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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 31/07/2018 Scarica PDF
La correzione degli errori materiali come rimedio da omessa liquidazione delle spese di lite
Giuseppe Cardona, Avvocato in MilanoNota a sentenza di Cassazione civile, sezioni unite, 21 giugno 2018, n. 16415
Sommario: 1. Premessa. 2. Le tesi contrastanti. La soluzione adottata nel processo penale. 3. La nozione di “errore materiale” e la qualificazione della procedura di liquidazione delle spese processuali come attività tecnico-esecutiva. L’omessa liquidazione come errore emendabile senza ricorso a mezzi di impugnazione. 4. Alcune riflessioni.
In caso di omessa liquidazione delle spese di lite nel dispositivo della sentenza, allorquando in parte motiva il giudicante abbia espresso la propria volontà di porle a carico del soccombente, la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali (e non agli ordinari mezzi di impugnazione) per ottenere la quantificazione dei compensi professionali e degli esborsi processuali.
È questo il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 16415 del 21 giugno 2018 (la “Sentenza”).
I giudici di legittimità hanno in tal modo risolto il contrasto – inizialmente diacronico e di recente anche sincronico – su quale debba essere il rimedio processual-civilistico da omessa liquidazione delle spese di lite, sempreché (si badi bene) vi sia un’univoca ed espressa statuizione nella parte motiva del provvedimento giudiziale della parte che dovrà sopportare i “costi del processo”.
La fattispecie concreta giunta in cassazione vedeva gli attori, dapprima, soccombenti dinanzi al Tribunale di Verona con pronuncia di rigetto della domanda di reintegra nel possesso di un passaggio pedonale, successivamente, vincitori in grado di appello, con condanna del convenuto alla messa in pristino dello stato dei luoghi ed alla rifusione in favore degli appellanti delle spese del doppio grado di giudizio.
Tuttavia, la Corte d’appello di Venezia ometteva nel dispositivo la quantificazione degli importi a titolo di spese di lite, lasciando le voci letteralmente in “bianco”, seppure nella motivazione aveva espressamente (quanto correttamente) fatto applicazione del principio di soccombenza ex articolo 91 del codice di procedura civile.
A fronte di tale omissione, veniva proposto ricorso per cassazione, articolato in un solo motivo censurante l’omissione.
La seconda Sezione civile della Suprema Corte, investita dell’esame del ricorso, constatava l’esistenza del seguente contrasto giurisprudenziale: se il rimedio da omessa liquidazione in dispositivo delle spese di lite avrebbe dovuto essere (i) il procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli articoli 287 e ss. del codice di procedura civile o, piuttosto, (ii) gli ordinari mezzi di impugnazione di cui all’articolo 323 del codice di procedura civile, quindi – per quanto di interesse in questa sede – l’appello e il ricorso per cassazione.
La quaestio veniva qualificata di massima importanza attesa sia la rappresentata “frequente ricorrenza del problema” sia la necessità di offrire una soluzione uniforme per scongiurare il pericolo di incolpevoli decadenze a carico delle parti e per chiarire quale sia il rimedio laddove l'omessa liquidazione sia relativa ad una sentenza della Corte di cassazione.
La ricostruzione delle tesi contrastanti e, soprattutto, le motivazioni contenute nella Sentenza in commento rappresentanto uno spunto riflessivo anche su come l’esercizio della funzione nomofilattica abbia prodotto un principio di diritto (forse ormai indispensabile per evitare vuoti di tutela[1], ma che soprattutto risulta) funzionale alla ragionevole durata del processo.
2. Le tesi contrastanti. La soluzione adottata nel processo penale
Come osservato nella Sentenza, la giurisprudenza di legittimità era inizialmente orientata nel sostenere che l’omessa liquidazione delle spese fosse suscettibile di essere rimediata con la procedura di correzione degli errori materiali (Cassazione civile, n. 52 del 1967 e n. 3007 del 1973).
L’argomento che faceva propendere per la natura di errore materiale dell’omessa liquidazione era sostanzialmente connesso alla manifesta divergenza tra la pronuncia (di condanna) adottata in motivazione e l’assenza di una conseguente formula linguistica in dispositivo; ne seguiva che il rimedio per la “svista” doveva essere il procedimento semplificato di cui agli articoli 287 e ss. del codice di procedura civile.
A partire dalla fine degli anni novanta, la Corte di Cassazione ha però iniziato a pronunciarsi in senso opposto, professando dunque lo strumento rimediale degli ordinari mezzi di impugnazione (Cassazione civile, sez. II, 11/03/1995, n. 2869; Cassazione civile, sez. tributaria, 22/11/2004, n. 22019; Cassazione civile, sez. trib., 23/06/2005, n. 13513; Cassazione civile, sez. III, 11/01/2006, n. 255)[2].
La tesi era in sostanza la seguente: l’omessa liquidazione delle spese di lite è da equiparare ad un errore sul giudizio, stante l’assenza di una pronuncia giudiziale con riguardo ad una domanda (quella di condanna alla refusione delle spese) che è stata ritualmente proposta dalla parte e che implicherebbe perciò una decisione di accoglimento o di rigetto.
Dunque, il discrimen tra le due tesi consisteva nella qualificazione data all’omessa liquidazione delle spese: errore materiale o errore sul giudizio.
D’altro canto, nel 2008, la Corte di Cassazione a sezioni uniti si pronunciava su quale dovesse essere il rimedio in ipotesi di omessa liquidazione delle spese da parte del giudice penale; l’apporto dato è tutt’altro che trascurabile anche sul versante dell’omissione fatta dal giudice civile, come osservato nella Sentenza.
In particolare, la giurisprudenza penale ha definitivamente chiarito che la liquidazione delle spese consiste in una “statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato” e che, pertanto, “non attiene a una componente essenziale dell’atto”; ne è seguito che a tale carenza può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all’articolo 130 del codice di procedura penale (Cassazione penale, sez. un., 31/01/2008, n. 7945)[3].
Di seguito, mutuando gli insegnamenti processual-penalistici, le sezioni civili semplici della Corte di Cassazione, statuivano – in modo pressappoco speculare – che la liquidazione delle spese coincidesse con una “statuizione di natura accessoria e a contenuto normativamente obbligato” che richiede al giudice null’altro che “una mera operazione tecnico-esecutiva, da svolgersi sulla base di presupposti e parametri oggettivi”, talché l’omissione integra solo un errore materiale correggibile con il procedimento di cui all’articolo 287 del codice di procedura civile (Cassazione civile, sez. I, 04/09/2009, n. 19229)[4].
La citata pronuncia non trovava però un seguito unanime.
Anzi, un netto arresto si ravvisava recentemente allorquando veniva affermato (Cassazione civile, sez. III, 17/02/2016, n. 3020) che il provvedimento includente una corretta statuizione sulle spese in parte motiva, ma non contenente una liquidazione di esse nel dispositivo, non fosse emendabile ex articoli 287 e ss. del codice di procedura civile, in quanto la determinazione dei compensi professionali “si sviluppa dapprima attraverso l'individuazione del valore della causa, per poi considerare, nel fissare il compenso dovuto tra i limiti minimo e massimo dello scaglione di valore di riferimento, la qualità dell'operato del difensore e la complessità dell'attività prestata”. Ne seguiva che il giudice adito per la correzione avrebbe finito con il sostituirsi indebitamente al giudice adito per la domanda giudiziale, pronunziando in suo luogo.
Il permanere del contrasto ha, dunque, portato la necessità di rimessione alle Sezioni Unite.
3. La nozione di “errore materiale” e la qualificazione della procedura di liquidazione delle spese processuali come attività tecnico-esecutiva. L’omessa liquidazione come errore emendabile senza ricorso a mezzi di impugnazione
Le Sezioni Unite hanno in primis richiamato la diffusa affermazione secondo la quale l’errore materiale è un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante un mero confronto della parte del documento errata con le considerazioni contenute in motivazione[5]. Quindi, il procedimento di correzione di cui all’articolo 287 del codice di procedura civile postula una svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile ictu oculi, senza che possa incidere sul contenuto concettuale della decisione[6].
Nel far ciò, la Sentenza ha anche recuperato un precedente della stessa Corte di Cassazione, in forza del quale è da considerarsi errore materiale qualsiasi errore che derivi dalla necessità di introdurre nel provvedimento (i)“una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato” oppure (ii) “una statuizione obbligatoria di carattere accessorio anche se a contenuto discrezionale” (Cassazione civile, sez. un., 07/07/2010, n. 16037); precedente che teneva conto dei significativi apporti della giurisprudenza penale testé richiamati.
Chiarita in questi termini la nozione di errore materiale e le sue possibili declinazioni, si è poi proceduto a qualificare la procedura di liquidazione delle spese processuali come “un’operazione tecnico esecutiva da realizzare sulla scorta di presupposti e parametri oggettivi fissati dalla legge” e nei limiti quantitativi in essa previsti, inferendo perciò come “la liquidazione vera e propria è un’attività di carattere materiale volta a completare la statuizione”. Ne segue – come chiarito in Sentenza che – “l’omissione degli importi contenuta nel dispositivo della sentenza [qualificandosi come errore materiale] deve essere integrata con il procedimento di correzione”[7].
La motivazione – non del tutto palesata – è la riconduzione della liquidazione delle spese alla categoria della “statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato”, e perciò la riconduzione dell’omissione alla possibile categoria dell’errore materiale enucleata da Cassazione civile, sez. un., 07/07/2010, n. 16037.
A questo punto, è bene osservare il duplice argomento richiamato dalla Sentenza a supporto della spiegata conclusione.
Secondo la Corte di Cassazione, la possibilità di utilizzare la procedura della correzione degli errori materiali in ipotesi di omessa liquidazione delle spese processuali (ed in presenza di un univoco addebito delle spese nella parte motivazionale) è funzionale sia:
(a) alla realizzazione dei principi costituzionali della ragionevole durata del processo e del giusto processo. In particolare, viene accertato come il procedimento di cui agli articoli 287 e ss. del codice di procedura civile sia “il più consono a salvaguardare l'effettività di tale principio che impone al giudice, anche nell'interpretazione dei rimedi processuali, di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della causa, evitando l'inutile dispendio di attività processuali, non giustificate nè dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, nè da effettive garanzie di difesa”, aggiungendo come la correzione degli errori materiali “garantisce maggiore celerità, lasciando salvo il diritto delle parti all'esercizio degli ordinari rimedi impugnatori, che ai sensi dell'art. 288 c.p.c., comma 4, possono essere comunque proposti relativamente alle parti corrette delle sentenze”[8]; sia
(b) alla copertura del vuoto di tutela rispetto all’omissione delle spese nelle sentenze della Corte di Cassazione, ove si ritenesse che l’unico rimedio fosse quello degli ordinari mezzi di impugnazione. Di fatti, la tesi opposta – osserva la Suprema Corte – “mal si concilia con le pronunzie di legittimità, che non sono impugnabili, dato che i rimedi ammessi ex artt. 391 bis e ter c.p.c. avverso le sentenze di legittimità sono la revocazione per errore di fatto, l'opposizione di terzo e la correzione degli errori materiali” e non già gli ordinari mezzi di impugnazione.
4. Alcune riflessioni
In primo luogo, deve darsi conto di come la Sezioni unite hanno deciso la fattispecie concreta: il motivo è stato dichiarato inammissibile atteso che l’errore denunciato con ricorso per cassazione può essere corretto solo con la procedura di correzione degli errori materiali; né una diversa qualificazione del motivo di ricorso ai sensi dell’articolo 287 del codice di procedura civile poteva sopperire poiché il rimedio avrebbe dovuto essere proposto dinanzi al giudice di merito (Corte d’appello di Venezia) che ha emesso il provvedimento viziato, con conseguente incompetenza della Suprema Corte.
Ciò posto, dal punto di vista sostanziale, non può non osservarsi come il rimedio della correzione degli errori materiali per la fattispecie analizzata risulta essere probabilmente una strada coerente. Infatti, se gli articoli 391-bis e ter del codice di procedura civile, nel prevedere che avverso le sentenze della Corte di Cassazione sono esperibili la revocazione, l’opposizione di terzo e la correzione degli errori materiali, escludono il ricorso ad altri rimedi, si sarebbe dovuto affermare una diversità di rimedi tra i provvedimenti del giudice di merito e quelli del giudice di legittimità. L’affermazione di un unico rimedio (i.e. la correzione degli errori materiali), invece, sembra evitare che a fattispecie identiche (i.e. omessa liquidazione delle spese di lite, in presenza di univoca statuizione in parte motiva) siano connessi strumenti processuali diversi.
Inoltre, il fatto che il sistema di liquidazione dei compensi professionali – previsto dal decreto ministeriale 10 marzo 2014 n. 55 – presenti “margini di discrezionalità più ampi di quello previgente”[9], resta del tutto irrilevante nella qualificazione dell’omissione: non è alla discrezionalità della statuizione (mancata) che occorre guardare per comprendere se l’omissione sia rimediabile con la procedura di cui agli articoli 287 e ss. del codice del rito civile, ma piuttosto occorre avere riguardo alla accessorietà della pronuncia e al contenuto predeterminato (in base a parametri normativi) della stessa, come già chiarito dalla pronuncia del 2010 sopra citata.
Infine, l’aspetto di maggior pregio è sicuramente quello di sgravare la parte interessata dal proporre appello o ricorso per cassazione al fine di censurare la svista del giudicante, onerandola solo del rimedio correttivo; il che naturalmente non può non comportare un (contenuto[10]) calo dei giudizi di seconda istanza o dei ricorsi per cassazione: ciò costituisce indubbiamente un risultato utile e consente di constatare come la ragionevolezza dei percorsi argomentativi possa avere, talvolta, un’efficacia pari a quella di interventi legislativi, nel contribuire – seppur in minima parte – al perseguimento di un obiettivo condiviso, quale è la riduzione del carico degli uffici giudiziari.
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Per concludere, alla luce delle considerazioni suesposte, si richiama il principio di diritto:
Cassazione civile, sezioni unite, 21 giugno 2018, n. 16415
“A fronte della mancata liquidazione delle spese nel dispositivo della sentenza, anche emessa ex art. 429 c.p.c., sebbene in parte motiva il giudice abbia espresso la propria volontà di porle a carico della parte soccombente, la parte interessata deve fare ricorso alla procedura di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e ss. c.p.c. per ottenerne la quantificazione”.
[1] Per quanto si dirà infra in merito alla novellata previsione degli articoli 391-bis e 391-ter del codice di procedura civile.
[2] Inoltre, Cassazione civile, sez. III, 19/08/2003, n. 12104, in Giust. civ. Mass. 2003, 7-8, ha osservato che “Il mancato regolamento delle spese di un procedimento contenzioso da parte del giudice che (a norma dell'art. 91 c.p.c.) avrebbe dovuto provvedervi con la sentenza o altro provvedimento a contenuto decisorio emesso a definizione del procedimento medesimo, integra un vizio di omessa pronuncia, riparabile soltanto con l'impugnazione e non già con la speciale procedura di correzione degli errori materiali di cui agli art. 287 ss. c.p.c., né con il procedimento di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato e procuratore previsto dagli art. 28 e 29 l. 13 giugno 1942 n. 794. Ne consegue che l'eventuale provvedimento, distinto e successivo rispetto a quello che chiude il processo, con il quale il giudice abbia provveduto sulle spese, è emesso in difetto di potere giurisdizionale, ed è ricorribile in cassazione”; principio che avrebbe dovuto valersi anche laddove il provvedimento fosse un’ordinanza di rigetto di un ricorso ex articolo 700 del codice di procedura civile (Cassazione civile, sez. II, 14/12/1993, n. 12297).
[3] Di recente è stato affermato da Cassazione penale, sez. V, 12/10/2016, n. 50066, in CED Cass. pen. 2017 che: “Non è ricorribile per cassazione la sentenza di patteggiamento che abbia omesso di pronunciarsi in ordine alla condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, poichè a tale omissione può porsi rimedio mediante la procedura di correzione di cui all'art. 130 cod. proc. pen.. (In motivazione, la S.C. ha osservato che la condanna alla spese della parte civile ha natura di statuizione accessoria a contenuto predeterminato, in quanto la liquidazione si risolve in una mera operazione tecnico-esecutiva, ancorata a precisi presupposti e parametri oggettivi)”.
[4] Successivamente, si è chiarito anche che “È inammissibile l'istanza di correzione degli errori materiali proposta avverso un'ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione la quale, dopo aver dichiarato in motivazione che il ricorrente, in ragione della sua totale soccombenza, era tenuto al rimborso delle spese in favore delle parti vittoriose, abbia nel dispositivo compensato per intero le stesse tra le parti, atteso che la composizione del contrasto logico esistente tra motivazione e dispositivo presuppone un'attività di interpretazione dell'effettivo "decisum" non consentita in sede di correzione.” (Cassazione civile, sez. un., 13/05/2013, n. 11348, in Giustizia Civile Massimario 2013)
[5] In dottrina v. anche Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1981; Mandrioli, Diritto processuale civile, II, XXI ed. Torino, 2009.
[6] In tal senso confronta, ex multis,Cassazione civile, sez. I, 26/09/2011, n. 19601; Cassazione civile, sez. II, 31/05/2011, n. 12035; Cassazione civile, sez. un., 05/03/2009, n. 5287; Cassazione civile, sez. II, 30/08/2004, n. 17392; Cassazione civile, sez. II, 11/04/2002, n. 5196.
[7] È bene evidenziare che l’applicabilità della procedura di cui agli articoli 287 e ss. del codice di procedura civile è stata stabilita dalla Sentenza anche con riguardo ai procedimenti trattati con rito lavoro quando il dispositivo letto in udienza manca della liquidazione delle spese processuali la cui regolamentazione sia contenuta nella motivazione della sentenza. In particolare, viene statuito che: “in un caso come quello in esame, in cui manca solo la liquidazione delle spese in parte dispositiva, è da escludersi qualsiasi contrasto, in quanto l'omissione può agevolmente essere sanata con la procedura di correzione degli errori materiali, dando attuazione alla statuizione contenuta in motivazione dell'obbligo a carico del soccombente del pagamento delle stesse”.
[8] Di recente è stato chiarito che “L'art. 288, quarto comma, cod. proc. civ., nel prevedere che le sentenze assoggettate al procedimento di correzione possono essere impugnate, per le parti corrette, nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l'ordinanza di correzione, si riferisce alla sola ipotesi in cui l'errore corretto sia tale da determinare un qualche obbiettivo dubbio sull'effettivo contenuto della decisione e non già quando l'errore stesso, consistendo in una discordanza chiaramente percepibile tra il giudizio e la sua espressione, possa essere agevolmente eliminato in sede di interpretazione del testo della sentenza, poiché, in tale ultima ipotesi, un'eventuale correzione dell'errore non sarebbe idonea a riaprire i termini dell'impugnazione” (Cassazione civile, sez. I, 20/10/2014, n. 22185, in Giustizia Civile Massimario 2014).
[9] A maggior ragione dopo l’introduzione – a mezzo del decreto ministeriale 8 marzo 2018 n. 37 – del c.d. avvocato “telematico”, vale a dire della facoltà di aumento del compenso professionale "quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto». Fattispecie che non pare essere di piana identificazione.
[10] L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite rappresenta che l’omissione della liquidazione delle spese di lite – in presenza di un’univoca statuizione in parte motivazione – rappresenta un problema di “frequente ricorrenza”.
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