Diritto Bancario e Finanziario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 68 - pubb. 01/07/2007

Anatocismo, nullità e prescrizione dell'azione.

Tribunale Mantova, 21 Gennaio 2005. Est. Bernardi.


Fusione per incorporazione di azienda bancaria – Cessione di ramo di azienda – Successione a titolo universale ed a titolo particolare nel diritto controverso – Intervento in giudizio della cessionaria.

Azione di nullità delle clausole che determinano il tasso di interesse e la capitalizzazione trimestrale – Prescrizione – Insussistenza.

Azione di ripetizione degli interessi indebitamente versati – Prescrizione decennale – Decorrenza.



L’azione diretta a far dichiarare la nullità di clausole contrattuali (nella specie concernente l'anatocismo trimestrale) è imprescrittibile ex art. 1422 c.c., mentre quella volta ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente versato è soggetta alla ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c..

Il dies a quo della decorrenza del termine prescrizionale va individuato in quello della chiusura definitiva del rapporto, atteso che il contratto per la disciplina in conto corrente di operazioni bancarie è un contratto unitario, che dà luogo ad un unico rapporto giuridico articolato in una pluralità di atti esecutivi, laddove i singoli addebitamenti o accreditamenti non danno luogo a distinti rapporti ma determinano solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto, sicché solamente con il saldo finale si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti fra le parti.

Il pagamento degli interessi con capitalizzazione trimestrale non costituisce adempimento di obbligazione naturale: difetta infatti la spontaneità richiesta dall’art. 2034 c.c. essendo notorio che la capitalizzazione trimestrale degli interessi veniva imposta a tutti i clienti dall’intero sistema bancario in conformità delle direttive impartite dall’associazione di categoria e senza possibilità di una negoziazione individuale. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)



Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 1-2-2002 l’istante assumeva 1) di avere aperto nel 1984 (in realtà in data 1-7-1983),  presso la banca convenuta, il conto di corrispondenza n. 48779/3; 2) che gli estratti di tale conto evidenziavano a) l’applicazione alle partite debitorie di interessi superiori alla misura legale in difetto di valida pattuizione; b) la capitalizzazione trimestrale di siffatti interessi; c) l’applicazione di valute ritardate rispetto alle date contabili dei versamenti e anticipate rispetto a quelle dei prelevamenti; d) il riconoscimento rispetto alle partite creditorie di tassi inferiori alla misura legale; 3) che il conto era stato estinto nel marzo del 1999.

L’attore diffusamente argomentando che gli interessi convenzionali ed anatocistici addebitati dall’istituto di credito nel corso del rapporto così come gli oneri conseguenti alla applicazione delle valute, secondo il criterio sopra descritto, non erano dovuti ed evidenziando inoltre che non erano maturate né la decadenza dalla possibilità di contestare le risultanze del conto né la prescrizione, agiva in giudizio onde ottenere sia la restituzione dell’indebito sia il pagamento degli interessi legali sulle partite creditorie.

La banca convenuta si costituiva chiedendo il rigetto della domanda affermando 1) che nella scheda negoziale del 1-7-1983 erano specificatamente indicate tutte le condizioni applicabili al contratto segnalando in particolare che l’art. 7 delle norme che regolano i conti di corrispondenza stabiliva che gli interessi si intendono “determinati alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza” venendo in tal modo assolto per relationem il precetto di cui all’art. 1284 c.c.; 2) che, comunque, il pagamento spontaneo di interessi ultralegali (nel caso di specie avvenuto per circa un ventennio) non dà luogo a ripetizione come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità; 3) che la domanda concernente le valute era generica al punto da risultare affetta da nullità ex art. 164 IV co. c.p.c. e che, comunque, tale aspetto trovava disciplina nel disposto di cui all’art. 7 delle norme sui conti di corrispondenza ed aveva costituito oggetto di accordi nel corso del tempo con il correntista istante (peraltro imprenditore commerciale e quindi conoscitore delle regole del sistema bancario il quale, benchè avesse ricevuto regolarmente gli estratti conto, mai aveva sollevato contestazioni sul punto) e pubblicizzati dopo l’entrata in vigore delle leggi 154792 e 385/93; 4) che l’applicazione dell’anatocismo trovava fondamento negli usi formatisi prima dell’entrata in vigore del codice civile, nel costante riconoscimento degli stessi da parte della giurisprudenza di legittimità e di merito, nelle disposizioni di cui agli artt. 1825 e 1831 c.c. analogicamente applicabili e comunque in altre norme (quali ad esempio gli artt. 8 della legge 154/92 e 25 del d.lgs. 482/99) che comporterebbero il riconoscimento da parte del legislatore della legittimità dell’anatocismo trimestrale; 5) che il correntista era comunque incorso nella decadenza dal diritto di contestare le risultanze del conto ex art. 8 delle norme sui conti di corrispondenza; 6) che, in via subordinata, era maturata la prescrizione decennale ex art. 2946 c.c. iniziando essa a decorrere dal momento giorno in cui erano stati registrati i pretesi illegittimi addebiti.

Esperita consulenza tecnica, affidata al dott. Davide Sanguanini, la causa veniva dichiarata interrotta a seguito della fusione per incorporazione della Banca Agricola Mantovana s.p.a. nella Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a..

Riassunto il giudizio, mentre il Monte dei Paschi di Siena rimaneva contumace interveniva volontariamente in giudizio la Banca Agricola Mantovana s.p.a. (già denominata Nuova Banca Agricola Mantovana s.p.a.), conferitaria del ramo d’azienda relativo all’esercizio dell’attività bancaria appartenuto all’incorporata Banca Agricola Mantovana s.p.a., la quale faceva proprie tutte le istanze e le difese formulate dall’originaria convenuta: contestata da parte della difesa attorea la legittimità dell’intervento, alla stregua della considerazione secondo cui la cessione d’azienda era intervenuta nel marzo 2003 laddove essa non avrebbe potuto riguardare rapporti già completamente esauriti come nella fattispecie in esame, la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.

Motivi

La domanda è fondata e va accolta nei limiti che seguono.

Preliminarmente va peraltro chiarito quale sia l’istituto di credito nei cui confronti deve essere pronunciata la condanna al pagamento in conseguenza del verificarsi della vicenda successoria sopra delineata.

Premesso che, avvenuta la fusione per incorporazione della B.A.M. s.p.a. in Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (v. atto n. 19951 rep. e n. 7123 racc. notaio dott. Mario Zanchi del 25-3-2003) quest’ultima ha poi ceduto un ramo della propria azienda alla Nuova B.A.M. s.p.a. che contestualmente ha preso il nome di B.A.M. s.p.a., nella prima operazione va ravvisata una successione a titolo universale ex art. 110 c.p.c. (stante l’estinzione dell’ente originario: cfr. Cass. 16-1-2004 n. 554; Cass. 11-4-2003 n. 5716; Cass. 28-6-2002 n. 9504; Cass. 2-4-2002 n. 4679) mentre, nella seconda, si è verificata una successione a titolo particolare ex art. 111 c.p.c..

Il processo è quindi legittimamente proseguito nei confronti dell’incorporante e tuttavia, dopo la riassunzione mentre essa è rimasta contumace (v. art. 303/4 c.p.c.), la (nuova) B.A.M. s.p.a. è volontariamente intervenuta nel processo ex art. 111/3 c.p.c., quale cessionaria di un ramo d’azienda, facendo proprie le difese originariamente svolte dalla B.A.M. poi estintasi per incorporazione: dalla contumacia della parte non costituita in tale fase non può peraltro inferirsi che le domande o le difese a suo tempo proposte debbano ritenersi rinunciate o abbandonate in quanto esse attengono ad un giudizio che prosegue e conserva tutti gli effetti processuali e sostanziali dell’originario rapporto (in tal senso vedasi Cass. 30-7-1996 n. 6867; Cass. 4-2-1967 n. 329; Cass. 4-4-1962 n. 704).

Con l’atto di intervento la (nuova) B.A.M. s.p.a. ha prodotto copia dell’estratto dell’atto notarile (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale) in cui si dà atto essere avvenuta la cessione del ramo d’azienda (autorizzata dalla Banca d’Italia) fra le due banche avente ad oggetto fra l’altro “diritti, rapporti contrattuali, crediti e debiti, azioni e ragioni, cause relative a giudizi attivi e passivi (azioni giudiziali ed azioni revocatorie ed altre passività) inerenti e correlati all’esercizio delle attività proprie del ramo aziendale conferito”  sicché deve ritenersi che il rapporto oggetto della presente controversia sia stato trasferito a titolo particolare alla (nuova) B.A.M., successione avvenuta in conformità delle disposizioni contenute nell’art. 58 del d. lgs. 385/93 che consente, alle condizioni indicate dalla Banca d’Italia, la cessione di rami d’azienda, di beni e rapporti giuridici individuali in blocco.

Ciò premesso va peraltro osservato che, alla stregua dei commi I e III dell’art. 111 c.p.c., il processo prosegue fra le parti originarie (e cioè l’attore e la Banca Monte dei Paschi) salva la facoltà da parte del successore a titolo particolare di intervenire volontariamente come accaduto nella fattispecie in esame: ne deriva che la condanna va pronunciata nei confronti del Monte dei Paschi di Siena (non estromesso dal giudizio) mentre la sentenza spiega i suoi effetti anche contro la (nuova) B.A.M. ai sensi dell’art. 111 IV co. c.p.c..

Nel merito occorre in primo luogo rilevare che la difesa della convenuta di credito ha sostenuto l’infondatezza della domanda non avendo l’attore mai contestato le risultanze degli estratti conto inviatigli sicché sarebbe decorso il termine semestrale previsto a pena di decadenza dall’art. 8 delle norme sui conti correnti di corrispondenza, clausola che ricalca il contenuto dell’art. 1832 c.c..

Tale assunto non merita condivisione atteso che il correntista può contestare la validità e l’efficacia dei rapporti obbligatori da cui scaturiscono le partite inserite nel conto anche in assenza di impugnazione dello stesso nel termine semestrale previsto in quanto la decadenza concerne la contestazione di addebitamenti e di accreditamenti unicamente sotto il profilo contabile (v. in tal senso Cass. 5-12-2003 n. 18626; Cass. 26-7-2001 n. 10186; Cass. 25-7-2001 n. 10129; Cass. 11-5-2001 n. 6548; Cass. 14-5-1998 n. 4846, Cass. 11-9-1997 n. 8989; Cass. 11-3-1996 n. 1978).

Per quanto concerne la clausola di rinvio agli usi su piazza e premesso che l’art. 4 della legge 154/92 ha introdotto il divieto di rinvio agli usi per la determinazione del saggio di interesse, occorre affrontare il problema della validità di tale tipo di clausole apposte a contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della legge 154/92, atteso che il contratto di conto corrente oggetto del presente giudizio è stato concluso il 1-7-1983 e che, in virtù del principio di irretroattività della legge, le condizioni di validità e di efficacia del contratto debbono essere valutate con riferimento alle norme vigenti al momento della sua conclusione.

In proposito va osservato che la giurisprudenza si è da tempo orientata nel senso di ritenere che tali clausole sono nulle per contrasto con la previsione di cui all’art. 1346 c.c. poiché, riferendosi genericamente agli interessi usualmente praticati su piazza, non distinguono fra le varie categorie di essi e dunque non consentono di stabilire a quale previsione le parti abbiano in concreto inteso riferirsi (Cass. 1-2-2002 n. 1287; Cass. 18-4-2001 n. 5675; Cass. 19-7-2000 n. 9465; Cass. 8-5-1998 n. 4696; Cass. 23-6-1998 n. 6247; Cass. 9-12-1997 n.  12456; Cass. 10-11-1997 n. 11042; Cass. 29-11-1996 n. 10657).

In ogni caso le clausole del tipo in esame stipulate anteriormente all’entrata in vigore della legge 154/92 sono divenute inoperanti a partire dal 9/7/92, data di acquisto dell’efficacia della legge stessa,  atteso che l’art. 4 della citata legge, poi trasfuso nell’art. 117 del d.lgs. 385/93, laddove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano produrre per l’avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso poiché l’innovazione normativa “impinge sulle stesse caratteristiche del sinallagma contrattuale, generatore di conseguenze obbligatorie protraentesi nel tempo” (cfr. Cass. S.U. 4-11-2004 n. 21095; Cass. 18-9-2003 n. 13739; Cass. 20-8-2003 n. 12222; Cass. 28-3-2002 n. 4490; Cass. 2-5-2002 n. 6258).

Da ciò deriva che al contratto privato della clausola nulla si applicano gli interessi in misura legale e dunque: a) quella calcolata ex art. 1284 c.c. fino all’entrata in vigore della L. n. 154/92 (e quindi fino al 8-7-1992); b) quella calcolata ex art. 5 L. n. 154/92 (e poi ex art. 117 L. n. 385/93)  dopo l’entrata in vigore di tale legge (nel caso di specie le norme applicabili ratione temporis sono gli artt. 4 e 5 della legge 154/92 in considerazione della protrazione della loro efficacia operata dall’art. 165 del d. lgs. 385/93 atteso che la delibera del CICR, cui la disposizione fa riferimento, è stata adottata solamente il 4/3/03, con efficacia dall’1/10/03 e, pertanto, solo da quest’ultima data è entrato in vigore l’art. 117 t.u.l.b.); da quel momento infatti la misura legale degli interessi, per i contratti bancari, deve ritenersi quella prevista dalle citate norme stante la specialità di tali disposizioni rispetto alla disciplina generale contenuta nell’art. 1284 c.c..

In conseguenza della ritenuta nullità della clausola contrattuale determinativa del tasso degli interessi trova applicazione il criterio sostitutivo previsto dall’art. 5 l. 154/92 (sostituito poi dall’art. 117 VII co. lett. a del t.u.l.b. avente identico contenuto)  e, quindi, il tasso nominale minimo dei B.O.T. annuali emessi nei dodici mesi precedenti ogni chiusura trimestrale del conto trattandosi di operazione attiva (tale dovendosi qualificare quella di erogazione del credito secondo l’elencazione contenuta nell’allegato richiamato dall’art. 2 della l. 154/92 operante in virtù della disposizione di cui all’art. 161 co. II t.u.l.b.).

Va precisato che l’adeguamento del tasso ad ogni chiusura trimestrale del conto (in tal senso vedasi Trib. Roma 27-1-2003 in Giur. Merito, 2003,I,898; Trib. Monza 4-2-1999 in Foro It. 1999,I,1340) si giustifica alla stregua della considerazione secondo cui la previsione contenuta nell’art. 5 l. 154/92 e poi nell’art. 117 t.u.l.b. si riferisce ad un contratto contemplante un’unica operazione e non invece a quello che dà luogo (come nell’ipotesi del conto corrente) ad un rapporto di durata caratterizzato da molteplici operazioni poste in essere nella continua variazione dei tassi di interesse a causa delle mutevoli condizioni del mercato (tanto che la facoltà di variazione dei tassi è prevista in via generalizzata e con modalità semplificate dagli art. 6 l. 154/92 e 117 co. V t.u.l.b.), dovendosi inoltre tenere conto del fatto che la finalità sanzionatoria (per la banca) che sta alla base delle predette disposizioni, verrebbe ad essere frustrata in caso di difformità per eccesso fra il tasso calcolato in relazione al rendimento dei B.O.T. emessi nell’anno antecedente alla stipula del contratto e quello in concreto applicato dall’istituto di credito durante il corso del rapporto (eventualità che si risolve in certezza ove si consideri la progressiva caduta, nel corso degli ultimi anni, dei tassi di interesse, fenomeno che ha indotto il legislatore a intervenire in materia di mutui bancari come si desume dal preambolo al d.l. 29-12-2000 n. 394): d’altro canto la finalità perseguita dal legislatore con gli artt. 5 L. n. 154/92 e  l’art. 117 t.u.l.b. è stata proprio quella di ancorare il tasso sostituivo degli interessi ad un altro in qualche modo legato all’andamento del mercato dei tassi.

Il riferimento temporale al trimestre trova poi la propria ragione nella previsione contrattuale di tale termine (v. art. 7) per la chiusura periodica del conto e la determinazione del saldo. 

In ordine alla questione della capitalizzazione degli interessi merita condivisione l’orientamento da tempo espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la clausola di un contratto bancario che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente è invalida in quanto basata su di un uso negoziale - e non su un uso normativo (difettando il requisito soggettivo dell’opinio iuris che non può formarsi in capo ad una sola parte dei consociati e cioè dei banchieri) come invece esige l’art. 1283 c.c. - nullo in quanto anteriore alla scadenza degli interessi (cfr. Cass. S.U. 4-11-2004 n. 21095; Cass. 18-9-2003 n. 13739; Cass. 20-8-2003 n. 12222; Cass. 20-2-2003 n. 2593; Cass. 13-6-2002 n. 8442; Cass. 28-3-2002 n. 4498; Cass. 28-3-2002 n. 4490; Cass. 1-2-2002 n. 1281; Cass. 4-5-2001 n. 6263; Cass. 11-11-1999 n. 12507; Cass. 30-3-1999 n. 3096; Cass. 16-3-1999 n. 2374), indirizzo già da tempo seguito da questo Tribunale.

Affermata la nullità della clausola regolante la capitalizzazione trimestrale ne deriva che non vi è possibilità di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità in quanto l’anatocismo è permesso dalla legge ma soltanto a determinate condizioni e, in mancanza di valida pattuizione fra le parti, esso rimane non pattuito fra le medesime (in tali termini vedasi App. Milano 4-4-2003 n. 1142; App. Torino 21-1-2002 n. 64 in www.adusbef.it; Trib. Brindisi 13-5-2002 in Foro It.,2002,I,1887; cfr. anche Cass. S.U. 17-7-2001 n. 9653 in motivazione): in proposito va specificato che non può farsi applicazione né dell’art. 1284 c.c. che prevede l’anno solo come elemento per la determinazione della misura del saggio degli interessi legali e, dunque, per tutt’altra finalità, senza incidere sulla capitalizzazione degli interessi né dell’art. 1831 c.c. in quanto non richiamato dall’art. 1857 c.c. laddove il mancato richiamo costituisce una consapevole scelta del legislatore effettuata in considerazione della diversa struttura del contratto di conto corrente ordinario rispetto a quella delle   operazioni bancarie in conto corrente.

In ordine alla sollevata eccezione di prescrizione va rilevato che l’azione diretta a far dichiarare la nullità di clausole contrattuali è imprescrittibile ex art. 1422 c.c. mentre quella volta ad ottenere  la ripetizione di quanto indebitamente versato è soggetta alla ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c..

Quanto al dies a quo della decorrenza del termine prescrizionale deve poi ritenersi che lo stesso vada individuato in quello della chiusura definitiva del rapporto atteso che il contratto per la disciplina in conto corrente di operazioni bancarie è un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico articolato in una pluralità di atti esecutivi sicché i singoli addebitamenti o accreditamenti non danno luogo a distinti rapporti ma determinano solo variazioni quantitative dell’unico originario rapporto sicché solamente con il saldo finale si stabiliscono definitivamente i  crediti ed i debiti fra le parti (in tal senso vedasi App. Lecce 22-10-2001 in Foro It.,2002,I,555; Cass. 9-4-1984 n. 2262; per l’affermazione di tale principio in tema di garanzia prestata per il rapporto di conto corrente vedasi Cass. 23-3-2004 n. 5720; Cass. 11-5-1999 n. 4659; Cass. 14-4-1998 n. 3783; Cass. 19-6-1997 n. 5481; Cass. 18-4-1996 n. 3662).

Neppure può condividersi l’assunto secondo cui il pagamento degli interessi con capitalizzazione trimestrale costituirebbe adempimento di obbligazione naturale e come tale non ripetibile:  difetta infatti la spontaneità richiesta dall’art. 2034 c.c. essendo notorio che la capitalizzazione trimestrale degli interessi veniva imposta a tutti i clienti dall’intero sistema bancario in conformità delle direttive impartite dall’associazione di categoria e senza possibilità di una negoziazione individuale (in tal senso vedasi Trib. Cassino 29-10-2004 in www.altalex.com).

In ordine alla decorrenza delle valute, l’attore lamenta la loro difformità dalla date delle singole operazioni di accredito sul conto corrente: siffatta domanda deve essere respinta non essendo state precisate a quali specifiche operazioni la dedotta censura sarebbe da riferire, rilevandosi peraltro che le uniche norme che impongono un preciso criterio per la decorrenza delle valute sono quelle contenute negli artt. 7 l. 154/92 e 120 d. lgs. 385/93 laddove dalla prospettazione attorea non è dato desumere se le dedotte violazioni siano riconducibili alle predette disposizioni, né è possibile dare ingresso alla c.t.u. invocata sul punto dalla difesa attorea in quanto la stessa assumerebbe carattere esplorativo.

Non merita infine accoglimento la domanda volta ad ottenere il pagamento, sulle poste creditorie (a favore del cliente) del conto, degli interessi legali posto che la circostanza che il rapporto sia durato un ventennio senza che mai fossero state sollevate contestazioni fa ragionevolmente presumere che le parti avessero concordato il tasso nella misura risultante dagli estratti conto ed essendo esso inferiore a quello legale, non era necessaria una pattuizione scritta: in proposito va inoltre notato che l’art. 1857 c.c. non richiama il disposto di cui all’art. 1825 c.c..

Alla luce delle conclusioni sopra raggiunte i conteggi compiuti dal C.T.U. appaiono correttamente effettuati dovendosi evidenziare che, a fronte del rifiuto da parte della banca di mettere a disposizione la documentazione contabile relativa al periodo 1984/1987, il dott. Sanguanini, con corretto metodo matematico sulla base dei dati disponibili, ha potuto determinare il tasso effettivamente applicato dalla banca provvedendo alla sua sostituzione con quello indicatogli nel quesito peritale (v. pg. 5 della relazione nonché verbale di operazioni peritali del 22-9-2003, criterio peraltro non attinto da censura alcuna da parte della convenuta), rilevandosi inoltre che i rilievi critici circa il computo complessivo formulati dalla difesa dell’istituto di credito (che non ha redatto un proprio diverso conteggio) non sono suffragati da elementi oggettivi di riscontro cosicché l’elaborato peritale può essere assunto a fondamento della decisione.

Sulla somma di euro 35.175,78 calcolata dal consulente, vanno riconosciuti gli interessi legali dalla domanda atteso che, solo a far data dal 1999, è mutato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità sull’anatocismo nei rapporti bancari e, pertanto, deve escludersi la mala fede dell’istituto di credito.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.


il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:

condanna la Banca del Monte dei Paschi di Siena a pagare a S. F. la somma di euro 35.175,78 oltre agli interessi al tasso legale dal 1-2-2002 sino al saldo definitivo;

condanna la predetta banca a rifondere all'attore le spese di lite liquidandole in complessivi euro 11.335,19 di cui € 2.835,19 per spese (comprese quelle di c.t.u.), € 3.000,00 per diritti ed € 5.500,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge;dichiara che la presente sentenza è efficace, ex art. 111 IV co. c.p.c., anche nei confronti della terza intervenuta Banca Agricola Mantovana s.p.a..


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