di rifiutare il rimborso del finanziamento al ricorrere della situazione di “crisi qualificata” ex art. 2467, co. 2, c.c.[89]
5. Conclusioni: la postergazione quale condizione in senso “a-tecnico” e i profili di responsabilità degli amministratori. Cenni.
Alla luce delle considerazioni svolte, la concezione sostanziale della postergazione configura una condizione incidente sull’esigibilità del credito al rimborso solo in senso “a-tecnico”[90], in quanto subordina sì il rimborso alla previa soddisfazione “astratta” dei crediti antergati, ma non incide sull’efficacia del rimborso che sia ciononostante stato effettuato.
Volendo a questo punto individuare l’autentico risvolto innovativo scaturente della svolta sostanzialista della postergazione, si ritiene che esso consista nell’ampiamento dei doveri e della responsabilità degli amministratori nella scelta in ordine al rimborso del finanziamento effettuato dal socio, in linea con la più generale responsabilizzazione dell’organo gestorio demandata dalla riforma della crisi d’impresa «in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale», ai sensi dell’art. 2086, co. 2, c.c.
A tal proposito, è indubbio che il compito demandato agli amministratori della società debitrice non sia di facile esperimento, dovendo esso parametrarsi sulla (ed attivarsi alla) ricorrenza di un “concorso virtuale” tra i creditori sociali, per il cui accertamento si ritiene – anche sulla base della prima giurisprudenza maturata sul punto – giocherà un ruolo importante il raffronto con gli “indicatori della crisi”, previsti nell’ambito dell’introducendo “sistema dell’allerta” ex art. 13 CCI, unitamente ai parametri tecnici elaborati, con cadenza almeno trimestrale, dal CNDCEC.
Va inoltre osservato che la maggiore responsabilizzazione del ruolo dell’organo gestorio trova oggi – ove se ne fosse sentita la necessità – una conferma espressa all’art. 2476, co. 6, c.c., laddove si prevede, anche nell’ambito della S.r.l., l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori esercitabile dai creditori sociali. Infatti, riprendendo la lettera di tale norma, si osserva come la valutazione demandata agli amministratori in ordine al rimborso del finanziamento attenga proprio ad un giudizio relativo «alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale», con la conseguenza che i creditori sociali non subordinati potranno agire nei loro confronti proprio «quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti».
A ciò deve aggiungersi, almeno per quanto riguarda la S.r.l., la responsabilità solidale del socio che abbia eventualmente autorizzato il compimento dell’atto consistente nella concessione del finanziamento anomalo, ai sensi dell’art. 2476, co. 8, c.c.[91]
In conclusione, sono diversi gli indici che testimoniano, pur nella conclamata affermazione della concezione sostanziale della postergazione legale, che il danno al patrimonio della società determinato dal rimborso del credito postergato debba trovare rimedio negli strumenti di diritto societario e fallimentare predisposti dall’ordinamento a tal fine, evitando, più di quanto già non accada, l’indebito ricorso alle norme di diritto comune direttamente incidenti sul rapporto obbligatorio con il socio finanziatore. In ultima analisi, è proprio la causa societatis ultimamente sottesa alla ratio della postergazione legale che sconsiglia di ritenere la postergazione operante alla stregua di una vera e propria condizione sospensiva nell’ambito del rapporto obbligatorio intercorrente tra la società e il socio finanziatore.
[1] Già la Relazione Illustrativa che ha accompagnato la riforma aveva fatto palese le difficoltà d’interpretazione della norma, così preannunciando, in via di fatto, l’esigenza di un apporto ermeneutico ulteriore. In particolare, all’art. 11, stabiliva che “il problema più difficile è senza dubbio quello di individuare criteri idonei a distinguere tale forma di apporto rispetto ai rapporti finanziari tra soci e società che non meritano di essere distinti da quelli con un qualsiasi terzo”.
[2] La bibliografia inerente alla ratio, i requisiti e l’ambito d’applicazione della regola di cui all’art. 2467 c.c., recante la disciplina della postergazione dei finanziamenti soci, richiamata dall’art. 2497-quinquies c.c. nell’ambito dei gruppi di società, è talmente vasta da non poter essere ricondotta ad unità in questa sede. Basti il riferimento, tra le sole opere monografiche, a M. Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005 e R. Calderazzi, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, Milano, 2012, p. 149.
[3] Il riferimento è alla realtà delle PMI (piccole e medie imprese), che, secondo i dati più recenti, rappresentano il 92% delle imprese attive (escludendo dal calcolo le imprese “dormienti” con fatturato a zero nell’ultimo anno dalla rilevazione). Cfr. Pmi, quanto conta in Italia il 92% delle aziende attive sul territorio?, reperibile sul sito www.infodata.ilsole24ore.com, 10 luglio 2019.
[4] Anche se, ormai, la giurisprudenza ritiene la disciplina pacificamente riferibile anche alla società per azioni a struttura c.d. “chiusa”. Da ultimo, Trib. Milano, 9 giugno 2019, in www.leggiditalia.it; Trib. Bologna, 31 gennaio 2019, in www.ilsocietario.it e, nella giurisprudenza di legittimità, Cass. 20 luglio 2018, n. 16291, in Foro it., 2018, I, 2750.
[5] Art. 8 D.L., 8 aprile 2020, n. 23, conv. L., 5 giugno 2020, n. 40 (c.d. Decreto Liquidità).
[6] Così la Relazione Illustrativa all’art. 8 del c.d. Decreto Liquidità.
[7] Cfr., anche per un’analisi critica in ordine alle modalità di attuazione di tale regola, V. Sangiovanni, I finanziamenti dei soci nella legislazione emergenziale da Covid-19, in www.ilsocietario.it, Focus del 24 aprile 2020.
[8] Prima fra tutte, Cass., 15 maggio 2019, n. 12994, in www.ilcaso.it; al cui orientamento si sono disciplinatamente allineate – senza che a tale seguito sia stato riservato il dovuto riscontro da parte degli interpreti – Trib. Milano, 14 febbraio 2020, n. 1465, in DeJure; App. Salerno, 20 febbraio 2020, n. 221, in DeJure; Trib. Roma, 3 aprile 2020, n. 5753, in DeJure e, da ultimo, Cass., 20 agosto 2020, n. 17421, in DeJure.
[9] A mezzo del D.Lgs., 12 gennaio 2019, n. 14, a cui peraltro ha fatto immediatamente seguito la L., 8 marzo 2019, n. 20, recante “Delega al Governo per l’adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega per la riforma delle disciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui alla legge 19 ottobre 2017, n. 155”. A tal riguardo, in data 23 dicembre 2019, è stata pubblicato lo schema di un primo decreto correttivo, successivamente approvato dal Consiglio dei Ministri.
[10] A norma dell’art. 383 CCI, «All'articolo 2467, primo comma, del codice civile sono soppresse le parole “e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito”». Tale modifica entrerà in vigore a partire dal 1° settembre 2021.
[11] Così, in tema di procedura di sovraindebitamento del consumatore, il Trib. Ancona, 16 luglio 2019, in www.ilcaso.it, che a sua volta ha richiamato l’orientamento di Cass., 29 marzo 2019, m. 8989, in www.ilcaso.it, espresso in tema di risoluzione del contratto di leasing. Sul tema, cfr. F. Pacileo, La concezione “sostanziale” dei finanziamenti “anomali” dei soci nella giurisprudenza recente e nella riforma del diritto della crisi d’impresa, in Dir. fall., 3-4, 2020, p. 742. Lo stesso criterio ermeneutico è stato appunto adottato dal Cass., 15 maggio 2019, n. 12994, cit. al fine di pronunciarsi in favore della concezione sostanzialista della postergazione legale.
[12] Il riferimento è a Cass., 15 giugno 2020, n. 11524, in www.ilcaso.it, che in relazione alla disciplina della sospensione dei contratti dianticipazione bancaria contro cessione di credito e mandato all’incasso con patto di compensazione nel concordato preventivo, ha affermato che “in conclusione, la futura modifica, che sarà apportata dal decreto correttivo sopra esaminato, alla disciplina delle operazioni c.d. autoliquidanti rafforza ancora di più il convincimento che, invece [enfasi aggiunta], secondo il quadro normativo attualmente esistente, la Banca, con l'erogazione dell'anticipazione al cliente, ha compiutamente eseguito la sua prestazione. Ne consegue l'inapplicabilità della L.Fall., art. 169 bis.”
[13] Per un’analisi delle innovazioni arrecate dalle recenti modifiche al codice civile, cfr. N. Abriani-A. Rossi, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Società, 2019, 393 ss.
[14] Se non di un vero e proprio “addio”, come da ultimo rilevato da L. Panzani-M. Arato, Il codice della crisi: un rinvio o un addio?, in www.ilcaso.it del 5.10.2020.
[15] D’altronde, solo laddove sussiste un concorso si assiste alla formazione di diverse masse passive e ad una classificazione dei crediti vantati nei confronti del debitore comune che tenga conto dell’ordine di distribuzione delle somme acquisite all’attivo della procedura sulla base delle disposizioni di legge e delle cause legittime di prelazione e, appunto, di subordinazione. In termini, cfr. G.M. D’Aiello, Finanziamenti anomali dei soci: postergazione legale e concorso dei creditori, in Fallimento, 2020, I, p. 51, in cui viene evidenziata l’“evidente vocazione concorsuale” della norma.
[16] A differenza di quanto avviene in analoghe discipline europee, quali quella tedesca e quella spagnola, in cui la regola della postergazione dei finanziamenti soci è espressamente prevista nella legge fallimentare. Cfr. Ibidem, (nt. 1).
[17] Fra i sostenitori di questa tesi, senza alcuna pretesa di esaustività, cfr. G.B. Portale, I “finanziamenti” dei soci nelle società di capitali, in B.B.T.C., 2003, VI, p. 681; G. Terranova, sub art. 2467, in Società di capitali: Commentario, a cura di G. Niccolini-A. Stagno d'Alcontres, III, Napoli, 2004, p. 1464, ove ulteriori riferimenti bibliografici; G. Zanarone, sub art. 2467, in Codice Civile. Commentario, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2010, p. 467; D. Vattermoli, Crediti subordinati e concorso tra creditori, Milano, 2012, p. 128; L. Mandrioli, Disciplina dei finanziamenti soci nelle società di capitali, in Società, 2006, p. 177;A. Piaccau, Esigibilità dei finanziamenti postergati ex lege e la loro rilevanza ai fini dello stato di insolvenza della società, in Giur. comm., 2018, I, p. 257 ss.; G.M. D’Aiello, op. cit., p. 51 ss.; S. Bonfatti, Prestiti da soci, finanziamenti infragruppo e strumenti “ibridi” di capitale, in Il rapporto Banca-Impresa nel nuovo diritto societario, a cura di S. Bonfatti-G. Falcone, atti del convegno di Lanciano 9-10 maggio 2003, Milano, 2004, p. 311; G. Lo Cascio, La postergazione e la restituzione dei rimborsi dei finanziamenti, in La riforma del diritto societario, vol. 8, a cura di ID, Milano 2003, p. 79. In giurisprudenza, cfr., ex multis, Cass., 24 ottobre 2017, n. 25163, in www.ilcaso.it; Trib. Roma, 1° giugno 2016, in Società, 2017, I, p. 41 ss.; Trib. Lecce, 13 gennaio 2015, in B.B.T.C., 2016, VI, p. 765 ss.; Trib. Milano, 4 giugno 2013, in Giur. comm., 2015, II, p. 160 ss.; Trib. Firenze, 26 aprile 2010, inwww.pluris.it, il quale ha affermato che “[…] al di fuori del concorso, non v’è motivo di trattare il credito del socio in maniera diversa dall’ordinario (vale a dire, con pagamento dell’intero importo e alla naturale scadenza)».
[18] Così G. Terranova, op. cit., p. 1464; A. Bonsignori, Del concordato preventivo (Art. 160-186),in Commentario l. fall., Scialoja-Branca, Bologna, 1979, p. 51, da cui l’assimilabilità della postergazione ad un “privilegio negativo, o alla rovescia”.
[19] Cfr. R. Calderazzi, op. cit., p. 200 s., per l’osservazione secondo cui “[…] sarà in sede di riparto fallimentare (o in caso di esecuzione forzata su singoli beni sociali), che la legge, imponendo un concorso paritario tra creditori, consentirà il rimborso ai soci finanziatori, solo dopo che siano stati pagati gli altri creditori concorrenti”, dovendo diversamente valere il principio secondo il quale, nella società in bonis, “i debiti vengono soddisfatti alle rispettive scadenze, man mano che i corrispondenti crediti diventano esigibili”.
[20] Cfr. G. Ferri jr, In tema di postergazione legale, in Riv. dir. comm., 2004, I, 980 ss.
[21] In termini, cfr. L. Mandrioli, op. cit., p. 177 s.; G.M. D’Aiello, op. cit., p. 52; S. Bonfatti, op. cit., p. 311; G. Lo Cascio, op. cit., p. 79; R. Calderazzi, op. cit., p. 200.
[22] Cfr. S. Monti, La crisi e l’insolvenza dei e nei gruppi di imprese, in S. Sanzo e D. Burroni (a cura di), Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, Bologna, 2019, p. 352, tra i primi commenti al CCI, secondo cui “a fronte della novella, il rimborso di tali finanziamenti risulta semplicemente postergato rispetto alla soddisfazione dei creditori”.
[23] Cfr. F. Pacileo, op. cit., secondo cui “tale riformulazione distingue chiaramente e colloca nelle rispettive sedi le norme di diritto societario e quelle di diritto concorsuale, norme che invece erano tutte contenute nell’originario dispositivo dell’art. 2467 c.c.”.
[24] Cfr., ex multis, M. Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, p. 97, ed, in particolare, l’osservazione per cui la tesi in oggetto “[…] consente, in primo luogo, di sfruttare appieno tutte le potenzialità applicative della regola statuita dall’art. 2467; inoltre, di dar conto della non sicura riconducibilità dei presupposti dell’”anomalia” del finanziamento, […] entro la nozione di insolvenza di cui all’art. 5 l. f.; infine, di spiegare più agevolmente il senso di un’operatività della postergazione anche nel corso di una procedura di liquidazione volontaria”. In termini, cfr. M. Campobasso, Finanziamento del socio, in B.B.T.C., 2008, I, p. 450 ss.; N. Abriani, Finanziamenti “anomali” dei soci e regole di corretto finanziamento nelle società a responsabilità limitata, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenza. Studi in onore di Giuseppe Zanarone, diretto da P. Benazzo- M. Cera-S. Patriarca,Torino, 2011, p. 317 ss.; R. Calderazzi, op. cit., p. 199 ss.; I. Mecatti, Finanziamenti soci e società sottocapitalizzata al momento della costituzione, in B.B.T.C., 2017, IV, p. 529; G. Balp, I finanziamenti dei soci “sostitutivi” del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, Riv. soc. 2008, 2-3, p. 364 ss. In giurisprudenza, Cass., 20 agosto 2020, n. 17421, cit.; Trib. Roma, 3 aprile 2020, n. 5753, cit.; App. Salerno, 20 febbraio 2020, n. 221, cit.; Trib. Milano, 14 febbraio 2020, n. 1465, cit.; Cass., 15 maggio 2019, n. 12994; Trib. Roma, 5 febbraio 2019, in www.ilcaso.it; Trib. Livorno, 20 novembre 2018, in www.ilcaso.it; Trib. Roma, 6 febbraio 2017, in Giur. it., 2017, p. 1139; Trib. Milano, 13 Milano, 13 giugno 2016, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Torino, 21 marzo 2016, in Società, 2016, p. 900;Trib. Milano, 11 novembre 2011, in Giur. comm., 2012, II, p. 123 ss.
[25] Cfr., letteralmente, M. Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e riorganizzazione dell’impresa nel Codice della crisi, in (a cura di) M. Irrera, La società a responsabilità limitata: un modello transtipico alla prova del Codice della Crisi. Studi in onore di Oreste Cagnasso, Torino, 2020, p. 207.
[26] Così, letteralmente, R. Calderazzi, op. cit., p. 201, di cui si è ritenuto di riprodurre il contenuto datane l’efficacia espressiva. Sulla “graduazione delle condizioni economiche” rilevanti ai fini dell’applicazione della norma, prosegue così: “[…] ai fini della individuazione della fattispecie, la società non deve trovarsi in stato di insolvenza (dovendo, in tal caso, gli amministratori attivarsi per il ricorso alla procedura fallimentare o a soluzione concordatarie della crisi), né tanto meno in una condizione di fisiologico equilibrio patrimoniale, trattandosi in tal caso, di normali finanziamenti; deve – al contrario – trovarsi in condizioni di squilibrio che qualificano sin dall’inizio – attraverso l’iscrizione in bilancio – quel finanziamento postergato”.
[27] Per una nota esaustiva alla sentenza in esame, cfr. G.M. D’Aiello, op. cit., p. 51 ss.
[28] Ad esempio, in Cass., 24 luglio 2007, n. 16393, in R.D.S., II, 2009, p. 289.
[29] Fra i primi a seguito della pronuncia, cfr. G.M. D’Aiello, op. cit., p. 52 s. Seppur antecedentemente alla pronuncia in questione, argomentazioni critiche a tale impostazione erano di recente state mosse anche da M. Fabiani, Per la chiarezza delle idee su compensazione e postergazione, in Dir. banca e merc. fin., 2019, I, p. 69 ss. e 75. In termini non dissimili, sempre anteriormente alla pronuncia, cfr. A. Piacciau, op. cit., p. 260 ss.
[30] In questo senso, appare rilevante quanto previsto dall’art. 221 CCI (rubricato “Ordine di distribuzione delle somme”), il quale, collocando i crediti postergati all’ultimo grado nell’ordine del riparto dell’attivo, conferma che la regola della postergazione attiene al rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione. Cfr. G.M. D’Aiello, op. cit., p. 53.
[31] Seppur in un diverso conteso argomentativo, cfr. A. Piacciau, op. cit., p. 260 s., il quale, muovendo dalla disciplina dell’art. 510 c.p.c., sostiene che “ragionare altrimenti nei casi in cui sussistano creditori postergati ex lege implicherebbe attribuire ai creditori-terzi (anche chirografari) una tutela maggiore rispetto a quella che l’ordinamento riconosce ai creditori privilegiati di soggetti societari e non”.
[32] Che la qualificazione del credito in termini di inesigibilità producesse effetti anche quanto al rapporto interno di amministrazione era prospettiva già prefigurata in dottrina. Cfr. G. Presti, sub 2467, in Codice commentato delle s.r.l., diretto da P. Benazzo - S. Patriarca, Milano, 2006, 99 ss;
cit., p. 116 ss.; il quale ritiene che gli amministratori siano esposti a responsabilità nel caso procedano al rimborso del socio senza aver valutato la situazione della società secondo il parametro della diligenza professionale, gravando su di essi il dovere di salvaguardare la solvibilità della società. In termini, cfr., ABRIANI, op. ult. cit., p. 337 ss. In giurisprudenza, Trib. Roma, 1° giugno 2016, in Società, 2017, p. 41, con nota di Pecoraro.
[33] Cass., 15 maggio 2019, n. 12994.
[34] Sul nuovo art. 2086, co. 2, c.c., cfr., per tutti, P. Montalenti, Gestione dell’impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta nella riforma Rordorf, in Nuovo dir. soc., 2018, p. 951.
[35] La rimodulazione della legislazione sulla crisi d’impresa in chiave preventiva era fatto già da tempo auspicato, nonché espressamente previsto, oltre che dai principi contenuti nella legge delega elaborata dalla Commissione Rordorf, dalla normativa europea, ad opera della Raccomandazione n. 2014/135/UE della Commissione e del Regolamento UE 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio. Per di più, tale carattere risulterà essere ancor più accentuato dalla necessità di dare implementazione alla Direttiva 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva (preventive restructuring frameworks), del 20 giugno 2019. Sul rapporto nascente tra la Direttiva e il CCI, cfr. L. Panzani, Il preventive restructuring framework nella Direttiva 2019/1023 del 20 giugno 2019 ed il codice della crisi. Assonanze e dissonanze, in www.ilcaso.it del 14 ottobre 2019.
[36] Così il Trib. Milano, 14 febbraio 2020, n. 1465 cit. Già prima, il Trib. Milano, 6 febbraio 2015, n. 1658, in www.giurisprudenzadelleimprese.it, aveva affermato che i presupposti di cui all’art. 2467, co. 2, c.c. “devono interpretarsi come voluti, dallo stesso legislatore, ad individuare una nozione unitaria di crisi che coincide con il rischio di insolvenza, idoneo a fondare una sorta di “concorso potenziale” tra tutti i creditori della società”. In termini, si vedano anche il Trib. Milano, 14 marzo 2014, n. 3621, in DeJure, e Trib. Milano, 15 dicembre 2014, n. 14951, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.
[37] Cfr. N. Abriani, op. cit., p. 344 ss., in cui l’esistenza di un vero e proprio solvency test da compiersi ad opera degli amministratori viene inferita anche da altri indici normativi già presenti nel nostro ordinamento.
[38] Vale la pena osservare come le esigenze di tutela che la postergazione mira a soddisfare si pongono anche con riferimento ai creditori sociali divenuti tali a seguito della concessione del finanziamento da parte del socio, potendo anche tali creditori rimanere danneggiati da un rimborso a favore del socio. Pertanto, la valutazione circa l’avveramento della condizione di cui si discorre dovrà essere effettuato rispetto anche a tali creditori.Cfr. R. Calderazzi, op. cit., p. 203 s.
[39] Come evidenziato anche dalla recentissima Cass., 20 agosto 2020, n. 17421, cit., ai sensi della quale, all’eventuale recupero dell’equilibrio da parte della società consegue che “la struttura rimediale della postergazione ex art. 2467 c.c., non troverà spazio e modo per operare: in una simile situazione, è da ritenere realizzata – ha sottolineato Cass., n. 12994/2019 – una situazione di soddisfazione, sia pure astratta, dei creditori esterni e dunque esistente uno status di regolare esigibilità”.
[40] Cfr. A. Bartalena, I finanziamenti dei soci nella s.r.l., in Analisi giuridica dell’Economia, 2003, 2, p. 397 s., secondo cui la condizione dovrebbe ritenersi soddisfatta, oltre che con il preventivo pagamento dei creditori sociali, anche con l’accontamento delle somme all’uopo necessarie.
[41] Così, lucidamente, F. Pacileo, op. cit., p.747, il quale evidenzia il rapporto di simbiosi nascente tra la concezione sostanziale della postergazione e la conservazione della continuità aziendale perseguita dal legislatore nella riforma del diritto della crisi d’impresa.
[42] Locuzione che si ritiene pressoché unanimemente volta a rendere assoggettabili alla disciplina della postergazione legale qualsiasi finanziamento in senso “giuridico”, inteso quale operazione avente per effetto la costituzione o la modificazione di un diritto di credito verso la società, in contrapposizione ad una sua accezione “aziendalistica”, nella quale rientra, invece, ogni forma di apporto patrimoniale non contraddistinto dalla rimborsabilità se non al termine della liquidazione della società o a del procedimento di riduzione del capitale. In termini, cfr., M. Campobasso, op. cit., p. 441.
[43] Fra i sostenitori di questa tesi, cfr., ex plurimis, G. Tantini, I versamenti dei soci alla società, in Trattato delle società per azioni, diretto daG.E. Colombo – G.B. Portale, Torino, 2004, p. 798; G. Presti, sub art. 2467, cit. p. 110.
[44] Cfr. M. Campobasso, op. cit., cit., p. 445.
[45] Sono diverse le argomentazioni poste a fondamento dell’autonoma valenza degli indici di anomalia in esame. In aggiunta alle considerazioni illustrate successivamente nella trattazione, cfr. ex plurimis, G.B. Portale, op. cit., cit., p. 681 il quale ritiene che il criterio della ragionevolezza rappresenti una sorta di criterio residuale rispetto al primo; F. Vassalli, Sottocapitalizzazione della società e finanziamenti dei soci, in Riv. dir. impr., 2004, p. 265, il quale ritiene che il primo criterio sia di natura patrimoniale, il secondo di natura finanziaria.
[46] Fanno leva sul dato letterale della norma al fine di giustificare l’autonoma valenza dei due requisiti M. Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, cit., p.159 e G.B. Portale, op. cit., p. 680 s. Ad opposte conclusioni giunge invece M. Irrera, La nuova disciplina dei “prestiti” dei soci alla società, in La riforma delle società, a cura di S. Ambrosini, Torino, 2003, p. 141, il quale sostiene che la congiunzione «oppure» non abbia valore disgiuntivo, ma meramente esplicativo.
[47] Cfr. F. Vassalli, op. cit., p. 265.
[48] La separazione concettuale tra sbilancio patrimoniale e situazione di illiquidità emerge costantemente anche dai più accreditati orientamenti in tema di insolvenza (art. 5 l. fall. – art. 2, co. 1, lett. b, CCI). Per tutti, cfr. G. Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1994, p. 63, secondo cui “è certo, dunque, che l’insolvenza non può avere altro referente se non la mancanza di attivo liquido in relazione alla dinamica aziendale” mentre lo sbilancio patrimoniale è altro fattore che rileva tutt’al più “per il diritto comune”.
[49] Cass., 24 luglio 2007, n. 16393, cit. In tema di «eccessivo indebitamento», cfr. anche Trib. Venezia, 3 marzo 2011, in Fall., 2011, p. 1350, la quale si è spinta a rapportarne la sproporzione rilevante ai fini dell’accertamento della sua sussistenza nella misura del patrimonio netto pari ad un quarto dell’indebitamento. Tale risultato è condiviso anche da G. Guerrieri, I finanziamenti dei soci, in La nuova società a responsabilità limitata, a cura di M. Bione - R. Guidotti - E. Pederzini, Padova, 2012, 59 ss., il quale ritiene che il parametro descrittivo di cui all’art. 2467, co. 2, c.c. possa essere ricostruito muovendo dal parametro numerico di cui all’art. 2545-quinquies, co. 2, c.c. in tema di distribuzione di dividendi, acquisto di proprie quote o azioni e assegnazione di riserve divisibili ai soci nell’ambito delle società cooperative.
[50] Sul punto, cfr. Trib. Venezia, 21 aprile 2011, in Fall., p. 1351.
[51] Come è stato rilevato, il riferimento al canone ragionevolezza nella Relazione si presta a più interpretazioni: o il legislatore, tramite lo stesso, ha inteso spiegare l’approccio a cui l’interprete deve attenersi nell’adozione del secondo parametro, oppure il canone della ragionevolezza è da intendersi come criterio super partes con il quale orientare l’interprete nell’applicazione di entrambe le clausole. In termini, cfr. R. Calderazzi, op. ult. cit. p. 181 s.
[52] Cfr. M. Maugeri, op. ult. cit., p. 160 s, il quale denota la “centralità di un approccio tipologico nella ricostruzione dei parametri di cui al secondo comma dell’art. 2467 c.c.”, che consisterebbe nel “ricorso ad un modello tipologico di condotta che ha riguardo alla situazione finanziaria della società”.
[53] Cfr. C. Angelici,La riforma delle società di capitali, in Il Nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa – G.B. Portale, I, Torino, 2006, p. 59; G. Balp, I finanziamenti dei soci “sostitutivi” del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. soc., 2007, p. 495.
[54] Cfr. M. Bione, Note sparse in tema di finanziamento dei soci e apporti di patrimonio, in il Diritto delle società oggi, cit. p. 33, che, a parere di chi scrive, confeziona la migliore formula interpretativa per l’applicazione delle due clausole alla luce di quanto detto, ai sensi della quale “si potrebbe allora concludere che il parametro dell’eccessivo squilibrio assume valenza autonoma nel solo caso in cui la società non si trova in situazione di precarietà quanto al rapporto tra indebitamento e consistenza del patrimonio, mentre rimane assorbito in quello della “ragionevolezza” nella situazione opposta”, concludendo lucidamente che “i due parametri, in buona sostanza, talvolta si presentano come alternativi, altre volte sono riducibili ad unità”.
[55] Cfr. L. Mandrioli, Disciplina dei finanziamenti soci nelle società di capitali, in Società, 2006, II, p. 175 ss.
[56] Tale condizione parrebbe poter essere provata anche ex post “con la disponibilità (espressa per iscritto) di uno o più istituti di credito a concedere un prestito alla società, a condizioni di mercato”. Così, seppur in termini dubitativi, L. De Angelis –C. Feriozzi, Srl, A rischio i finanziamenti dei soci, in Italia Oggi del 18 settembre 2003.
[57] Sul tema dell’indicizzazione dello stato di crisi, cfr. S. Leuzzi, Indicizzazione della crisi d’impresa e ruolo degli organi di controllo: note a margine del nuovo sistema, in www.ilcaso.it del 28 ottobre 2019.
[58] Trib. Milano, 14 febbraio 2020, n. 1465, cit.
[59] Cfr., da ultimo, Cass., 20 agosto 2020, n. 17421, cit.; Trib. Milano, 14 febbraio 2020, cit.
[60] Cfr. G. Ferri jr, op.cit., p. 974.
[61] Cfr. R. Calderazzi, op. cit., p. 186 s.
[62] Cfr. M. Campobasso, op. cit., p. 450.
[63] Si ritiene che tale impostazione non sia destinata a mutare alla luce di Cass., 20 agosto 2020, n. 17421, la quale ha, in modo apparentemente tranchant, affermato che “a rilevare, al riguardo, è il tempo in cui il finanziamento viene concesso: su questo momento si ferma la valutazione relativa allo squilibrio patrimoniale della società che riceve il finanziamento”; sennonché, come si comprende nel proseguo della pronuncia, tale valutazione attiene solo all’individuazione del “dies storico statico”, e, come tale, all’astratta riconducibilità dei finanziamenti soci alla fattispecie normativa dell’art. 2467 c.c., la cui effettiva applicabilità dovrà necessariamente essere subordinata al previo riscontro della perdurante situazione di “crisi qualificata” alla data della richiesta di rimborso del finanziamento, la quale ben potrà medio tempore essere venuta meno “con la conseguenza, nell’evenienza, che la struttura rimediale della postergazione ex art. 2467 c.c., non troverà spazio e modo per operare.”
[64] Oltre a quanto già messo in rilievo in merito all’attinenza della regola postergazione al rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione, cfr. V. Vattermoli, op. cit., p. 24 ss., per una ricostruzione della postergazione, non già come condizione dell’esigibilità del relativo credito, ma come differimento convenzionale del termine dell’adempimento. Da ciò, il rilievo per cui la postergazione ex art. 2467 c.c. non incide “sulla relazione [...] verticale “debitore-creditore subordinato”, che è e rimane perfetta e certa; quanto sulla relazione [...] orizzontale “creditore subordinato-altri creditori concorrenti””.
[65] Cfr. G.M. D’Aiello, op. cit., p. 52 ss., la quale definisce le conseguenze a cui giunge la tesi sostanzialista “per un verso contraddittorie, per un verso paradossali”. “Contraddittorie”, prosegue, “perché alla severità del trattamento dei finanziamenti dei soci durante societate non corrisponde analoga severità in ipotesi del concorso fallimentare”, portando ad esempio di ciò la circostanza che gli stessi finanziamenti che l’art. 2467 c.c. qualifica come postergati, potrebbero diversamente risultare prededucibili a fallimento aperto, se presentati come finanziamenti c.d. ponte o alla ristrutturazione, ai sensi del 182-quater l. fall. (in futuro, artt. 101 e 102 CCI), generando così incentivi “perversi”. Argomento, quest’ultimo, non condiviso appieno da chi scrive, almeno per ciò che attiene ai finanziamenti c.d. ponte, dato che per questi ultimi la prededucibilità nel fallimento è subordinata dall’art. 182-quater, comma 2, l. fall., alla previa indicazione degli stessi nel piano concordatario o nell’accordo di ristrutturazione e alla espressa previsione in tal senso del provvedimento di accoglimento o di omologa del Tribunale. Sicché, contando, inoltre, che tali finanziatori, in ragione della bramata prededucibilità, non possono prendere parte alla votazione e sono esclusi dal computo della maggioranza per l’approvazione del concordato o della percentuale dell’accordo (art. 182-quater, comma 5), la convenienza e l’opportunità di tali finanziamenti sarà sempre rimessa alla valutazione degli altri creditori, da cui l’impossibilità che si generino effetti perversi ipso iure. “Paradossali”, infine, “perché [...] i finanziamenti anomali dei soci sarebbero sottoposti a un regime più severo di quello del capitale, dal momento che i conferimenti o i versamenti a fondo perduto possono essere restituiti deliberando la riduzione volontaria del capitale o la liberazione della relativa riserva (senza dover attendere l’integrale pagamento dei creditori sociali, purché in assenza di opposizione)”.
[66] Cass., 15 maggio 2019, n. 12994, cit.
[67] Invero, l’art. 633, ultimo comma, c.p.c., subordina la pronuncia dell’ingiunzione alla presentazione, da parte del ricorrente, di elementi utili a far presumere l’avveramento della condizione, non risultando, diversamente, che il creditore abbia il potere di pretendere l’adempimento. In giurisprudenza, cfr., ex multis, Cass, 2 maggio 1987, n. 4125, in DeJure, fatta salva la possibilità della pronuncia di condanna del debitore al pagamento, per effetto dell'eventuale sopravvenienza di quella condizione nel corso del giudizio d'opposizione.
[68] Per un’efficace rappresentazione di quanto descritto, cfr. Trib. Milano, 4 giugno 2013, in Giur. Comm., 2015, II, p. 160, fattispecie in cui il Tribunale ha accolto l’opposizione della società debitrice e revocato il decreto originariamente concesso al socio. Cfr., inoltre, Trib. Milano, 15 gennaio 2014 e Trib. Milano, 26 marzo 2015, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.
[69] Cfr. A. Picciau, op. ult. cit., p. 252 ss, il quale osserva come, nella realtà dei fatti, considerati i tempi lunghi del processo civile, il socio potrebbe ingiustamente trovarsi nella posizione di non poter acquisire un titolo esecutivo neppure quando, medio tempore, la società debitrice avesse raggiunto una consistenza patrimoniale sufficiente per pagare tutti i creditori per poi perderla in progresso di tempo. Su tali assunti, l’A. giunge (addirittura) a definire gli esiti dell’inesigibilità del credito postergato in un rapporto di contrasto con l’art. 24 Cost. e di disallineamento rispetto agli interessi tutelati dall’art. 2467 c.c.
[70] La questione si è posta in giurisprudenza in riferimento alla compensabilità tra il credito del socio avente ad oggetto la restituzione di un precedente finanziamento e il debito da conferimento inerente all’ammontare dell’aumento del capitale già deliberato. Sul tema, cfr. Trib. Roma, 6 febbraio 2017, in www.giustiziacivile.com, n. 10/2017. Nella fattispecie, il Tribunale, privilegiando la qualifica della postergazione in termini di inesigibilità del credito del socio, ha coerentemente escluso la possibilità di dare luogo sia alla compensazione legale che a quella volontaria. In termini, cfr. A. Abatecola, Compensazione tra il debito del socio e il suo credito a titolo di finanziamento. Limiti derivanti dalla postergazione del rimborso, in www.giustiziacivile.com, n. 2/2018.
[71] La compensazione legale estingue ope legis i debiti contrapposti in virtù del solo fatto oggettivo della loro contemporanea sussistenza, sicché la pronuncia del giudice eventualmente adito si risolve in un accertamento dell’avvenuta estinzione dei reciproci crediti delle parti dal momento in cui sono venuti a coesistenza; tuttavia, la compensazione, in quanto esercizio di un diritto potestativo, non può essere rilevata d’ufficio e deve essere eccepita da chi intende avvalersene, senza necessità che la relativa manifestazione di volontà sia espressa mediante l’uso di formule sacramentali, essendo sufficiente che dal comportamento della parte risulti univocamente la volontà di ottenere la dichiarazione dell’estinzione del debito. Cfr., ex multis, Cass., 13 maggio 2014, n. 10335, in DeJure.
[72] Cfr. A. Abatecola, op. cit., il quale, discorrendo dell’obbligo degli amministratori di non procedere al rimborso, precisa come la compensazione rappresenti, sotto il profilo logico-giuridico, una vera e propria forma di “restituzione” del finanziamento. In giurisprudenza, cfr. Trib. Roma, 6 febbraio 2017, cit.
[73] Cfr. M. Maugeri, op. cit., p. 140 ss.; U. Tombari, Apporti spontanei” e “prestiti” dei soci nelle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, cit., p. 562; A. Picciau, op. cit., p. 256.
[74] Cfr. M. Campobasso, La postergazione dei finanziamenti dei soci, in S.r.l. Commentario dedicato a Portale, a cura di A. Dolmetta – G. Presti, Milano, 2011, p. 252.
[75] L’inderogabilità delle norme in tema di postergazione legale deriva dal carattere imperativo di cui risultano dotate. In particolare, la natura imperativa dell’art. 2467 c.c. deve ritenersi ricavata dalla proibizione ivi espressa e sanzionata, volta a tutelare un valore fondamentale dell’economia, ossia la protezione dell’interesse dei creditori non soci. Cfr., M. Greggio, Il difficile rapporto tra postergazione dei crediti infragruppo e compensazione, in Il Fallimentarista, Focus del 29 luglio 2016.
[76] Lo rileva N. Abriani, Finanziamenti anomali infragruppo e successiva rinegoziazione: tra postergazione legale e privilegio (due pareri pro veritate), in RDS, 2009, p. 731 ss., ove si osserva che la postergazione riveste “efficacia reale” proprio in virtù della sua fonte legale.
[77] Tale questione meriterebbe ben altra trattazione e livello di approfondimento, stante le peculiarità sottese alle ratio rispettivamente sotteseall’art. 2467 c.c. e all’art. 56 l. fall. Tra gli autori che hanno da ultimo trattato l’argomento ex professo, giungendo a conclusioni peraltro opposte (se non si sbaglia), cfr. M Fabiani, op. cit., p. 35 ss e A. Santoni, Il rapporto tra compensazione e postergazione nei finanziamenti infragruppo, in RDComm., 2019, II, p. 313 ss. Tali autorevoli interventi, a cui si rinvia, sono stati propiziati da un noto lodo (c.d. Lodo Selcom) abilmente pronunciato nell’ambito di tre, intrecciate, procedure di concordato preventivo cui avevano fatto accesso tre società collegate che fra loro avevano intrattenuto rapporti commerciali e finanziari e rispetto alle quali, in presenza di crediti sicuramente postergati – e di altri di cui si poteva discutere della ricorrenza di tale categoria – si doveva stabilire se ogni società dovesse partecipare per l’intero credito alla procedura della società collegata-debitrice e, simultaneamente, dovesse soddisfare secondo il regime concorsuale i crediti delle società collegate, oppure se fosse possibile partecipare sì, ma al netto delle compensazioni.
[78]Cfr. P. Perlingueri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento, in Trattato Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1975, p. 258, il quale sottolinea come la compensazione, realizzando la possibilità di evitare due adempimenti separati, sia funzionale non solo a prevenire il moltiplicarsi delle liti, ma si ponga ulteriormente a garanzia del creditore, risparmiandogli il rischio di adempiere senza ricevere a sua volta l'adempimento.
[79]Cfr. G. Guizzi, Il passivo, in Manuale breve di diritto fallimentare, a cura di AA. VV., Milano, 2013, p. 293, ad avviso del quale l’art. 56 l. fall “segna una rilevante discontinuità con i principi generale dell'esecuzione concorsuale, appunto perché il mancato integrale pagamento del debito verso il fallito conduce ad un decremento dell'attivo fallimentare”. Sul punto, cfr., anche, M. Fabiani, op. cit., p. 78, il quale definisce apertamente l’art. 56 l. fall. come “un punto di svolta rispetto ai dogmi della par condicio creditorum”.
[80] Cfr., ex multis, Cass., 15 luglio 2016, n. 14615, in DeJure, che riafferma l'insegnamento consolidato della S.C. ai sensi del quale la ratio della norma sia da cogliere nell'esigenza “di evitare che il debitore del fallimento, che bene abbia corrisposto il credito di questo, sia poi esposto al rischio di realizzare a sua volta un proprio credito in moneta fallimentare”.
[81] Cfr. M. Fabiani – G. La Croce, L'istituto della compensazione nel concordato preventivo: una operatività a 360 gradi, in Fall., 2015, p. 635; A. Nigro – D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2013, p. 149, i quali sottolineano, appunto, che l’omogeneità e l’esigibilità sono requisiti che non hanno a che vedere con il rango del credito che si intende compensare, sicché il fatto che il fatto che i due controcrediti siano di rango diverso non incide, di per sé, sull’operare del meccanismo compensativo.
[82] Così A. Picciau, op. cit., p. 272 ss., ad avviso del quale il legislatore fallimentare, a mezzo dell'art. 56 l. fall., “ha operato una scelta di giustizia sostanziale che prescinde dalla natura e dalla genesi del credito verso il soggetto fallito”. Nel senso dell'applicabilità della compensazione, cfr., inoltre, G. Guerrieri, op. cit., p. 94.
[83] Cfr. A. Picciau, op. cit., p. 273.
[84] Cfr. A. Santoni, op. cit., p. 315; S. Locoratolo, Postergazione dei crediti e fallimento, Milano, 2010, p. 139 ss., il quale rileva che, ammettendo la compensazione dei crediti postergati, si realizzerebbe una “riduzione dell'attivo destinato al soddisfacimento integrali degli altri creditori”, giungendo così a decretarne l’incompatibilità con la disciplina della postergazione legale dei crediti ex art. 2467 c.c.
[85] Cfr. D. Vattermoli, op. cit., p. 369 ss., ad avviso del quale sarebbe “la stessa funzione satisfattoria della compensazione a porsi in insanabile contrasto con l'obiettivo perseguito dalla legge con la subordinazione involontaria”. Analogamente, cfr. S. Bonfatti – P.F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Torino, 2011, p. 133, per l'osservazione per cui la compensazione dei crediti postergati produrrebbe “un risultato equivalente al soddisfacimento del 100% della propria pretesa”.
[86] Cfr., per tutti, M. Campobasso, op. ult. cit., n. 70, il quale dalla duplice premessa che la postergazione, a differenza di una normale condizione, “non incide sull’esistenza della pretesa, ma impone un vincolo di destinazione sulle somme oggetto del finanziamento a vantaggio dei creditori non subordinati” e che l’inesigibilità del credito postergato è “espressione di un vero e proprio divieto legale di effettuare il rimborso finché la società è a rischio di insolvenza”, destinato ad operare “anche nella fase ordinaria di funzionamento della società”, perviene alla conclusione che “la società possa ripetere dal socio l’importo pagato in violazione del divieto, onde far profittare tutti i creditori del risultato utile dell’azione recuperatoria anziché il solo creditore agente in revocatoria”.
[87] Accedendo alla tesi di chi considera il pagamento di un credito sottoposto a condizione sospensiva alla stregua di un pagamento di un indebito. Cfr. E. Moscati, La disciplina generale delle obbligazioni, Torino, 2012, p. 217, ai sensi del quale, prima del verificarsi dell’evento dedotto in condizione, “la parte non è titolare di un diritto di credito, ma di una semplice aspettativa, per cui non potrebbe esigere la prestazione”. In termini simili, cfr. A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 2015, p. 1131; U. Breccia, Il pagamento dell’indebito, in Tratt. Dir. Priv., diretto da P. Rescigno, Torino, 1999, p. 933. Tuttavia, l’assunto non è pacifico, essendo tale tesi contestata da chi osserva che l’art. 2033 c.c. riguarda tradizionalmente ipotesi peculiari di mancanza di titolo di prestazione, il quale, nel caso dell’art. 2467 c.c., è invece indubbiamente costituito dal contratto di finanziamento, o dal diverso negozio da cui il socio deriva, anche indirettamente (si pensi alla garanzia dallo stesso eventualmente prestata a favore della società nell’interesse dell’altrui credito) il proprio diritto di credito nei confronti della società. Cfr. M. Prestipino, Finanziamenti dei soci nella s.r.l.: i presupposti di applicazione dell’art. 2467 c.c., in Giur. Comm., 2012, I, p. 126 ss.
[88] Sul rapporto intercorrente tra l’azione ex art. 2467, co. 1, c.c. e quelle ex artt. 65 e 67, co. 2, l. fall., cfr., P. Gobio Casali, I finanziamenti dei soci tra postergazione e azioni revocatorie, in www.ilcaso.it del 5 giugno 2017.
[89] Cfr. A. Picciau, op. cit., p. 257 ss., per cui “l’esigibilità è elemento che attiene al contenuto del rapporto obbligatorio; la postergazione (legale) attiene invece al profilo, del tutto diverso e non sovrapponibile, della responsabilità patrimoniale del debitore e la sua rilevanza giuridica postula l’incapienza della società debitrice, cioè deriva dalla situazione patrimoniale di quest’ultima”.
[90] Lo rileva anche G.M. D’Aiello, op. cit., p. 54, a cui si rinvia per ulteriori rilievi bibliografici, la quale, ragionando delle ripercussioni derivanti dalla qualificazione in termini di inesigibilità del credito del socio nell’ambito delle procedure concorsuali, ritiene, condivisibilmente, che lo stesso non debba insinuarsi con riserva, come previsto per i crediti condizionati. Invero, “l’ammissione con riserva è infatti funzionale ad attivare il meccanismo degli accantonamenti, che contrasta però con le finalità dell’art. 2467 c.c. e con la stessa postergazione, sottraendo risorse ai creditori antergati e di fatto impedendo proprio l’avveramento di quella “condizione” che consentirebbe il pagamento dei crediti postergati”; sicché, tale rilievo costituisce conferma del fatto che la postergazione non attiene, in ultima analisi, all’efficacia del rapporto obbligatorio, bensì alla tutela dell’integrità del patrimonio sociale.
[91] Cfr. P. Vella, Postergazione e finanziamenti societari nella crisi d’impresa, Milano, 2012, p. 132.
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