Diritto Bancario e Finanziario


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 280 - pubb. 01/07/2007

Ius variandi e nullità del tasso di interesse del contratto di mutuo

Tribunale Pescara, 23 Marzo 2006. Est. Falco.


Contratto di mutuo - Tasso di interesse ultralegale - Rinvio al tasso applicato di volta in volta alla “clientela primaria” dell’Istituto di Credito - Indeterminatezza / Indeterminabilità del Tasso - Sussistenza - Arbitrarietà ed insindacabilità delle modifiche in peius del costo del prestito - Recesso dal contratto da parte del mutuatario ex art. 118 D.lgs. n. 385/1993 - Nullità del tasso di interesse - Sostituzione con il tasso di interesse di cui all’art. 117 D. lgs. N. 385/1993.

Contratto di mutuo bancario anteriore alla riforma dell’art. 120 d. lgs. n. 385/1993 - Pattuizione di interessi moratori ultralegali sull’intera rata di mutuo insoluta comprensiva di capitale e di interessi corrispettivi - Violazione dell’art. 1283 c.c. - Sussistenza - Fondamento - Natura speciale ed inderogabile dell’art. 1283 c.c. - Natura peculiare del debito per interessi rispetto alle comuni obbligazioni pecuniarie - Conseguenze della nullità - Produzione di interessi di mora sulla sola quota capitale della rata di mutuo scaduta.



La clausola di un contratto di mutuo con cui la Banca mutuante si riservi la facoltà di applicare al mutuatario il tasso di interesse corrispettivo ultralegale che essa di volta in volta applicherà, nel corso del rapporto, alla sua “clientela primaria”, maggiorato di una percentuale, è nulla sia per assoluta indeterminatezza / indeterminabilità a priori del tasso, sia perché attribuisce al mutuante un potere di modifica arbitraria, insindacabile, imprevedibile ed illimitato del costo effettivo del prestito nel corso del rapporto, sia perché sottopone il mutuatario al rischio di subire - come effetto del mero e discrezionale innalzamento da parte della Banca, nelle more del rapporto, dei tassi di interesse da questa applicati in altri rapporti di mutuo alla propria “clientela primaria” - modifiche in peius delle condizioni del proprio prestito le quali – essendo comunque modifiche interne alla componente variabile del tasso originario - resterebbero immuni dalla facoltà di recesso contrattuale del mutuatario ex art. 118 D.lgs. n. 385/1993 (In applicazione di tali principi il Tribunale ha dichiarato la nullità della clausola di un contratto di mutuo con cui la Banca aveva concordato con il mutuatario l’applicazione del seguente Tasso nominale di interesse: “Variabile, pari al prime rate CARICHIETI, vigente tempo per tempo, maggiorato di 1,750 punti percentuali”, disponendone la sostituzione con il tasso di cui all’art. 117 D.lgs. n. 385/1993). (Gianluca Falco) (riproduzione riservata)

In ipotesi di mutuo per il quale sia previsto un piano di restituzione differito nel tempo, mediante il pagamento di rate costanti comprensive di parte del capitale e degli interessi, questi ultimi conservano la loro natura e non si trasformano invece in capitale da restituire al mutuante, cosicché la convenzione, contestuale alla stipulazione del mutuo, la quale stabilisca che sulle rate scadute decorrono gli interessi di mora sulla intera somma integra un fenomeno anatocistico, vietato dall'art. 1283 c.c. (Fattispecie relativa ad un contratto di mutuo stipulato sotto la vigenza del D.lgs. n. 385/1993 ma anteriormente alla entrata in vigore della Delibera CICR 9.2.2000 [“Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria”] di attuazione dell’art. 120, comma II, del D.lgs. citato, come aggiunto dall’art. 25, comma II, del D.lgs. n. 342/1999). (Gianluca Falco) (riproduzione riservata)


 


omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La CASSA DI RISPARMIO DELLA PROVINCIA DI CHIETI S.P.A- CARICHIETI (di seguito BANCA CARICHIETI) ha chiesto ed ottenuto dall’adito Tribunale e nei confronti di A il Decreto Ingiuntivo n.1395/03 con cui quest’ultima è stata condannata a corrispondere alla prima la somma di €. 51.619,06 oltre interessi e spese, a titolo di restituzione delle rate insolute di un prestito di £ 120.000.000 accordatole in data 20.11.1998 (cfr. il ricorso monitorio).
A, nell’opporsi ex art. 645 c.p.c. al provvedimento monitorio, ha contestato la avversa pretesa pecuniaria assumendola viziata sia da un erroneo conteggio del numero della rate effettivamente rimaste insolute, sia da una illegittima pretesa di interessi perché - a suo dire e testualmente - “fuori mercato, ultralegali, eccessivi, non corrispondenti nemmeno a quelli pattuiti e comunque illegittimi per via della nullità della relativa clausola […] e di una applicazione che non tiene conto dell’annualità degli interessi ma della capitalizzazione trimestrale” (cfr. la comparsa di risposta).
La BANCA - nel resistere alla spiegata opposizione - ha dedotto la piena validità ed efficacia del contratto di prestito azionato in via monitoria, assumendo la pretestuosità e genericità delle avverse doglianze negoziali e contabili.
Acquisita la documentazione prodotta dalle parti, espletata la trattazione della causa, espletata una CTU contabile sul rapporto bancario in contestazione tra le parti, queste ultime hanno precisato le rispettive conclusioni all’odierna udienza di discussione orale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La opposizione è risultata parzialmente fondata in ordine ad alcune doglianze relative al contratto di prestito in questione, nella misura e per le ragioni che seguono.
Si premette, innanzitutto, che con il ricorso monitorio depositato in data 25.9.03 la CARICHIETI, assumendo che la cliente si era limitata al rimborso di alcune soltanto delle rate del prestito concessole, che era stata già costituita in mora in sede stragiudiziale, che aveva quindi già subito la decadenza dal beneficio del temine per la restituzione pecuniaria, ha preteso la condanna della cliente medesima al pagamento del residuo, pari ad €. 51.619,06, oltre interessi convenzionali al tasso del 11,50% dal 5.6.03 al saldo (cfr. il ricorso monitorio).
Al riguardo è bene sottolineare come con contratto di “apertura di credito semplice n. 11352 rimborsabile a rate” del 20.11.1998 la CASSA DI RISPARMIO DELLA PROVINCIA DI CHIETI S.P.A. ha concesso ad A un prestito alle seguenti condizioni:
· Importo del finanziamento: £. 130.000.000.
· Tasso nominale di interesse applicato: “variabile, pari al prime rate CARICHIETI maggiorato di 1,750 punti percentuali”.
· Tasso di interesse nominale applicato alla prima rata di rimborso: 9,50 %.
· Modalità di rimborso: n°. 48 rate mensili posticipate a partire dal 30.11.1998.
· Prima rata: £. 3.266.256.
· Tasso di interesse moratorio: Tasso nominale corrispettivo come sopra concordato (ossia “variabile, pari al prime rate CARICHIETI vigente tempo per tempo, maggiorato di 1,750 punti percentuali, maggiorato di 1,750 punti percentuali”) aumentato di 4,00 punti percentuali.
· Spese di istruttoria: £. 200.000. Nel predetto contratto era altresì stabilito, per quanto quivi interessa, che:
· Nel caso di ritardato pagamento delle rate, avrebbero dovuto “essere corrisposti interessi di mora […] sull’importo della rata impagata, dalla scadenza della stessa sino al pagamento” (art. 7).
· Ove il cliente si fosse reso inadempiente ad una qualsiasi delle obbligazioni assunte […] ed altresì nelle ipotesi previste dall’art. 1186 c.c.”, il prestito sarebbe cessato con effetto immediato ed il cliente, su semplice richiesta scritta, avrebbe dovuto pagare quanto da lui dovuto. Su tutte le somme scadute e non pagate sarebbero stati calcolati gli interessi di mora nella misura concordata (art. 8).
· La CARICHIETI si riservava “la facoltà di modificare la misura del tasso di interesse e, conseguentemente, l’importo della rata, oltre a tutte le altre condizioni economiche applicate all’apertura di credito ai sensi degli artt. 118 e 161 comma II del decreto legislativo n. 385/93 e delle relative disposizioni di attuazione”. Le modifiche al tasso di interesse avrebbero avuto “effetto dal giorno successivo a quello di scadenza della rata in corso al momento delle modifiche stesse” (art. 5).

Orbene, posto che la entità della pretesa creditoria rivendicata dalla CARICHIETI si fonda espressamente sulle pattuizioni di cui al summenzionato contratto di prestito, si deve innanzitutto dichiarare l’illegittimità ex art. 1283 c.c. della già esaminata clausola di cui all’art. 7 del contratto medesimo la quale - come visto - stabiliva che, nel caso di ritardato pagamento delle rate, il cliente avrebbe dovuto corrispondere gli interessi di mora sull’importo della rata impagata (comprensiva di una quota capitale e di una quota di interesse corrispettivi: cfr.il piano di ammortamento; cfr. la relazione di CTU), dalla scadenza della stessa sino al pagamento, e non già sulla sola quota capitale della rata rimasta insoluta.
Per comprendere la ragione giuridica di siffatta statuizione è bene sottolineare in diritto che:
· Questo Tribunale condivide - com’è noto - l’arresto interpretativo della costante giurisprudenza di legittimità, ormai consacrato anche dalle S.U. della Cassazione (sentenza n. 21095 del 7.10/4.11.2004) e, quindi da ritenersi definitivamente consolidatosi sul punto, il quale ha statuito - in relazione ai contratti bancari stipulati (come nella specie) in data anteriore al novellato art. 120 T.U.B. - l’illegittimità del fenomeno della capitalizzazione trimestrale degli interessi in materia bancaria, in quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. e non trasfusa in un uso normativo, con conseguente nullità ex tunc ex artt. 1283/1284/1419 c.c. delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi anche in relazione ai periodi anteriori al noto mutamento giurisprudenziale avvenuto nel 1999 (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n.10127 del 2005; Cass. N. 10599/2005; Cass. S.U. n. 21095/2004; Cass. N. 2593/2003; Cass. N. 17813/2002; Cass. N. 8442/2002; Cass. N. 4490/2002; C.Cost. n. 425/2000; per la giurisprudenza di merito cfr. Trib Torino 7.1.2003; Trib. Napoli 27.11.2002; Trib Roma 8.11.2002; Corte App. L’Aquila 11.6.2002).
· È altrettanto noto che l’art. 1283 c.c - norma espressamente dettata dal legislatore per disciplinare il fenomeno dell’anatocismo - è norma imperativa e di natura eccezionale che ammette la capitalizzazione degli interessi soltanto a determinate condizioni, prevedendo che gli interessi scaduti possono produrre a loro volta interessi solo dal giorno della domanda giudiziale (purchè questa sia in modo specifico rivolta ad ottenere il pagamento degli interessi sugli interessi scaduti, non essendo a ciò sufficiente la domanda dei soli interessi principali: cfr. ex multis Cass. N. 22565 in motivazione; Cass. nn. 5271/2002, 15838 e 7407/2001, 8377/2000, 5035/1999Cass. N. 2381/1994; Cass. N. 9311/1990; Cass. N. 4088/1988) o per effetto di una convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli stessi, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno un semestre, salvo usi contrari ( per le ragioni per cui il codice vigente, con l'art. 1283, mentre ha conservato il requisito della domanda giudiziale ha ridotto, rispetto alla disciplina del codice civile abrogato, l'entità degli interessi scaduti - sui quali si applicano gli interessi anatocistici - a sei mesi, si veda il rilievo risultante dalla relazione sul progetto ministeriale per cui "il valore odierno della moneta consente di ritenere che con l'importo di un semestre di interessi si può costituire una somma rilevante che il creditore potrebbe utilizzare come capitale", rilievo debitamente sottolineato da Cass. N. 9311/1990).
· Ciò - come più volte ribadito dalla stessa Giurisprudenza di Legittimità - onde prevenire fenomeni usurari e consentire al debitore di conoscere i maggiori costi comportati dal suo inadempimento (cd. “onere della domanda giudiziale”) e comunque di calcolare, al momento della stipula della convenzione, l’esatto ammontare del suo debito. Richiedendo che l’apposita convenzione sia successiva ala scadenza degli interessi, il legislatore mira anche ad evitare che l’accettazione della clausola anatocistica possa essere utilizzata come condizione che il debitore deve necessariamente accettare per poter accedere al credito (così Cass. N. 2593/2003; Corte d’Appello Milano, sent. del 28.1.2003).
· Infatti, la disposizione limitativa di cui all'art. 1283 cod. civ. trova la propria ragione nella natura del debito di interessi e nel particolare sfavore con cui il legislatore - nel solco di una tradizione di avversità ad un fenomeno percepito quale forma di esercizio dell'usura - ha inteso considerare la capitalizzazione degli interessi, in coerenza con le altre restrizioni previste per gli interessi superiori a quelli legali (così testualmente Cass. N. 2381/1994).
· Il tenore letterale e la ratio dell'art. 1283 c.c. consentono di ravvisare nella norma in esame un principio di carattere generale, derogabile soltanto dagli usi contrari (configurati come usi normativi) (così Cass. N. 2381/1994 in motivazione).
· Gli usi contrari di cui all’art. 1283 c.c. sono usi normativi, inesistenti nella specifica materia bancaria di cui si tratta.
· In mancanza di usi contrari e delle condizioni imperative alla cui effettiva sussistenza la norma di cui all’art. 1283 c.c. consente l’anatocismo, la clausola anatocistica pattuita (non per effetto di una “convenzione fra le parti successiva alla scadenza degli interessi” ex art. 1283 c.c. ma) in via anticipata e (non in relazione a “interessi dovuti per almeno un semestre ex art. 1283 c.c.“ ma) prima della scadenza di qualsivoglia interesse, va dichiarata nulla per contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. (cfr. negli stessi termini Trib. Mantova sentenza 16.1.2004; Corte d’Appello Milano, sent. del 28.1.2003 citata; cfr. C. App. Torino 21.1.2002).
· Atteso che la contrarietà alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. involge- ovviamente- l’intero contenuto della clausola (e non solo, quindi, la parte di essa relativa alla periodicità della capitalizzazione), è la pattuizione in contratto dell’anatocismo ad essere nulla, onde secondo i principi generali, trattasi di contratto ab origine privo di qualsivoglia pattuizione di capitalizzazione, trimestrale come annuale come di diversa periodicità.
· La nullità della clausola anatocistica pattuita in violazione dell’art. 1283 c.c., inserita in un contratto da cui deriva il credito azionato in giudizio, è rilevabile d'ufficio dal giudice anche in grado di appello, rimanendo irrilevante, a tal fine, l'assenza di una deduzione (o di una tempestiva deduzione) del profilo di invalidità ad opera dell'interessato, la quale rappresenta una mera difesa, inidonea a condizionare, in senso positivo o negativo, l'esercizio del potere di rilievo officioso (ex art. 1421 cod. civ.) della nullità del contratto (cfr. da ultimo testualmente Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19882 del 13/10/2005; Cass. N. 4093/2005).
· Né una tale declaratoria di illegittimità è inibita dalla mancata contestazione da parte dell’opponente degli estratti conto in pendenza di rapporto; infatti è noto che la mancata tempestiva contestazione dell’estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli addebiti soltanto sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto i profili della validità e dell’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto derivano: in tal caso, infatti, l’impugnabilità investe direttamente il titolo, non essendo limitata alla contestazione di accrediti e di addebiti sotto il profilo contabile, ed è regolata dalle norme generali sui contratti (cfr. Cass. N. 18626/2003; Cass. N. 6548/2001; Cass. N. 12507/1999; Cass. N. 1978/1996; Trib. Genova sent. 5.5.2002; C.App. Lecce n. 598/2001).
· Non vi è possibilità di sostituzione legale o di inserzione automatica di clausole prevedenti capitalizzazioni di diversa periodicità, in quanto l’anatocismo è consentito dal sistema - con norma eccezionale, imperativa e derogatoria (così Cass. Sez. 1, Sentenza n.10127 del 2005, già citata, in motivazione; cfr. anche le citate Sezioni Unite della Cassazione) - soltanto in presenza di determinate condizioni (quelle di cui all’art. 1283 c.c.), in mancanza delle quali esso rimane giuridicamente non pattuito tra le stesse.
· Solo in mancanza della previsione legislativa della norma speciale di cui all’art. 1283 c.c., gli interessi scaduti, in quanto costituenti a loro volta un credito liquido ed esigibile di una somma di danaro avrebbero potuto ritenersi in ogni caso produttivi automaticamente di interessi legali di pieno diritto ai sensi dell'art. 1282 (così Cass. N. 9311/1990 in motivazione, la quale ha affrontato per la prima volta la questione del saggio degli interessi anatocistici).
· La disciplina dell'art. 1283 c.c. ha inciso infatti sulla stessa natura degli interessi anatocistici: essi non solo sono previsti dalla legge per ogni specie di interessi, sia compensativi, sia corrispettivi, sia moratori (tutti rientrando certamente nell'ambito applicativo del principio in base al quale l'utilizzazione di un capitale o di una cosa fruttifera obbliga l'utente al pagamento di una somma proporzionale, e cioè corrispettiva al godimento ricevuto: così testualmente da ultimo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 870 del 18/01/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9474 del 19/05/2004; cfr. anche Cass. sent. n. 3500/86), ma a loro volta, proprio perché la norma esplica una funzione sostanzialmente protettiva della sfera giuridica del debitore, essi non sono ammessi in ogni caso, ma soltanto alle due condizioni di cui alla norma citata (cosi ancora Cass. N. 9311/1990 citata).
· L’unica forma di legittimo collegamento e coordinamento tra l'art. 1283 c.c. ed il successivo art. 1284 c.c. è quella per cui sugli interessi scaduti almeno per un semestre (art. 1283 c.c.) sono dovuti dalla domanda giudiziale gli interessi anatocistici al tasso legale (art. 1284 comma 1 c.c.), a meno che le parti abbiano convenuto per iscritto un saggio di interessi extralegali posteriormente alla loro scadenza (artt. 1224/1284 c.c.) (cfr. Cass. N. 9311/1990): in altri termini, dall’art. 1284 (e dall’art.1224 c.c.) c.c. si può ricavare soltanto il saggio degli interessi anatocistici, qualora questi siano dovuti ex art. 1283 c.c., non anche una debenza degli stessi pur in mancanza delle condizioni di cui all’art. 1283 c.c..
· Che questo, e questo soltanto, sia il coordinamento tra le due norme trova piena conferma dal raffronto tra l'art. 1283 c.c. ed il corrispondente art. 1232 del codice abrogato · L'art. 1232 comma 1 c.c. 1865 così statuiva: "Gli interessi scaduti possono produrre altri interessi o nella tassa legale in forza di giudiziale domanda e dal giorno di questa, o nella misura che verrà pattuita in forza di una convenzione posteriore alla scadenza dei medesimi".
· L'art. 1283 c.c. vigente è così concepito: "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi".
· La Cassazione al riguardo ha già osservato (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata) come la ragione per la quale il codice vigente non ha riprodotto letteralmente la locuzione "interessi al tasso legale" del codice abrogato non risiede in una esigenza di innovazione della disciplina anteriore, ma nella circostanza che mentre l'art. 1232 aveva distinto gli interessi anatocistici in interessi al tasso legale dalla domanda giudiziale o nella misura pattuita con convenzione posteriore alla loro scadenza, il nuovo testo, nel riprodurre sostanzialmente la precedente disciplina (con la sola riduzione da un anno, di cui al 3 comma dell'art. 1232 a sei mesi degli interessi scaduti), non ha più fatto riferimento al tasso degli interessi, ritenendo che questi trovassero la loro disciplina nel successivo art. 1284.
· L'art. 1283, in realtà, nella nuova formulazione, sintetizzando il concetto già espresso dal corrispondente art. 1232, lungi dal voler modificare il tasso degli interessi anatocistici, l'ha del tutto confermato secondo la disciplina anteriore. La norma, con la nuova formulazione non poteva più fare riferimento agli interessi anatocistici come interessi al tasso legale sugli interessi scaduti perché nel contesto dello stesso periodo ha fatto anche riferimento agli interessi anatocistici convenzionali per i quali non è estensibile il tasso degli interessi legali che può valere soltanto per gli interessi anatocistici legali (cfr. Cass. N. 9311/1990 citata).
Conclusivamente:
· Il debito per interessi (si tratti di interessi compensativi, corrispettivi o moratori ed anche quando sia stata adempiuta l'obbligazione principale) non si configura come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonche' al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 comma II cod. civ., ma resta soggetto alla regola dell'anatocismo di cui all'art. 1283 cod. civ., derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura” (Cass. Sezioni Unite della sentenza n. 9653 del 17.7.2001; cfr. Cass n. 2439/2002; Cass. N. 2771/2002; Cass. N. 4133/2003).

Né gli interessi perdono la loro (sopra descritta) natura, ai fini della loro eventuale capitalizzazione, per effetto della loro inclusione nei ratei di ammortamento dei mutui in quanto:
· In tema di mutuo bancario, e con riferimento al calcolo degli interessi, devono ritenersi senz'altro applicabili le limitazioni previste dall'art. 1283 cod. civ., non esistendo neppure nello specifico campo del mutuo bancario ordinario, in epoca anteriore al 1942, alcun uso normativo che consentisse l'anatocismo oltre i limiti poi previsti dall'art. 1283 cod. civ.. (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2593 del 20/02/2003).
· È noto che - in ipotesi di mutuo per il quale sia previsto un piano di restituzione differito nel tempo, mediante il pagamento di rate costanti comprensive (come nella specie: cfr. il contratto ed il piano di ammortamento; cfr. le risultanze della CTU contabile) di parte del capitale e degli interessi - questi ultimi conservano la loro natura e non si trasformano invece in capitale da restituire al mutuante, cosicché, in mancanza di specifica convenzione ex art. 1283 c.c. (ossia di una convenzione non contestuale alla concessione del prestito bensì ad essa posteriore e relativa ad interessi già scaduti da almeno sei mesi) la pretesa della Banca di ricevere gli interessi di mora sull’intera somma integrerebbe un fenomeno anatocistico, vietato dall'art. 1283 c.c. (cfr. la già citata Cass. N. 2593 del 2003; Cass. N. 1724/1977; Cass. N. 3479/1971).
· Infatti il semplice fatto che nelle rate di mutuo vengono compresi sia una quota del capitale da estinguere sia gli interessi a scalare non opera un conglobamento ne' vale tanto meno a mutare la natura giuridica di questi ultimi, che conservano la loro autonomia anche dal punto di vista contabile" (cfr. la già citata Cass. N. 2593 del 2003; Cass. N. 1724/1977; Cass. N. 3479/1971).
· A carico del mutuatario di somme di denaro sono poste, infatti, due distinte obbligazioni: la prima è quella di restituire la somma ricevuta in prestito (art. 1813 c.c); la seconda è quella di corrispondere gli interessi al mutuante, salvo diversa pattuizione (art. 1815 c.c). Sono due obbligazioni distinte ontologicamente e rispondenti a finalità diverse. Nei mutui c.d. ad ammortamento, la formazione delle varie rate, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene ad una modalità dell'adempimento delle due obbligazioni; nella rata concorrono, infatti, la graduale restituzione della somma ricevuta in prestito e la corresponsione degli interessi (cfr. Cass. N. 2593 del 2003; Cass. N. 1724/1977; Cass. N. 3479/1971).
· Trattandosi, allora, di una pattuizione che ha il solo scopo di scaglionare nel tempo le due distinte obbligazioni del mutuatario, essa non è idonea a mutarne la natura ne' ad eliminarne l'autonomia (cfr. Cass. N. 2593 del 2003; Cass. N. 1724/1977; Cass. N. 3479/1971). Dalle ampie considerazioni di cui sopra emerge, quindi, la ragione della già affermata nullità della clausola negoziale del prestito di previsione dell’obbligo di corresponsione degli interessi (ultralegali) moratori sull’intera rata di mutuo (comprensiva di una frazione di capitale e di una frazione di interessi corrispettivi) rimasta (come nella specie) impagata. Infatti:
· La pretesa convenzionale della CARICHIETI (contestuale alla stipulazione del contratto di prestito del 1998) di ricevere gli interessi ultralegali di mora come pattuiti in contratto sull’intero importo delle rate insolute (in quanto rate comprensive sia di capitale sia di interessi corrispettivi) è giuridicamente illegittima, concretandosi in un illegittimo addebito anatocistico (produzione da parte degli interessi corrispettivi, al pari della sorte capitale, di interessi moratori), violativo dell’art. 1283 c.c.
· Al riguardo, è opportuno ricordare che l’art. 3 (“Finanziamenti con piano di rimborso rateale”) della Delibera CICR del 9.2.2000 (efficace dal 22.4.2000) dettata in attuazione del novellato art. 120 del D.lgs. n. 385/1993 ( articolo che ha stabilito che “nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore, l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data della scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”) è disposizione, come detto, efficace dal 22.4.2000 e, come tale, non applicabile ratione temporis al contratto di prestito di cui è causa, stipulato nel 1998.
· Il saldo debitore del mutuo come risultante alla CARICHIETI dalla (illegittima) applicazione degli interessi moratori sulle intere rate del prestito e come preteso nel ricorso monitorio depositato il 25.9.2003, era pari - come detto - ad €. 51.619,06, oltre ulteriori interessi convenzionali di mora al tasso del 11,50% dal 5.6.03 al saldo.
· Il saldo effettivo del prestito in esame - depurato dell’illegittimo anatocismo degli interessi moratori di cui si è detto, come da analitica e circostanziata CTU quivi integralmente condivisa e richiamata - è invece pari, alla data del 4.6.03, ad €. 45.662,35 (di cui €. 26.359,5 per debito in linea capitale, €. 914,59 per debito in linea interessi corrispettivi, €. 18.388,26 per debito in linea interessi moratori: cfr. la relazione di CTU ed i relativi allegati; cfr. gli estratti conto bancari).

Priva di fondamento è risultata invece l’ulteriore doglianza attorea relativa ad un asserita usurarietà dei “costi” del contratto come ivi concordati: infatti la esperita CTU - anche sul punto con metodo analitico, circostanziato ed immune, al riguardo, da qualsivoglia rilevante censura tecnica delle parti - ha rilevato che il “TEG” (Tasso Effettivo Globale) del prestito sia rimasto costantemente inferiore ai cd. “tassi soglia” di riferimento di cui alla legge n. 108/96, ossia ai tassi soglia tempo per tempo vigenti al momento delle relative pattuizioni/variazioni (cfr. la relazione di CTU; per le ragioni del rilievo della usurarietà dei tassi solo se coeva al momento della loro pattuizione e per i motivi di irrilevanza di una eventuale usurarietà dei tassi stessi solo sopravvenuta a quel momento, cfr. la Legge n. 24/01, cfr. l’art. 1815 comma II c.c: cfr. Corte Cost. n. 29/2002; cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13868 del 24/09/2002; Cass. Sez.. 3, Sentenza n. 17813 del 13/12/2002; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4380 del 25/03/2003).
Residua a questo punto l’esame della validità o meno della clausola contrattuale di pattuizione del tasso di interesse ultralegale corrispettivo e moratorio contenuta nel contratto di prestito di cui è causa. Si è già sottolineato come il contratto di prestito in esame prevedesse al riguardo:
· Un Tasso nominale di interesse applicato: “variabile, pari al prime rate CARICHIETI, vigente tempo per tempo, maggiorato di 1,750 punti percentuali, corrispondente ad oggi al 9,500%”.
· Un Tasso di interesse moratorio: “Tasso nominale corrispettivo come sopra concordato (ossia “variabile, pari al prime rate CARICHIETI maggiorato di 1,750 punti percentuali”) aumentato di 4,00 punti percentuali” (cfr. il contratto).

Trattasi tuttavia, ad avviso del Tribunale, di tasso variabile pattuito in modo invalido ex artt.1346-1284 c.c./117 D.lgs. n. 385/1993 per le ragioni che seguono. Giova innanzitutto premettere in diritto che:
· In tema di obbligazioni pecuniarie, il requisito della necessaria determinazione scritta degli interessi ultralegali, prescritto dall'art. 1284 cod. civ., può essere soddisfatto - come è noto - anche "per relationem, non essendo necessario che il documento contrattuale contenga l'indicazione in cifre del tasso d'interesse pattuito (cfr. ex multis Cass. 18 maggio 1996, n. 4605; Cass. 11 novembre 1997, n. 11042; Cass. 8 maggio 1998, n. 4696; Cass. 23 giugno 1998, n. 6247; Cass. 19 luglio 2000, n. 9465; Cass. Sez. 1, Sentenza n.4490 del 2002).
· Tuttavia, perché sia rispettato il requisito della determinatezza/determinabilità del tasso pattuito, deve trattarsi di richiamo a criteri “prestabiliti” ed elementi “estrinseci”, come tali ultronei rispetto a mere scelte interne discrezionali della Banca contraente (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14684 del 02/10/2003; Cass. N. 2103/1996).
· Deve trattarsi, in ogni caso, di richiamo ad elementi “obbiettivamente individuabili” (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14684 del 02/10/2003; Cass. N. 2103/1996).
· Ne consegue che non soddisfa un tale requisito di determinatezza/determinabilità dei tassi né il rinvio a parametri privi del carattere della “sufficiente univocità”, “mutevoli”, privi di margini predeterminati (Cass. Sez. 1, Sentenza n.4490 del 2002 in motivazione), non riscontrabili con criteri di certezza per difetto di univoca determinabilità dell'ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4094 del 25/02/2005), né il rinvio a parametri interni” alla scelta volontaristica e non prevedibile di uno dei due contraenti (ossia discrezionalmente “autodeterminati” da uno di essi) senza previa fissazione di predefiniti vincoli esterni di “dosaggio” della discrezionalità del creditore pecuniario ( cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6187 del 22/03/2005).
· Infatti, discende inesorabilmente dalla disciplina imperativa in materia di validità del contratto la sanzione della nullità di una previsione contrattuale che autorizzi la modificabilità unilaterale e discrezionale del corrispettivo di una prestazione da parte di uno dei contraenti, trattandosi di previsione che non soddisfa il requisito della determinatezza/determinabilità dell'oggetto del contratto ex artt. 1346 e 1418 c.c. (così testualmente Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5281 del 12/04/2002; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6723 del 19/07/1994; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 339 del 28/01/1975 N. 728 del 1972).
· Inoltre, nella specifica materia dei contratti bancari sottoposti ratione temporis - come nella specie - alle prescrizioni del D.lgs. n. 385/93 - la “imprescindibilità” della determinazione/determinatezza convenzionale dei tassi di interesse discende, oltre che dalla richiamata disciplina generale dei contratti (artt.1346/1418/1284 c.c.), anche dalla specifica prescrizione “di settore” che impone la “indicazione del tasso di interesse” (art. 117, comma 4°, D.lgs. n. 385/93, a pena di eterointegrazione normativa imperativa del tasso ai sensi del successivo 7° comma del Decreto citato).
· In tutti i suesposti casi di nullità del tasso di interesse, la conoscenza successiva del saggio applicato non vale a sanare l'originario vizio di nullità della pattuizione, per carenza del requisito della determinabilità, la cui esistenza l'art. 1346 cod. civ. esige "a priori", al punto che non può essere individuato successivamente, tanto più quando il saggio non sia determinato da entrambe le parti ma da una di esse, che l'abbia portato a conoscenza dell'altra, attraverso documenti che abbiano il fine esclusivo di fornire l'informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14684 del 02/10/2003; Cass. 1 febbraio 2002 n. 1287).

Orbene, applicando i superiori generali principi al caso di specie, è agevole rilevare la nullità della clausola pattizia di previsione del tasso di interesse convenzionale, corrispettivo come moratorio, in quanto tasso equivoco, lasciato alla assoluta discrezionalità della Banca mutuante e, come tale, aprioristicamente non determinabile.
In particolare, trattasi di tasso nullo per indeterminatezza in quanto:
· Nel contratto di mutuo del 20.11.98 la CARICHIETI (mutuante) e la A (mutuataria) hanno pattuito - come detto - che il Tasso nominale di interesse applicato sarebbe stato “variabile, pari al prime rate CARICHIETI vigente tempo per tempo, aumentato di 1,750 punti percentuali, corrispondente ad oggi [ossia alla data del contratto] al 9,500% ” (cfr. il contratto di mutuo).
· Il “tasso prime rate CARICHIETI vigente tempo per tempo”, ossia il tasso negozialmente richiamato come base “variabile” (“tempo per tempo”) su cui operare la maggiorazione fissa (1,750 punti percentuali) per “isolare” il tasso da applicare al cliente è - come si “scopre” dalla lettura della CTU - una misura del saggio di interessi applicato dalla CARICHIETI ai finanziamenti accordati alla (non meglio identificata) clientela primaria dell’istituto (cfr. la CTU).
· La CARICHIETI ha serbato in giudizio il più stretto riserbo sia circa i criteri da essa adottati per scegliere, tra la propria variegata clientela, quella ritenuta “primaria”, sia le categorie professionali ad essa eventualmente di volta in volta ricondotte, sia l’an ed il quomodo della eventuale pubblicità di siffatti ignoti criteri (cfr. gli atti processuali).
· Allo stato (e, quindi, neppure a posteriori, rispetto al contratto del 1998) la CARICHIETI non ha fornito al Tribunale né elementi oggettivi di individuabilità della propria clientela primaria né, di conseguenza, elementi di individuazione del tasso di interessi passivi ad essa applicato.
· Peraltro, come debitamente osservato dal CTU, il “PRIME RATE CARICHIETI” è una misura oggettivamente priva delle caratteristiche di determinazione e rappresentazione al pubblico, trattandosi di un parametro finanziario tutto interno alla CARICHIETI (mutuante) e svincolato a parametri esterni connessi all’andamento del mercato finanziario (a differenza, ad esempio, di altri parametri finanziari esterni ai singoli istituti di credito e facilmente conoscibili sul mercato, come l’Euribor, i tassi di interesse sul mercato dei titoli pubblici tipo B.O.T., C.C.T., il T.U.S. etc.).
· La prova ulteriore di ciò si rinviene nello stesso comportamento giudiziale della CARICHIETI la quale, per consentire al nominato CTU di “scoprire” la misura tempo per tempo vigente del PRIME RATE CARICHIETI, si è limitata a fornire una mera comunicazione delle variazioni di siffatto tasso (che dal 1997 al 2000 avrebbe subito 11 variazioni, oscillanti tra il 7,00% ed il 9,00%: cfr. la CTU), senza tuttavia indicare né documentare in alcun modo le modalità di “sintesi” seguite per “isolare” siffatte condizioni (cfr. gli atti processuali).
· Il tasso in esame deve quindi ritenersi nullo ex artt. 1346/1418(1284 c.c. perché connotato da un richiamo a parametri di determinazione privi del carattere della univocità e della conoscibilità.

Tuttavia, la sanzione della nullità di siffatto tasso di interesse deriva, oltre che dalla sua equivocità ed oscurità appena richiamate, ancor prima ed in modo dirimente dal fatto che si trattava di un tasso la cui concreta e variabile determinazione veniva lasciata alla assoluta, insindacabile e non predeterminabile discrezione della Banca in quanto:
· La CARICHIETI (mutuante) aveva - come detto - il potere di applicare al mutuo concesso alla A (mutuataria) un tasso “variabile, pari al prime rate CARICHIETI vigente tempo per tempo, aumentato di 1,750 punti percentuali.
· Il tasso prime rate CARICHIETI vigente tempo per tempo era - come visto - il tasso di interesse che la CARICHIETI avrebbe applicato tempo per tempo ai finanziamenti accordati alla propria clientela primaria.
· La CARICHIETI era ovviamente libera di decidere, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, le eventuali variazioni dei tasso di interesse da applicare - tempo per tempo ed in pendenza del rapporto quadriennale di mutuo stipulato con la PATRIARCA - ai finanziamenti accordati alla propria clientela primaria.
· Nell’esercizio della propria autonomia negoziale nei rapporti con la propria clientela primaria, la CARICHIETI sarebbe stata, ovviamente, libera di variare a proprio piacimento (anche in peius) i tassi (salvo, ovviamente, il limite dei tassi soglia anti-usura).
· Siffatte discrezionali variazioni dei tassi applicati alla clientela primaria della CARICHIETI avrebbero comportato, automaticamente, identica discrezionale variazione del tasso applicato alla A.
· Il tasso di interesse passivo gravante su quest’ultima sarebbe dipeso, quindi ed in definitiva, dalle scelte discrezionali, insindacabili, imprevedibili che la CARICHIETI avrebbe “tempo per tempo” deciso di applicare in altri non meglio identificati rapporti.
· È evidente, pertanto, la nullità per indeterminatezza / indeterminabilità oggettiva di una clausola di interessi ultralegali con cui la Banca mutuante si riservasse - in sostanza - la facoltà di applicare al mutuatario il tasso che essa avrebbe voluto applicare di volta in volta ad altra clientela (primaria) e ad altri (non meglio identificati) rapporti, maggiorato di una percentuale.
· Infatti, per la Banca mutuante, concordare con il mutuatario di applicargli - nel quadriennio previsto per il rimborso oneroso del prestito - il tasso di interesse che essa avrebbe di volta in volta deciso di applicare ad altri non meglio identificati clienti (“primari”), equivaleva giuridicamente (e contabilmente) a concordare il potere della mutuante di applicare al mutuatario il tasso che la prima di volta in volta avrebbe (soggettivamente) scelto di applicare, con il solo limite che si sarebbe dovuto trattare di tasso uniforme a quello correlativamente applicato ad altri (“primari”) clienti in altri (non meglio identificati) rapporti di prestito.
· È evidente, quindi, la nullità di una pattuizione di interesse ultralegale per relationem che rinviava a parametri discrezionali, in alcun modo prestabiliti, privi di elementi “estrinseci” di identificazione, dipendenti dalla esclusiva e mutevole volontà del creditore pecuniario, di conseguenza da quest’ultimo di volta in volta “auto-determinati” (nella specie di volta in volta ora nel 9,00%, ora nel 8,25 %, ora nel 7,75%, ora nel 7,00%, ora di nuovo nell’8,25%, ora nell’8,50 % etc: cfr. le risultanze della CTU) ed “auto-determinabili” (a proprio esclusivo ed unilaterale piacimento, sino al limite del tasso soglia anti-usura), in assenza di qualsivoglia preventiva previsione negoziale di parametri oggettivi prefissati entro cui poter esercitare la variazione del PRIME RATE CARICHIETI.

La grave anomalia di siffatta modalità convenzionale di scelta del tasso di interesse in esame emerge, infine, anche dalla ulteriore considerazione per cui essa autorizzava la CARICHIETI all’esecuzione di (incontrollabili, indeterminabili ed insindacabili) variazioni dei tassi in concreto applicati alla A (per effetto di correlative incontrollabili, indeterminabili ed insindacabili variazioni applicate ai tassi di altri rapporti di credito intrattenuti con la “primaria” clientela dell’istituto), le quali sarebbero risultate addirittura immuni rispetto a qualsivoglia facoltà di recesso ex art. 118 TUB del mutuatario, il quale sarebbe rimasto così sottoposto al rischio di imprevedibili e non limitabili (entro i tassi soglia ex L. n. 108/96) variazioni del PRIME RATE CARICHIETI non “fronteggiabili” dalla possibilità di un suo recesso.
In particolare:
· La BANCA - nell’esercizio dello ius variandi di cui all’art. 117 D.lgs. n. 385/93 espressamente contemplato nel contratto - avrebbe potuto decidere di modificare il tasso concordato (ossia il tasso variabile, pari al prime rate CARICHIETI vigente tempo per tempo, aumentato di 1,750 punti percentuali) in senso sfavorevole al cliente, ad esempio aumentando i punti percentuali dello spread (portandolo ad esempio al 3%), ovvero sostituendo alla base fissa del tasso (prime rate CARICHIETI) una base meno favorevole (ad esempio, quella relativa alla clientela “ordinaria” CARICHIETI), ovvero sostituendo l’intero tasso variabile come originariamente pattuito con altro tasso variabile espresso in termini numerici (ad esempio dal 7 al 12%) etc..
· In tali ipotesi, il cliente avrebbe potuto senz’altro esercitare la facoltà di recesso ex art. 118 D.lgs. n. 385/93, trattandosi di variazioni (ex art. 117 TUB) del tasso originariamente concordato perché operanti al di fuori dei “confini di quest’ultimo” (ossia al di fuori ora del prime rate CARICHIETI ora dello spread fisso originario). Tuttavia:
· La CARICHIETI avrebbe potuto anche (come poi in concreto ha fatto) semplicemente limitarsi a variare la misura del “prime rate CARICHIETI”, aumentandola (ad esempio al 12%).
· In tale ipotesi il cliente sarebbe passato dall’applicazione di un tasso iniziale del 9,5% (cfr. il contratto: tasso prime rate CARICHIETI vigente all’epoca del contratto = 7,75% + 1,750 di spread fisso) ad un tasso variato al 13,75%, con conseguente evidente aggravamento della propria posizione debitoria.
· Nonostante siffatto oggettivo aggravamento dei costi del mutuo (modifica in peius del tasso di interesse passivo) il mutuatario tuttavia non avrebbe potuto esercitare - nella specie - alcun diritto di recesso ex art. 118 TUB, mancandone il presupposto di esercizio: infatti quel tasso del 13,75% sarebbe stato comunque il mero effetto della applicazione dell’ “originario” tasso di interesse variabile concordato (PRIME RATE CARICHIETI vigente in quel tempo + spread originario) e non già una variazione di quel tasso, essendo esso rimasto assolutamente invariato nei suoi parametri (interni) di riferimento (prime rate + spread).
· E tale gravissimo inconveniente si sarebbe verificato ai danni del cliente a fronte di ogni eventuale modifica in peius del PRIME RATE CARICHIETI, posto che si sarebbe trattato di modifica sì in peius ma comunque “interna” ai confini del tasso originario (interna alla sua componente variabile), e come tale estranea all’ambito di operatività dello ius variandi legittimante il recesso legale dal contratto.

È evidente, quindi, il “corto circuito” di un tasso di interesse siffatto che deve essere dichiarato, per tutti i motivi di cui sopra, affetto da nullità insanabile.
Ne consegue la necessità di provvedere - previa remissione in istruttoria ai fini della integrazione della CTU contabile - alla sostituzione di tale tasso con quello di cui al meccanismo di eterointegrazione ex art. 117 comma 7° del D.lgs. n. 385 del 1993, in forza del quale “in caso di inosservanza del comma 4 (ossia in caso di omessa indicazione del tasso di interesse, cui deve parificarsi - ovviamente - il caso di indicazione di un tasso invalido) si applicano, il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro del tesoro, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive”.
Peraltro, la constatata nullità dell’anatocismo conteggiato dalla BANCA per la quantificazione della pretesa monitoria nonché la descritta necessità di depurare quest’ultima altresì dal tasso di interesse ultralegale corrispettivo e moratorio applicato, comportano sin da ora la revoca del decreto ingiuntivo opposto, emesso per somme in parte non dovute e quindi insuscettibile di conferma con la futura decisione definitiva.
Il regolamento delle spese deve essere rimesso alla sentenza definitiva.

P.Q.M.

il Tribunale, in persona del Giudice Unico, non definitivamente pronunciando nel giudizio di opposizione iscritto al R.G. N. 5488/2003 promosso da A nei confronti della CASSA DI RISPARMIO DELLA PROVINCIA DI CHIETI S.P.A., in persona del Legale Rappresentante pro tempore, con sede in Pescara, con atto di citazione del 29.11.2003, avverso il decreto ingiuntivo n. 1395/2003 emesso dal Tribunale di Pescara, così decide:

REVOCA
Il decreto ingiuntivo impugnato, per le causali di cui in motivazione.

RIMETTE
Le parti in fase istruttoria come da separata ordinanza.
Spese al definitivo.