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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 03/03/2018 Scarica PDF

Usura e tasso di mora. Sancita la verifica alla pattuizione: riflessi operativi

Roberto Marcelli e Amedeo Valente, Consulenti Finanziari


(Cass. n. 23192/17, Cass. S.U. n. 24675/17)[1]



Sommario 1. La Cassazione, Sez. VI, Ordinanza n. 23192 del 4 ottobre 2017; pag.1; 2. La verifica dell’usura nella mora; pag. 18; 3. La Cassazione S.U. n. 24675 del 19 ottobre 2017 ridimensiona l’usura sopravvenuta; pag. 38; 4. Sintesi e conclusioni; pag. 54.[2]


     

1. La Cassazione, Sez. VI, Ordinanza n. 23192 del 4 ottobre 2017

Con una concisa Ordinanza (Allegato 1), stesa in forma semplificata, la Cassazione è tornata ad occuparsi della mora ribadendo e chiarendo il principio già stabilito da precedenti pronunce (Cass. n. 14899/00, n. 5324/03 e n. 5598/17). Nel rigettare il ricorso della banca, la Cassazione ha riconosciuto la natura originaria, e non sopravvenuta, dell’usura nella mora, ribadendo altresì: ‘è noto che in tema di contratto di mutuo, l'art. 1 della I. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori(Cass. 4 aprile 2003, n. 5324). (Cass. ord.5598/2017; con principio già affermato da Cass. 14899/2000).’

L’Ordinanza in esame assume un rilievo particolare se esaminata congiuntamente al decreto del Tribunale di Matera (Allegato 2) impugnato dalla banca. Nel corso del procedimento ordinario, detto Tribunale aveva accertato che ‘ … al momento della pattuizione, il tasso degli interessi moratori, determinato aggiungendo al tasso convenzionale i 4 punti percentuali (pari a 9,85%), era superiore, sia pure dello 0,01%, al tasso soglia (9,84%) e che pertanto si verte in ipotesi di usura originaria degli interessi di mora’. Da questa circostanza il Tribunale di Matera ne deduceva: ‘la pattuizione del tasso di mora è nulla ex art. 1815 c.c. e non sono dovuti interessi, neppure corrispettivi, avuto riguardo alla lettera e allo scopo della disposizione’.

La Suprema Corte, nella circostanza, ha rigettato il ricorso della banca che deduceva la falsa applicazione dell’art. 1815 c.c. e della legge 108/96 in due distinti aspetti: i) nella valutazione dell’usurarietà originaria del tasso di mora; ii) nella conseguente nullità estesa agli interessi corrispettivi, posti al di sotto della soglia d’usura.

La sentenza in parola, di concerto con la pressoché contestuale sentenza delle Sezioni Unite n. 24675 del 19 ottobre ’17 (Allegato 3, commentata più avanti), esprime elementi dirimenti una pluralità di dubbi e perplessità che sino ad oggi hanno alimentato il dibattito in dottrina e in giurisprudenza.

Un primo aspetto riguarda la conferma implicita di quanto ormai la giurisprudenza ha reiteratamente asserito: nella verifica dell’usura il tasso corrispettivo non si somma al tasso di mora. E’ lo spread che viene sommato al tasso corrispettivo per determinare il tasso di mora: ogni residuo dubbio viene chiarito dalla lettura della sentenza del Tribunale di Matera, condivisa dalla Cassazione. Risulta alquanto fuorviante, frettoloso e ‘abborracciato’ quanto riportato da primari organi di stampa (Cfr. Il Sole 24 Ore, 6 ottobre 2017) che, dal testo dell’Ordinanza, hanno dedotto che occorre sommare ‘la quota di interessi corrispettivi e la quota di quelli moratori’.[3] La sentenza di Matera si limita ‘semplicisticamente’ a rilevare il tasso di mora debordante la soglia d’usura: su questo aspetto la Cassazione non si sofferma.[4] Non sono certamente i tassi che si sommano, bensì - secondo un orientamento che viene affermandosi in giurisprudenza - per la verifica dell’usura, nel rendimento effettivo del finanziamento, vanno considerati e composti, propriamente non sommati, sia gli interessi corrispettivi che quelli di mora.[5]

Un secondo aspetto è l’implicito disconoscimento della separata e ‘posticcia’ metodologia di verifica della mora sulla base della presunta ‘Mora soglia’ riveniente dalla rilevazione media campionaria (2,1%), curata nel 2001, sistematicamente richiamata nei decreti ministeriali ed ulteriormente prospettata dalla Banca d’Italia nella Comunicazione del 3 luglio 2013.[6] Scorrendo la sentenza del Tribunale di Matera si riscontra che, nel contratto di mutuo fondiario sottoscritto il 3/8/2001, la mora prevista, determinata aggiungendo 4 punti al tasso corrispettivo, risultava pari al 9,85%, superiore, sia pure di un centesimo, al tasso soglia pubblicato dal MEF relativo al III trimestre ’01 (9,84%). E’ evidente come il Tribunale di Matera e la Cassazione non abbiano minimamente considerato la Circolare della Banca d’Italia, ignorando i ‘laschi’ criteri da questa suggeriti e adottati ‘nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari’.[7]

Un terzo aspetto di pregnante rilievo attiene alla circostanza che la Cassazione riconduce la verifica dell’usura al momento pattizio, valutando la misura dell’equilibrio delle prestazioni convenute fra le parti, non rilevando in alcun modo l’insorgere o meno del diritto al tasso di mora in un momento successivo; cioè a dire, rileva il momento in cui gli interessi, corrispettivi e di mora, sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. La misura dell’onere eventuale incide già al momento pattizio nell’equilibrio del contratto, potendo modificare apprezzabilmente la proporzione fra la prestazione del mutuante e quella del mutuatario. In un mercato del credito che fosse informato a regole di concorrenza, non vi sarebbe alcun bisogno di presidi a tutela della parte debole: al contrario, nell’ambito di contratti tipicamente di adesione, predisposti unilateralmente dall’intermediario, la normativa mira a preservare e presidiare - attraverso strumenti straordinari (art. 644 c.c. e art. 1815 c.c.), proporzionali al disvalore sociale e al nocumento al mercato arrecato dall’usura - l’equilibrio del plesso intero delle clausole che compongono il contratto, a prescindere dalla natura (ordinaria o eventuale)  e dalla funzione (corrispettiva, risarcitoria o penale) delle stesse: qualunque forma di deroga sarebbe fonte di elusione.[8]

Fondare sulla natura eventuale dell’onere di mora, il motivo per escludere, nella fase genetica del contratto, la sussistenza dell’usura non coglie lo spirito della norma: una condizione contrattuale eventuale, se è usuraria, non abbisogna di attendere che venga applicata per dar luogo alla sanzione.[9] La norma non fa alcuna distinzione fra l’usura pattuita e l’usura applicata: in un accostamento figurativo, già l’aver appostato la trappola per conigli configura l’illecito, indipendentemente se si è impiegato come esca il tasso corrispettivo o il tasso di mora. Come tutti gli oneri eventuali, gli interessi di mora rilevano in sé nel contratto sol perché possono assumere valori ‘capestro’, costituenti una spada di Damocle, retta da un sottile crine di cavallo, che pende sulla testa del debitore.[10]

La mora, ancorché onere eventuale, non si qualifica usuraria con il sopravvenire dell’ipotetico evento previsto in contratto: la connotazione usuraria, cioè la volontà di trarre un profitto illecito, si colloca all’origine, nello squilibrio pattizio, indipendentemente dalla circostanza che il pagamento sia certo o eventuale. Negli effetti la clausola di mora, non è dissimile da un’opzione, o meglio ancora, da un’assicurazione associata al caso di insolvenza.

Come si evince chiaramente dalla Cassazione n.44143/12[11], nn. 350, 602 e 603 del 2013, prima ancora dalla legge n. 24/01 di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p.,[12] dalla Corte Cost. 29/02 e, da ultimo, dalla menzionata sentenza delle Sezioni Unite n. 24675/17, la natura ‘eventuale’ della mora non induce alcuna traslazione dell’usura alla sopravvenuta insolvenza; il giudizio di usurarietà, rimane assorbito esclusivamente nella sproporzione pattizia fra l’impegno del creditore e quello del debitore, previsto nelle condizioni iniziali che accompagnano l’erogazione del credito: il tasso di mora ha un peso e misura che concorre all’equilibrio del contratto. La linea reiteratamente assunta dalla Cassazione, oltre che dalla Corte costituzionale n. 29/02, è strettamente dettata dalla lettera dell’art. 1 della legge n. 24/01: ‘a qualunque titolo, indipendentemente dal loro pagamento’; ciò, come riconosce A.A. Dolmetta ‘taglia completamente fuori il tema dei moratori dal tavolo dell’usura sopravvenuta’.[13]

La presenza in contratto di un accordo usurario, ancorché eventuale nella sua manifestazione, introduce nel mercato del credito una patologia pattizia lesiva del libero e corretto svolgimento del mercato stesso. Giova aver presente gli interessi collettivi ai quali è rivolta la protezione disposta dalla legge: “(…) Una scelta legislativa dunque dalla quale traspare l’evidente intento di delineare la disciplina della usura in chiave tendenzialmente oggettiva, caratterizzando la fattispecie come una violazione del rapporto di adeguatezza delle prestazioni, secondo parametri predefiniti ed obiettivi che necessariamente non possono non tener conto delle leggi di mercato e del variabile andamento dei tassi che da esse conseguono. Attraverso l’abbandono del tradizionale requisito per così dire soggettivistico dell’abuso, e la sua sostituzione con il rilievo del tutto prevalente che nella struttura della fattispecie finisce per assumere il requisito – tutto economico – della sproporzione tra la prestazione del mutuante e quella del mutuatario, la prospettiva della tutela sembra dunque essersi spostata dalla salvaguardia degli interessi patrimoniali del singolo e, se si vuole, dalla protezione della personalità del soggetto passivo, verso connotazioni di marcata plurioffensività, giacché accanto alla protezione del singolo, vengono senz’altro in gioco anche – e forse soprattutto – gli interessi collettivi al corretto funzionamento dei rapporti negoziali inerenti alla gestione del credito e alla regolare gestione dei mercati finanziari (Cassazione n. 20148 del 18 marzo 2003).[14]

L’eventuale insolvenza alla scadenza della rata, che fa ‘scattare’ la clausola di mora, non determina alcuna ‘usura sopravvenuta’ escludente, secondo la Cass. S.U. 24675/17, l’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c. [15] L’obbligazione è assunta all’origine nel patto: ancorché eventuale, la mora esercita il suo rilievo nell’equilibrio pattizio; non si può trascurare che la presenza in contratto della mora, anche nella sua natura eventuale, costituisce un vantaggio in sé di ‘deterrenza’, a prescindere dall’applicazione concreta, che comunque sul piano concreto assumerà statisticamente una misurabile certezza, tanto più marcata quanto minore è il merito di credito e, di riflesso, più rilevante è il corrispondente tasso corrispettivo: vantaggio ricompreso a pieno titolo, letteralmente, nella previsione dell’art. 644 c.p.

Non è irrilevante, nella determinazione dell’insolvenza, la condotta dell’intermediario, che non è un terzo estraneo al fenomeno. Presidiando, oltre la misura consentita, il regolare pagamento degli interessi e del capitale in scadenza, nel caso di difficoltà economiche, quando non si favorisce il default dell’imprenditore, si antepone la remunerazione del credito alla remunerazione degli altri fattori che intervengono nella produzione, ivi compresa la fiscalità, creando le condizioni acché il mercato reale rimanga succube dalla finanza. Ciò induce a ritenere che la legittima tutela del creditore incontri un limite, oltre il quale viene pregiudicata la posizione del debitore nel momento di difficoltà economico-finanziaria. Non sono infrequenti comportamenti degli intermediari che, nell’erogazione del credito, anziché porre in essere un’accurata istruttoria per una corretta valutazione delle possibilità di rientro del capitale investito, preferiscono amplificare le garanzie richieste, tarando all’occorrenza la tipologia del finanziamento, più sulle esigenze dell’intermediario stesso, che su quelle dell’imprenditore, come spesso avviene nelle aperture di credito a revoca.[16] L’evento di morosità, quando non è imputabile a circostanze a priori imprevedibili, è riconducibile ad una scorretta previsione dei flussi di rientro dell’investimento da parte del cliente ma deriva altresì da una concessione di credito basata su una carente istruttoria dell’intermediario, che ha stimato attendibile e capiente il business plan del cliente: una responsabilità professionale che non può essere trascurata, né le ripercussioni economiche sul bilancio dell’intermediario possono essere temperate da drastici recuperi posti in extremis, all’atto delle intervenute difficoltà economico-finanziarie del debitore.

Se la mora venisse relegata nella sfera dell’usura sopravvenuta, e pertanto sottratta alla radicale sanzione dell’art. 1815, 2° comma c.c., si aprirebbe un apprezzabile varco all’elusione del presidio all’usura. Con l’asimmetria che domina i rapporti di credito, nell’istruttoria del finanziamento, l’intermediario potrebbe agevolmente preordinare il piano di rientro, a mo’ di fisarmonica, per orientare sugli eventi di mora lo sbilanciamento finanziario del finanziamento, sino ad erodere gradualmente l’equilibrio economico, così da eludere la drastica sanzione prevista dalla norma.[17]Le gestione dello scopeto senza affidamento, come gli affidamenti revocati e trascinati nel tempo, già realizzano forme surrogatorie di mora, a tassi marcatamente superiori agli ordinari costi del credito, legittimati dalle Istruzioni della Banca d’Italia, marcatamente orientate ad usum Delphini.[18]

La funzione deterrente della penale non può essere esasperata: il presidio all’insolvenza ha un limite, né questo può essere all’occorrenza innalzato a dismisura, per il medesimo principio per il quale non è consentito difendere la propria abitazione interponendo corrente ad alto voltaggio.

Per tariffazione del credito ad applicazione diffusa ad un’estesa platea di clienti, oneri che per il singolo fruitore del credito sono eventuali, per la stessa legge dei grandi numeri, risultano per l’intermediario e il mercato certi e statisticamente determinati. L’offesa al corretto funzionamento del mercato si realizza già all’origine, con il patto che – come indicato nella sentenza in argomento – con la mora in usura, configura uno squilibrio fra le prestazioni convenute: la conseguenza rimane eventuale per il cliente ma statisticamente risulta certa sia nel profitto illecito dell’intermediario, sia nella lesione al mercato del credito. Né appare corretto e funzionale presidiare il dovuto rispetto del piano di rientro, con la ‘minaccia’ di un tasso di mora che conduce il finanziamento in usura, per poi ricorrere, all’occorrenza, agli interventi palliativi previsti dall’ordinamento, per temperare le pretese eccessive dell’intermediario. [19]

Dal lato della banca la previsione di un tasso di mora che esonda la soglia d’usura configura la regolamentazione contrattuale di quella quota parte della clientela che, pur indeterminata ex ante, con certezza statistica risulterà insolvente alla scadenza. Diversamente dal singolo rapporto, in una prospettiva di mercato, più che una pluralità di eventi alternativi, contemplati nel contratto - elemento connotante il dolo eventuale - si possono ravvisare dal lato della banca due distinte, determinate e consapevoli scelte: tasso corrispettivo per la clientela che risulterà solvente alla scadenza, tasso maggiorato per la clientela che risulterà insolvente alla scadenza. La cosciente volontà di conseguire vantaggi usurari e la corrispondente lesione del mercato del credito è tanto più evidente e rilevante nella sua dimensione, quanto più il tasso corrispettivo, ponendosi a ridosso della soglia, già sconta un significativo rischio di credito, superiore all’ordinario, corrispondente ad una maggiore attesa di insolvenza.

L’eventualità dell’insolvenza, su un’ampia platea di clientela, per l’intermediario si tramuta drasticamente in una certezza, non identificabile ex ante in specifici clienti, ma statisticamente quantificabile nella ricorrenza e dimensione. Nello spirito della norma, il rapporto della banca con il cliente trascende nel rapporto con il corretto funzionamento del mercato del credito: in questa prospettiva il dolo diviene diretto, non più eventuale. Nella circostanza, richiamando l’insegnamento di G. Oppo, agire sapendo equivale a volere, in rapporto alla responsabilità per gli effetti riversati sulla base sociale e sul regolare funzionamento del mercato.[20]

La sentenza n. 23192/17 risulta del tutto coesa e complementare a quanto espresso dalla Cassazione S.U. n. 24675/17. La prima sentenza, nel rilevare nella mora pattizia in usura ‘una sproporzione oggettiva tra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore’, si accomuna alla sentenza coeva delle S.U. che ‘dà rilievo essenziale al momento della pattuizione degli interessi, valorizzando il tal modo il profilo della volontà e dunque della responsabilità dell’agente’.

Se l’accertamento dell’usura nella mora non fosse ricondotto al momento iniziale, con riferimento, quindi, al credito erogato e, invece, fosse traslato sull’elemento di sopravvenienza successiva, rimarrebbero inapplicabili gli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., in rispetto della norma di interpretazione autentica d.l. 394/00, conv. l. 24/01.[21] Per contro, si risolverebbe in una sorta di contorsione ermeneutica attribuire alla mora, solo al verificarsi dell’insolvenza, valenza di usura originaria, esclusa sino a quel momento perché eventuale: una tale prospettazione appare poggiarsi esclusivamente sulla tutela del singolo nella lesione subita con il pagamento, tralasciando l’indebita ‘minaccia’, operativa dall’inizio, e trascurando la tutela del mercato, che rimane già leso nella originaria sproporzione contrattuale.[22]

Il presidio di legge deve risultare rispettato nelle condizioni presenti all’atto del contratto:[23] una clausola di salvaguardia che riduca entro la soglia gli eventuali oneri aggiuntivi, previsti nel caso di insoluto alla scadenza, estinzione anticipata o recesso contrattuale, può forse presidiare, per il futuro, un’usura sopravvenuta, non certo quella originaria, non potendo l’intermediario sottrarsi unilateralmente alla sanzione stabilita dall’art. 1815, comma 2, c.c. prevedendo la riduzione del tasso usurario alla soglia.[24] 

Un quarto aspetto, foriero di riflessi economici di apprezzabile rilievo, rifluisce direttamente dalla riconduzione al momento pattizio dell’accertamento dello squilibrio contrattuale riconducibile alla mora. La Cassazione n. 23192/17, rigettando lo specifico ricorso al riguardo sollevato dall’intermediario, fornisce un’esplicita conferma che la previsione in contratto di un tasso di mora che induce un costo del credito in usura, comporta la nullità prevista dal 2° comma dell’art. 1815 c.c., estesa a tutti gli interessi, siano essi corrispettivi che moratori: la nozione di interesse prevista da detto articolo è univocamente determinata dall’art. 644 c.p. Con ciò vengono sciolte le perplessità che avevano indotto una parte prevalente dei Tribunali a prescrivere, nella circostanza, la nullità circoscritta alla sola clausola di mora.

Non si comprenderebbe, altrimenti, perché l’art. 644 c.p. dovrebbe riguardare tutti gli interessi ‘a qualunque titolo convenuti’ e l’art. 1815 c.c. considerare solo quelli di mora. D’altra parte il finanziamento è unico e tutti gli oneri inerenti al credito concesso, a qualunque titolo pattuiti, concorrono congiuntamente a formare lo squilibrio contrattuale, sanzionato sia dall’art. 644 c.p. che dal corrispondente art. 1815 c.c. Il secondo comma dell’art. 1815 c.c. colpisce l’intero plesso dei costi, costituente l’interesse ‘allargato’ previsto dall’art. 644 c.p., non i singoli addendi che lo compongono.[25] Lo stretto collegamento fra i due articoli, che definisce ineludibilmente il raggio di azione della sanzione, è puntualizzato dalla sentenza della Cassazione S.U. n. 24675/17; nel declinare i riflessi indotti dal d.l. n. 394/00, si precisa: ‘Una sanzione (che implica il divieto) dell’usura è contenuta, per l’esattezza, anche nell’art. 1815, secondo comma, cod. civ. – pure oggetto dell’interpretazione autentica di cui si discute – il quale però presuppone una nozione di interessi usurari definita altrove, ossia, di nuovo, nella norma penale integrata dal meccanismo previsto dalla legge 108.’, pervenendo alla conclusione che ‘in tanto è configurabile un illecito civile, in quanto sia configurabile la violazione dell’art. 644 cod. pen., come interpretato dall’art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000.’ Imprescindibilmente ne consegue che l’applicazione dell’art. 1815 cod. civ. non può essere stemperata frazionando il presidio sanzionatorio, così come l’usurarietà dell’interesse ‘allargato’ dell’art. 644 c.p., non può essere parcellizzata ora nella mora, ora nella CMS, ora nelle spese di assicurazione, ecc.[26] La nullità comminata dal 2° comma dell’art. 1815 c.c. colpisce in uno l’intero aggregato degli oneri e utilità che concorrono alla determinazione degli interessi nella nozione data dall’art. 644 c.p.[27]


2.  La verifica dell’Usura nella mora

La Cassazione n. 23192/17 non si è occupata delle modalità di verifica del rispetto della soglia d’usura, adottate dal CTU del Tribunale di Matera, che non sono menzionate, né contestate nel ricorso avanzato dalla banca. Di riflesso, risulta tralasciato, non preso in alcuna considerazione dalla Cassazione, un aspetto della sentenza adottato dal Tribunale di Matera, cioè a dire il criterio di verifica che, a giudizio dello scrivente, appare non trascurabile nell’accertamento dell’usurarietà delle prestazioni convenute nel contratto di mutuo oggetto del giudizio e che, attentamente considerato, avrebbe condotto operativamente ad un esito opposto.

Come osservato in un precedente documento,[28] occorre considerare che l’art. 644 c.p. coglie il momento della pattuizione ed è riferito al credito erogato: il finanziamento è unico, scadenzato nelle distinte rate di rimborso. Di riflesso la verifica dell’usura è imposta con riferimento all’entità del credito erogato e all’equilibrio delle condizioni contrattuali disposto inizialmente; alla scadenza, nella rata rimasta impagata, non si configura alcuna nuova pattuizione né alcuna erogazione. Il riferimento alla corresponsione o meno della mora non assume alcun rilievo, né tanto meno risulta dirimente in ordine all’applicazione dell’art. 1815 c.c.; ciò che rileva, per l’art. 644 c.p. e l’art. 1815 c.c. non è il pagamento per il ritardo di una specifica rata; la verifica dell’usura non può essere esperita sul rapporto fra interessi di mora e ammontare della rata scaduta, ma va ricondotta al costo complessivo che il credito concesso può subire a seguito della pattuizione dell’eventuale morosità, con l’insolvenza in una o più rate e/o nel capitale a scadenza.[29] Il tasso di mora non è un tasso effettivo, è un tasso semplice che integra il tasso corrispettivo nel momento dell’insolvenza, come riflesso del mutamento determinatosi nel piano di ammortamento.[30] Il finanziamento è unico e l’onerosità va misurata nelle sua interezza, nelle prestazioni convenute inizialmente fra le parti, non nelle risultanze alle distinte scadenze. L’ammontare del tasso di mora non è ininfluente nell’equilibrio delle prestazioni convenute, potendone determinare lo squilibrio. Si determineranno circostanze di usurarietà pattizia se, per una delle possibili eventualità pattuite, relative ad una modifica delle scadenze del piano di ammortamento convenuto, gli interessi di mora previsti in contratto, aggiungendosi in successione temporale agli interessi corrispettivi alla scadenza della rata, determineranno un tasso annuo effettivo del prestito debordante la soglia vigente alla data di stipula del contratto. [31]

Quale che sia lo scenario di possibili insolvenze del debitore, il rendimento effettivo del mutuo sarà in ogni caso una media ponderata del tasso corrispettivo, applicato al capitale in essere e riferito ai periodi convenuti e del tasso di mora, applicato al capitale scaduto e riferito ai periodi di insolvenza.[32] Il debordo della soglia da parte del tasso di mora applicato alle rate e/o al capitale insoluto alla scadenza non comporta necessariamente un tasso effettivo annuo in usura, se il tasso effettivo si colloca apprezzabilmente al di sotto della soglia. Nel caso esaminato dalla Cassazione, uno scostamento esiguo del tasso di mora sopra la soglia, pari ad un centesimo di punto, congiuntamente ad un tasso corrispettivo marcatamente inferiore, dato emergente dalla sentenza del Tribunale di Matera, come si mostrerà qui di seguito, non potrà mai – quale che sia lo scenario ricompreso nelle condizioni di contratto – condurre ad un rendimento effettivo del prestito superiore al tasso soglia.

Infatti, considerando il worst case – che ricorre quando il prenditore del finanziamento risulta insolvente ad ogni scadenza ma provvede ad effettuare versamenti che coprono solo ed esclusivamente gli interessi di mora – il costo complessivo del finanziamento sale con il protrarsi dell’insolvenza, convergendo gradualmente verso un tasso asintotico limite;[33] poiché la mora non produce ulteriori interessi, i regolari pagamenti alla scadenza della mora penalizzano al massimo il mutuatario, con un tasso effettivo annuo che tende a lievitare gradualmente con il tempo asintoticamente verso un tasso determinato che, quale che sia la durata e la periodicità del mutuo, in ogni scenario di insolvenza, si viene a collocare – per la stessa ponderazione implicita - in un valore intermedio fra il tasso corrispettivo e il tasso di mora (rispettivamente 5,85% e 9,85% nel caso giudicato dal Tribunale di Matera).


Nella Tabella sopra riportata si è ipotizzato un piano di ammortamento su un orizzonte decennale, con rate annuali, al tasso nominale 5,85%, prevedendo che le rate rimangano insolute e che venga regolarmente pagata la mora del 9,85% al termine di ciascun anno successivo al primo. Nell’ultima colonna si è riportato il rendimento effettivo del prestito nel caso di estinzione/risoluzione e pagamento di tutta l’esposizione al termine dell’anno di riferimento.

Nei contratti di mutuo, la risoluzione per inadempimento, di regola, non è automatica ma è rimessa alla discrezionalità della banca.[34] Non è pertanto preclusa alla stessa la possibilità di lasciare che l’insolvenza si protragga nel tempo, anche oltre la scadenza ultima del finanziamento, posponendo la risoluzione e l’azione per il recupero del capitale ed interessi: in talune circostanze può risultare opportuno e anche conveniente per la banca procrastinare la chiusura del rapporto e il recupero del capitale. Si può agevolmente verificare che, nell’esemplificazione sopra riportata, il tasso di rendimento effettivo, con il protrarsi del tempo, tende gradualmente, con un’accelerazione decrescente, a convergere verso un asintoto dato dal worst rate dell’8,658%.

Naturalmente la risoluzione del contratto interverrà, di regola, in tempi ragionevolmente poco discosti dalle prime manifestazioni di insolvenza: tuttavia, quand’anche l’insolvenza fosse lasciata protrarsi indefinitamente nel tempo (caso limite, worst case), il costo del finanziamento risulterebbe comunque sempre inferiore all’8,658%.[35]

Modificando la durata del mutuo e/o la periodicità del piano di ammortamento si modificherà, con una proporzionalità inversa, il tasso corrispondente al valore limite dell’asintoto.[36] Comunque, in ogni caso possibile, ricompreso nelle condizioni contrattuali del prestito esaminato dal Tribunale di Matera, il costo del finanziamento risulterà sempre significativamente inferiore al tasso soglia del 9,84%.

Verificando il rispetto della soglia d’usura con il rendimento effettivo del mutuo, calcolato nei termini sopra illustrati, l’usurarietà viene a dipendere dall’intero costo del credito concesso, ivi compresi gli interessi corrispettivi.  La modalità stessa di calcolo del rendimento effettivo annuo del mutuo, ricomprendente il tasso corrispettivo e quello di mora, in caso di debordo dalla soglia, rende applicabile la sanzione dell’art. 1815, 2° comma, estesa ad ogni interesse ed onere, con la conversione del mutuo da oneroso a gratuito.

Riepilogando, fissate le condizioni del mutuo (durata, periodicità delle rate, tasso corrispettivo e di mora), nel peggiore degli scenari (worst case) per il debitore, si può matematicamente mostrare che il tasso effettivo annuo – corrispondente (a parte gli oneri fissi) alla media ponderata del tasso corrispettivo e del tasso di mora – tende, con il decorso del tempo, univocamente ad un tasso determinato, che possiamo denominare worst rate. Questo tasso, per il concetto stesso di media ponderata, è compreso fra il tasso corrispettivo (nell’esempio 5,85%) e il tasso di mora (nell’esempio 9,85%). Ogni altro scenario possibile del mutuo presenterà un tasso effettivo annuo inferiore al ‘tasso asintotico’ ottenuto nel worst case.[37]

Risulta evidente ed intuitivo che, tanto più il tasso corrispettivo è prossimo alla soglia d’usura, tanto più anche un modesto spread di mora conduce ad un worst rate al di sopra della soglia.


Ne consegue che, determinato il worst rate del prestito, corrispondente al worst case, [38] si avrà che:

a) se il tasso soglia si pone al di sopra del worst rate (8,658% nell’esempio), in ogni possibile scenario (anche il peggiore), risulterà accertato il rispetto della soglia d’usura;

b) se il tasso soglia si pone al di sotto del tasso corrispettivo (5,85% nell’esempio) ovviamente, in ogni possibile scenario (anche il migliore), risulterà accertato il debordo della soglia d’usura;

c) se il tasso soglia si pone nella zona grigia di criticità, compresa fra il tasso corrispettivo (5,85% nell’esempio) e il worst rate (8,658% nell’esempio), sussiste una porzione, più o meno ampia di possibili scenari evolutivi del piano di ammortamento del prestito che conducono il costo del credito in usura.

Gli sviluppi di calcolo illustrati nella precedente Tavola forniscono al giudice utili indicazioni per una valutazione delle circostanze concrete, nella scelta fra due possibili alternative di letture dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c.:

c.1) l’una, rigorista e garantista del corretto funzionamento del mercato, volta a sanzionare con la nullità ogni contrattualizzazione di eventualità di usura, quale che sia la ricorrenza statistica di tale eventualità. Il rigore della norma non sembra consentire alcuna regola pattizia nella quale si concepisca una prestazione usuraria della parte debole, quale che sia l’improbabile ricorrenza di tale eventualità.

c.2) l’altra, rivolta, invece, a valutare il peso specifico delle condizioni eventuali che possono condurre in usura il finanziamento, valutandone, più che eventuali ma teoriche eventualità, l’effettivo pregiudizio che in concreto si riversa sul regolare funzionamento del mercato e nei rapporti fra le parti. In altri termini, per le condizioni eventuali, previste in contratto – corrispondenti ad utilità, anche e non solo economiche, a favore del datore e/o del prenditore di credito – si può procedere ad una valutazione dell’incidenza iniziale della condizione eventuale al momento pattizio, commisurandone la gravità che giustifica l’applicazione dell’art. 644 c.cp. e dell’art. 1815 c.c. alla ricorrenza con la quale la condizione è passibile di realizzarsi. Anche in questo caso il processo di calcolo del worst rate può risultare di ausilio.[39]

c.1) Tesi rigorista. La risoluzione per inadempimento/decadenza del termine nei contratti[40], in genere, non è prevista in via automatica, bensì viene rimessa alla libera discrezionalità della banca; questa non è impegnata ad interrompere il rapporto, rimanendo libera di valutare al momento dell’inadempimento, se risolvere o meno il contratto. Se la banca, alla scadenza delle rate, rimanendo queste insolute, non procede alla risoluzione del rapporto, si può configurare, nella condotta – in ossequio al principio di ermeneutica contrattuale sancito dall’art. 1362, comma 2° c.c. – l’intenzione implicita di proseguire nel rapporto alle condizioni contrattuali convenute, mora compresa. Pertanto, sul piano contrattuale, le prestazioni convenute ricomprendono l’attribuzione alla banca della discrezionalità di proseguire il rapporto anche su scenari evolutivi che, procrastinando nel tempo la risoluzione del contratto e lucrando di riflesso interessi di mora, conducono a praticare tassi in usura.

Si può valorizzare questa piena discrezionalità che la banca si riserva, quale quid in più che la distingue dalla risoluzione automatica, risultando concettualmente assimilabile ad un’opzione[41]a far lievitare il debito su tassi più elevati di quello convenzionale, evenienza che non è così infrequente riscontrare nella pratica, sia nel caso si voglia fornire al debitore la possibilità di rientrare dall’insolvenza, sia nel caso si voglia cogliere l’opportunità di accrescere i ricavi da interessi: soprattutto in presenza di sufficienti garanzie a collaterale, può sussistere un pregnante interesse a procrastinare il recupero del credito.

Poiché tali scenari risultano di fatto praticabili – talvolta intenzionalmente perseguiti al fine di massimizzare il profitto – in una tassativa, stringente lettura dell’art. 644 c.p., in assenza di una clausola di salvaguardia che tuteli il prenditore di fondi da iniqui capestri, si può ravvisare nel contratto la pattuizione di condizioni di usura. D’altra parte la norma non sembra lasciare spazio, nell’equilibrio del contratto, ad alcuna usura, ancorché posta su un’eventualità remota.

Come puntualizzato dalla Cassazione 20148/03, nella scelta del legislatore, alla banca mutuante, quale operatore professionale del credito, viene attribuita una responsabilità del corretto funzionamento del mercato:  traspare l’evidente intento di delineare la disciplina dell’usura in chiave tendenzialmente oggettiva, caratterizzando la fattispecie come un violazione del rapporto tra le prestazioni, secondo parametri predefiniti ed obiettivi che necessariamente non possono non tenere conto delle leggi di mercato e del variabile andamento dei tassi che da esse conseguono’. Anche la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 24675/17, nell’escludere la sussistenza di ogni forma di usura sopravvenuta, riconduce alla centralità del ‘rapporto di adeguatezza tra le prestazioni’, un ruolo determinante ed esaustivo nell’accertamento dell’usura, rimanendo del tutto inconferente che allo squilibrio contrattuale segua o meno la dazione in usura o che questa, ancorché prevista nel patto, rimanga nella marginalità statistica dell’usuale pratica del mercato del credito. [42]

Se per l’applicazione dell’art. 644 c.p. è necessaria la presenza del dolo, per l’applicazione dell’art. 1815 c.c. è sufficiente la previsione pattizia dell’oggettivo esubero del tasso soglia, in qualunque forma e a qualunque titolo convenuto. Con la soglia che si pone al di sotto del worst rate (8,658% nell’esempio), la mora contiene, nella misura del tasso, un quid di sproporzione con risvolti ‘capestro’, concretamente accertabili. Nella legge di interpretazione si configura un reato di usura come reato istantaneo, con effetti permanenti: lo squilibrio permane nella prerogativa che l’intermediario, in un contratto di adesione, si è riservata con il tasso di mora produttivo di costi usurari; nella circostanza si potrà eventualmente escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo, ma, in assenza di clausole di salvaguardia a riequilibrio del contratto, nel rigore della norma non sembrano ravvisabili deroghe per eventualità di usura possibili, ancorché remote.

c.2) Tesi della misura pregiudiziale. Pur nel rispetto della ‘salvaguardia degli interessi patrimoniali del singolo’, il focus del presidio – come sancito dalla menzionata sentenza della Cassazione n. 20148/03 – è posto centralmente su ‘gli interessi collettivi al corretto funzionamento dei rapporti negoziali inerenti alla gestione del credito ed alla regolare gestione dei mercati finanziari’, senza tuttavia trascurare anche la ‘protezione offerta all’esercizio del credito dall’art. 47 della Carta fondamentale’. Ciò induce a debitamente porre in primo piano il corretto funzionamento del mercato, considerando nella sintesi ed equilibrio delle tre ‘sponde’ di interesse (il mercato, il mutuatario e il mutuante), il piano propriamente contrattuale ma ancor più il piano della lesione al funzionamento del mercato. 

In una chiave di lettura del presidio disposto dall’art. 644 c.p., ispirata al prevalente interesse al regolare funzionamento del mercato, l’effetto congiunto del tasso di mora e della discrezionalità nella risoluzione, nel rilievo posto al momento genetico nell’equilibrio del contratto, va misurato sul piano fattuale e concreto di mercato. Le azioni rimesse alla banca, attraverso il tasso di mora congiunto alle altre prerogative previste nel rapporto di credito, assumono, al momento pattizio, un significativo pregiudizio solo nella misura e ricorrenza nelle quali si riversano in un concreto nocumento al mercato e in un indebito extra-profitto dell’intermediario.

In questa prospettiva, si può valutare se e in quale misura, la clausola di risoluzione per inadempimento/decadenza del termine, di concerto con la mora, previste dall’intermediario a propria tutela e a carico del debitore, possano concretamente assumere una frequenza e dimensione tale da costituire un significativo ed insanabile pregiudizio all’equilibrio del contratto e alla corretta gestione del mercato, passibile della sanzione prevista dall’art. 644 c.p. e dall’art. 1815 2° comma c.c.. Valutando nel contempo, nei remoti ma possibili casi estremi, al momento pattizio di esiguo rilievo e di ininfluente rilievo sul funzionamento del mercato e sull’equilibrio del contratto, più idoneo il ricorso a correttivi diversi e più proporzionali, previsti dall’ordinamento, volti a contemperare i diritti del creditore e la tutela del debitore.

 A tal fine, il pregiudizio implicito nelle condizioni contrattuali, può essere valutato misurando la ricorrenza delle insolvenze, reiterate nel tempo, necessarie acché la risoluzione/pagamento renda usurario il rendimento effettivo annuo, determinando, con il procedimento sopra illustrato, il punto di trade-off, oltre il quale la tutela del creditore diviene pregiudizievole per il debitore e per il mercato. Tale misura potrà orientare il giudice nel valutare se le circostanze contrattuali – nelle composizione congiunta di condizioni e tassi, certi ed eventuali - configurino, già al momento genetico, una effettiva e significativa sproporzione delle prestazioni, con conseguente applicazione dell’art. 1815, 2° comma, c.c. O, alternativamente, pur assolvendo ad una tutela del diritto del creditore con circostanze estreme di usura, tali circostanze vengano a costituire, al momento pattizio, un’eventualità di usura – a tal punto remota nell’occorrenza e esigua nella misura - da rendere ex ante ponderatamente inconsistente l’elemento di squilibrio iniziale del contratto e manifestamente sproporzionata l’applicazione dell’art. 1815, 2° comma; reputando che nel caso ricorra sul piano operativo l’eventualità estrema, l’omissione di una clausola a salvaguardia del creditore che l’escluda, potrebbe più propriamente, nella proporzionalità della sanzione, essere assoggettabile ad altri, più adeguati correttivi, previsti dall’ordinamento.

Lo sviluppo della Tavola sopra elaborata fornisce, al riguardo, un’informazione utile: dato un tasso soglia, compreso fra il 5,85% e l’8,658%, la colonna dei rendimenti effettivi alla scadenza di ciascuna rata (annuale nell’esempio) consente di individuare il tempo necessario al protrarsi dell’insolvenza, per addivenire ad un’eventualità di usura. Per esempio, con una soglia d’usura dell’8% si potrà giudicare irrilevante, nel momento genetico, l’incidenza della possibile usura nell’equilibrio iniziale del contratto, valutando alquanto remoto e inverosimile, salvo non ricorrano circostanze particolari, che la banca rimanga passiva per oltre 10 anni di insolvenza, mentre con una soglia del 6% si potrà ritenere che l’opzione rimessa nella discrezionalità della banca, nella dimensione del tasso di mora pattuito (9,85%) a tutela dei diritti del creditore, possa assumere un significativo pregiudizio per la tutela del mercato e del debitore, determinando un concreto squilibrio già nella fase genetica del contratto.[43]

Il giudice potrà, in tal modo, valutare se la sintesi degli opposti interessi, espressa nella specifica pattuizione contrattuale proposta al cliente, configuri un preordinato squilibrio, con una plausibile eventualità di usura ab origine, la cui adozione è suscettibile in sé di arrecare un effettivo e concreto pregiudizio al libero e corretto svolgimento del mercato del credito, o se invece, l’equilibrio del contratto non risulta compromesso da un’eventualità di usura relegata ad una modalità estrema e sporadica di esercizio del diritto, per la quale risulta più proporzionale, all’occorrenza, l’intervento attraverso il ricorso ai diversi correttivi previsti dall’ordinamento (artt. 1375 c.c., 1419, 2° comma, c.c., 1339 c.c.).[44]

La mora non è il solo onere eventuale ricorrente nel contratto di credito. La mora e la ‘penale di estinzione’ anticipata sono tra loro accumunate dalla circostanza che costituiscono un costo del finanziamento, seppur eventuale, entrambe dipendenti da un fatto riconducibile al mutuatario. Applicando agli oneri di estinzione anticipata ex art. 40 TUB i principi sopra esposti, intervengono aspetti peculiari il cui rilievo occorre attentamente ponderare.

Al momento pattizio, nella previsione dell’esercizio della facoltà contrattuale di anticipata estinzione, il contratto prevede plurimi e distinti accordi pattizi per ciascuna data di esercizio.La penale di estinzione anticipata viene dalla dottrina propriamente inquadrata nell’ambito delle obbligazioni con facoltà alternative.[45] Nella circostanza la ‘penale’ – più propriamente inquadrabile nella multa penitenziale - assolve alla funzione di indennizzo per il datore di credito per la non completa realizzazione del ‘programma contrattuale’ (Cfr. Cass. civ. n. 2754/02).

L’art. 40, comma 1 del TUB dispone che i ‘debitori hanno facoltà di estinguere anticipatamente, in tutto o in parte, il proprio debito, corrispondendo alla banca esclusivamente un compenso onnicomprensivo per l’estinzione contrattualmente stabilito’. Il compenso onnicomprensivo non costituisce propriamente una penale: non interviene un inadempimento o ritardo, implicanti funzioni risarcitorie, coercitive o punitive del debitore inadempiente, ma, più semplicemente, un diritto di recesso con corrispettivo. Il diritto previsto all’art. 40 TUB assume un carattere potestativo: l’effetto estintivo è rimesso nell’esclusiva facoltà del mutuatario.La funzione della norma, rivolta a proteggere ‘il soggetto finanziato, quale contraente debole di un rapporto asimmetrico’ (Cass. n. 9519/08), assume un carattere imperativo e inderogabile. Ne riviene che la protezione del mutuatario non può essere compromessa da deroghe o eccessive condizioni al diritto riconosciuto dalla legge. Le modalità di determinazione del compenso non devono risultare eccessivamente gravose, tali da rendere difficile, o sicuramente sconveniente l’esercizio del diritto. Si è osservato, al riguardo, che tale voce di costo costituisce un compenso, ricondotto alla disciplina della multa penitenziale ex art. 1373 c.c. e sottratto, pertanto, alla disciplina di cui all’art. 1384 c.c., in materia di riduzione sub iudice della penale per manifesta eccessività.

In una lettura rigorosa e formale dell’art. 644 c.p., non si può disconoscere nella condizione di anticipata estinzione - facoltà espressamente prevista dall’art. 40, 1° comma, TUB e quindi non derogabile[46] - posta a tutela di entrambe le parti, una condizione pattizia integrante il fisiologico piano di rientro del credito. Nei rapporti di credito, il rapporto paritetico costituisce frequentemente una mera chimera: considerata la natura impositiva dei contratti di adesione, può configurarsi una sproporzione fra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore riconducibile alle condizioni di anticipata estinzione, che non può elusivamente essere posta al di fuori dell’usura.

Se l’indennizzo per l’anticipata estinzione rimane contenuto entro una ragionevole misura, commisurata ad un equo compenso del mutuante, rimane estranea la volontà del creditore di trarre un beneficio illecito, o addirittura l’intenzionalità di trarre vantaggi usurari. Tuttavia, in assenza di una clausola di salvaguardia, quale che sia la misura pur modesta dell’indennizzo – se commisurato ad un importo fisso - rimarrebbe sistematicamente accertata la pattuizione dell’usura in contratto, in quanto nella previsione di un’anticipata estinzione in prossimità dell’erogazione, il costo del finanziamento, comprensivo dell’indennizzo, verrebbe a superare qualunque soglia d’usura.

Occorre tuttavia distinguere i finanziamenti a tasso fisso dai finanziamenti a tasso variabile. Nei primi, diversamente da quelli a tasso variabile, vi è un rischio di variazione dei tassi del quale il portatore si fa carico: a fronte della certezza della rata del finanziamento, il portatore si assume il rischio di continuare a pagare il tasso fisso convenuto per tutto il periodo di durata del piano di ammortamento, anche nel caso di flessione dei tassi. In sede di anticipata estinzione – a meno di previsione contrattuale o di legge di indennizzo gratuito, che si riflette in un maggior tasso corrispettivo – la flessione dei tassi di mercato si riverbera in un maggior onere dell’anticipata estinzione, che non può risolversi in un’usura sopravvenuta, in quanto inerente al rischio assunto dal portatore: ad esempio, per un finanziamento decennale di 100 al tasso del 10%, se i tassi passano dal 10% al 5%, il valore di estinzione del finanziamento sale ad oltre 120 ed il relativo costo dell’indennizzo non può essere ascritto all’intermediario, costituendo la risultante del rischio di mercato assunto dal prenditore.[47] L’alea connessa alle variazione dei tassi, a partire dal momento della pattuizione, rimane implicita nei rischi che con il finanziamento fanno carico al mutuatario. Solo eventuali maggiorazioni, aggiunte dall’intermediario nell’indennizzo di anticipata estinzione, costituiscono oneri implicitamente caricati sul finanziamento che, al momento genetico del contratto, vanno ricompresi nel costo complessivo soggetto ai limiti di soglia previsti dalla norma. Il valore dell’indennizzo, calcolato al momento genetico del contratto, per la 1° finestra utile di uscita – prima ancora che intervengano mutamenti nei tassi di mercato - è quasi tutto riconducibile al costo del finanziamento da includere nella verifica dell’usura. Successivamente, mano a mano che le condizioni di mercato mutano, nell’indennizzo vengono ad interagire sia la componente data dalle modifiche indotte dal mercato sul tasso free risk, sia la componente di maggiorazione (spread) che l’intermediario ha caricato sul tasso per coprire i rischi di controparte e spese dell’operazione; mentre la prima componente è riferibile al rischio assunto dal portatore del finanziamento, estranea all’intermediario, la seconda componente costituisce l’effettivo costo inerente l’erogazione del credito che l’intermediario ha previsto a proprio beneficio. La prima componente è una perdita da mutamento dei tassi di mercato che – se non prevista in contratto o dalla norma - non può essere posta a carico dell’intermediario, la seconda componente è un extra-profitto dell’intermediario al quale non corrisponde alcun servizio, salvo gli oneri di chiusura, venendo meno il rischio di controparte.[48] Per quest’ultima componente si può determinare, al momento genetico, il valore medio atteso espresso dal mercato, per ciascuna finestra di uscita dal rapporto, il quale, congiuntamente al tasso corrispettivo e agli altri costi del finanziamento, viene a determinare il TAEG corrispondente alle distinte facoltà di rimborso contrattualmente convenute.

Nei contratti nei quali all’estinzione anticipata non è associato alcun indennizzo,[49] la facoltà concessa al portatore può essere assimilata ad un particolare tipo di swaption -  tecnicamente misurabile con gli ordinari algoritmi impiegati nel mercato finanziario[50]  - il cui prezzo è tuttavia implicitamente già ricompreso nel maggior tasso del finanziamento: la verifica dell’usura è tutta ricompresa nei costi iniziali e nel tasso corrispettivo previsto in contratto, seppur considerato per le differenti scadenze. Per i prestiti a tasso variabile, non potendosi configurare perdite derivanti dalle fluttuazioni dei tassi di mercato, l’indennizzo dovrebbe risultare assai moderato, ragguagliato ai costi vivi di estinzione, comunque ricompresi nella verifica dell’usura.

Nei contratti nei quali è previsto l’indennizzo, se questo risulta manifestamente eccessivo, comprimendo oltre misura l’accesso alla facoltà consentita dall’art. 40, 1° comma, del TUB, può indurre, per più finestre di uscita, un’anticipata estinzione a costi esuberanti la soglia d’usura e quindi configurare la violazione dell’art. 644 c.p. e l’applicazione dell’art. 1815 c.c., 2° comma. Tuttavia, in questa circostanza, come sopra esposto, occorre distinguere quanto, con il suo valore opzionale, l’indennizzo di estinzione anticipata incida nel costo del finanziamento e quanto, invece, attenendo propriamente all’aleatorietà di mercato, implicita nell’assunzione del finanziamento, per ciò stesso è estraneo all’ambito di azione del presidio all’usura: il valore dell’indennizzo, nella fase genetica del contratto, è pressoché tutto ascrivibile al costo del finanziamento. Non assumendo tale indennizzo, come nella mora, l’incertezza indefinita associata all’insolvenza del debitore, si qualifica come una facoltà dal valore finanziariamente misurabile; di riflesso, è possibile determinare, al momento pattizio e successivamente, l’esatto valore dell’indennizzo per ciascuna ‘finestra di uscita’ sulla base della curva dei tassi espressa dal mercato. Tale valore, depurato della componente strettamente connessa al rischio di tasso del mercato, costituisce il corretto costo implicito del maggior indennizzo – rispetto al tasso free risk -  che il mutuante si è riservato nel caso venga esercitato il diritto spettante al mutuatario di estinguere anticipatamente il finanziamento.[51]

 

3. La Cassazione S.U. n. 24675 del 19 ottobre 2017 ridimensiona l’usura sopravvenuta

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 24675 del 19 ottobre 2017, hanno stabilito un principio di rigoroso rispetto della legge 24/01, riconducendo l’accertamento dell’usura ex artt. 644 c.p. e 1815 c.c. esclusivamente e tassativamente all’equilibrio del rapporto fra le prestazioni convenute al momento pattizio. Nell’occuparsi di un mutuo sorto precedentemente alla legge 108/96, la Cassazione S.U. ha escluso l’usura ex art. 644 c.p. in ogni forma sopravvenuta di debordo dalle soglie d’usura, relativa ad ogni rapporto di credito, sorto precedentemente o successivamente alla legge 108/96.

Nell’usura sopravvenuta viene di fatto completamente esclusa ogni nullità ex art. 1418, comma 2, c.c. o inefficacia della clausola di interesse:[52] rimangono disponibili nella circostanza gli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, ma il reato d’usura e la connessa sanzione dell’art. 1815 c.c., 2° comma rimangono esclusi. Viene esclusa, in radice, l’illiceità della pretesa di un tasso di interesse, regolarmente pattuito ancorché divenuto superiore alla soglia; anche l’applicazione del principio di correttezza e buona fede ex art. 1375 c.c., viene sostanzialmente escluso, salvo che ultronee e specifiche modalità o circostanze del caso concreto non ne giustifichino l’applicazione.Nelle circostanze considerate, quale che sia la base normativa impiegata, l’intervento comporta correttivi assai più modesti rispetto a quello dell’usura originaria.[53]

Ma, con il dettato dell’art. 644 c.p., ‘la norma appare proprio netta, univoca: l’usura si verifica non solo quando taluno “si fa promettere vantaggi usurari”; ma pure – e indipendentemente – quando questi “si fa dare vantaggi usurari”’. Come si è avuto modo di affermare in dottrina: la differenza fra farsi dare e farsi promettere interessi ed altri vantaggi usurari va letta sempre nella prospettiva di rafforzare la tutale penale anticipando nella fase della semplice promessa non seguita dalla dazione laddove nel momento del pagamento la fase della pattuizione, come dice la Corte di Cassazione, è assorbita nel pagamento stesso. Non esiste dunque una dazione sganciata dalla pattuizione, mentre può esistere al contrario una pattuizione sganciata dalla dazione.[54]Altrimenti – riporta A.A. Dolmetta – ‘una distinta precisione del divieto di “farsi dare” dei vantaggi usurari sarebbe del tutto inutile’.[55]

Il principio, fissato dalla Cassazione S.U., se può risultare coerente con gli impegni ed i rischi assunti in un mutuo, è suscettibile di creare apprezzabili criticità e discrasie se esteso all’intero mercato del credito.[56] Per talune operazioni di credito, rimanendo sanzionata con l’illiceità solo l’usura originaria, si depotenzia apprezzabilmente il presidio, dando la stura a forme traverse di pagamenti usurari non riconducibili propriamente alla fase genetica del contratto.[57]

Il principio stabilito dalla Cassazione S.U. sembra coprire l’esteso arco dell’usura sopravvenuta, quale che sia il rapporto sottostante, ivi compreso il rapporto di credito in conto corrente, dove ricorrentemente, accanto alla stipula iniziale, intervengono successive pattuizioni di adeguamento ex art. 118 TUB, alle condizioni di mercato.[58] A ciò sembra riferirsi la sentenza nel menzionare i ‘patti successivi’: ‘E’ priva di fondamento, infatti, la tesi della illiceità della pretesa del pagamento di interessi ad un tasso che, pur non essendo superiore, alla data della pattuizione (con il contratto o con patti successivi), alla soglia dell’usura definita con il procedimento previsto dalla legge n. 108, superi tuttavia tale soglia al momento della maturazione o del pagamento degli interessi stessi’.

Al riguardo – senza trascurare le finalità del d.l. 394/00, conv. l. 24/01, principalmente rivolte a temperare gli effetti del nuovo dettato dell’art. 644 c.p. sui prestiti a piano di rimborso graduale, stipulati precedentemente alla legge 108/96 – una sostanziale criticità si pone per le operazioni di credito in conto corrente, ordinariamente praticate ai tassi correnti, ma per le quali il debordo può intervenire in un secondo momento a seguito della flessione delle soglie d’usura.[59] 

Il costo del credito in conto viene di norma commisurato ai tassi correnti del mercato monetario, dal quale gli intermediari traggono all’occorrenza la necessaria provvista; la Banca d’Italia, nella rilevazione del TEGM ha distinto i finanziamenti ad utilizzo flessibile per i quali sono rilevati i tassi praticati, non quelli pattuiti, prevedendone il rispetto della soglia per tutti i trimestri di durata del finanziamento. Diversamente, per i finanziamenti a rientro graduale nel tempo, il tasso è stabilito una volta per tutto il periodo, al momento pattizio; anche per la rilevazione si impiegano i tassi pattuiti al momento iniziale del rapporto. Nella Comunicazione del 3 luglio 2013 riporta: ’La rilevazione svolta dalla Banca d'Italia sui tassi effettivi globali medi distingue due tipologie di crediti: - per i finanziamenti a utilizzo flessibile sono rilevati i TEG praticati nel trimestre per tutti i conti in essere anche se si tratta di contratti stipulati in precedenza. Le forme tecniche che ricadono in questa fattispecie sono le aperture di credito in conto corrente, gli anticipi su crediti e sconto di portafoglio commerciale, il factoring e il credito revolving. I TEG applicati per tali operazioni sono sensibili alle variazioni di mercato, fermo restando quanto disposto dalla legge in materia di variazioni contrattuali unilaterali. La Banca d'Italia ha dato indicazione agli intermediari di condurre una verifica trimestrale sul rispetto delle soglie vigenti in ciascun periodo per tutti i finanziamenti di tale tipo in corso; - per i finanziamenti con un piano di ammortamento predefinito (credito personale, credito finalizzato, leasing, mutui, prestiti contro cessione del quinto e della pensione, altri finanziamenti) viene rilevato il TEG relativo ai nuovi contratti stipulati nel trimestre. Per questa tipologia di crediti la verifica sul rispetto delle soglie è compiuta solo al momento della stipula del contratto, in cui la misura degli interessi è stabilita’.[60]

Un primo rilievo discende dal principio di esclusivo riferimento al momento genetico del patto creditizio, sancito dalla Cassazione S.U che rende ancor più anacronistico trasporre nella verifica dell’art. 644 c.p. la formula del TEG impiegata per i finanziamenti ad utilizzo flessibile nella rilevazione del TEGM. Infatti, la formula del TEG, che riporta al denominatore della prima frazione i numeri debitori maturati nel trimestre e nella seconda l’affidato, è preordinata ad una rilevazione statistica che interviene ex post; al momento genetico del contratto, ex ante, non vi è alcuna erogazione: queste intervengono gradualmente nel tempo con modalità continuative e ripetitive, che richiederebbero una verifica in continuum; né intervengono ancora, alla genesi del contratto, numeri debitori che possano giustificare una formula che si discosta da quella del TAEG prevista per i finanziamenti con piano di ammortamento predefinito;[61] né ancora l’art. 644 c.p. ammette deroghe, o formule edulcorate, per i costi fissi collegati a finanziamenti ad utilizzo flessibile, quando l’importo dell’utilizzo risulti moderato, inferiore all’accordato. Non si ravvisano ragioni legittime per rilevazioni e ‘computi’ diversi e distorti: le commissioni di affidamento, come gli altri oneri fissi, potrebbero essere gestiti contrattualmente, in termini coerenti con il rispetto dell’art. 644 c.p., attraverso clausole di salvaguardia e l’impiego dei meccanismi di cimatura dei quali sono dotati i sistemi informatici degli intermediari. L’impiego della formula del TEG, a doppia frazione, trasfusa nella verifica dell’art. 644 c.p., per utilizzi del fido inferiori all’accordato, restituisce una misura del costo del credito errata, che può risultare anche marcatamente inferiore a quella effettivamente sopportata dal cliente.[62] Continuare a negare questa evidenza, o giustificarla per esigenze operative – in palese contraddizione con il dettato dell’art. 644 c.p. – esprime un indebito asservimento alle indicazioni della Banca d’Italia, a scapito di una diffusa platea di consumatori ed imprenditori.L’equilibrio economico delle operazioni di credito di più modesto importo, su un ampio aggregato di clientela, può trovare soluzioni diverse, nel più rigoroso rispetto della norma.

Un secondo rilievo attiene all’utilizzo dell’art. 118 TUB. Differentemente dal finanziamento con piano di ammortamento, nel credito ad utilizzo flessibile non ricorre per l’intermediario alcun rischio di mutamento dei tassi. La circostanza che per il credito in conto sia consentito lo jus variandi – precluso ai finanziamenti con piano di rimborso programmato – costituisce un elemento di differenziazione non trascurabile. Nella prima tipologia – a differenza della seconda nella quale il finanziamento viene erogato in un’unica soluzione – il credito non viene erogato all’atto del contratto ma è posticipato nei successivi utilizzi e risulta di fatto continuativo nel tempo: questa connotazione, così come comporta il costante adeguamento ex art. 118 TUB del costo ai tassi di mercato, dovrebbe, in via continuativa per tutti gli utilizzi delle disponibilità concesse, comportare il rispetto dei limiti di soglia.

Appare assai stridente, asimmetrico e di squilibrio delle prestazioni, il fatto che da un lato, con un patto successivo, la banca possa, nel caso di ascesa dei tassi di mercato, attraverso l’art. 118 TUB, rinnovare il momento originario, usufruendo delle soglie più alte e, per contro, non subire un imperativo ridimensionamento del tasso praticato, nel caso di discesa dei tassi di mercato e conseguentemente delle soglie d’usura; secondo le S.U. n. 24675/17, alcuna illiceità di tale condotta sembra potersi dedurre in via automatica.

Tuttavia, le modalità di impiego dei diritti scaturenti dai contratti di credito in conto corrente, qualora venga impropriamente utilizzato l’art. 118 TUB unicamente nella fase ascendente dei tassi, ad esclusivo beneficio dell’intermediario, appaiono configurare – nella sproporzione delle prestazioni indotta dal comportamento opportunistico dell’intermediario – quelle particolari circostanze, menzionate dalla Cassazione, che rendono scorretta ai sensi dell’art. 1375 c.c. la pretesa di interessi superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione. In questa chiave di lettura, il principio di diritto sancito dalla Cassazione S.U. n. 24675/17 risulterebbe ridimensionato in quei contratti (la generalità dei finanziamenti in conto) nei quali l’intermediario si è riservata la facoltà di modificare unilateralmente tassi, prezzi e condizioni; per tali contratti, un esubero della soglia successivo alla pattuizione, se non riconducibile ad una svista o negligenza, potrebbe disvelare una preordinata volontà di ricorrere a quelle modalità scorrette, indicate dalla Cassazione, impiegando impropriamente, in senso unidirezionale, la facoltà consentita dall’art. 118 TUB per praticare usura nelle fasi discendenti del ciclo finanziario dei tassi.[63] Nella circostanza la scelta dello strumento rimediale, funzionale al corretto svolgimento del mercato, dovrebbe assumere una valenza sanzionatoria, funzionale a presidiare comportamenti opportunistici che perseverino pretese usurarie, confidando nella parziale desistenza alle azioni giudiziarie.[64]

L’esperienza mostra che, seppur rimangono attivabili i residuali strumenti di tutela previsti nella disciplina del rapporti contrattuali, le strategie tariffarie degli intermediari, potrebbero modificarsi uniformemente e prontamente per cogliere, nell’anacronistica discriminazione, le rendite di posizione rese accessibili dal venir meno della diretta illiceità dell’usura sopravvenuta, sino ad oggi pacificamente riconosciuta nel diritto vivente e sancita dalla stessa Banca d’Italia che in una Comunicazione del 20 aprile 2010 denunciava: ‘Si sono altresì riscontrati l’addebito alla clientela di interessi e altri oneri complessivamente superiori alla soglia di usura e l'applicazione di interessi di mora con effetti anatocistici, senza che sia intervenuto un blocco automatico da parte delle procedure informatiche dell’intermediario’. In presenza di precari e modesti presidi di tutela della clientela, verrebbero rapidamente smantellare, dai sistemi informatici di controllo, buona parte dei processi di cimatura attualmente adottati dagli intermediari bancari.

Il mercato del credito, per buona parte delle Categorie che lo compongono, è un mercato monolitico, di spiccata impronta oligopolistica, sottratto alle dinamiche virtuose della concorrenza. L’intervento del presidio all’usura assolve alla funzione di temperare le spinte opportunistiche e di contrastare l’acquisizione di rendite di posizione. Il presidio disposto con l’art. 644 c.p., nel valorizzare e sanzionare la sproporzione fra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore, assolve un precisa funzione di moderare gli interessi entro margini coerenti con i tassi di mercato, cioè a dire calmierare il costo del credito. Relegando la verifica della sproporzione esclusivamente al momento originario, se viene meno il presidio ad un corretto impiego dell’art. 18 TUB, si perverrà a liberare spinte distorsive dei tassi di mercato.[65]

In un mercato concorrenziale, nessun intermediario finanziario potrebbe praticare, nel segmento a breve del credito, tassi disallineati con quelli via via espressi dal mercato: la domanda di credito emarginerebbe immediatamente tali operatori. Se funzione principe della legge 108/96 è il perseguimento del corretto funzionamento del mercato (Cassazione n. 20148/03), impiegando le soglie d’usura come correttivo alle carenze di concorrenza, rimane implicita nella soglia una funzione di calmiere, intesa come ‘tosatura’ degli eccessi del mercato.[66]

Un terzo rilievo attiene agli effetti di accelerazione nella lievitazione dei tassi. Con la recente sentenza della Cassazione S.U. si viene a precludere una tutela costante e continua alle condizioni unilateralmente imposte e modificate dall’intermediario nei contratti di adesione: verrebbero a risultare legittimi anche tassi che, per le fisiologiche fluttuazioni del mercato monetario, permangono al di sopra della soglia, con effetti distorsivi di lievitazione della soglia stessa, risultando questa calcolata dalla Banca d’Italia, per i finanziamenti in conto, sul tasso praticato, anziché su quello pattuito (con buona pace dei sostenitori dell’omogeneità del confronto!).[67] 

Esteso ai rapporti di conto corrente, il principio sancito dalla Cassazione S.U. determinerà un blocco dell’art. 118 TUB per i tassi più alti, con una generale progressiva lievitazione unidirezionale degli interessi e condizioni. Agli attuali tassi di mercato gli effetti appaiono nell’immediato contenuti, ma con l’evolversi del mercato, perdurando l’endemica carenza di concorrenza, nelle fluttuazioni dei tassi di mercato si determinerà un’ingessatura dell’art. 118 TUB sulle punte più alte del ciclo che, consolidando le rendite di posizione, impedirà, nelle fasi discendenti del ciclo, la flessione dei tassi e parallelamente delle soglie d’usura; queste ultime continueranno ad essere rilevate sui tassi praticati, comprensivi di quelli debordanti le soglie in vigore, la cui pretesa non è passibile di illiceità.

Venendo meno l’usura sopravvenuta, nei contratti di adesione, le banche abbandoneranno l’impiego della clausola di salvaguardia, adottando, alternativamente, un tasso fisso o un tasso variabile, cogliendo opportunisticamente rispettivamente le aspettative di flessione dei tassi nel primo caso, di crescita dei tassi nel secondo caso; potranno opportunisticamente, nelle fasi di ascesa del ciclo, agganciare il tasso corrispettivo e/o di mora al tasso Euribor, impiegando all’occorrenza un fattore moltiplicativo, anziché additivo (spread), per cogliere maggiormente i benefici dell’automatismo; al contrario, nelle fasi di discesa dei tassi, si potrà ricorrere a condizioni di floor: la fantasia nei contratti di adesione potrà esplicarsi nelle forme più libere, senza timore di incorrere nella sanzione dell’art. 1815 c.c. Nella circostanza assai deboli risultano i presidi alternativi previsti dall’ordinamento; in particolare, la riduzione equitativa ai sensi dell’art. 1384 c.c. mal si concilia con contratti a diffusione generalizzata, predisposti unilateralmente dagli intermediari: in assenza di un rigoroso presidio, sarà difficile evitare effetti di distorsione estesi a tutto il mercato del credito.

Lo squilibrio delle prestazioni risulterà ancor più stridente con le recenti modifiche introdotte dalle Istruzioni della Banca d’Italia del 2016. Nelle nuove Istruzioni ’16, infatti, si riporta: ‘il mancato rientro di un’apertura di credito scaduta o revocata dovrà essere segnalato, dalla data di scadenza o di revoca, tra i passaggi a debito dei conti non affidati’, che corrisponde alla Categoria degli ‘scoperti di conto’. Prima, nel ’10, si era creata una nuova Categoria, scorporando dalle Aperture di credito gli Scoperti privi di affidamento, un aggregato di esigua dimensione ma dai tassi marcatamente elevati, dove è venuto rapidamente a confluire ogni sorta di ‘affidamento non affidato’, cioè a dire ogni erogazione di credito in conto alla quale non corrisponde una regolare formalizzazione di apertura di credito. Ora si fanno confluire in tale Categoria anche gli affidamenti revocati, prima esclusi dalla rilevazione e gli affidamenti scaduti, prima compresi nella propria originaria Categoria di appartenenza (Aperture di credito).

Con tale modifica, introdotta a partire dal 1 aprile ’17, senza patto successivo e senza alcun riferimento all’erogazione della prestazione prevista dall’art. 644 c.p., con la scadenza del fido o con la revoca dello stesso, unilateralmente disposta dall’intermediario, in presenza di insolvenza, cioè di credito in mora, si escogita un finto momento genetico del contratto per introdurre una ‘sopravvenuta’ soglia d’usura, innalzata del 48% (dal 15,15% delle Aperture di credito al 22,45% del ‘Credito in mora’, alias ‘Scoperto di conto’, IV trim. ’17).

Queste anacronistiche ‘manipolazioni’ delle Categorie, con la creazione di ‘sopravvenute’ soglie d’usura, apriranno nuovi e seriali varchi di conflittualità, risultando palmare la contraddizione con la stessa pronuncia della Cassazione S.U. n.24675/17 che ha avuto modo di stabilire: ‘Sarebbe pertanto impossibile operare la qualificazione di un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 c.p.; “ai fini dell’applicazione” del quale, però, non può farsi a meno – perché così impone la norma d’interpretazione autentica – di considerare il “momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento”’.

Se si ritenesse lecita la modifica introdotta dalla Banca d’Italia con lo spostamento della Categoria di riferimento all’atto dell’insolvenza, legittimando un innalzamento pari a quasi la metà del tasso praticato, il presidio all’usura risulterebbe di fatto ridotto ad un ‘farsa’. [68]


4. Sintesi e conclusioni

La Cassazione n. 23192 del 4 ottobre ’17 e la successiva pronuncia delle Sezioni Unite n. 24675 del 19 ottobre ‘17, all’unisono, ripristinando il rigoroso rispetto della legge di interpretazione autentica (l. 24/01), riconducono l’accertamento dell’usura ex art. 644 c.p. al momento pattizio, responsabilizzando l’intermediario bancario nell’equilibrio oggettivo tra prestazione e controprestazione, espresso nel contratto di adesione sottoposto al fruitore del credito.

Nell’equilibrio fra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore, sul quale si fonda l’accertamento dell’art. 644 c.p. e la parallela applicazione dell’art. 1815 c.c., va necessariamente ricompreso il tasso di mora e gli altri oneri eventuali, costituendo per il creditore pregnanti utilità, assimilabili a forme di opzioni che, in assenza di clausole di salvaguardia, possono significativamente pregiudicare l’equilibrio delle prestazioni, già con un iniquo capestro previsto nell’eventualità che il contratto non segua il percorso fisiologico convenuto.

Nell’usura sopravvenuta – intesa come pretesa di interessi che risultano superiori alla soglia d’usura in un momento successivo al contratto – viene completamente escluso ogni motivo di nullità o invalidità, sin anche la contrarietà al principio di correttezza e buona fede.

Un impiego disinvolto dei contratti di adesione predisposti dagli intermediari hanno spesso portato all’adozione di condizioni che, rivolte a dispiegare una piena tutela dei diritti del creditore, esondano la misura sino a soverchiare i diritti del debitore; tali condizioni estendono il raggio di azione della legittima tutela del creditore oltre il limite consentito, sino a confliggere con norme imperative e/o con i principi che presiedono il negozio giuridico.

L’esclusiva e rigorosa riconduzione dell’accertamento dell’usura agli elementi costituenti il patto iniziale, induce a ricomprendere la mora, e gli altri oneri eventuali, come elemento di costo previsto in contratto, componendosi con gli interessi corrispettivi, nella determinazione del TAEG riferito al capitale erogato, a prescindere dalla natura eventuale.[69]

La presenza del tasso di mora regola percorsi alternativi che, per fattori congiunturali avversi, accadimenti imprevedibili o mal previsti, nonché errate valutazioni tanto del debitore quanto del creditore, assumono un’apprezzabile frequenza e rilevanza nel mercato del credito: appare fuor di dubbio che le condizioni preordinate a regolare tali eventualità, costituiscano pattuizioni genetiche, ulteriori e distinte dalla pattuizione principale, soggette anch’esse all’art. 644 c.p. Nello spirito della legge, per ogni scenario evolutivo del piano di rientro, regolato nel contratto, nel rispetto dell’art. 644 c.p., il costo del credito deve risultare contenuto entro i limiti di soglia: il presidio posto dalla legge è rigoroso, non consente motivazioni o imputazioni diverse che possano derogare dal principio di inerenza al credito, né da una corretta misura del costo. Anche nella peggiore eventualità regolata dal contratto (worst case), il costo del credito, nel valore complessivo espresso dal TAEG del finanziamento (worst rate), dovrà risultare compreso entro i limiti di legge, non risultando concepibili accordi pattizi posti al di fuori del presidio disposto dall’art. 644 c.p.

Si può agevolmente calcolare, per ogni finanziamento, il tasso massimo corrispondente al worst case che, salvo l’incidenza di commissioni, oneri e spese che accompagnano l’operazione, si collocherà in un valore intermedio fra il tasso corrispettivo e il tasso di mora. Nel caso tale tasso (worst rate), si collochi al di sopra della soglia, il giudice potrà tout court ritenere oggettivamente pregiudicato l’equilibrio contrattuale e il riflesso danno al mercato, tutelato dall’art. 644 c.p. e sanzionato dall’art. 1815 c.c., 2° comma, anche se non vi ravvisa una preordinata volontà di praticare tassi d’usura. Alternativamente, potrà procedere ad una puntuale ricostruzione del pregiudizio implicito nelle condizioni contrattuali, misurando, nel tempo di ricorrenti insolvenze, il punto di trade-off oltre il quale il worst rate diviene pregiudizievole per il debitore e per il mercato; valutando in tal modo se il rilievo dell’usura assuma pregnanti connotazioni genetiche o se, invece – nell’occorrenza remota e/o nella misura esigua – risultando manifestamente inconsistenti gli elementi di squilibrio indotti nel contratto, si possa ricorrere, nell’eventuale sopravvenienza dell’usura, all’impiego di correttivi diversi e più proporzionali, nel contemperamento degli interessi del creditore e del debitore.

Pur riconducibile ad un fatto anch’esso dipendente dal debitore, nell’anticipata estinzione ex art. 40 TUB, si configura un inderogabile diritto rimesso nell’esclusiva facoltà del mutuatario stesso, tecnicamente misurabile, secondo le ordinarie metodologie di valorizzazione impiegate sul mercato finanziario: tale valore rimane inerente al costo del credito per la quota parte che esonda il valore del disaggio rispetto ai tassi free risk espressi dal mercato, corrispondente all’indennizzo che il mutuante si è riservato per la facoltà rimessa dalla legge al mutuatario di estinguere anticipatamente il finanziamento.

La posizione assunta dalla Cassazione S.U. n. 24675/17, se da un lato offre pregnanti elementi di chiarezza che possono dare ordine e uniformità nei comportamenti e nei giudizi in corso presso i Tribunali, dall’altro lato, per talune operazioni di credito, ridimensiona significativamente la portata della tutela del presidio d’usura. Il principio stabilito dalla Cassazione presenta, infatti, significative criticità per i finanziamenti in conto ad utilizzo flessibile, rendendo legittimi squilibri contrattuali sopravvenuti che, nei comportamenti opportunistici degli intermediari, potrebbero agevolmente consentire di amplificare le rendite di posizione, inducendo una strisciante lievitazione dei tassi di interesse. Venendo meno un costante e continuo presidio all’usura, si assisterà presumibilmente alla rimozione delle clausole di salvaguardia, dei processi di cimatura, nonché all’impiego asimmetrico dell’art. 118 TUB. Né gli ordinari, diversi strumenti previsti dall’ordinamento potranno compiutamente arginare il fenomeno dell’usura sopravvenuta.

Il momento di qualificazione del tasso usurario, imprescindibilmente ricondotto al momento in cui gli interessi sono convenuti, pone altresì, con palmare evidenza, in contraddizione con la norma, la soglia ‘sopravvenuta’ introdotta, per i crediti revocati e scaduti, a partire dal 1 aprile ’17, dalle Istruzioni della Banca d’Italia del ’16; appare opportuna una sua rapida rimozione, onde evitare che si riversi nelle aule di giustizia un nuovo flusso seriale di contestazioni e conflittualità.

In oltre vent’anni di applicazione delle soglie d’usura, si è assistito a comportamenti monoliticamente diffusi a tutto il sistema bancario, sostanzialmente avallati dall’Organo di Vigilanza, non propriamente coerenti con il presidio all’usura. Si viene esercitando un’anomala, persistente pressione sulla giurisprudenza, sospinta, più o meno esplicitamente, a ponderare i riflessi economici che gli orientamenti assunti riversano sui ‘precari’ equilibri di bilancio del sistema bancario. Meno avvertite risultano le voci dell’ampia compagine di consumatori e piccoli imprenditori che accedono al credito a condizioni, non solo economiche, che non appare esagerato qualificare come proprie di un mercato da terzo mondo. L’attenzione è al momento tutta rivolta alla raccolta del risparmio, tradito nell’informazione e depredato da diffusi comportamenti illeciti, ma un’analoga ‘mattanza’ viene celatamente perpetrata dal lato del credito attraverso forme di contratto asimmetriche, protese a legittimare interessi, oneri e commissioni del tutto disallineati dai costi della raccolta.

In un mercato del credito sottratto alla concorrenza si riscontrano ricorrenti, diffuse e pervasive spinte rivolte a consolidare una fisiologica asimmetria contrattuale per perseguire lo squilibrio delle prestazioni, con una pronta reattività ad ogni modifica ordinamentale. Rimbalza nelle aule di giustizia una variegata casistica di criticità che, mistificate nella copertura di specialistiche esigenze proprie di un efficiente mercato del credito, risultano di fatto informate alla creatività e fantasia finanziaria, preordinata a cogliere, nella libera, unilaterale predisposizione delle forme contrattuali, zone d’ombra della normativa per trarre dall’ampia platea dei fruitori del credito cospicue rendite di posizione di dubbia liceità. Si è venuta di riflesso a determinare – nella materia dell’usura, ma non solo – situazioni di sovrana confusione nelle stesse pronunce della giurisprudenza, dove tutto, o quasi, appare lecito e, al tempo stesso, contestabile. Mentre da un lato la Magistratura viene impegnata a dipanare nel tempo, nella ponderata gradualità dei vari ordini e gradi di giudizio, le variegate forme e prestazioni, generate dalla fantasia contrattuale degli intermediari, rifluiscono agli stessi benefici economici che sopravanzano di larga misura il profluvio di soccombenze che interessano l’ampia, seriale schiera di ricorsi giudiziari.

Nelle carenze dell’organo regolatore e di vigilanza, la rapida evoluzione delle strategie del mercato del credito viene a determinare una situazione di empasse, nella quale la funzione sanzionatoria della Magistratura, parcellizzata nella miriade dei casi concreti, nelle variegate modalità e tempi di intervento, non è in grado di esplicare una significativa e virtuosa funzione di correzione dei comportamenti adottati dagli intermediari finanziari. Si patisce, per altro verso, il radicale immobilismo di un mercato del credito, trincerato in forme ancestrali di dirigismo oligopolistico, mai scalfite, che si frappongono ad ogni forma di concorrenza atta a calmierare i prezzi di mercato.

Non si può non rimarcare come la concorrenza nel mercato del credito, unica, radicale panacea a tutti i problemi insorti nei rapporti bancari, non viene incontrando condizioni di favore nelle Istruzioni della Banca d’Italia, né la dovuta attenzione nell’azione istituzionale rimessa all’A.G.C.M: le rendite di posizione, connaturate con il marcato livello oligopolistico del mercato, non sembra abbiano sortito l’effetto di presidiare la stabilità del sistema bancario, ma hanno certamente condotto il costo del credito sui livelli più alti della Comunità Europea, esasperando apprezzabilmente i costi sociali di una crescente confusione regolamentare ed un’endemica e seriale conflittualità giudiziaria.Un fermo intervento del legislatore sulla responsabilità, bilanciamento e coordinamento dei due organi istituzionali si impone.



[1] A cura di R. Marcelli e A. Valente. Intervento al Convegno organizzato dall’ASSO.CTU: ‘Usura bancaria. A 20 anni dall’introduzione del presidio penale’. Roma/Milano, 7-10 novembre 2017.

[2] Allegato 1: Cassazione civ., Sez. VI, Ordinanza n. 23192 del 4 ottobre 2017; pag. 54. Allegato 2: Decreto Tribunale di Matera 19/05/16; pag. 56. Allegato 3: Cassazione S.U. n. 24675 del 19 ottobre 2017; pag. 57.

[3] La sentenza in argomento richiama la precedente sentenza della Cassazione n. 5598/17; questa pronuncia aveva cassato la decisione del Tribunale che aveva escluso la possibilità di ritenere usurari gli interessi relativi a due contratti di mutuo in ragione della non cumulabilità degli interessi corrispettivi e di quelli moratori. Nella circostanza la ‘cumulabilità’ degli interessi non vuol significare la somma dei tassi, che non avrebbe alcun senso giuridico e finanziario, ma la loro composizione secondo il regime dell’interesse composto (TAEG) dove alla quota del capitale in essere si applicano gli interessi corrispettivi e alla quota di capitale insoluto quelli di mora.

[4] ‘Credo di non sbagliarmi, se affermo che le più frequenti semplificazioni apportate dalla varia giurisprudenza ricadono in una di queste categorie. 1) La verifica di usura come confronto aritmetico tra tassi semplici (tasso di mora, TS). Rappresenta una deformazione maccheronica di questa tesi, già in sé non corretta, la sommatoria del tasso di interesse corrispettivo e del tasso di mora. 2) La verifica di usura sulla singola rata. A me pare che la giurisprudenza non possa più ignorare la necessità di confrontarsi seriamente con le formule previste nelle Istruzioni. E che non valga come alibi la circostanza che le Istruzioni sono fonte secondaria. Ciò è in particolare vero, per quanto concerne mutui e finanziamenti a rimborso graduale, per i quali è indiscusso che la formula prevista (il T.I.R.; cfr. da ultimo Istruzioni agosto 2009, § C3, lett. b) corrisponde allo “stato dell’arte”. Ora, la formula di calcolo del TEG, per quanto concerne i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso graduale, consiste nel tasso di rendimento finanziario dell’operazione creditizia (T.I.R.); tale intendendosi il tasso di attualizzazione che rende eguali a t0 due flussi di cassa di segno contrario, con scadenze previste in tempi diversi (t1, t2, tn), ossia la somma del credito concesso al cliente e la somma dei pagamenti dovuti dal cliente a estinzione del prestito (per rimborso capitale, interessi, commissioni e spese). 1) Se il T.I.R. è globale, non è consentito raffrontare al TS uno specifico tasso semplice (mora) per giudicarne separatamente la liceità/usurarietà.1bis) In termini più radicali, oggetto della verifica d’usura è il costo (espresso nel TEG) del contratto. Il costo dell’interesse, quindi dei pagamenti a tale titolo, si determina in funzione di tre elementi: capitale, tempo e tasso. È semplicistico giudicare l’onerosità del contratto limitandosi a confrontare aritmeticamente i tassi e ignorando le altre due componenti di capitale e durata. 2) Alla globalità del T.I.R. segue, come ulteriore implicazione giuridica, che non è consentito frazionare il giudizio di liceità/usurarietà in funzione delle diverse annualità (o periodi infra-annuali) di durata del finanziamento. O l’operazione creditizia è, nel suo insieme, lecita oppure è, nel suo insieme, in violazione della legge n. 108/96, secondo che il T.I.R. sia inferiore o superiore al tasso soglia. Questo corollario segna una marcata differenza rispetto alla verifica di usurarietà dell’apertura di credito in c/c e delle altre operazioni a utilizzo flessibile, nelle quali la verifica deve farsi trimestre per trimestre ed è concettualmente possibile che esistano alcuni trimestri in usura e altri no, con conseguente limitazione degli effetti dell’art. 1815 cpv. c.c. ai soli trimestri in usura.3) Ultima conclusione, implicita. Se non è consentita una verifica periodale (annuale, infra-annuale) dell’usurarietà del contratto, ciò vuol dire che il TS rilevante, ai fini del giudizio ex 1815 non può che essere quello a t0, cioè alla data di conclusione del contratto. Così anche l’interpretazione autentica dell’art. 1815 ex dl 394/00 conv. legge 24/01.’ (E. Astuni, Interessi di mora e usura, Convegno Studi Bancari, 27 ottobre 2015).

[5]Nel mutuo il mancato pagamento di una rata fa decorrere gli interessi di mora i quali si sostituiscono (senza capitalizzazione alcuna) agli interessi corrispettivi all’atto della scadenza della rata stessa, mentre il residuo capitale mutuato, se non interviene la risoluzione o la decadenza dal beneficio del termine, prosegue con la produzione degli interessi corrispettivi secondo il piano di ammortamento stabilito. La somma dei due tassi risulta logicamente scorretta: il primo tasso, quello corrispettivo, è riferito all’intero capitale di credito e copre il periodo contrattualmente previsto per il finanziamento, il secondo, quello di mora, è riferito alla rata scaduta e/o al capitale scaduto ed è dovuto per il periodo successivo alla scadenza degli stessi. Di tal che l’applicazione del tasso di mora non si cumula – nel senso di sommarsi - con il tasso corrispettivo, risultando il primo ‘sostitutivo’ del secondo, dal momento della scadenza della rata o del capitale rimasti impagati’. (Cfr. R. Marcelli, La mora e l’usura: criteri di verifica, 2014, in assoctu.it).

‘Gli interessi corrispettivi si producono dal momento in cui il prestito è concesso sino alla scadenza della rata di pertinenza e sono calcolati sul capitale. Dopo la scadenza, gli interessi corrispettivi cessano di prodursi e cominciano ad accumularsi gli interessi moratori, che sono invece calcolati sull’intero importo della rata costituito dalla quota capitale e dalla quota di interessi. Poiché il tasso d’interesse è il rapporto tra interesse e capitale in funzione del tempo, risulta di palmare evidenza che il fattore tempo non è omogeneo per i due tipi di interesse, né è omogenea la base sulla quale si calcolano i due tipi di interessi (il capitale nel caso degli interessi corrispettivi, il capitale addizionato degli interessi nel caso degli interessi moratori). Di conseguenza, sommare i due tassi costituisce un non-sense matematico’ (G. Colangelo, Interessi moratori. Divergenze tra ABF e Corte UE, Corte Costituzionale e Cassazione, I contratti 3/2015).

[6] Nella Comunicazione si riporta: ‘Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”. In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo’.

Si argomenta talvolta che se il tasso di mora venisse ricompreso nella rilevazione del TEGM, quest’ultimo risulterebbe più elevato. Afferma V. San Giovanni (in ‘Interessi di mora e clausole di salvaguardia contro il rischio usura’, I Contratti, n. 5/16): ‘Si immagini, ad esempio, che per un certo tipo di operazione bancaria il TEGM (senza interessi moratori) in un certo trimestre sia del 10%; il TSU si assesta conseguentemente al 15% (consistendo in un aumento del 50%). Se però, per quel tipo di operazione bancaria, si fossero computati gli interessi di mora medi, il TEGM sarebbe stato del 12,1% (10% + 2,1%), con l’effetto che il TSU sarebbe stato del 18,15% (12,1% + 6,05%).’ Risulta del tutto fuorviante la conclusione a cui si perviene, per vari ordini di motivi: i) la mora esula dalla fisiologia del credito; ricomprenderla nel TEGM porterebbe ad un’alterazione della fotografia dell’ordinario costo del credito; ii) nello spirito della legge, i maggiori costi connessi con la patologia del credito devono essere ricompresi nello spread; concependo una Categoria di credito per la patologia, con corrispondente spread, si introduce uno stadio supplementare di patologia realizzando, di fatto, una duplicazione dello spread dal valore medio; in altri termini si distinguerebbe un’usura per la fisiologia dei rapporti (tasso corrispettivo) e un’usura per la patologia dei rapporti (crediti in mora), ma questo appare contrario alla legge: tanto l’inciso finale "sotto qualsiasi forma”, contenuto nel primo comma dell’art. 644 c.p., quanto l’inciso "a qualunque titolo” contenuto nell’art. 1, primo comma del D.L. 394/2000, convertito con la legge n.24/2001, valgono a definitivamente chiarire la ratio legis; iii) non essendo contemplato dalla legge alcuna soglia riferibile alla mora, quand’anche – per l’asserito criterio di omogeneità, sostenuto da taluna giurisprudenza – si considerasse la maggiorazione del 2,1% aggiunta al TEGM, si effettuerebbe un confronto scorretto tecnicamente e del tutto incoerente con il disposto di legge. Infatti, con la rilevazione campionaria del 2001 (pubblicata nel 2003), la Banca d’Italia ha stimato (i criteri metodologici non sono noti) il valore medio della mora nei crediti insoluti, con il presumibile medesimo sistema di calcolo (e distorsione) già impiegato per la CMS. Poiché il TEGM rileva il costo medio del credito, anche a voler ricomprendere nell’indice i crediti patologici, per ciascuna Categoria di credito ex art. 2 della legge 108/96, occorrerebbe rilevare, non il valore medio del tasso di mora applicato (o dello spread sul tasso corrispettivo, come rilevato dalla Banca d’Italia), bensì l’incidenza osservata nella media di tutte le operazioni della Categoria, operazione dal risultato ben diverso. La mora interessa un numero contenuto di operazioni ricomprese nella Categoria; diversamente, l’incidenza sul costo del credito presuppone una media calcolata su tutte le operazioni della Categoria: in quest’ultima circostanza la maggiorazione del TEGM, riconducibile alla presenza della mora, risulterebbe assai esigua, presumibilmente prossima a pochi centesimi di punto. Risulta pertanto un’operazione matematicamente scorretta, oltre che indebita, confrontare il costo del credito in mora con il TEGM maggiorato del 2,1%. La medesima incongruenza tecnica aveva caratterizzato la rilevazione e l’impiego della CMS media.

[7] La Banca d’Italia, nel perseverare – dopo la CMS soglia - nel riferimento alla Mora soglia, ha preannunciato, in alcuni Convegni tenutisi nel corso del ’16, la pubblicazione di un aggiornamento, curato nel corso del 2015, della rilevazione campionaria del valore medio della mora applicato dagli intermediari creditizi.

[8]La promessa usuraria comprende certamente ed inequivocabilmente anche quelle fattispecie che, pattuite in contratto, possono verificarsi solo in via eventuale: il loro mancato verificarsi non toglie il carattere di usurarietà che acquistano già definitivamente al momento della pattuizione, genesi della promessa usuraria, ed è irrilevante che venga pagato o meno il costo usurario. Come per l'usurarietà della mora è indifferente che il finanziamento subentri nella fase patologica; come per l'usurarietà del costo dell'estinzione anticipata è irrilevante che il diritto potestativo di estinguere anticipatamente il contratto venga concretamente esercitato o che venga effettivamente pagato il compenso per l’estinzione anticipata, parimenti è irrilevante che l’inadempimento si verifichi o che la banca eserciti in tal caso la facoltà di chiedere il costo convenuto, o che tale costo venga effettivamente pagato, dal momento che la configurazione del reato di usura si concretizza già al momento della promessa di pagare quello specifico costo, quand'anche eventuale, connesso all'erogazione del credito. Sotto il profilo della tutela antiusura, affermare una diversità di trattamento tra le fasi eventuali della mora, dell'inadempimento e dell'estinzione anticipata sulla differenza tra inadempimento ed esercizio di un diritto potestativo, è conclusione del tutto arbitraria e fuorviante; la normativa, incentrata solo sul momento della pattuizione del costo eventuale, si disinteressa dell'an e del quomodo di tali eventuali fasi. Inoltre sarebbe discriminatorio ed incostituzionale affermare che il costo promesso in caso di mora e quello promesso in caso di risoluzione per inadempimento, pur essendo entrambi protesi alla medesima funzione risarcitoria in favore dell’intermediario ed entrambi collegati all'erogazione del credito, debbano soggiacere a distinta disciplina giuridica. (D. Nardone e F. Cappelluti, ‘Usura pattizia, costi eventuali e penali da inadempimento nei contratti di finanziamento e di leasing: un approccio “virtuoso”, 2016, www.assoctu.it).

[9] Se il carattere eventuale di un onere fosse, in sé, sufficiente ad escluderlo dalla verifica dell’usura, sarebbe agevole eludere il presidio dell’usura prevedendo, ad esempio, il tasso x per un finanziamento a due anni, al termine dei quali il prenditore del credito può eventualmente proseguire per altri cinque anni al tasso di x + y; oppure, nei rapporti ad utilizzo flessibile, un tasso per i giorni di pioggia (o l’Euribor superiore a x) e un altro tasso per i giorni di sole (o l’Euribor inferiore a x).

[10] La natura eventuale del costo, di per sé, non può essere motivo di esclusione dalla verifica: ‘anche il pagamento dei medesimi interessi corrispettivi potrebbe, al pari degli altri costi c.d. eventuali, essere subordinato al verificarsi di determinate condizioni. E' il caso dei mutui condizionati o a stato di avanzamento lavori, in cui la o le erogazioni possono essere non contestuali al perfezionamento negoziale ma subordinate al verificarsi di talune successive condizioni poste dall'istituto mutuante: ciò comporta che anche il pagamento degli interessi corrispettivi è subordinato alla erogazione e quindi anche al verificarsi della condizione. Idem dicasi per i mutui che prevedano un'erogazione della somma contestualmente costituita in deposito cauzionale, che sarà svincolata all'adempimento di determinate condizioni imposte dalla banca. Ebbene, in tali fattispecie, qualora venisse pattuito già in contratto un tasso di interesse corrispettivo oltre soglia (che necessariamente condurrebbe ad un TAEG usurario), se ne dovrebbe dedurre, secondo la tesi in esame, che, fino al momento del verificarsi della condizione o dello svincolo, il contratto non sarebbe usurario perché non verrebbe a realizzarsi il presupposto del pagamento degli interessi corrispettivi’. (D. Nardone e F. Cappelluti, ‘Usura pattizia, costi eventuali e penali da inadempimento nei contratti di finanziamento e di leasing: un approccio “virtuoso”, 2016, www.assoctu.it).

[11] Già questa sentenza era dirimente al riguardo: ‘Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 644 c.p. è sufficiente la promessa di corresponsione di interessi usurai, non occorrendo, invece, l’effettiva dazione degli stessi in favore del soggetto agente’.

[12] La Relazione che accompagna la legge è esplicita, stabilendo il momento originario al quale rifarsi anche per la verifica di usurarietà del tasso di mora: ‘L'articolato fornisce al comma 1 l'interpretazione autentica dell'articolo 644 del codice penale e dell'articolo 1815, comma secondo, del codice civile. Viene chiarito che, quando in un contratto di prestito sia convenuto il tasso di interesse (sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio), il momento al quale rifarsi per verificarne l'eventuale usurarietà sotto il profilo sia penale che civile, é quello della conclusione del contratto, a nulla rilevando il pagamento degli interessi’.

[13] A.A. Dolmetta, ‘L’usura sopravvenuta in Cassazione’, in Questione Giustizia, 2017.

[14] Anche la dottrina più accreditata ritiene che il bene giuridico tutelato dall’art. 644 c.p. al 1° comma, sia ravvisabile, in primis, nel corretto esercizio dell’attività creditizia, mentre il 3° comma sia più specificatamente rivolto alla tutela del patrimonio del soggetto. ‘La norma di nuovo conio si spinge dunque su un terreno particolarmente avanzato, proteggendo non solo la posizione del singolo contraente, ma anche il regolare e affidabile funzionamento delle attività connesse alla prestazione del credito, che assurge a bene giuridico protetto al pari di quello relativo alla libertà contrattuale. Anche la giurisprudenza penale ha riconosciuto che, accanto alla protezione del singolo, il delitto di usura protegge soprattutto gli interessi collettivi al corretto funzionamento dei rapporti negoziali inerenti alla gestione del credito ed alla regolare gestione dei mercati finanziari. Il credito, il cui esercizio è garantito dall'art. 47 della Costituzione, costituisce elemento imprescindibile dell'economia ed il legislatore, con l'introduzione della normativa antiusura, ha fornito lo strumento per proteggere e soprattutto calmierare il mercato creditizio, imponendo una regolamentazione autoritativa favorevole per la parte contrattuale più debole. Si può ritenere quindi che, sebbene sia collocato nel codice tra i delitti contro il patrimonio mediante frode, il reato di usura sia posto a tutela di un regolare, affidabile e regolamentato mercato del credito, oltre della libertà di autodeterminazione negoziale e di altri interessi attinenti alla sfera personale e patrimoniale della vittima. A differenza di quanto avviene normalmente per i delitti contro il patrimonio, ma similmente a tutte le norme proiettate in un’ottica di tutela del mercato, la fattispecie presenta un disvalore che si incentra sul «pericolo di danno finanziario», presuntivamente derivante dal mero superamento dei tassi soglia, senza richiedere alcun accertamento in ordine all’effettivo pregiudizio patrimoniale subito dalla vittima (la quale, in determinate circostanze e valutato il complesso dei riflessi economici, dalla pattuizione di interessi usurari potrebbe persino ottenere effetti positivi). (M.B.Magro, ‘Riflessioni penalistiche in tema di usura bancaria’, Diritto Penale Contemporaneo, marzo 2017).

Emergono con chiarezza gli interessi tutelati: non soltanto la libertà contrattuale della parte debole, ma più in generale il corretto svolgimento delle relazioni economiche nel mercato del credito e la tutela, al suo interno, delle soggettività deboli - imprese di medie e piccole dimensioni e consumatori - secondo una strategia condotta già in sede comunitaria e realizzata nei primi anni dell’ultimo decennio con il riassetto della legislazione bancaria intorno ai valori della trasparenza, della correttezza, della buona fede, della repressione delle condotte abusive. Il tutto, nell’orbita della generale previsione dell’art. 2 trattato CE sulla promozione - con l’instaurazione di un mercato comune e di una unione economica e monetaria - di uno sviluppo equilibrato delle attività economiche, di una crescita sostenibile e non inflazionistica, rispettosa dell’ambiente e finalizzata al miglioramento del tenore e della qualità della vita. L’enorme rilevanza degli interessi tutelati - assolutamente di ordine pubblico - impone fin d’ora la soluzione della nullità del contratto di usura. (F. Di Marzio, Contratto e reato. Note sulla causa di credito e sulla causa di garanzia, Giornata di studio CMS Frascati, 23/2/00, in astra.csm.it/incontri/relaz/5213).

[15]Segnatamente, con riferimento al perfezionamento della fattispecie penale sembra rilevare ben poco che la prestazione patrimoniale imposta sia oppure o no eventuale. La legge penale, per il tramite del rinvio al tasso soglia, fissa un limite al costo del credito e sanziona duramente la condotta di chi quel limite supera. Che poi il suo superamento possa in concreto essere soltanto eventuale in quanto subordinato alla maturazione di ulteriori circostanze in presenza delle quali alcuni carichi economici da essere incerti nell’an diventano certi è dato il quale non aggiunge né toglie nulla al disvalore della condotta. Resta l’intenzione di trarre dall’operazione economica un profitto che, seppure eventuale, è allo stesso modo reputato eccessivo dall’ordinamento’ (M. Semeraro, Usura originaria, usura sopravvenuta e interessi moratori, R. Diritto Bancario, 2015).

[16] L’apertura di credito, nelle varie forme ibride adottate dagli intermediari, è venuta assumendo una dimensione che esorbita le fisiologiche esigenze delle fluttuazioni del capitale circolante. Il credito in conto è una tipica fonte di finanziamento del sistema imprenditoriale italiano, tra le più onerose e le più precarie, quando assume la forma ‘a revoca’: risponde in buona parte alle esigenze funzionali all’intermediario, che ne viene facendo un uso preponderante ed eccessivo.Nel 2008 il finanziamento in conto copriva il 33% dei prestiti, contro il 9% della Germania e il 12% della Francia. Tale peculiarità non è sfuggita al Governatore Visco che nel 2015, in un suo intervento, ha osservato come: ‘la grande diffusione di questa forma tecnica in Italia, assai superiore che in quasi tutti gli altri paesi dell’area, rende necessaria una riflessione sul suo utilizzo.

[17]La mora assume sì un carattere risarcitorio, ma che non necessariamente si contrappone al carattere reintegrativo, proprio degli interessi corrispettivi. Del resto, se gli interessi moratori vanno ad assorbire quelli corrispettivi appare alquanto difficile sostenere che la mora determini un mutamento della funzione e della natura degli interessi medesimi.’ (T. Baratta, La rilevanza della mora nella determinazione dell’usura: limiti al cumulo degli interessi, Diritto del Marcato assicurativo e finanziario, 2016, ESI).

[18] L’usurarietà della mora si pone essenzialmente per i finanziamenti a rimborso graduale; per i crediti concessi sul conto corrente non si pone un problema di mora. Con l’escamotage consentito dalle Istruzioni della Banca d’Italia, l’intermediario può concedere credito in conto senza affidamento (in mora) e, sol per questo, pretendere tassi sino al 24%, con una maggiorazione di 6-8 punti sui tassi ordinari consentiti per gli affidamenti in conto.

[19]  La contrattazione sul prezzo del mutuo, vale a dire sulla misura degli interessi, con l’entrata in vigore della suddetta legge (l. n. 108/96), subisce, pertanto, una drastica limitazione, in quanto la misura del tasso soglia costituisce un limite imperativo (di origine e dal carattere penale), la cui violazione esclude addirittura il carattere oneroso dello stesso contratto di mutuo: “la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. La violazione della norma conduce, infatti, al singolare risultato che il contratto di mutuo resta in vita in tutte le sue previsioni. Il mutuatario ha, dunque, diritto di godere del vantaggio della dilazione nel godimento della somma mutuata secondo i piani di restituzione con le rate pattuite, ma – non essendo più esigibile alcuna forma di interesse, neanche quella legale come era nel vigore della precedente versione dell’art. 1815, 2° comma, c.c. – le rate pattuite conterranno solo la somma capitale e non più gli interessi. Nella esperienza sino ad ora sviluppata nel nostro ordinamento, nel campo dei controlli sui prezzi e sui corrispettivi pattuiti dai privati, si tratta della sanzione probabilmente più grave che mai sia stata applicata e la ragione è da ricondurre alla particolare considerazione della gravità del fenomeno dell’usura, in tutte le sue implicazioni economico sociali’. (B. Inzitari, ‘Il mutuo con riguardo al tasso ‘soglia’ della disciplina antiusura e al divieto dell’anatocismo’, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, 257 ss.).

[20] La circostanza illustrata assume un particolare rilievo in connessione alla recente sentenza della Cassazione Penale n. 49318 del 21 novembre 2016, nella quale, recuperando un risalente orientamento di legittimità, si stabilisce che il dolo eventuale non potrebbe mai connotare soggettivamente il dolo di usura: il reato d’usura rimarrebbe circoscritto esclusivamente al dolo diretto, consistente nella cosciente volontà di conseguire i vantaggi usurari: il dolo eventuale non potrebbe mai connotare soggettivamente il delitto di usura. Ciò in quanto tale tipo di dolo postulerebbe una pluralità di eventi (conseguenti all'azione dell'agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell'attuazione del suo proposito criminoso) che invece non si verificherebbero nel reato de quo, nel quale vi sarebbe l'attingimento dell'unico evento di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile (Sez. 2, n. 1789 del 21/06/1983 - dep. 01/03/1984, Gaiotto, Rv. 162875; Sez. 2, n. 6611 del 12/01/1983 - Priotti, Rv. 159935). Sino a quest’ultima sentenza, in dottrina e in giurisprudenza, sia per l’ipotesi previste al 1° e 2° comma, sia per quella prevista al 3° comma dell’art. 644 c.p. si riteneva sufficiente il dolo generico, anche nella sua forma eventuale, inteso come evento voluto ed accettato nell’eventualità che si verifichi; anche la semplice posizione di dubbio concretizzava una forma di dolo eventuale. La recente ricostruzione della Suprema Corte sembra porsi in contraddizione con la stessa legge 108/96 che, nel riformulare il reato di usura, ne ha semplificato la struttura della fattispecie per superare le criticità di prova dell’elemento soggettivo, presenti nella precedente formulazione.

[21] Né la tutela può essere circoscritta, per contratti di massa, esclusivamente al ricorso al giudice per la riduzione ad equità ex art. 1384 c.c.: nell’area della sproporzione contrattuale non penalmente rilevante, in quanto non caratterizzata dallo sfruttamento dell’altrui posizione di debolezza contrattuale, può risultare idoneo il presidio civilistico, ma nella fattispecie dell’usura la natura stessa dell’abuso impone l’applicazione dell’art. 1815, 2° comma, cc. Ai fini dell’usura l’onere è rilevante sol perché è promesso, ossia potenziale.’ (R. Marcelli. Usura Bancaria: ad un ventennio dalla Legge: un impietoso bilancio, Giuffré 2017).

[22] ‘… la sentenza n. 350/2013 afferma che «in materia di usura bancaria, ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori»; su questa linea si attestano pure le ordinanze 5598 e 23192 del 2017, in cui il rilievo che «è noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della I. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324)». Ma se questi oneri rilevano ai fini del controllo anti-usurario, e la legge di interpretazione autentica impone di limitare il riscontro dell’usurarietà al momento della pattuizione, be’, posti questi due assunti, allora gli oneri eventuali vengono a rilevare, almeno quando previsti in contratto, nella valutazione – l’unica possibile, a sentire le Sezioni Unite – dell’usurarietà originaria del finanziamento.(…) In effetti, impostato tutto il problema sul fatto della pattuizione o, se si preferisce, sulla pattuizione come fatto (come fatto storico), e quindi appiattita tutta la valutazione al momento di conclusione del contratto (al secondo esatto della sua stipulazione: a «t con zero»), sembra diventare irrilevante non solo la corresponsione degli interessi – che ovviamente rileverà nella sola prospettiva dell’azione di ripetizione –, bensì pure l’integrazione dei relativi presupposti.(U. Malvagna, ‘Il rapporto tra pattuito e applicato nel prisma dell’usura, alla luce delle Sezioni Unite, n. 24675/2017’, Convegno ASSO.CTU: ‘Usura bancaria. A 20 anni dall’introduzione del presidio penale’. Roma/Milano, 7-10 novembre 2017.

[23] Da un punto di vista finanziario la mora è assimilabile, per taluni aspetti, ad uno scoperto privo di affidamento: costituisce un’opportunità che consente di disporre di credito ad un tasso maggiorato. Tale analogia ha indotto presumibilmente la Banca d’Italia, in un’ottica di medio periodo, a istituire prima l’anacronistica Categoria degli Scoperti privi di fido, per poi ricomprendervi gli affidamenti che, in quanto revocati e scaduti, danno titolo alla mora, precostituendo in tal modo un’apposita Categoria per i crediti deteriorati, ricompresi nella nuova classificazione dei non performing loans.

[24]la predetta clausola di salvaguardia è da ritenersi operativa “per l’avvenire”, quindi successivamente al momento di stipula del contratto; non è pensabile l’applicazione della clausola di salvaguardia a pattuizioni geneticamente contrarie alla legge, poichè questo si risolverebbe nella disapplicazione dell’art. 1815 comma 2, cod. civ.,  secondo il quale “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” (Ordinanza Tribunale di Asti del 06/07/2015). Per la mora, quando direttamente riferita alla soglia d’usura, suscita perplessità la circostanza che non risulti predeterminata con certezza, quanto meno nella componente di maggiorazione sul tasso corrispettivo: una funzione risarcitoria ed afflittiva viene commisurata ad un valore indeterminato ed aleatorio, di riferimento certo ma, in parte, trascendente l’ordinario costo del denaro, riferito all’Euribor. Per la componente più propriamente remunerativa del tempo, la mora può ben accompagnare i mutamenti nel tasso di interesse che intervengono nel mercato, mentre per la componente afflittiva assai labile appare la giustificazione di una parametrazione al TEGM, dipendente anche da oneri e spese e la cui variazione risulta, per altro, accelerata del 25%; alla componente afflittiva dovrebbe corrispondere un valore predeterminato, ancorché espresso in termini percentuali. Mentre per la componente remunerativa è implicita la giustificazione nella parametrazione al tasso di mercato, per la componente più propriamente afflittiva una parametrazione, per di più aggravata dal riferimento al TEGM, viene a costituire una variazione ingiustificata, eludente il disposto dell’art. 118 TUB che prevede al comma 4°: ‘Le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in conseguenza di decisioni di politica monetaria (…) si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente’.

[25] Ad un diverso giudicato è pervenuta una precedente sentenza della Cassazione del settembre ’17 (n. 21470/17), nella quale, nel valutare l’estensione al credito entro il fido dell’usura accertata per l’extra fido – a prescindere dalla presenza o meno di una distinta clausola contrattuale per l’extra fido – ha ritenuto che ‘la neutralizzazione degli effetti della disposizione che disciplini il pagamento di interessi non usurari non può derivare dall’inefficacia della previsione contrattuale concernente gli interessi usurari’. Secondo la pronuncia in parola la patologia negoziale che colpisce l’extra fido non si comunica all’interesse entro il fido, anche nel caso in cui le due pattuizione compongono un’unica clausola che disciplini l’interesse debitorio. Un avviso diverso, che valorizza l’unitarietà del rapporto, sembra evincersi da un passaggio della sentenza della Cassazione, II Sez. Penale n. 46669/11: ‘Né possono avere rilievo le differenziazioni del tasso operato in caso di conto corrente non affidato – in cui il credito erogato è superiore al fido concesso, rispetto al conto corrente affidato – in cui l’utilizzo avvenga regolarmente nei limiti del fido, dovendo, comunque, la banca non superare il tasso soglia normativamente previsto indipendentemente dalla circostanza che nel caso di conto corrente non affidato la banca debba fronteggiare un inatteso e irregolare utilizzo del credito da parte del cliente, che, pur rappresentando un costo per l’eventuale scorretto comportamento del cliente, non può comunque giustificare il superamento del tasso soglia, trattandosi di un costo collegato all’erogazione del credito che ricorre ogni qualvolta il cliente utilizza lo scoperto di conto corrente e funge da corrispettivo dell’onere, per la banca, di procurarsi e tenere a disposizione del cliente la necessaria provvista di liquidità’. In una sentenza precedente del 2012 (n. 26100 del 5 luglio 2012) la Cassazione Penale, per una situazione non identica ma alquanto accostabile aveva più esplicitamente stabilito: ‘solo in relazione a rapporti finanziari distinti e autonomi potrebbe escludersi, ai fini del superamento del tasso soglia, il cumulo degli interessi rispettivamente riferibili all’uno e all’altro, non certo rispetto ad un unico rapporto che veda nel corso del suo svolgimento l’appesantimento’ della posizione del debitore’.

[26] Puntuali e pertinenti sono le considerazioni sviluppate in una recente sentenza del Tribunale di Pesaro: ‘Il sistema prevede già che gli interessi moratori e corrispettivi, pur nella diversità di funzione, possano avere una disciplina omogenea. In quest’ottica va letta, per esempio, la disposizione di cui all’art. 1224, comma 2, c.c., nella parte in cui “prevede che, se prima della mora erano dovuti interessi superiori a quelli legali, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura” (vedere in senso conforme Cass. Civ. n. 5286/00). (…) Al tasso di interessi moratori non corrisponde d’altra parte una diversa categoria di credito. La mora è infatti solamente una componente eventuale del medesimo credito. Il legislatore di conseguenza, nel ricomprendere entro la soglia di usura gli interessi, commissioni e spese comunque collegate alla erogazione del credito ed a qualunque titolo pattuiti ha voluto porre un limite superiore perentorio entro il quale ricomprendere tutti i costi del credito, inclusi quelli correlati alle criticità e patologie eventuali del rapporto. (…) La pattuizione di un tasso sopra i limiti del tasso soglia determina ex art. 1815 c.c. l’impossibilità di riconoscere all’istituto di credito alcun tipo di interesse. La disposizione di cui all’art. 1815, comma 2, c.c. risulta chiara ed ha certamente natura sanzionatoria, per cui va applicata come conseguenza del superamento, per qualsiasi causa o motivo, del tasso di soglia legale, a prescindere dalla liceità del tasso degli interessi corrispettivi promessi’ (Trib. Pesaro, n. 1193 del 5/10/2017).

[27] L’accertamento dell’usura pattizia verrebbe a trascinare nella nullità anche gli eventuali impegni di garanzia fideiussoria prestata al rapporto usurario. Anche la Banca d’Italia, nelle Istruzioni per la rilevazione del TEGM, ricomprende fra le remunerazioni a qualsiasi titolo: “le spese di assicurazione o intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito ovvero a tutelare altrimenti i diritti del creditore”. L’impegno fideiussorio verrebbe a risultare nella circostanza illecito, in quanto contrario a norme imperative. Al riguardo la Cassazione n. 26262/07 ha avuto modo di precisare: Questa Corte ha infatti affermato che, nel caso in cui il garante assuma l'impegno di pagare una determinata somma di denaro in favore del beneficiario della garanzia per il solo fatto che tale soggetto, allegando l'inadempimento dell'obbligazione principale, ne faccia richiesta, egli rinunzia ad opporre eccezioni inerenti al rapporto che lega il debitore principale al beneficiario della garanzia, anche se dirette a far valere l'invalidità del contratto dal quale tale rapporto deriva. Siffatto principio incontra tuttavia una prima eccezione, costituita dall'escussione fraudolenta o abusiva, a fronte della quale il garante può e deve opporre la exceptio doli (Cass. n. 5997 del 2007; n. 6757 del 2001; n. 10864 del 1999), la cui ricorrenza nella specie è stata esclusa dalla Corte territoriale affermando che i relativi «estremi neppure [sono stati] addotti dalle parti interessate» (pg. 7 della pronuncia) con conclusione non specificamente censurata, quindi ormai incontestabile. Una seconda deroga è costituita dal caso in cui l'eccezione sia fondata sulla nullità del contratto principale per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa. In quest'ultima ipotesi in cui, attraverso il secondo contratto si tende ad assicurare il risultato che l'ordinamento vieta, l'invalidità del contratto "presupposto" si comunica infatti al contratto di garanzia, rendendo la sua causa illecita (Cass. n. 5997 del 2006; n. 3326 del 2002). Ebbene, è appunto questa l'ipotesi espressamente prospettata dai ricorrenti nel giudizio di merito, in quanto la sentenza impugnata espone che essi avevano dedotto che «sussisteva per certi periodi (indicati nell'atto di appello nel secondo, terzo e questo trimestre 1999 e nel primo trimestre 2000) e con riferimento alle operazioni di "sconto e/o accredito in conto corrente" un eccesso del tasso di interessi passivi pattuiti nel relativo contratto (risalente al 13/8/96, e come tale ricadente sotto le previsioni della legge n. 108/96) rispetto alla soglia usurarla stabilita con D.M. Ciò comportava, ai sensi dell'art. 1815 c.c., la non debenza di interessi sulle dette operazioni» (pg. 4-5 della sentenza). Questa deduzione va valutata alla luce delle seguenti norme: l'art. 644 c.p., che prevede quale reato il caso in cui una parte, si faccia dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, disponendo che la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari; l'art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000, convertito nella legge n. 24 del 2001, il quale stabilisce che, «ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 del codice penale e dell'articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento»; l'art. 2 legge n. 108 del 1996, che dispone che il limite oltre il quale gli interessi sono considerati usurari è stabilito con d.m.; l'art. 1815, secondo comma, il quale dispone che «se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi». Nel quadro di queste norme, risulta dunque palese che, avendo gli appellanti evocato la nullità della clausola concernente la disciplina degli interessi per contrarietà con una norma penale, ai sensi dell'art. 1418 c.c., era astrattamente sussistente la seconda delle due eccezioni sopra indicate, con la conseguenza che la pronuncia ha erroneamente ritenuto che la stessa non potesse essere fatta valere dai ricorrenti e che fosse irrilevante l'accertamento chiesto sul punto e, quindi, in questa parte la sentenza deve essere cassata. Risulta di palmare evidenza che la presenza dell’usura trascini la nullità degli impegni di fideiussione che concorrono e garantiscono l’usura stessa.

[28] Cfr. nota 5.

[29]Per i mutui in particolare, considerando tutti i possibili scenari che caratterizzano la casistica degli insoluti alla scadenza, o più semplicemente quello peggiore (worst case), se il rendimento effettivo del finanziamento – quindi il TAEG, e non l’interesse semplice della mora in rapporto alla rata insoluta nel mutuo – risulta debordare la soglia, (…) si rende applicabile l’art. 1815 c.c. con la nullità estesa ad ogni forma di interesse. Né si può ritenere che il carattere eventuale dell’onere, ritenuto possibile ma improbabile, precluda l’applicazione dell’art. 1815 c.c. sino al momento in cui se ne verifica l’applicazione; la Cassazione 5286/2000, nell’occuparsi degli interessi di mora, oltre a stabilire l’unicità di calcolo nella verifica, fa espresso riferimento, non all’applicazione degli stessi, ma all’’assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori’. (R. Marcelli. Usura Bancaria: ad un ventennio dalla Legge: un impietoso bilancio, Giuffré 2017).

[30] ‘La verifica dell’usura non può essere circoscritta al tasso di mora; quest’ultimo non può essere enucleato e trattato separatamente. La soglia d’usura è riferita al credito concesso: appare un’illegittima forzatura prevedere per la rata insoluta e/o per il finanziamento scaduto, un’apposita soglia. L’obbligazione originatasi con il mutuo o con il finanziamento in conto è unica e alla stessa vanno congiuntamente riferiti i costi corrispettivi e moratori senza discriminazione alcuna fra la fase fisiologica e quella patologica. (…) La norma di legge, per ciascuna categoria di credito, pone un limite, assoluto ed inderogabile, all’aggregato dei costi previsti in contratto, quale che sia la natura corrispettiva, compensatoria o penale. A questo limite devono soggiacere le condizioni contrattuali. (…) Non ha alcun senso il semplice confronto della mora con la soglia d’usura. Il tasso di mora costituisce un tasso semplice, riferito alla rata e/o al capitale scaduto, mentre quello che, al momento pattizio, occorre riferire alla soglia è il tasso effettivo annuo del credito erogato, sia nello scenario di un pieno rispetto del piano di ammortamento convenuto, sia in ogni possibile scenario nel quale, a seguito dell’inadempimento ad una o più scadenze, con l’applicazione del maggiore interesse di mora e il mutamento che interviene nel piano di rimborso, si modifica conseguentemente il tasso effettivo annuo del credito erogato. La mora, che si cumula nel tempo in capitalizzazione semplice, può ben estendersi, entro margini moderati, oltre il tasso soglia senza pregiudicare il fermo presidio della soglia d’usura, posto al rendimento effettivo del credito concesso, comprensivo sia degli interessi corrispettivi sia degli eventuali interessi moratori nei quali può incorrere il mutuatario nel piano di rimborso del finanziamento ricevuto’ (R. Marcelli, La mora e l’usura: criteri di verifica, 2014, in assoctu.it).

a me pare potersi dire che: 1) Ancorché non rilevata ai fini del TEGM, la mora entra nel calcolo del TEG (e  così pure entra ogni altro onere eventuale). 2) Il TS rilevante non subisce alcun incremento per effetto dell’applicazione della mora (o altro onere). 3) La verifica di usurarietà ha per oggetto il complessivo costo dell’operazione creditizia (definito in funzione di capitale, durata e tempo) e non il mero confronto aritmetico tra tassi (tasso soglia; tasso di mora). 4) Oggetto della verifica di usurarietà è l’intero contratto, non la singola rata.(…) Esiste un profilo peculiare (oggetto, rapporto intermediario-cliente) non generalizzabile,  che allontana queste operazioni dalla “normalità dell’operazione creditizia offerta alla normale clientela”. Tale quindi da inquinare, con prognosi ex ante, la serie dei dati rilevati alterando la rappresentazione fedele, il fair picture del normale prezzo praticato alla normale clientela. Un’analoga considerazione deve farsi per quanto concerne i costi rilevanti. La “normalità dell’operazione creditizia” non può evidentemente considerare come “costo normale” del credito la mora e ogni altro costo collegato all’inadempimento, comunque alla patologia del rapporto (ad es. penale di estinzione anticipata). L’esclusione dal TEGM non significa dunque, di per sé, che interesse di mora (penale di estinzione anticipata ecc.) sia irrilevante a fini di usura, ma soltanto che non entra nel paniere di voci che la Banca d’Italia assume rilevanti come rappresentativi del “normale costo del credito”’. (E. Astuni, Interessi di mora e usura, Convegno Studi Bancari, 27 ottobre 2015).

[31]Gli interessi, commissioni, remunerazioni e spese (ad eccezione di imposte e tasse) a qualunque titolo pattuiti devono essere considerati come un dato unico da raffrontare al tasso soglia ed è evidente che va esaminata, ai fini della ricorrenza dell’usura oggettiva originaria, la ricerca ipotetica della peggiore delle ipotesi possibili, ovvero quella economicamente più svantaggiosa per il cliente.’ (Trib. Benevento, Genovese, 25/10/16 n. 2883; cfr. anche Trib. Massa, Provenzano, 23/03/16; Trib. Milano, Tranquillo, n. 13997 del 10/12/15; Trib. Udine, Massarelli, 26/9/14 e 1/4/15; su posizioni similari ma con pregnanti distinzioni Trib. Torino, Astuni, 21/10/14 e 20/6/15).

[32] ‘Per effetto della novellata sostituzione del TAEG (costo complessivo) ai tassi nominali quale grandezza da confrontare con il TSU, l'unica modalità con cui gli interessi moratori possono impattare sul vaglio usurario è calcolarne l'effetto portato sul TAEG (o TEG) dai flussi finanziari da loro generati, congiuntamente alle altre voci di costo; non, invece, come confronto “secco” tra il tasso con cui sono espressi e il TSU o, peggio, creando una posticcia quanto arbitraria soglia di usura specifica. E’ per questa ragione che anche la pattuizione di un tasso di mora ab origine superiore al TSU non può indurre sic et simpliciter ad apporre il marchio usurario, se non prima averne misurato gli effetti prodotti sul TAEG assieme a tutti gli altri costi ed interessi. (…) Percorrendo tale via, si scoprirà, sorprendentemente, che le conseguenze portate sul TAEG dai soli interessi moratori sono generalmente, per l’effetto di controbilanciamento poc’anzi esposto, di peso marginale o trascurabile e solo in rarissimi casi (in corrispondenza di tassi corrispettivi ai limiti soglia e di tassi moratori elevati) v'è il superamento del tasso soglia usura, con buona pace, potremmo dire, della corrente filobancaria. Allo stesso modo si può procedere con la misurazione in termini di TAEG degli esborsi monetari richiesti alla parte inadempiente in caso di risoluzione del contratto ad una certa data, compatibile con le clausole contrattuali, o alla parte finanziata allorquando decida di estinguere anticipatamente il finanziamento rispetto alle scadenze originariamente pattuite. Le medesime argomentazioni in punto di ermeneutica devono essere estese al riformato secondo comma dell'art. 1815 c.c. Se è il TAEG, inteso nel suo carattere onnicomprensivo ma unitario, a rappresentare il parametro da confrontare con il tasso soglia per stabilire il carattere usurario o meno dell’intero contratto, anche la conseguente non debenza degli interessi prevista dall’art.1815, 2° comma, deve essere riferita alla predetta accezione più ampia del termine “interessi” (cioè costo) ed estesa, senza operare distinzione alcuna, a tutte le tipologie di costi ed interessi legati all’erogazione del credito. (D. Nardone e F. Cappelluti, ‘Usura pattizia, costi eventuali e penali da inadempimento nei contratti di finanziamento e di leasing: un approccio “virtuoso”, 2016, www.assoctu.it).

[33] Per gli interessi di mora, contrariamente a quanto può essere previsto per gli interessi corrispettivi, non è consentita la capitalizzazione: il puntuale pagamento degli interessi di mora non apporta pertanto alcun beneficio al debitore, ancorché comporti una lievitazione del rendimento effettivo annuo del costo del prestito. Rispetto allo scenario descritto, qualunque pagamento anticipato o posticipato di capitale e/o interessi corrispettivi e/o qualunque pagamento posticipato di interessi di mora, condurrebbe ad un tasso annuo effettivo inferiore.

[34] Nell’esempio sviluppato nella Tavola non si è prevista alcuna penale per la risoluzione per inadempimento e per la decadenza del beneficio del termine che, all’occorrenza, andrebbe integrata nel tasso effettivo alla scadenza della rata, indicato nella Tavola. Inoltre, si è considerata la mora sull’intera rata, in accordo con la Delibera CICR del 9/2/00.

[35] Più in generale, per un mutuo di durata k, nel worst case (insolvenza degli interessi e del capitale e regolare pagamento della mora alle singole scadenze):

i) nel caso di estinzione (s), anticipata entro la durata (k) del mutuo, il tasso effettivo è dato dal valore r che rispetta l’eguaglianza:

ii) nel caso di estinzione (s) successiva alla scadenza ultima (k) del mutuo, il tasso effettivo è dato dal valore r che rispetta l’eguaglianza:

Dove:

C = Capitale finanziato;

In = Interessi maturati sino all’anno s;

m = mora in ciascun anno successivo alla scadenza ultima (k) del mutuo;

mn= mora pagata all’anno n entro la scadenza ultima (k) del mutuo;

In quest’ultima formula, per n che va all’infinito, il primo termine tende a zero, il secondo termine è dato da una progressione geometrica convergente [di ragione 1/(1+r) e primo termine pari a m], mentre il terzo e quarto termine sono ordinarie somme. Al limite, il tasso asintotico è dato dal valore r che rispetta l’eguaglianza:

A maggior ragione, se la mora risulta applicabile solo alla quota capitale delle rate rimaste insolute, risulteranno più bassi gli importi addebitabili a tale titolo, con una minore incidenza del tasso di mora sul tasso effettivo dell’intero finanziamento.

[36] Nella Tavola qui sotto riportata sono indicati i valori asintotici estremi (insolvenza rate e capitale; pagamento della mora), tasso per le scadenze 5, 10 e 20 anni e per la mora collocata su 1, 2 e 3 punti sopra il tasso nominale del 5%, 10% e 15%.

[37] Non condivisibile, in quanto confliggente con la natura giuridica del finanziamento, è la tesi proposta in dottrina dal prof. M. Comana. Con un’impropria assunzione, il piano di ammortamento del finanziamento viene assimilato a ‘tanti prestiti uniperiodali, pari al capitale residuo dopo il pagamento della rata precedente, che durano appunto quanto il tempo della periodicità della rata. Il debito residuo dopo ogni rata è quindi il credito concesso per il periodo successivo’. (M. Comana, Effetti del tasso di mora sul costo effettivo del credito, Seminario autunnale 2017 in materia bancaria e finanziaria, Torino, 14 dicembre 2017). Il tale lettura si trascura l’unitarietà del rapporto di finanziamento, il cui costo viene espresso dal rendimento effettivo annuo calcolato al momento pattizio dell’erogazione. Matematicamente, procedendo dal capitale residuo ad ogni rata, si perviene a tassi esprimenti il costo del credito residuo, che si configurano come media ponderata del tasso corrispettivo e del tasso di mora, ma non appaiono costituire il corretto riferimento per la verifica del rispetto delle soglie d’usura.

[38] L’esempio di pag. 15 e la Nota 20 mostrano che il calcolo di verifica, nella generalità dei casi, è pressoché immediato. Nei caso di spese nel periodo del finanziamento e/o in caso di chiusura, occorrerà ricomprenderle in una distinta colonna di calcolo.

[39] In una diversa tesi si fa ricorso ad una ‘politica del diritto’ per escludere ogni valore pattizio alla clausola eventuale e dare rilievo esclusivamente all’effettività della condizione alla quale è subordinata la penalizzazione: ‘Evidente la sopravvalutazione del dato letterale dell’art. 1. “Se indica che gli interessi moratori contano nel calcolo usurario, esso non dice tuttavia che questi debbano essere considerati nello stesso identico modo di quelli compensativi; che cioè la rilevanza degli interessi da risarcimento prescinda dall’essersi verificato il medio logico che è pur necessario per la loro effettiva applicazione (mentre i compensativi corrono, per contro, proprio in ragione dell’avvenuta consegna del denaro ex art. 821 c.c.)”. In altri termini, l’onere eventuale è rilevante in quanto, oltre a essere stato promesso, si è verificata la fattispecie applicativa (ritardo nell’adempimento, risoluzione del contratto ecc.), poiché soltanto a questa condizione la potenzialità può dirsi divenuta effettiva. Segue per contro l’irrilevanza giuridica dei debiti per remunerazioni commissioni e spese, bensì collegati all’erogazione del credito, ma: a) meramente potenziali, perché non dovuti per effetto della mera conclusione del contratto, ma subordinati al verificarsi di eventi futuri (ancora possibili ma concretamente) non verificatisi; b) del tutto irreali, perché non dovuti per effetto della mera conclusione del contratto e subordinati al verificarsi di eventi che non si sono verificati, né potranno in seguito mai verificarsi. (…) C’è un criterio di politica del diritto che fa senz’altro preferire l’effettività del costo. La tesi della mera potenzialità ha una portata diffusiva. Se è vero che il worst case corrisponde “all’inadempimento di tutte le rate, ma pagamento di tutte le more via via maturate”, viene da chiedersi in saecula saeculorum quale contratto di mutuo potrebbe mai riuscire esente da questo scenario. Peggio ancora, se il contratto prevede una penale di estinzione anticipata senza limiti all’applicazione: è sufficiente ammettere che il cliente receda anticipatamente il giorno dopo la conclusione del mutuo per far volare ad altezze siderali il tasso di interesse. Si arriva allora al punto. La tesi della mera potenzialità non è in grado di distinguere le vere vittime di usura dalle vittime immaginarie, veri free rider che, senza aver subito alcuna usura, tentano di farsi un pasto gratis.’ (E. Astuni, Interessi di mora e usura, Convegno Associazione Studi bancari, 27/10/15).

Una non recente sentenza della Cassazione sembrerebbe avvalorare questa seconda tesi: ‘Il reato si consuma non solo con la promessa o la dazione di ‘interessi’ (richiamandosi qui la trama normativa dettata dagli artt. 1815 e 1284 c.c. e L. n. 108 del 1996, art. 2), ma anche se oggetto di pattuizione sono comunque ‘vantaggi usurari’. Questi ultimi sono illegittimi profitti, di qualsivoglia natura che l’eccipiens riceve e che per il valore, raffrontato alla controprestazione, assumono carattere di usura cioè di interessi eccedenti la norma. Si intende, poi, che allorché si verifichi l’estinzione anticipata del credito, ove evitare di imporre un interesse usurario, occorrerà ridurre le spese e le commissioni rapportandole alla durata onorata del prestito, e comunque mantenendo spese e commissioni nei limiti che impediscano il superamento del tasso legale. Il che nel caso di specie non è avvenuto con le conseguenze obbligate per legge in punto di responsabilità penale’. (Cassazione Pen. Sez. 2, n. 28928, 26/6/14).

Si ritiene tuttavia che l’aspetto dirimente sia la volontà espressa nel contratto; anche il worst case deve risultare regolato, quanto meno nel suo peso specifico, nel rispetto dei limiti d’usura. D’altra parte, come precisato dal d.l. 394/00 di interpretazione autentica, il riferimento viene ricondotto al momento pattizio e concerne ‘gli interessi a qualunque titolo convenuti”: la circostanza è ribadita dalla Corte Costituzionale (29/2002) e ulteriormente sancita dalla Cassazione S.U. 24675/17:il presidio, più che allo specifico contratto, è posto al corretto funzionamento del mercato. Non vi sarebbero free rider che tentano di usufruire di un pasto gratis se gli intermediari non tentassero di apporre, a presidio del regolare rientro del capitale erogato, penali capestro che esuberano le soglie d’usura e assicurano, nella circostanza, pasti sovradimensionati nelle eventuali difficoltà economiche o finanziarie in cui può incorrere la clientela. Nulla impedisce all’intermediario, che predispone unilateralmente il contratto di adesione, di prevedere un diverso e più moderato costo in eventualità che risultano eccezionali ma possibili e per l’intermediario, su un’ampia platea di clientela, statisticamente certe.

‘Quanto al fatto poi che l’obbligo di pagare gli interessi di mora sia solo eventuale e condizionato all’evoluzione del rapporto, ed in particolare al regolare e tempestivo adempimento da parte del mutuatario, non toglie che il vincolo sia stato comunque assunto quale ‘corrispettivo’ di una dazione di denaro. D’altro canto l’esperienza giudiziaria insegna non solo che il pagamento di interessi di mora è evenienza tutt’altro che infrequente nei rapporti di debito, soprattutto in tempo di crisi economica e di liquidità delle imprese e delle famiglie, ma anche che, soprattutto nei contratti di finanziamento di credito al consumo, tali interessi di mora raggiungano dei livelli (non di rado pari al due o al tre per cento mensile!), tali da costituire un peso per il debitore di gran lunga maggiore dell’interesse corrispettivo’. (Trib. Rovereto, n. 178/15). Lo stesso Astuni, nel riportare il caso Banestro della giurisprudenza della Corte UE, osserva: ‘La moderna politica di deterrenza esige viceversa una reazione non proporzionata, ma “smisurata” rispetto alla violazione consumata. Non soltanto è negata protezione giuridica alla clausola nulla (penale eccessiva), ma il predisponente non può neppure esigere ciò che avrebbe potuto esigere restando nei confini della liceità. Il caso più eclatante di questo “diritto smisurato di protezione” è l’art. 1815 cpv. c.c. che sancisce la gratuità del contratto usurario, distaccandosi dalla massima fondamentale del capitalismo per cui “non ci sono pasti gratis”.’

[40] Frequentemente nei contratti di mutuo la risoluzione viene disciplinata promiscuamente con la decadenza del termine.

[41] In questa prospettiva dal concetto di opzione non può dedursi una sua valorizzazione in termini di probabilità dell’evento; non è il valore dell’opzione che entra nella verifica dell’usura: il presidio è posto sul costo del credito nel caso in cui l’eventualità prevista contrattualmente si verifichi. Non è consentita nel mercato del credito alcuna scommessa che preveda, seppur aleatoriamente, un costo debordante la soglia di usura.

[42]Con un tasso corrispettivo collocato nell’intorno del valore medio di mercato, vi sono ampi margini per prevedere una maggiorazione in caso di mora. Nulla impedisce all’intermediario di limitare le iniziative finanziate entro un tasso corrispettivo che consenta altresì un adeguato spread di mora a presidio di comportamenti opportunistici di inadempimento alla scadenza. Se, invece, il tasso corrispettivo inizialmente convenuto si colloca a ridosso della soglia d’usura, già sconta un significativo rischio di insoluto alla scadenza: il danno eventuale è già compreso statisticamente nel maggior tasso corrispettivo richiesto. L’intero compenso, ordinario e di mora, deve necessariamente essere compreso entro il margine stabilito dalla norma. (…) Entro il limite disposto dalla norma, si rimette all’intermediario la gestione completa dello spread da aggiungere al valore medio rilevato, così che possa nella sua discrezionalità stabilire – con riferimento al margine necessario a coprire il maggior rischio di credito – quanto ricomprendere nel tasso corrispettivo e quanto porre a deterrente di facili comportamenti di inadempimento. In tal modo i costi che derivano all’intermediario dagli insoluti vengono in parte distribuiti sulla totalità della clientela e in parte maggiore sulla clientela che incorre occasionalmente, frequentemente e/o definitivamente nell’insolvenza’. (R. Marcelli. Usura Bancaria: ad un ventennio dalla Legge: un impietoso bilancio, Giuffré 2017).

[43] In ipotesi estrema, che appare scarsamente sostenibile, si può disconoscere ogni valore alla discrezionalità che la banca si riserva e considerare inizialmente, oltre al regolare e fisiologico sviluppo del piano di ammortamento del prestito, unicamente lo scenario alternativo che vede la risoluzione del contratto decorso il termine dei 180 giorni dalla scadenza della prima rata che rimane insoluta. Tale soluzione costituisce l’unica alternativa nel caso in cui il contratto preveda la risoluzione automatica, non rimessa alla discrezionalità della banca. In questo caso, nell’esempio sopra riportato, il worst case coincide con l’insolvenza alla prima rata che, maturando 180 gg. di mora, fa ascendere il rendimento effettivo annuo dal 5,85% al 5,975%.

[44] Analoghi principi di verifica si possono applicare ai contratti di leasing per le condizioni di risoluzione particolarmente complesse che rendono talora eccessivamente onerosi gli oneri posti a carico del debitore. ‘Se ci si sofferma a riflettere sulla finalità della penale da risoluzione così come contenuta nei contratti di leasing (ed in generali per tutti i finanziamenti), essa vuole costituire un risarcimento che va a ristorare il concedente del danno patrimoniale in termini di corresponsione della quota capitale non restituita (“danno emergente”) e di mancato conseguimento del ricavo atteso dall’esatto adempimento del contratto (“lucro cessante”). Infatti, generalmente, le ricordate clausole penali da inadempimento “scaduto + scadere – bene”, come poc’anzi detto, prevedono, in caso di risoluzione, il pagamento di tutti i canoni maturati nonché di quelli maturandi sino al naturale termine del rapporto, riscatto compreso, attualizzati ad un determinato tasso. V'è da dire, però, che il tasso applicato per operare tale attualizzazione è sempre di gran lunga inferiore a quello con il quale si è costruito l’originario piano di ammortamento e determinata la componente interessi nell’importo dei canoni di locazione. E dunque, in termini matematici, è vero che l’ammontare dei canoni a scadere, attualizzati al tasso convenuto (se di segno positivo), è inferiore all’ammontare dei medesimi canoni che si sarebbero dovuti versare alle originarie scadenze contrattuali; ma tale ammontare è notevolmente superiore alla sommatoria delle quote capitale di tutti i canoni a scadere, comportando per l’utilizzatore il pagamento di una parte (anche consistente) degli interessi originariamente compresi nei canoni a scadere, comunque pretesi dal concedente anticipatamente ed in unica soluzione anziché alle scadenze convenzionalmente pattuite. Peraltro tale differenza si acuisce al crescere della “forchetta” tra il tasso di interesse pattuito, con il quale sono stati determinati i canoni, e il tasso di attualizzazione concordato. Tale divario viene talvolta reso eccessivo dai concedenti che approfittano anche del fatto che l’entità della “penalizzazione” imposta all’utilizzatore, non è di immediata percezione, a meno di avere conoscenze specifiche di tipo matematico-attuariali. A bene vedere, il meccanismo che si innesca nel momento della risoluzione, ovvero il diritto da parte del concedente di richiedere oltre ai canoni scaduti anche i canoni a scadere attualizzati (riconoscendo, cioè, al concedente il diritto di ottenere anche una parte di interessi contenuti nei canoni a scadere) comporta la determinazione di un ristoro che, dietro l’apparente veste di penale, va a remunerare il concedente con una parte (il più delle volte anche consistente) degli interessi corrispettivi che egli avrebbe conseguito con il regolare adempimento del contratto (lucro cessante) e, per tale ragione, rappresenta anch’esso un fattore di lucro, al pari degli interessi originariamente convenuti, in quanto elemento avente natura remunerativa/corrispettiva, al pari degli interessi corrispettivi a cui va a sostituirsi; ergo, in quanto tale, deve partecipare di pieno diritto alla misurazione del carattere usurario del costo del contratto, già in termini di promessa ex ante. Ad ogni modo, la porzione di penale riferentesi non alla sola quota capitale (danno emergente), ma ad una quota degli interessi corrispettivi che il finanziatore - concedente non percepirà più (lucro cessante), rientra comunque nella generalissima nozione di vantaggio, o commissione, o remunerazione a qualsiasi titolo (visto dalla prospettiva del concedente) o in una spesa (visto dalla prospettiva dell'utilizzatore) collegata senz'altro all'erogazione del credito e non consistente in una imposta o tassa.’ (D. Nardone e F. Cappelluti, ‘Usura pattizia, costi eventuali e penali da inadempimento nei contratti di finanziamento e di leasing: un approccio “virtuoso”, 2016, www.assoctu.it).

[45] Più propriamente si parla di obbligazioni facoltative o obbligazioni con facoltà alternativa: ‘ … nelle obbligazioni facoltative é dedotta una prestazione unica e non già sono previste due o più prestazioni, l’una alternativa all’altra. L’obbligazione facoltativa è dunque un’obbligazione semplice; tuttavia, per volontà delle parti o in virtù di una disposizione di legge, al debitore è attribuita, fin dalla nascita del rapporto obbligatorio, la facoltà di liberarsi dall’obbligazione, eseguendo una prestazione diversa dall’unica prestazione dedotta in obbligazione. In definitiva, l’obbligazione facoltativa è un’obbligazione semplice che rispetto al modello tipico dell’obbligazione semplice presenta un quid pluris costituito dalla facoltà attribuita al debitore di liberarsi dall’obbligazione, eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta. La distinzione tra obbligazioni alternative e obbligazioni semplici con facoltà alternativa non è meramente descrittiva e classificatoria, poiché assume una concreta rilevanza operativa soprattutto con riferimento al caso dell’impossibilità sopravvenuta. Infatti, laddove diventi impossibile per causa non imputabile al debitore l’unica prestazione dedotta in una obbligazione, alla quale accede una facoltà alternativa, il rapporto obbligatorio si estingue nella sua totalità, ancorché sia ancora possibile esercitare la facoltà alternativa, eseguendo la prestazione prevista come facoltativa. E ciò in quanto quest’ultima prestazione non è dedotta in obbligazione come alternativa ad un’altra prestazione (quella dovuta), ma costituisce semplicemente una facoltà concessa al debitore, nel senso che si tratta di una possibilità ulteriore per conseguire la liberazione dell’obbligo. Nell’obbligazione alternativa, invece, se prima della scelta una delle due prestazioni diventa impossibile per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione diviene semplice, concentrandosi automaticamente nella prestazione rimasta impossibile.’ (E. Moscati, La disciplina generale delle obbligazioni, Ed. Giappichelli, 2015).

[46] L’eventuale clausola che escluda l’anticipata estinzione prima del decorso di un determinato periodo di tempo risulterebbe nulla ex art. 40 del TUB: ‘… emerge, in una prospettiva civilistica, che colui il quale sia debitore, in base ad un contratto di finanziamento erogato da un soggetto esercente l'attività bancaria, ha riconosciuta dalla legge, e non dal contratto, la facoltà di adempiere anticipatamente l'obbligazione resti tutoria assunta: la considerazione negoziale dell'esercizio di tale facoltà, che nella previsione normativa non è soggetto a limiti temporali, è ininfluente sulla determinazione della durata contrattuale dell'operazione di finanziamento, la quale prescinde dalla possibilità per il debitore di estinguere anticipatamente l'obbligazione. Ciò significa che quella di adempimento anticipato è una facoltà irrinunciabile del debitore, che non è soggetta ad un riconoscimento pattizio tra soggetto finanziatore e soggetto finanziato, nel senso che l'esercizio di quella facoltà non può ritenersi condizionato dall'inserimento nel contratto di una apposita clausola che lo consenta o di una clausola di contenuto difforme dalla previsione normativa che quella facoltà attribuisce, ad es. limitandone l'esercizio in un determinato spazio temporale, escludendo che esso sia possibile prima di un definita durata contrattuale dell'operazione di finanziamento’. (Cassazione n. 9519 dell’11/04/08).

[47] A parte il rischio di controparte, se i tassi di mercato scendono dal 10% al 5%, il valore attuale della rendita futura assicurata dal finanziamento risulta più elevato, per il differenziale creatosi nella discesa dei tassi.

[48] Se l’intermediario cedesse il credito sul mercato ad altro intermediario, si vedrebbe riconosciuta solo la prima componente, risultando la seconda rivolta a coprire il rischio di controparte che l’acquirente del credito assumerebbe.

[49] Con il d.l. n. 7/07, per i mutui stipulati posteriormente al 2/2/07, per talune tipologie di finanziamento e in talune circostanze, è prevista la nullità di ogni patto e condizione che preveda, per l’estinzione anticipata, una remunerazione a favore del mutuante.

[50]Many financial products contain prepayment options. Loan contracts are often structured to provide the borrower with the option to prepay the loan at any time, or on specific dates, prior to the maturity date of the loan. These options are important aspects of these financial products. The most commonly encountered investment product with these feature is the mortgage backed security. Investment contracts issued by life insurance companies contain similar options where the policyholder is allowed to surrender the policy with no surrender charge’. (M. Sherris, Pricing and hedging loan prepayment risk, AFIR 1993).

[51] A rigore tale costo, per il credito fondiario, andrebbe altresì considerato nella rilevazione del TEGM. La circostanza che la Banca d’Italia lo abbia escluso dalla rilevazione, tuttavia, non autorizza una pari esclusione dalla verifica, risultando il costo della menzionata componente opzionale inderogabilmente inerente l’erogazione del credito.

[52] Nella speculare questione della fideiussione omnibus si è ritenuto ricorrere un’inefficacia sopravvenuta; si è osservato a questo riguardo: ‘In materia di contratti di fideiussione omnibus stipulati antecedentemente all’entrata in vigore della l. n.154/1992, vedi Corte cost. 27 giugno 1997 n.204 secondo cui “…l’innovazione legislativa, che stabilisce la nullità delle fideiussioni per obbligazioni future senza limitazione di importo, non tocca la garanzia per le obbligazioni principali già sorte, ma esclude che si producano ulteriori effetti e che la fideiussione possa assistere obbligazioni principali successive al divieto di garanzia senza limiti.” Contra, sempre in relazione alla validità ed efficacia di una fideiussione prestata in favore di un istituto di credito per tutte le obbligazioni derivanti da future operazioni con il debitore principale (cd. fideiussione “omnibus”), il consolidato indirizzo della cassazione afferma che la sopravvenienza della l. n. 154 del 1992 (il cui art. 10, modificando l’art. 1938 c.c., impone la fissazione dell’importo massimo garantito), - se non tocca la validità e l’efficacia della fideiussione fino al momento dell’entrata in vigore del citato art. 10, con la conseguente responsabilità del fideiussore per le obbligazioni verso la banca a carico del debitore principale prima della predetta data - determina, per il periodo successivo, la nullità sopravvenuta della convenzione con essa in contrasto.(Cass. 20.1.2017 n.1580; 9.2.2007 n.2871). (G. Federico, Il denaro e il tempo. Brevi note su Ss.Uu. n. 24675 del 19 ottobre 2017 in materia di “usura sopravvenuta”).

[53] ‘Il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, etichettato come eversivo da alcuni commentatori, si rivela, invece, tutt’altro che irrispettoso del tessuto normativo allestito dal legislatore per soppesare l’usurarietà dei tassi di interesse pattuiti prima dell’entrata in vigore della l. n. 108 del 1996 e di quelli convenuti successivamente in misura ab origine non superiore alla soglia legale. Nell’epoca della legalità pos-moderna (mutuando il felice sintagma di P. GROSSI, L’invenzione del diritto, Bari- Roma, 2017, 12) è senz’altro innegabile che al giudice – soprattutto nel settore civile – sia richiesto di non cedere alla tentazione della legolatrìa e, dunque, di non sottrarsi al dovere di mediare tra legge vecchia ed il nuovo che ribolle nel vivo del tessuto sociale (cfr. altresì le dense pagine di R. CONTI, I giudici e il biodiritto, Roma, 2014, 37); è pur vero, tuttavia, che essere inventore (nell’accezione originaria del termine) ed interprete non può sublimare – e di questo sembrano avvedersi le stesse Sezioni Unite – in una obliterazione dell’ordito normativo che, per quanto censurabile e deprecabile sul piano ideologico, non deve mai essere disarticolato in via surretizia dal formante giurisprudenziale. L’unico profilo di friabilità dell’iter logico-giuridico dipanato dai giudici di legittimità sembrerebbe condensarsi sulla questione dell’eventuale violazione del canone di buona fede “nelle particolari modalità di esercizio del diritto nella fase esecutiva del regolamento negoziale”. (…) al momento della pattuizione il creditore è senza dubbio a conoscenza dell’eventuale usurarietà del tasso convenuto, mentre per il futuro egli stesso non può che rimettersi, sia pur entro gli steccati di una condotta che sia improntata a correttezza, alle imprevedibili fluttuazioni del mercato. Tale prospettiva rimediale possiede il pregio di rivelarsi senz’altro meno sdrucciolevole di quelle che, sulla falsariga di quanto delineato dall’art. 1384 c.c. in tema di riduzione della penale (la cui poliedricità funzionale è stata opportunamente messa in luce da F. PATTI, La determinazione convenzionale del danno, Napoli, 2015, 121), richiedono un intervento giudiziale sul programma contrattuale difficilmente conciliabile con una dimensione – quale è quella delle soglie usurarie – dalle venature squisitamente oggettive, in quanto tale irriducibile a criteri di rimodulazione dell’equilibrio negoziale incentrati sull’interesse del creditore all’adempimento (cfr., per tale condivisibile ordine di considerazioni, E. BIVONA, Il divieto di usura tra interessi corrispettivi e interessi moratori, in Persona e Mercato, 2016, 13). E, d’altra parte, come è stato limpidamente illustrato in dottrina (cfr., per tutti, S. MAZZARESE, Clausola penale, in Commentario Schlesinger, Milano, 1999, 421), l’essenza dell’intervento riduttivo giudiziale, riannodandosi al presupposto della meritevole conservazione dell’assetto negoziale, finirebbe per evocare un dispositivo rimediale assai blando per fronteggiare una condotta che sul fronte penalistico risulta, invece, sanzionata con spiccato vigore punitivo. A tal proposito è, peraltro, appena il caso di osservare che la stessa allusione al meccanismo delineato dall’art. 1384 c.c. è stata caldeggiata da interpreti favorevoli non soltanto all’idea di un insostenibile “doppio binario rimediale” per gli interessi corrispettivi e per quelli moratori (sulla scia di una bipartizione che non trova alcuna corrispondenza nella disciplina sull’usura), ma anche ad una sostanziale immunità di questi ultimi dal perimetro di rilevanza usuraria (cfr., sul punto, le considerazioni di S. PAGLIANTINI, Spigolature su di un idolum fori: la cd. usura legale del nuovo art. 1284 c.c., in Usura e interessi, in Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso (a cura di G. D’Amico), cit., 57, nt. 21). (S. Alecci, Le Sezioni Unite ed il tramonto della “usura sopravvenuta”, Diritto Civile Contemporaneo, n. 4/2017).

[54]Né coglie nel segno la sentenza allorquando, richiamando Cass. pen. 8353/13, afferma che la giurisprudenza penale della Corte “nega la configurabilità dell’usura sopravvenuta”!!! Invero, la sentenza del 2013 non nega affatto la rilevanza dell’usura sopravvenuta ed anzi, sulla premessa che la L. 28 febbraio 2001 n. 24, art. 1, afferma che gli interessi devono ritenersi usurari se eccedono il limite legale al momento della loro pattuizione ed indipendentemente dal loro pagamento, afferma “che il reato di usura possa ritenersi consumato in tale secondo momento (Sez. F., n. 32362 del 19 agosto 2010, Scuto ed altri, Rv. 248142)” La struttura “bifasica” (pattuizione/dazione) del reato di usura è costantemente affermata nella giurisprudenza penale a mente della quale: “L’art. 644 cod. pen. punisce sia la dazione sia la pattuizione di interessi usurari. Il delitto di usura si configura, dunque, come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie - destinate strutturalmente l’una ad assorbire l’altra, con l’esecuzione della pattuizione usuraria - aventi in comune l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l’una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l’altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato. Nella prima il verificarsi dell’evento lesivo del patrimonio altrui si atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all’eventuale rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell’illecito il quale, nel caso di integrale adempimento dell’obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell’obbligazione rimasta inadempiuta (Sez. 2, n. 11837 del 10/12/2003 - Sideri e altro, Rv. 228381).” (Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 luglio – 22 settembre 2016, n. 39334, Presidente Davigo – Relatore D’Arrigo)

[55] Dolmetta, con riferimento al rapporto sistematico corrente tra la norma generale dell’usura, quale dettata nella legge n. 108/96, e la specifica disposizione dell’art. 1 della legge di interpretazione n. 24/01, nel commentare la pronuncia della Corte costituzionale n. 29/02, osserva: ‘Secondo la valutazione della Corte (peraltro conforme al pensiero espresso da parte della dottrina), dunque, la norma dell’art. 1 non si occupa che delle sanzioni penali e delle sanzioni civili, dalla legge n. 108/1996 rese – per tutte o parte delle fattispecie usurarie – più aspre. In quanto sanzioni «più aspre», o «troppo aspre», questa norma fa certo che le stesse restano escluse per l’usura sopravvenuta. Che poca cosa certo non è. Che, tuttavia, non è neppure tutto. In controluce con quanto espresso dalla Corte costituzionale, in particolare, vi sono – per la definizione della cifra complessiva del suo intervento – talune cose da rimarcare in speciale maniera. La Corte non dice, prima di tutto, che il fenomeno dell’usura sopravvenuta si manifesta irrilevante per il sistema vigente. Nemmeno dice che la norma dell’art. 1 è andata ad abrogare - per una o più parti - la disciplina dettata in generale dalla legge n. 108/1996 (cosa, del resto, che la norma neppure in astratto potrebbe dire, come subito si vedrà): non dice, in specie, che è stata abrogata la parte dell’art. 644 cp che sanziona il caso di «farsi dare» dei vantaggi usurari. Non dice, tanto meno, che delle zone della normativa di cui alla legge n. 108/1996 non siano (più) imperative o che queste zone siano diventate derogabili. Non dice che è valido il patto di deroga alla normativa usuraria o il patto contrario alla normativa usuraria. Tutto questo la Corte non lo dice. Non lo dice, a me pare, per due distinti motivi. Perché – se la norma dell’art. 1 avesse realmente quella portata (che è poi quella che finisce per consegnarle l’orientamento contrario alla rilevanza dell’usura sopravvenuta) – ben difficilmente la si potrebbe definire norma dotata di ragionevolezza; né norma di semplice completamento di un sistema altrove ideato e conformato (come invece la norma è). In una simile prospettiva, in realtà, la norma dell’art. 1 risulterebbe intesa a far cadere una parte decisamente sostantiva della legge n. 108/1996: sicuramente non più rivolta, allora, a reprimere «nella maniera più incisiva» il fenomeno usurario. Non lo dice pure per un’altra ragione, di ordine per così dire strutturale. Secondo la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale, con l’emanazione di una norma di interpretazione autentica il legislatore può scegliere nell’ambito delle più interpretazioni possibili, cioè compatibili con il testo della norma. È quindi esclusa non solo la possibilità di procedere a delle abrogazioni espresse, ma anche quella di addivenire ad abrogazioni per incompatibilità: ché ciò, per definizione, si tradurrebbe nell’adottare una interpretazione non possibile sulla base del testo all’epoca vigente. Un’abrogazione retroattiva, insomma, è esclusa dal sistema. E nel caso che qui nel concreto interessa un’interpretazione forte della legge n. 24/2001 (relativa alla fattispecie usura, cioè) comporterebbe senza dubbio l’abrogazione retroattiva della norma dell’art. 644, là dove la stessa predica la rilevanza usuraria del «farsi dare» dei vantaggi superiori a quelli fissati dalla soglia di legge’. (A.A. Dolmetta, ‘L’usura sopravvenuta in Cassazione’, in Questione Giustizia, 2017).

[56] Come riporta G. Colangelo appare alquanto apodittico estendere l’interpretazione della legge 24/01 a tutti i contratti di credito. ‘Contraddetta dalle lettere del Governatore dalla Banca d’Italia al Governo, nelle quali si chiede di emanare una legge che accolga i contenuti della citata circolare ABI del 20 marzo 1997, cui il Governo dà seguito, e che si riferisce ai soli mutui stipulati a tasso fisso prima del 1996. Dal resoconto dei lavori parlamentari e dalla Relazione del Governo, infatti, emerge indiscutibilmente che tale legge si riferisse al caso dei mutui stipulati a tasso fisso e divenuti usurari a seguito «dell’eccezionale caduta dei tassi di interesse verificatasi in Europa e in Italia nel biennio 1998-1999, avente carattere strutturale [corsivo aggiunto]» (comma II L. 24/2001). La stessa Corte costituzionale nella sua sent. n. 29/2002, al punto 1 fa riferimento ad un contratto di mutuo stipulato a tasso fisso, ed ugualmente ciò accade al punto 1.1, che riporta anche la posizione della Banca d’Italia sui mutui stipulati a tasso fisso e divenuti usurari. E così, il riferimento alla medesima fattispecie lo troviamo ai punti 1.2; 2; 2.1; 2.2; 3; 4; 4.1; 4.2 della trattazione in fatto. Ugualmente, nella trattazione in diritto, la Consulta si riferisce unicamente ai contratti di mutuo stipulati a tasso fisso ai punto 2.2; 4.3; 5.1. Nessun cenno si trova agli atri contratti di credito o ai mutui stipulati a tasso variabile. Infine, La Consulta al punto 5.1. delle Considerazioni in diritto conclude: «Va rilevato, a tale riguardo, che nel citato comma 2 dell’art. 1 del decreto-legge è stata inserita una specifica e puntuale indicazione delle ragioni dell’intervento d’urgenza del Governo sui contratti di mutuo a tasso fisso in corso. Ragioni incentrate sulla constatazione “dell’eccezionale caduta dei tassi di interesse avvenuta in Europa e in Italia nel biennio 1998-1999, avente natura strutturale” [corsivo aggiunto]». Con ciò limitando inequivocabilmente il campo d’azione della L. 24/2001 ai mutui stipulati a tasso fisso. A rafforzare tale, ultimo rilievo soccorre la Corte Costituzionale con due precedenti sue pronuce. Il d.l. 29.12.2000, n. 394 convertito nella l. n. 24/2001, è norma interpretativa e come tale, secondo i giudici della Consulta, «fermo restando il testo della norma interpretata, ne chiarisc[e] il significato normativo e privilegi[a] una delle tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo sia espresso dalla coesistenza di due norme, quella precedente e quella successiva, che ne esplicita il significato, e che rimangono entrambe in vigore. Le due norme si sovrappongono e l’una, la successiva, non elimina l’altra, la precedente. Il legislatore, con un’operazione ermeneutica, introduce nell’ordinamento un quid novi che rende obbligatorio per tutti il significato da lui dato alla norma precedente che resta in vigore» (Corte cost. 17 novembre 1992, n. 455 e 10 febbraio 1993, n. 39). Non è da trascurare, ai fini della corretta interpretazione della norma (come tutti i manuali insegnano), il canone della lettura del combinato disposto dei commi 1 e 2 della l. n. 24/2001, oltre alla relazione del governo che accompagna il d.l. 394/2000, come già detto. Da tutti questi elementi appare chiaro che tale provvedimento fu emanato per rimediare all’effetto sull’economia degli intermediari finanziari delle famose sentenze della Cassazione dell’anno 2000, che avevano ad oggetto i mutui stipulati a tasso fisso e divenuti usurari’. (G. Colangelo, Legalizzazione dell’usura?, Danno e Responsabilità, n. 2/2014).

[57] Osserva C. Colombo: ‘Sul versante invece più squisitamente giuridico, non può non osservarsi che nei finanziamenti con piano di ammortamento predefinito l’obbligazione relativa al pagamento degli interessi sorge contestualmente alla stipulazione del contratto, ancorché le relative scadenze siano ovviamente successive, coincidendo esse con quelle del piano di ammortamento. (…)  La circostanza, dunque, che l’obbligazione nasce integralmente al momento della stipulazione del contratto, fa sì, anzitutto, che i d.m. trimestrali di rilevazione del TEGM (e, conseguentemente, di determinazione dei tassi soglia) non possano in alcun modo considerarsi alla stregua di uno ius superveniens, la cui necessaria applicazione concerne unicamente le obbligazioni sorte successivamente alla relativa entrata in vigore, come si è detto e soprattutto come ha chiarito in altre circostanze la Corte Costituzionale (27 giugno 1997, n. 204). Tanto premesso, l’utilizzazione del principio di buona fede, quale strumento correttivo – nella fase esecutiva del contratto – della misura di un’obbligazione che, quando sorse, era perfettamente conforme a legge, desta qualche perplessità, in quanto finisce indirettamente per determinare l’applicazione del c.d. ius superveniens, al di là dei precisi confini condivisibilmente tracciati dal Giudice delle leggi. Discorso diametralmente opposto vale, ovviamente, per i finanziamenti ad utilizzo flessibile.  In questi ultimi, infatti, l’obbligazione di pagamento degli interessi sorge man mano che gli utilizzi vengono effettuati da parte del finanziato, il che giustifica ampiamente – proprio nell’ottica appena illustrata – il necessario contenimento del TEG, entro i limiti stabiliti trimestralmente dai d.m. di rilevazione del TEG’. (C. Colombo, Gli interessi nei contratti bancari, Aracne, 2014).

[58]A fare propendere per la riconduzione anche della situazione in discorso all’alveo dell’usura originaria, tuttavia, sta la constatazione dell’equivalenza effettuale della struttura ex comma 2 dell’art. 118 con quella del patto di cui all’art. 2 legge n. 24/2011. Naturalmente, la gratuità dell’operazione per il cliente è soluzione predicabile, per la specie in questione, solo a partire dal periodo successivo a quello in cui è stato esercitato il ius variandi da parte della banca’. (A.A. Dolmetta, Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, 2014, incaso.it). Giova osservare che l’esercizio dello jus variandi che introduce un tasso debordante la soglia, è sanzionato con la nullità che investe tutti gli interessi addebitati nei trimestri successivi, a prescindere che si collochino sopra o sotto la soglia: la nullità della condizione non sembra sanabile da un successivo esercizio dello jus variandi che riporti nella soglia il tasso di interesse.

[59] Nei ‘patti successivi’ non interviene propriamente alcuna erogazione ma unicamente una modifica del patto creditizio. Si è tuttavia osservato: ‘ l’usurarietà, siccome le modifiche unilaterali si reputano approvate in mancanza di recesso, è originaria: ed a pieno titolo, dandosi qui una nuova pattuizione idonea a determinare il superamento del tasso-soglia, può trovare applicazione il combinato sanzionatorio degli artt. 1815, comma 2 c.c. e 644 c.p. (…) Tornando alle ragioni per cui il raffronto (con il tasso soglia) nella specie non si snoda su di un ora per allora (cioè l’iniziale pattuizione), ci sembra decisivo il fatto che l’art. 1 l. 24/2001, legando l’attributo di usurari ad interessi “comunque convenuti”, legittima la deduzione che l’originarietà attragga pure l’ipotesi di una modifica successiva della clausola innalzante il tasso sopra la soglia ammessa’. (S. Pagliantini, La saga (a sfaccettature multiple) dell’usurarietà sopravvenuta tra regole e principi, Il Corriere giuridico, n.5, 2017).

[60] Come è noto, nella rilevazione del TEGM:

i) per i finanziamenti ad utilizzo flessibile si impiega la formula:

ii) per i finanziamenti con piano di ammortamento predefinito, il TEG è ricavato dalla i che risolve l’eguaglianza:

corrispondente, a meno della capitalizzazione infrannuale, al TAEG dato dalla formula:

[61] Al momento pattizio, al denominatore della formula del TAEG, va correttamente messo il credito erogato; se la previsione pattizia prevede più momenti di erogazione in funzione delle esigenze del cliente, in ciascuno di questi dovrà essere rispettato il presidio di usura: risulta elusivo della norma escogitare una formula diversa, non contemplata in alcun manuale di finanza, per piegare, ad usum Delphini, il vincolo di legge all’operatività: non mancano strumenti operativi che consentono il rigoroso rispetto della soglia d’usura.

[62] La discrasia fra TAEG e TEG diviene ancor più paradossale con le ultime Istruzioni’16. Per i crediti sconfinati rispetto al fido, per i quali sino alle precedenti Istruzioni era previsto al denominatore della seconda frazione del TEG l’accordato, con le nuove Istruzioni, senza alcuna consultazione, si prevede il saldo liquido massimo. Nel documento posto in consultazione nell’aprile del ’15 si riportava: ‘Nel caso di passaggio a debito di conti non affidati o comunque se si verificano utilizzi di finanziamento senza che sia stato precedentemente predeterminato l’ammontare del fido accordato, l’attribuzione alla classe di importo va effettuata prendendo in considerazione l’utilizzo effettivo nel corso del trimestre di riferimento (ad es. nel caso di passaggi a debito di conti correnti non affidati deve essere considerato il saldo liquido massimo di segno negativo; nel caso di operazioni di factoring su crediti acquistati a titolo definitivo e di sconto di effetti deve essere considerato l’importo erogato. (…)’. Nella versione definitiva, resa pubblica il 29 luglio, senza che alcunché fosse riportato nel resoconto della consultazione, né alcuna giustificazione avesse accompagnato la modifica, nel trattare i conti non affidati – con un’espressione alquanto equivoca e contraddittoria - si introduce ‘una forzatura’ per ricomprendere anche gli sconfinamenti dei conti affidati: ‘Nel caso di passaggio a debito di conti non affidati o comunque se si verificano utilizzi di finanziamento senza che sia stato precedentemente predeterminato l’ammontare del fido accordato, l’attribuzione alla classe di importo va effettuata prendendo in considerazione l’utilizzo effettivo nel corso del trimestre di riferimento (ad es. nel caso di passaggi a debito di conti correnti non affidati e degli sconfinamenti rispetto al fido accordato deve essere considerato il saldo liquido massimo di segno negativo; nel caso di operazioni di factoring su crediti acquistati a titolo definitivo e di sconto di effetti deve essere considerato l’importo erogato. (…)’. Una modifica, introdotta ‘alla chetichella’ ad usum Delphini, con la quale si crea un’ulteriore discriminazione a favore degli intermediari: se l’utilizzato è inferiore all’accordato, nel TEG si considera l’accordato, se l’utilizzato è superiore all’accordato, si considera il saldo massimo, amplificando l’asimmetria fra TAEG e TEG.

[63] ‘…. A me pare assai difficile che l’atto di esercizio del ius da parte di una banca possa essere correttamente valutato senza tener conto degli – a prescindere dagli – altri comportamenti concreti della medesima: dall’an di eventuali modifiche migliorative; dalla misura di “congruità reciproca”, inoltre, tra modifiche peggiorative ed eventuali modifiche migliorative. L’impresa che ignora e trascura le situazioni giustificanti delle variazioni migliorative per clientela, per ricorrere in modo sistematico al ius, viene a manifestare una volontà predatoria. Un comportamento di questo tipo, se per qualche verso riecheggia una sorta di venire contra factum proprium, di sicuro non ha nulla di sociale; e nemmeno di equilibrato. (…) In proposito uno spunto può essere fornito, secondo una certa misura, dalla costatazione che anche le variazioni negative possono avere riflessi sulle migliorative: se corre in un senso, il “rapporto” dovrebbe correre, salvo ragioni specifiche, anche nell’altro. Ovvero, se si preferisce, anche su questo versante si tratta di dare tratto ai valori costituzionali e alla clausola di buona fede. Ed è questa, per quanto in sé limitata, la prospettiva che a me sembra risultare quella più accessibile nella realtà attuale’. (A.A. Dolmetta, Linee evolutive di un ius variandi, in Ius variandi bancario, Quaderni di Banca, Borsa e Titoli di credito, Giuffré 2012).

‘… se non si correlasse al ius variandi in pejus un diritto del cliente ad una modifica in melius, il ius variandi finirebbe, ci pare, per deviare dalla sua funzione: creando rendite di posizione, oltre la conservazione dell’originaria convenienza dell’affare. D’altra parte, di tale generale correlazione tra potere di modifica in pejus e dovere di modifica in melius pare epifania l’ultimo comma dell’art. 118 TUB: sulle variazioni dei tassi di interesse in connessione a decisioni di politica monetaria. E, allargando ancora lo sguardo, la relazione tra disciplina di “equilibrio” dell’atto (condizioni e limiti del ius variandi a tutela del singolo cliente) ed efficienza dell’attività (esclusione di rendite di posizione), poi, sorregge anche la disciplina primaria dell’anatocismo (stessa periodicità “nei confronti della clientela”); nonché, secondo un’opinione, alla normativa delle spese. Nulla di stravagante: l’essenza dei contratti d’impresa – si è chiarito – s’impernia nel loro inerire ad un’attività, appunto, che concorrono a realizzare; da ciò, dunque, non si può prescindere per la ricostruzione della disciplina del singolo atto. [Omessa la proposta di modifica in melius, poi, l’inefficacia della modifica in peius realizzerebbe proprio, e direttamente, l’esigenza sottesa al dovere di modifica in melius: che il ius variandi serva non ad arricchire la banca rispetto a quanto originariamente programmato, bensì a conservare l’originaria convenienza dell’affare. Ed eviterebbe le indubbie difficoltà e complicazioni cui darebbe luogo una sanzione risarcitoria (in forma specifica, ex art. 2932 c.c., o per equivalente, ovvero un rimedio risolutorio)…]’. (A. Sciarrone e G. Mucciarone, La pluralità delle normative di ius variandi nel TUB: sistema e fratture, in Ius variandi bancario, Quaderni di Banca, Borsa e Titoli di credito, Giuffré 2012).

[64] Una soluzione palliativa – non certo rimediale e ostativa ai comportamenti opportunistici che si liberano in un mercato del credito sottratto alla concorrenza – viene suggerita da G. Federico nel commento alla Cassazione S.U. n. 24675/17: ’Nel caso dell’usurarietà sopravvenuta, dunque, non si tratta di configurare, come autorevolmente escluso dalle sezioni unite, la nullità sopravvenuta della clausola di determinazione degli interessi, o la violazione di un dovere di buona fede in capo al creditore che pretenda interessi originariamente non usurari. Nè appare ipotizzabile l’operatività dell’art. 1339 c.c. in relazione all’art. 1419 c.c., rimedio implicitamente escluso dalle sezioni unite, quale conseguenza del mancato riconoscimento della su menzionata nullità parziale sopravvenuta. Si tratta piuttosto di verificare se sia conforme a liceità e ragionevolezza la cristallizzazione di una prestazione periodica (dazione di interessi) che a partire da un determinato periodo (stante la rilevazione ed aggiornamento trimestrale) sia contra legem, considerato il carattere imperativo ed inderogabile della normativa di determinazione del tasso-soglia. In questi termini può forse ipotizzarsi, atteso il già menzionato metodo legale di determinazione dei limiti di liceità, anche penale, dei tassi di interesse, l’operatività della disposizione dell’art. 1339 c.c. in relazione all’art. 1374 c.c., disancorata dunque dalla nullità ex art. 1419 c.c. della clausola sostituita, presa in esame ed esclusa dalla pronuncia dalle sezioni unite. Tale sostituzione, nei soli limiti in cui gli interessi eccedono il tasso soglia, quale imposto dalle legge, non solo appare idonea a configurare un limite oggettivo alla variabilità della prestazione del mutuatario, ma, per altro verso, può anche qualificarsi quale criterio di adeguamento del contenuto del contratto, cui ragionevolmente si sarebbero attenuti i contraenti se avessero previsto l’andamento dei tassi medi, elemento “esterno” al contratto, che appare evidentemente del tutto sganciato dalla disponibilità delle parti e non prevedibile’. (G. Federico, Il denaro e il tempo. Brevi note su Ss.Uu. n. 24675 del 18 luglio ’17 in materia di “usurarietà sopravvenuta”, 2017 in dirittobancario.it). Si potrebbe osservare che l’intermediario ha normalmente contezza che il tasso convenuto originariamente è divenuto non conforme a liceità e ragionevolezza: se non lo adegua spontaneamente, deve ragionevolmente supporsi che voglia approfittarne, aspettando l’eventuale azione del cliente. Ma in quest’ultima circostanza si potrebbero forse ravvisare motivazioni particolari che possono giustificare l’adozione del tasso legale. ‘Il criterio del tasso legale quale giusto prezzoavrebbe in effetti dalla sua l’aggio di conoscere più luoghi normativi, passati (art. 1815, comma 2, nel testo ante riforma) e presenti (artt. 1284, comma 2 e 1474, comma 3 c.c.), nei quali ha già ricevuto uno sperimentato impiego. A fortiori non è poi certo privo di significato il fatto che il comma 3 dell’art. 1284 annovera un tasso legale operante, detto ellitticamente, anche in sostituzione della clausola pattizia difforme, segno che detto tasso legale quale prezzo di mercato è la misura preferita dalla legge tanto per la fattispecie di una volontà inespressa quanto in quella di una clausola espunta (o non inserita) perché illegale’. (S. Pagliantini, La saga (a sfaccettature multiple) dell’usurarietà sopravvenuta tra regole e principi, Il Corriere giuridico, n.5, 2017).

[65] I Principles of European Contract Law predisposti dalla Commissione presieduta da Ole Lando prevedono che, in caso di contratto concluso “con ingiusto profitto o vantaggio iniquo”, il giudice possa procedere all’annullamento (totale o parziale), o, in alternativa, alla correzione del contratto in modo da armonizzarlo con i principi di buona fede e correttezza. In questa seconda alternativa la riconduzione del carico economico al tasso globale medio anziché alla soglia, appare più rispondente ad un intervento equitativo coerente con il canone di buona fede. Se non altro perché, come osserva A.A. Dolmetta: ‘Un conto è il comportamento dell’intermediario che - preso atto del superamento della soglia - ferma subito, sua sponte la propria pretesa sul limite massimo del consentito. Un altro conto è il comportamento dell’intermediario che, sopravvenuta tale circostanza, si mostra indifferente e mantiene inalterata la propria richiesta davanti al cliente. Un simile comportamento non sfugge – se si intende chiamare le cose con il loro nome – alla qualifica di opportunista. E come tale va trattato. E non v’è davvero dubbio che – sul piano funzionale – portare la struttura rimediale del contratto colpito da usura sopravvenuta al limite consentito dalla soglia significa, oggettivamente, rendere per l’intermediario inutile (e inopportuno, anzi, sotto il profilo dell’agire d’impresa) la scelta di tenere un comportamento virtuoso nei confronti del contratto medesimo. Per quello che rischia… Adottare la struttura rimediale del massimo consentito significa, nella sostanza ultima delle cose, incentivare l’opportunismo del creditore che dell’usura viene ad avvantaggiarsi’. (A.A. Dolmetta, ‘L’usura sopravvenuta in Cassazione’, in Questione Giustizia, 2017). L’opportunismo potrebbe sospingersi sino a innalzare le condizioni di conto omettendo la comunicazione ex art. 118 TUB !

[66] I pesanti condizionamenti e le marcate asimmetrie che impediscono il libero esplicarsi della concorrenza, impongono una rigorosa tutela e protezione del cliente, volta ad attenuare i risvolti di penalizzazione che altrimenti tendono ad ampliarsi nei divario fra prezzo del credito e costo del servizio; lo stesso ‘fallimento del mercato del credito’ nel conseguimento di un efficiente impiego delle risorse ne impone l’adozione. Osserva al riguardo P. Ferro-Luzzi: ‘In un mercato che avesse le caratteristiche appena elencate, la letteratura economica dimostra invero che la funzione disciplinare che la pressione concorrenziale esercita sulle imprese spingerebbe queste ultime - pena l'esclusione dal mercato - a offrire alle loro controparti il miglior servizio che esse possano prestare, compatibilmente con la loro struttura di costi. Un mercato in concorrenza perfetta è tuttavia solo una mera ipotesi, un paradigma astratto. Esso costituisce infatti un modello mediante il quale è possibile analizzare la realtà del mercato, scomponendolo nei suoi ingranaggi, e accertare la presenza di eventuali "fallimenti del mercato". Con questa locuzione gli economisti definiscono quelle situazioni in cui il funzionamento del mercato - vale a dire del coordinamento spontaneo delle decisioni individuali di produzione e consumo tramite il sistema dei prezzi - non conduce ad un'utilizzazione efficiente delle risorse e alla conseguente offerta del "miglior prodotto possibile". È appunto a fronte di fattori che determinano un "fallimento del mercato" che trova giustificazione, sul piano dell'efficienza, l'intervento correttivo del legislatore sulla forma o sul contenuto del contratto (i.e. dello scambio). Siffatto intervento può essere orientato, a seconda dei casi, al conseguimento di due distinti obiettivi.

a) Può essere diretto a favorire il libero e corretto operare della concorrenza, rimuovendo gli ostacoli che possono impedire il funzionamento del mercato in modo efficiente. È questo ad esempio il caso di quelle norme che mirano a colmare strutturale carenza informativa di una delle parti del contratto imponendo sull'altra parte specifici obblighi di comunicazione.

b) Può, sul presupposto che non sussistano le condizioni strutturali per l'affermazione di un mercato concorrenziale ed efficiente, spingersi oltre e giungere a conformare il contenuto stesso dei contratti secondo quelle che si presume siano le condizioni alle quali lo scambio sarebbe avvenuto in un regime di concorrenza. In altri termini, il regolatore tenta di mimare la concorrenza lì dove essa non può operare, ad esempio determinando autoritativamente il prezzo massimo della fornitura del servizio.(P. Ferro-Luzzi, Lezioni di Diritto Bancario, Vol. II, G. Giappichelli Editore, 2004).

[67] Osserva A.A. Dolmetta: ‘Come è stato osservato in proposito, «se le finalità della legge sull’usura si possono riassumere nella necessità di razionalizzare il mercato del credito e nel conseguente abbassamento del costo del danaro […] circoscrivere la rilevanza e l’applicabilità della […] disciplina del fenomeno usurario al momento costitutivo dei rapporti di […] credito, significa contraddire e vanificare gli scopi della stessa legge» (la frase è di Ferroni, RaDC, 1999, p. 511 ss.). Per loro struttura, gli interessi compensativi maturano «giorno per giorno … in ragione della durata del diritto» (art. 821, comma 3, c.c.). Per loro funzione, essi vanno a remunerare le diverse, singole unità che compongono il periodo temporale per cui il creditore concede al debitore il godimento del capitale (il criterio coerente, pertanto, è quello della maturazione). Tutto meno che istantaneo, il fenomeno è casomai «ciclico»: occuparsi solo del giorno del patto sarebbe, in definitiva, come interessarsi di un giorno su mille. Preoccuparsi di un graffio e trascurare l’infezione. Applicare interessi che sul mercato del giorno (rectius: del trimestre) risultano oggettivamente usurari non può essere considerato cosa meritevole di tutela ex art. 1322 c.c.: ancora una volta è il principio fissato dalla legge penale a fissare la sponda. Né la cosa potrebbe dirsi conforme al canone di buona fede oggettiva: non sembra corretto, in effetti, il comportamento di chi pretende il pagamento di una somma a titolo di interessi da chi per legge, in quel momento, non potrebbe promettere quella somma. Corretto ed equo è, piuttosto, riportare la richiesta al quantum che risulta in quel periodo mediamente normale (meglio, è una delle possibili varianti dell’equità): al TEGM corrente del trimestre, dunque.’ (A.A. Dolmetta, La Cass. n.602/2013 e l’usurarietà sopravvenuta, in il caso.it, 2012).

[68] Lo sconcerto per la scelta adottata dalla Banca d’Italia risulta condivisa da autorevole dottrina. Già nel 2009, con lo scorporo dalle aperture di credito, degli scoperti privi di affidamento, si osservava: ‘La scelta compiuta dall’Autorità amministrativa a fine 2009 a me pare senz’altro da censurare; e da stimare, anzi, atto amministrativo illegittimo, quale atto in violazione dell’art. 2, l. 108/1996. Non già o tanto, però, per la ragione che lo sconfinamento da fido è rimasto attaccato alla categoria dell’apertura di credito, quanto invece per quella (ben più profonda) che si è ritenuto di staccare degli sconfinamenti – l’insieme di quelli da deposito (ma, in realtà, questa specifica non fa differenza) – da tale alveo, per farne una categoria nuova ed autonoma. Tra scoperti senza affidamento e apertura non c’è spazio sufficiente per ravvisare “categorie omogenee” distinte ai fini della normativa dell’usura. (…) Al di là delle censure di legittimità a cui si espone la categoria usuraria degli scoperti senza affidamento, v’è un altro aspetto importante che ancora preme sottolineare. Rimane oggettivamente incerta – vacillante, verrebbe anzi da dire – la linea di demarcazione che, secondo gli intendimenti della normativa di Vigilanza, farebbe da spartiacque tra la detta categoria usuraria e quella formata invece dalle operazioni di apertura di credito. Il riferimento corre, in specie, al punto di “affidamento”, la cui presenza o assenza in fattispecie viene – all’evidenza – a spostare l’asse del discorso. Nel contesto della normativa in discorso – sub specie dei “chiarimenti” forniti dalla Vigilanza relativamente alle FAQ – in effetti questa nozione recupera sin troppi parametri di riferimento e di contrapposizione: per rimanere, infine, senza una guida vera; né sotto il profilo dommatico, né sotto quello dell’operatività. In tale contesto, dunque, si parla di “fido accordato”, espressione che il testo delle relative Istruzioni identifica nel “fido utilizzabile dal cliente in quanto riveniente da un contratto perfetto ed efficace (c.d. accordo operativo). Ma pure si discorre – nell’ambito delle medesime FAQ – di fido legato ad un “accordo temporaneo non formalizzato”, formula che indubbiamente esprime un profilo identificativo diverso dal primo. E ancora viene evocata, in proposito, una contrapposizione tra fido “intrno” e fido “altro”, che risulta imperniata sull’assenza/presenza di una “comunicazione” trasmessa (neppure è dato comprendere se di necessità scritta o anche orale o anche solo per fatti concludenti) della banca al cliente. Una categoria, insomma, che si consegna propriamente alla confusione’. (A.A. Dolmetta, Il prodotto bancario “sconfinato”, in ‘Le operazioni di finanziamento’, a cura di F. Galgano, Zanichelli, 2016).

[69] Risulta alquanto paradossale, contrario allo spirito della legge, ritenere che, all’atto del contratto, gli interessi di mora e gli altri oneri eventuali non assumano alcun rilievo e, risultando invece relegata ad una fase successiva l’insorgere dell’usura, questa si qualifichi nella circostanza sopravvenuta, con esclusione di nullità e invalidità. Si aprirebbe un varco all’elusione che vanificherebbe ulteriormente il presidio all’usura.


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