Tributario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 01/09/2020 Scarica PDF

Omesso versamento delle ritenute e solidarietà tributaria nei rapporti di sostituzione d'imposta

Michele Di Martino, Magistrato


1. L’obbligazione tributaria e la soggettività passiva tributaria.

Come noto, nell’ordinamento giuridico italiano, non esiste una definizione legislativa del tributo.

Tuttavia, esso viene generalmente qualificato dalla giurisprudenza come una prestazione patrimoniale imposta coattivamente dallo Stato, al fine di realizzare la partecipazione di tutti alla spesa pubblica[1].

È, insomma, il principale mezzo di finanziamento adottato dallo Stato, che reperisce, così, i mezzi necessari per perseguire i fini di interesse pubblico.

Anche la dottrina ha tentato di offrire una definizione di tributo, quale obbligazione avente ad oggetto una prestazione pecuniaria, a titolo definitivo, nascente direttamente o indirettamente dalla legge, al verificarsi di un presupposto di fatto[2].

Per obbligazione tributaria deve, quindi, intendersi un’obbligazione di diritto pubblico a carico di ciascun privato, consistente nell’obbligo di pagare all’erario una determinata somma di danaro, in ragione della propria capacità contributiva.

La sua fonte è legale, in quanto ha origine esclusivamente dalla, in forza del principio sancito all’art. 23 Cost. e anche la sua disciplina è stabilita interamente dalla legge, restando irrilevante la volontà dei soggetti del rapporto.

Trattasi di un’obbligazione in senso tecnico, sia pure connotata da una funzione sua propria e tipica che la differenzia dall’obbligazione di diritto civile.

Invero, l’imposta applicata secondo la legge regolatrice è strumento per il giusto riparto delle spese comuni[3].

Essendo volta al soddisfacimento di un interesse pubblicistico, l’obbligazione tributaria è indisponibile, non solo per i privati, ma anche per la stessa Amministrazione finanziaria, i cui poteri sono vincolati.

Il carattere dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria deriva dal complesso di principi costituzionali (artt. 2, 3 e 53) posti a tutela dei contribuenti (a subire un’imposizione giusta e proporzionale alla propria capacità contributiva) e dell’Erario (ad ottenere un gettito tale a coprire le spese) e, pertanto, ove si ammettesse il potere di disporre dell’obbligazione tributaria, si andrebbe contro gli interessi della collettività.

Ne deriva che l’Amministrazione finanziaria giammai potrà, tramite accordi interni con i privati, rinunciare ai tributi che gli sono dovuti in base alla legge.

Si osservi che detto principio, trova il suo fondamento all’interno dell’articolo 49 del Regolamento di Contabilità di Stato, a mente del quale “nei contratti con lo Stato, non si può convenire alcuna esenzione da qualsiasi specie di tributi vigenti all’epoca della loro stipulazione”.

Gli elementi essenziali della fattispecie tributaria, in cui si concretizzano le scelte politiche ed economiche sulle quali si fonda il tributo, sono: il soggetto attivo; il presupposto; la base imponibile; la misura dell’imposta il soggetto passivo.

Il soggetto attivo è il creditore e non sempre coincide con il soggetto che percepisce le somme prelevate (es. IRAP).

Il presupposto è il fatto o requisito al cui verificarsi sorge l’obbligazione tributaria, ovvero l’obbligo di provvedere al pagamento del tributo.

La base imponibile è la quantificazione monetaria del presupposto, che si esprime in un numero e può variare da soggetto a soggetto.

In altri termini, se il presupposto determina l’applicabilità di un tributo (an debeatur), la base imponibile ne determina la misura (quantum debeatur).

Il soggetto passivo è il debitore e di norma coincide con il contribuente, cioè con colui che subisce un decremento della propria ricchezza.

Tuttavia, vi sono dei casi in cui tale coincidenza non si realizza; ad esempio, nel caso dell’I.V.A., soggetto passivo è l’imprenditore, ma è il consumatore finale che subisce in concreto un decremento della propria ricchezza.

Si discute se i soggetti passivi dell’imposta si identifichino con i soggetti di diritto privato ovvero se sussista una soggettività tributaria più estesa rispetto alla soggettività privatistica.

È noto, infatti, che il sistema tributario si caratterizza per la peculiarità del procedimento di individuazione dei soggetti sottoposti al prelievo contributivo.

Ed è opinione altrettanto diffusa che la necessità di contemperare il particolare angolo visuale nel quale si pone il sistema fiscale con la disciplina di istituti propri ad altri settori - compresa la disciplina civilistica sulla soggettività - discenda dalla ratio di quel sistema e dalla peculiarità degli interessi da esso protetti[4].

Infatti, una cosa è la capacità giuridica, intesa come attitudine alla titolarità o attitudine alla realizzazione degli interessi propri della condizione oggettiva della norma; altro è la capacità alla contribuzione, da intendere non già come elemento costitutivo della capacità giuridica, seppur di diritto tributario, ma, semplicemente, come requisito legittimante il prelievo.

Al riguardo, si contendono il campo due opposti orientamenti: la teoria dualista e la teoria monista.

A mente della prima impostazione, la capacità giuridica tributaria, nel nostro ordinamento, come quello di altri Stati, non coincide con la capacità giuridica del diritto privato e ciò nel senso che, mentre tutte le persone fisiche e collettive tanto nel diritto privato quanto nel diritto pubblico, giuridicamente capaci secondo il diritto privato, sono, senz’altro, capaci anche per il diritto tributario, quest’ultimo, invece, attribuisce la capacità di essere soggettivi passivi d’imposta anche ad unioni di persone o a complessi di beni, sforniti, secondo il diritto privato, di capacità giuridica.

A supporto di tale tesi si invoca il disposto normativo di cui all’art. 73, comma 2, T.U.I.R., il quale stabilisce che, tra gli enti soggetti ad i.re.s., “si comprendono, oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifichi in modo unitario ed autonomo”.

Secondo altra impostazione, al contrario, vi può essere un soggetto passivo d’imposta solo in presenza di una persona fisica o di un ente dotato di soggettività giuridica di diritto privato; e ciò sulla base della considerazione per cui l’obbligazione tributaria, come ogni obbligazione, consiste nella soggezione del patrimonio dell’obbligato alla garanzia del creditore ex art. 2740 c.c. e, di conseguenza, soggetto passivo di tale soggezione non può che essere un patrimonio riferito ad un soggetto.

Invero, per quanto la teoria della capacità giuridica trovi il suo aggancio in disposizioni normative quali quella appena citata, vi è da dire che l’attribuzione di un’autonoma soggettività ad organizzazioni di persone e beni che non siano soggetti di diritto privato costituisce un mero artificio verbale.

Ciò in quanto i soggetti passivi dell’obbligazione tributaria restano comunque quei soggetti che, in quanto titolari di beni assoggettabili ad esecuzione, rispondono del pagamento del debito d’imposta.

Peraltro, è stato osservato che l’art. 73, citato, fa discendere dal verificarsi di un presupposto d’imposta “unitario ed autonomo” sia l’autonoma soggezione ad i.re.s dell’entità (organizzazione di persone o di beni) alla quale il presupposto è imputabile, sia l’autonomia della determinazione dell’imponibile e dell’imposta relativa al presupposto stesso[5].

 

2. La parasoggettività tributaria e le figure del sostituto e del responsabile d’imposta.

In diritto tributario, sono numerose le disposizioni normative che sanciscono un vincolo solidale tra più soggetti ai fini dell’adempimento di una medesima obbligazione nel caso in cui gli stessi abbiano concorso alla realizzazione di un medesimo presupposto di fatto dell’imposta.

Vengono, allora, in rilievo le problematiche legate al coinvolgimento nella riscossione di un tributo di più soggetti legati da un vincolo obbligatorio idoneo a consentire l’escussione di un solo condebitore per l’intera prestazione (salva rivalsa interna).

La solidarietà rinviene, in generale, la sua base normativa nell’art. 1292 c.c..

Per collocare l’istituto nel diritto tributario, occorre distinguere la solidarietà paritetica e solidarietà dipendente.

La prima si realizza allorquando il presupposto del tributo è posto in essere da una pluralità di soggetti, tutti obbligati all’adempimento dell’obbligazione tributaria (basti pensare, a titolo esemplificativo, agli eredi nell’imposta di successione); nella seconda, invece, il presupposto si riferisce ad un unico soggetto (obbligato principale) ma è prevista la responsabilità solidale di un altro soggetto (obbligato dipendente) che può rivalersi verso il debitore principale.

Tuttavia, nessun beneficio di escussione è previsto di regola a favore dell’obbligato dipendente, sicchè, nei confronti dell’ente creditore, obbligato principale e obbligato dipendente si pongono sullo stesso piano.

Si parla, in queste fattispecie, di parasoggettività tributaria, espressione di contiguità o comunque di partecipazione alla formazione della fattispecie.

La parasoggettività tributaria è definita, dal nostro Legislatore, nell’art. 64 del d.p.r. 600/1973, nel quale sono ravvisabili due diverse figure giuridiche: il responsabile d’imposta e il sostituto d’imposta.

È responsabile d’imposta colui che è tenuto al pagamento del tributo insieme con altri, per fatti e situazioni esclusivamente riferibili a questi ultimi (art. 64, comma 3, d.p.r. 600/1973).

Invece, il sostituto è colui che, in forza di disposizioni di legge, è tenuto al pagamento di imposte in luogo di altri per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, con obbligo di rivalsa, salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso.

Quindi, il sostituto è il soggetto che, per legge, è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili (art. 64, comma 1, D.P.R. n. 600/1973).

Si noti l’impiego dell’espressione “in luogo di altri”, che va intesa nel senso di “al posto di altri” e che, ad un tempo, va contrapposta alle fattispecie nelle quali qualcuno sia obbligato al pagamento del tributo “insieme ad altri”, vale a dire, per l’appunto, in veste di coobbligato.

Invero, in alcune ipotesi, il Legislatore, al fine di agevolare l’accertamento e la riscossione del tributo, addosserebbe, in via eccezionale, la prestazione anziché al soggetto cui è riferibile la concreta manifestazione di capacità contributiva (il sostituito) ad un altro e diverso soggetto (il sostituto), facendo leva su di una particolare relazione intercorrente fra l’uno e l’altro; con la conseguenza che unico ed esclusivo soggetto passivo d’imposta sarebbe, fin dall’origine, il sostituto, in luogo del sostituito.

La sostituzione d’imposta, pur rappresentando un istituto classico del diritto tributario, continua a destare rilevante interesse nel dibattito giurisprudenziale di merito e di legittimità, con particolare riferimento all’aspetto patologico del rapporto tra i soggetti coinvolti, rappresentato da inadempimenti e responsabilità riguardanti i rapporti tra sostituto e sostituito.

In buona sostanza, il sostituto «è un soggetto cui è imposto l’obbligo di pagamento del tributo indipendentemente dalla sua relazione con i presupposti del pagamento stesso»[6] 

Al fine di meglio comprendere le dinamiche sottese a tali dibattiti, è appena il caso di precisare che con il termine rivalsa si allude al meccanismo attraverso il quale il sostituto procederà al recupero, nei riguardi del sostituito, dell’imposta pagata o da pagare all’erario, nelle classiche modalità della ritenuta.

Esistono diverse tipologie di ritenuta alla fonte: a titolo di acconto, a titolo d’imposta e quella diretta (d’acconto o d’imposta).

Nella ritenuta a titolo d’acconto, si realizza una struttura giuridica definita impropria, in quanto non si verifica un’effettiva sostituzione di un rapporto giuridico ma una mera anticipazione dell’imposta dovuta; nella ritenuta a titolo d’imposta si configura, invece, una sostituzione propria estinguendo l’obbligazione tributaria e non ricadendo alcun obbligo sul sostituito.

In altri termini, per le ritenute d’acconto, il versamento da parte del sostituto non estingue il debito d’imposta, in quanto, anche nel caso in cui la ritenuta corrisponda all’imposta dovuta dal contribuente, occorre che il periodo d’imposta si compia per determinare l’effetto satisfattivo, effetto che solo raramente si realizza in modo automatico, essendo generalmente richiesti ulteriori adempimenti, costituiti dalla compilazione e dalla trasmissione all’ente impositore dei documenti connessi alla dichiarazione dei redditi.

La sostituzione tributaria, così configurata, differisce dalla ritenuta diretta: in questo caso, lo Stato riscuote direttamente la somma corrispondente all’imposta (o alla frazione d’imposta) dovuta dal percipiente – qualificandosi come sostituto d’imposta e pertanto coincidendo con lo stesso ente impositore -, mentre nel primo un altro soggetto s’interpone nel rapporto tra il contribuente e l’ente impositore.

In altri termini, nella ritenuta diretta, il rapporto giuridico d’imposta (che nel fenomeno della parasoggettività classica si struttura come trilaterale – nei rapporti qualificati tra sostituto, sostituito ed ente impositore –) torna ad essere bilaterale, coincidendo il sostituto con lo stesso soggetto attivo dell’obbligazione tributaria.

         

3. Le liti tra sostituto d’imposta e sostituito e il regime della legittimazione processuale: la sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 10378/2019.

Nel possibile scenario patologico delle relazioni giuridiche tra sostituto e sostituito, particolare rilevanza assume il tema del rapporto tre ritenuta d’acconto e omesso versamento.

Al riguardo, va innanzitutto detto che le controversie tra sostituto d'imposta e sostituito, relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del Giudice tributario, ma rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l'esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà- soggezione, proprio del rapporto tributario (Cass., Sez. Un., 18 aprile 2014, n. 9033; Cass., Sez. Un., 26 giugno 2009, n. 15032; Cass., Sez. Un., 8 aprile 2010 n. 8312); in tali controversie, manca di regola un "atto qualificato" rientrante nella tipologia di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, riconducibile all'autorità fiscale (Cass., Sez. Un., 8 novembre 2012, n. 19289; Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2009, n. 26820; Cass. 6 giugno 2013 n. 14302) e l'Amministrazione finanziaria non assume la veste di litisconsorte necessario, tenuto conto dell'autonomia del rapporto tributario rispetto a quello privatistico intercorrente tra le parti e della diversità degli effetti della pronuncia relativa a quest'ultimo rispetto a quella sulla legittimità della pretesa tributaria, salvo il potere del giudice ordinario di sindacare in via incidentale la legittimità dell'atto impositivo e di disapplicarlo, ovvero di disporre la sospensione del giudizio, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., in caso di contemporanea pendenza del giudizio tributario (v. Cass., Sez. Un., 28 gennaio 2011 n. 2064; Cass., Sez. Un., 26 giugno 2009 n. 15032).

La questione si pone allorquando il sostituto d’imposta, una volta operata la ritenuta, non provveda al relativo versamento.

Ebbene, nell’ipotesi da ultimo richiamata, si è posta la questione volta a comprendere se si venga a configurare una situazione di responsabilità solidale tra il sostituto ed il sostituito – salva successiva azione di regresso di quest’ultimo nei confronti del sostituito - o se, invece, sia solo il sostituto d’imposta a rispondere dell’omesso versamento.

Al riguardo si sono registrati due diversi orientamenti giurisprudenziali.

La giurisprudenza della Corte ha sempre risolto la problematica di cui sopra nel senso dell’esistenza della solidarietà passiva tra sostituto e sostituito (Cass. sez. VI-T 12076/2016; Cass. sez. VI-T 9933/2015; Cass. sez. trib. 14033/2006).

La suddetta soluzione si basava sostanzialmente sul presupposto per cui l'obbligazione del versamento dell'acconto è unica, sia per il sostituto che per il sostituito; pertanto, a tale obbligazione è tenuto ab origine, in via solidale, il sostituito ai sensi della norma generale contenuta nell'art. 1294 c.c..

Anche le sentenze della Corte di Cassazione n. 23121/2013 e n. 19580/2014 hanno statuito che “a prescindere se la ritenuta sia prevista a titolo d’imposta o a titolo d’acconto, il fatto che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, comma 1, definisca il sostituto d’imposta come colui che ‘in forza di disposizione di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri … ed anche a titolo di acconto’ non toglie che, in ogni caso, anche il sostituito debba ritenersi già originariamente (e non solo in fase di riscossione, come espressamente ribadito dal citato art. 35) obbligato solidale al pagamento dell’imposta: soggetto perciò egli stesso all’accertamento ed a tutti i conseguenti oneri.È certamente fatto salvo il diritto di regresso del sostituto che, dopo avere eseguito la ritenuta, non l’abbia versata all’Erario, esponendolo così all’azione del fisco”.

È evidente che il principio stabilito dalla Cassazione mirava a far valere, anche in ambito tributario, la presunzione di cui all’art. 1294 c.c., ad oggetto la responsabilità solidale tra condebitori, qualificando il rapporto tributario della sostituzione come un normale rapporto di credito/debito in ambito civilistico, a nulla rilevando la particolarità del rapporto trilaterale tra contribuente, sostituto e Fisco.

Così come è evidente che la ratio sottesa a tale orientamento era volta principalmente a salvaguardare l’interesse fiscale alla riscossione.

Tuttavia, tale impostazione ermeneutica non è stata unanimamente condivisa.

Invero, un altro orientamento giurisprudenziale ha evidenziato che, in realtà, in caso di omesso versamento di ritenute effettuate da parte del sostituto, l’Amministrazione Finanziaria non può chiedere nulla al sostituito, in quanto l’omissione del versamento non è imputabile al sostituito, ma solo ed esclusivamente al sostituto (ex multis, Cass. 13664/1999; Cass. 12991/1999).

Ciò in quanto si possono individuare due distinti rapporti giuridici: quello principale, in capo al contribuente che ha posto in essere il presupposto e che manifesta capacità contributiva e quello strumentale in capo al sostituto, il quale ha l’obbligo di effettuare la ritenuta d’acconto onorando in maniera parziale l’obbligo di effettuare il pagamento sorto in capo al contribuente.

Pertanto, secondo tale tesi, l’evento ritenuta estingue il vincolo di solidarietà tra contribuente/sostituito e sostituto, dal momento che il contribuente, nel rispetto del principio di collaborazione e buona fede, si è affidato, in forza di una specifica previsione di legge, al sostituto per l’adempimento parziale della sua obbligazione tributaria.

L’interesse fiscale alla riscossione è certamente meritevole di tutela, ma non può totalmente prescindere quello del contribuente in buona fede (ex multis, Cass. Civ. Sez. I, n. 13664 del 1999; Cass. Civ. Sez. I, n. 12991/1999).

Il contrasto giurisprudenziale sopra richiamato è stato risolto con la recentissima sentenza a Sezioni Unite n. 10378/2019, intervenuta in ragione del contrasto di giurisprudenza posto in luce dall’ordinanza interlocutoria n. 31742 del 7 dicembre 2018, emessa dalla Sezione Tributaria a seguito del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che, confermando la sentenza di primo grado, aveva escluso l’applicabilità dell’art. 35 d.p.r. n. 602 del 1973 e, dunque, la solidarietà tra sostituito e sostituto nei confronti del Fisco, nel caso in cui il sostituto opera le trattenute sulle somme dovute al sostituito e, successivamente, ne omette il relativo versamento a favore dell’Amministrazione finanziaria.

Ciò posto, con la sentenza a Sezioni Unite, la Corte di Cassazione, probabilmente ispirandosi alla nota contrapposizione dogmatica tra debito e responsabilità oppure alla distinzione dottrinaria tra obbligazioni tributarie e obbligazioni d’imposta[7], ha stabilito che, in tema di ritenuta d’acconto, nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute, il sostituito non è tenuto in solido, in sede di riscossione: infatti, l’art. 35 D.P.R. 602/1975 condiziona la solidarietà alla circostanza che le ritenute non siano state effettuate.

Nel caso di sostituzione, il soggetto passivo dell’imposta è il sostituito, laddove al sostituto è riconosciuta soltanto la facoltà di intervenire nel processo (art. 64 c. 2 D.P.R. 600/1973).

Quindi il dovere di versamento della ritenuta d'acconto costituisce un'obbligazione autonoma, rispetto all'imposta.

Tale obbligazione è posta dalla legge in capo al solo sostituto (artt. 23 ss. D.P.R. n. 600/1973) e, infatti, trova il proprio fondamento nell’obbligo di rivalsa stabilito dall'art. 64 c. 1, D.P.R. n. 600/1973.

Vi è più che il vincolo di solidarietà tra sostituto e sostituito, in relazione all’obbligazione di versamento dell’acconto d’imposta, è condizionato alla circostanza che non siano state operate delle ritenute (art. 35 D.P.R. 602/1973).

In modo speculare, la legge “riconosce al sostituito il contrapposto diritto allo scomputo delle ritenute operate dal primo; in effetti, sarebbe stato legislativamente contraddittorio riconoscere il diritto allo scomputo, ma assoggettare il sostituito in via solidale alla riscossione delle somme scomputate” (art. 22 D.P.R. 917/1986).

Del resto, la solidarietà passiva tra sostituto e sostituito, ai sensi dell’art. 35 D.P.R. 602/1973, si verifica al ricorrere di due condizioni: non devono essere state effettuate le ritenute a titolo di imposta e non devono essere stati effettuati i relativi versamenti.

Peraltro, l’istituto della sostituzione deve essere tenuto ben distinto, sia sotto il profilo formale che sostanziale, dall’istituto della solidarietà dell’imposta, come emerge dall’art. 64, D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 35 del D.p.r. n.602/73: il primo prevede che, in caso di sostituzione, il soggetto passivo dell’imposta rimane il sostituito, mentre la relativa obbligazione è posta solamente a carico del sostituto; invece, il secondo prevede il principio di solidarietà (ex art. 35, D.P.R. n. 602/1973) solo qualora il sostituto non abbia operato le ritenute.

In altre parole, viene, infatti, rilevato che l’art. art. 64, comma 2, del d.p.r. n.600 del 1973, nel disciplinare il procedimento di accertamento dell’imposta nel caso di sostituzione, prevede che il sostituto possa solo intervenire nello stesso, così evidenziando che soggetto passivo dell’imposta è solo il sostituito.

Consegue da ciò che il dovere di versamento della ritenuta d’acconto posto in capo al sostituto costituisce un’obbligazione autonoma rispetto a quella di imposta; obbligazione che il legislatore ha posto solamente a carico del sostituto, ex artt. 23 ss. d.p.r. n. 600 cit. e che trova la sua causa nel corrispondente obbligo di rivalsa stabilito dall’art. 64, comma 1, d.p.r. 600 cit. per il sostituto; obbligo distinto da quello di operare la ritenuta destinato a garantire che il costo finale dell’imposta gravi sul sostituito e non resti in capo al sostituto.

La stessa Corte a S.U., infatti, ha evidenziato nelle premesse che, dalla definizione legale di cui all’art. 64 del D.P.R. 600, emerge che il versamento della ritenuta d’acconto costituisce un’obbligazione autonoma rispetto all’imposta e che essa grava unicamente sul sostituto.

Vi è più che la solidarietà prevista dall’art. 35 del D.P.R. 602 è espressamente condizionata alla circostanza che il sostituto non abbia effettuato la ritenuta e non l’abbia versata e detta condizione è speculare al riconoscimento a favore del sostituito del diritto di scomputo (art. 22 del DPR 917) della ritenuta subita, anche se non versata.

Dunque, in definitiva, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno messo fine al dibattito relativo al caso in cui il sostituto d’imposta ometta di versare le somme a titolo di ritenute d’acconto operate, affermando come il sostituito non sia tenuto in solido, in sede di riscossione (ex art. 35 D.P.R. n. 602) a subire il relativo recupero, dato che la responsabilità solidale è condizionata alla circostanza che non siano state in assoluto effettuate le ritenute.

Tuttavia, la sentenza in questione non è stata esente da rilievi critici.

Infatti, nonostante la sentenza n. 10378/2019, emessa a Sezioni Unite e deputata a rappresentare un punto cardinale nel sistema tributario italiano, ancora incerto è il perimetro della solidarietà tributaria tra sostituto e sostituito[8].

Il percorso argomentativo seguito ha destato talune perplessità e imposto qualche considerazione.

In primo luogo, in dottrina, non sembra ancora indefinita l’area di applicazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 602/1973 ai rapporti di sostituzione tributaria[9].

Invero, la sentenza esclude che il vincolo di solidarietà possa attivarsi nel caso di ritenute effettuate e non versate dal sostituto d’acconto, non considerando, tuttavia, che l’art. 35 cit. è disposizione speciale, il cui ambito applicativo è circoscritto ai rapporti di sostituzione incentrati sull’applicazione di ritenute a titolo d’imposta.

In particolare, dalla lettura della sentenza emerge che, secondo la Corte di Cassazione, “la speciale fattispecie di solidarietà del sostituito per l’obbligazione di versamento dell’acconto d’imposta, in caso di inadempimento del sostituto, viene dall’art. 35 D.P.R. n. 602/1973 espressamente condizionata alla circostanza che non siano state operate le ritenute”.

La sentenza specifica, altresì, che “L’appena veduta condizione è in perfetta coerenza con quanto previsto dall’art. 22 D.P.R. n. 917/1986 che, in modo esattamente speculare, riconosce al sostituto il contrapposto diritto allo scomputo delle ritenute operate dal primo; in effetti, sarebbe stato legislativamente contraddittorio riconoscere il diritto allo scomputo, ma assoggettare il sostituito in via solidale alla riscossione delle somme scomputate”.

E proprio tale esito interpretativo non è stato condiviso, perché la sentenza finirebbe per porre sullo stesso piano le ritenute a titolo d’imposta e le ritenute a titolo di acconto[10].

Nel par. 4.3 la sentenza si occupa dell’obbligazione di versamento dell’acconto, muovendosi, nell’ambito di ritenute che non sono a titolo definitivo.

“Tale richiamo è tuttavia eseguito nel contesto dell’art.35 del D.P.R. n. 602/ 1973, il quale si occupa soltanto di ritenute a titolo di imposta”[11].

Viene a questo punto in rilievo un’altra problematica.

Invero, soltanto per le ritenute a titolo d’imposta, qualora non effettuate e non versate all’ente impositore, può configurarsi la solidarietà del sostituito nei confronti del sostituto che sia stato previamente iscritto a ruolo. Non sembra, quindi, potersi ravvisare alcuna coerenza tra l’art. 35 cit.e l’art. 22 del T.U.I.R., trattandosi di enunciati normativi che riguardano fattispecie diverse e non riconducibili ad unità.

Infatti l’art. 22, T.U.I.R. si limita a confermare che dall’imposta lorda (IRPEF) si scomputano, per la determinazione del tributo da versare a saldo all’Erario, le ritenute d’acconto operate sui redditi che hanno concorso alla formazione del reddito complessivo.

“L’aggettivo “operate”, riferito alle ritenute, è sinonimo di “subìte”. E “subìte” non significa “versate da parte del sostituto”. Significa solamente “effettuate”.

Pertanto, nella fattispecie esaminata dalla sentenza (riconducibile - giova ripetere - ad un caso di ritenute d’acconto effettuate ma non versate dal sostituto), il vincolo di solidarietà non può configurarsi, atteso che il coinvolgimento del sostituito nell’adempimento dell’obbligazione che grava in capo al sostituto ha un senso soltanto nel contesto della sostituzione con ritenute a titolo d’imposta.

“In quest’ultimo caso – come detto – la coobbligazione è ragionevole, perché l’ammontare della ritenuta che il Fisco richiede al sostituto sta nelle mani del sostituito, il quale non ha subìto, al momento del pagamento del compenso, il depauperamento che tipicamente si realizza mediante la trattenuta. In termini più chiari, la legge stabilisce che il sostituito divenga solidale con il sostituto quando l’Amministrazione finanziaria chieda al sostituto il pagamento di somme di denaro che si trovano nella titolarità giuridica (e, a questo punto, anche nella materiale disponibilità) del sostituito. Ma non è affatto questo il caso affrontato dalla sentenza, nel quale la situazione è capovolta rispetto a quella poc’anzi descritta: i soldi sono nelle mani del sostituto che ha effettuato la ritenuta a titolo di acconto e non l’ha versata, non già nelle mani del sostituito”[12].

Quindi il riferimento all’art. 35 del D.P.R. 602 a tale dottrina non è sembrato pertinente, posto che la fattispecie ivi prevista è soltanto la sostituzione c.d. propria o d’imposta.

Infine, è stato sottolineato come non sia stato affrontato (perché del tutto ultroneo rispetto al thema decidendum), il fondamentale quesito di quale sarebbe lo scenario sistemico nel caso che la ritenuta d’acconto non sia stata operata e, in particolare, se sia suscettibile di estensione il vincolo solidale disposto dall’art. 35 del D.P.R. 602[13].

Muovendo anche da tali considerazioni, è stato allora auspicato che la sentenza non costituisca il punto d’appoggio per affermare che, nei casi di ritenute d’acconto non effettuate e non versate, v’è solidarietà tra sostituto e sostituito (situazioni, queste, sulle quali la sentenza non prende posizione, come si evince dal par. 3.1)[14].



[1] Corte Cost., sent. 64/2008;

[2] Falsitta G., Manuale di diritto tributario, Cedam, 2017, p. 225;

[3] Fregni M.C., Obbligazione tributaria, Giappichelli, 1997, p. 244;

[4] Antonini, E., La soggettività tributaria, Napoli, 1965, p. 74 ss.;

[5] Falsitta G., op. cit. p. 254;

[6] De Luca G., Compendio di diritto tributario, Napoli, Ed. Simone, 2005, p. 57 ss.;

[7] Tablet. G., Rivista di diritto tributario, 11.04.2019;

[8] Beghin M., Ancora incerto il perimetro della solidarietà tributaria tra sostituto e sostituito, Giurisprudenza italiana, 7/2019, p. 581 e ss.;

[9] Beghin M., op. cit.;

[10] Beghin M., op. cit.;

[11] Beghin M., op. cit.;

[12] Beghin M., op. cit.;

[13] Tablet. G., op. cit.;

[14] Beghin M., op. cit..


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