Esecuzione Forzata
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 25550 - pubb. 09/01/2020
Nel processo esecutivo, i crediti maturati in relazione alla gestione del bene possono essere soddisfatti in prededuzione
Tribunale Napoli Nord, 09 Dicembre 2019. Est. Auletta.
Espropriazione immobiliare - Custodia
Dal principio della tara del ricavato e da quella di inerenza si può desumere la conseguenza che i crediti maturati in relazione alla gestione del bene possono essere soddisfatti in prededuzione con l’utilizzo di (ipotetici) fondi a disposizione della procedura (nella specie ricollegabili ai frutti civili prodotti dal bene pignorato), senza che la sopravvenuta improcedibilità dell’esecuzione (nella specie dovuta alla caducazione del titolo esecutivo) pregiudichi la stabilità di dette attribuzioni patrimoniali. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Tribunale ordinario di Napoli Nord
III Sezione Civile
Il Giudice dell’esecuzione, in persona del dott. Alessandro Auletta,
letti gli atti del procedimento n. 320/2018,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 19.11.2019,
considerato che:
con provvedimento del 28.7.2019 lo scrivente:
- revocava l’avv. * dalla funzione di custode giudiziario;
- autorizzava lo stesso ad utilizzare le rimesse attive giacenti sul conto n. 005490000577900053 per procedere alla prioritaria soddisfazione dei crediti professionali maturati dagli ausiliari del G.E. (tra cui lo stesso custode giudiziario e l’ES);
a seguito dell’integrale caducazione del titolo il debitore faceva istanza per la declaratoria della improcedibilità dell’esecuzione e per lo svincolo delle somme depositate sul libretto n. 48458 (aperto in occasione della intervenuta conversione); chiedeva infine che la liquidazione dei compensi degli ausiliari fosse posta a carico del procedente;
a seguito della comparizione delle parti (conseguente ad errore materiale occorso nella redazione del provvedimento al termine dell’udienza del 5.11.2019) il Giudice si è riservato;
le conclusioni cui giunge la difesa del debitore quanto alla “liquidazione degli ausiliari da porre a carico del creditore procedente” non possono essere condivise;
fermo restando lo svincolo delle somme giacenti sul libretto n. 48458, è infondata la domanda relativa alla liquidazione dei compensi degli ausiliari da porre a carico del procedente;
conducono in tale senso due ordini di considerazioni:
a) nel processo esecutivo il regime delle spese è governato non già dal principio della soccombenza ma dal principio c.d. della tara del ricavato.
In un recente pronunciamento la Corte di Cassazione (5.10.2018, n. 2457) ha opportunamente chiarito, in relazione alla ratio dell’art. 95 c.p.c., quanto segue:
“Il problema, dunque, involge l'analisi della disposizione contenuta nell'art. 95 c.p.c., secondo cui ‘le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti che partecipano utilmente alla distribuzione sono a carico di chi ha subito l'esecuzione, fermo il privilegio stabilito dal codice civile’.
Questa disposizione è collocata nel capo 4^, del titolo 3, del libro primo del codice di rito civile, al pari, in particolare, dell'art. 91 c.p.c., che regola il principio di soccombenza, e diversamente dalle norme rinvenibili, al medesimo riguardo, negli artt. 611 e 614 c.p.c., con riferimento alle esecuzioni per consegna o rilascio ovvero degli obblighi di fare e non fare, situate rispettivamente nei titoli 3 e 4 del libro terzo dedicato al processo di esecuzione.
Più in passato che attualmente, negli studi è stato discusso se la disposizione contenuta nell'art. 95 c.p.c., possa considerarsi applicazione del criterio generale della soccombenza, previsto dall'art. 91 c.p.c., o se, invece, l'esito obbligato del processo di esecuzione escluda la possibilità di configurare un soccombente in senso proprio.
Progressivamente, la prevalente anche se non costante e unanime dottrina appare orientata nel senso che il principio della soccombenza è formulato con riguardo al giudizio di cognizione, vuoi quale declinazione dell'accertamento del diritto, vuoi, in chiave più strettamente procedimentale, quale conseguenza della violazione del regime morfologico o gestorio del processo.
Questi studi concludono, perciò, che la regola generale propria del processo esecutivo è quella per cui le spese sostenute dal creditore procedente o intervenuto debbono restare a carico dell'esecutato, in quanto soggetto al procedimento che ha cagionato.
Nella giurisprudenza di legittimità di questa Corte può dirsi costante l'affermazione per cui nel procedimento esecutivo l'onere delle spese non segue il principio della soccombenza come nel giudizio di cognizione, ma quello della soggezione del debitore all'esecuzione (cfr. da Cass., 28/11/1958, n. 3800, a Cass., 11/10/1994, n. 789, Cass., 08/05/1998, n. 4653, e Cass., 30/06/2011, n. 14504).
Nel primo caso, infatti, la statuizione accede alla verifica processuale della fondatezza della posizione sostanziale quale oggettivamente e soggettivamente pretesa; nel secondo caso, solo in termini descrittivi può parlarsi di soggetto che soccombe rispetto all'azione esecutiva esercitata, mentre, in chiave propriamente ricostruttiva, risulta evidente che la parte subisce l'azione rimanendo incerta solo l'integrale soddisfazione del titolare di quella, ma non la fondatezza della posizione sostanziale sottesa. In altre parole, è vero che il processo esecutivo concreta l'accoglimento di una domanda attraverso un provvedimento giurisdizionale, ma è anche vero che rispetto a quella domanda non vi è compiuta ed effettiva dialettica processuale, ma solo soggezione, al netto di eccezioni come l'esercizio del diritto alla "mera" conversione del pignoramento che confermano "a contrario" quanto appena rilevato; e salvi i giudizi di opposizione che innescano una posizione realmente avversativa alla pretesa in parola ma che, non a caso, sono connessi e però distinti giudizi di cognizione.
3.2. La logica conseguenza di quanto appena focalizzato, sottolineata dai medesimi arresti appena menzionati, è che, salvo eccezioni espresse sulla cui "ratio" ci si soffermerà più avanti, la liquidazione delle spese del giudice dell'esecuzione non può avere contenuto decisorio ma solo di verifica del relativo credito in funzione dell'assegnazione o distribuzione”.
(…).
Da tale pronuncia si evince chiaramente il principio per cui, se il G.E. liquida somme dovute a titolo di spese, queste ultime vanno a gravare, in definitiva, sul ricavato dell’esecuzione; ricavato che può considerarsi composto, giusta la disposizione dell’art. 509 c.p.c., anche dalle rendite o proventi della cosa pignorata.
Non vi è dubbio, quindi, che le somme giacenti sul conto n. 005490000577900053 (ricavate dalla riscossione dei canoni di locazione relativi all’immobile pignorato) fossero un provento distribuibile dell’esecuzione e che il peso economico di tale liquidazione potesse (o addirittura dovesse) gravare recta via, sul debitore.
Quanto a quest’ultimo punto, si rende opportuna l’analisi della questione relativa alla riconoscibilità di crediti prededucibili nell’ambito dell’esecuzione forzata individuale;
b) rileva premettere che la categoria della prededuzione si fonda sul principio di inerenza delle spese all’interesse tutelato, che ispira l’intero sistema della gestione custodiale giudiziaria dei beni.
La custodia dei beni pignorati è funzionale alla tutela dell’interesse dei creditori, attorno al quale l’intero processo esecutivo ruota; le spese collegate alla custodia del bene, considerato tale rapporto di strumentalità, nella distribuzione del ricavato, vengono soddisfatte a preferenza dell’interesse alla cui realizzazione sono funzionali.
Ciò in quanto – come rilevato da una dottrina che non è possibile citare in questa sede, stante il divieto di cui all’art. 118, comma 3, d.a. c.p.c. - “al fine di ottenere un risultato, ovverosia la tutela di quell’interesse alla conservazione per la liquidazione, si deve previamente disporre dei mezzi a ciò necessari; e pertanto, la soddisfazione di quanto necessario a procurarsi tali mezzi, non può che prevalere sulla soddisfazione dei crediti che quegli stessi mezzi sono destinati a tutelare”.
Va da sé che, in virtù del menzionato principio (la cui ratio è stata sinteticamente illustrata), i costi prededuttivi sfuggono alla regola di cui all’art. 2916, n. 3, c.c. secondo cui, salvo espresse disposizioni di legge [si pensi ai costi dell’intervento nell’ambito del procedimento esecutivo], i privilegi non riguardano mai i crediti sorti dopo il pignoramento.
Ciò accade, piuttosto che in virtù di una deroga a tale principio generale, in considerazione del rilievo “procedurale” e non “sostanziale” di tali crediti.
Vero è che con riferimento al processo esecutivo non vi è una norma che chiaramente disciplini (e quindi implicitamente riconosca cittadinanza in tale contesto al) la categoria della prededuzione; norma che invece sussiste con riferimento a diversi altri casi di “gestione liquidatoria”: si ricordino, a mero titolo esemplificativo, l’art. 111 l.f., l’art. 61, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 (c.d. Codice antimafia), 41, comma 3, TUB, l’art. 552, n. 1, cod. nav..
Peraltro, anche nell’ambito delle gestioni liquidative disciplinate dal Codice civile troviamo affermati principi similari con riferimento all’eredità giacente: l’art. 508, comma 3, c.c. con riguardo alla liquidazione dei beni lasciati ai creditori e l’art. 530, comma 2, c.c. con riguardo al pagamento concorsuale effettuato dal curatore dell’eredità giacente annettono alle “spese della curatela” collocazione primaria.
Una parte della dottrina non ha ritenuto la predetta lacuna normativa ostativa al riconoscimento della categoria in esame nel contesto del processo esecutivo.
Più cauto l’atteggiamento della giurisprudenza, ancorata ad un remoto precedente (Cass. 20.7.1976, n. 2875) secondo cui, se i beni pignorati non possono essere custoditi senza spese, queste sono anticipate dal creditore su provvedimento del G.E.; ove tale provvedimento non sia emesso od eseguito, le spese in questione debbono essere sopportate dal custode (ove non si dimetta), che ne potrà chiedere la liquidazione a titolo di rimborso in sede di liquidazione del compenso; in alternativa potranno essere utilizzate, sempre dietro espressa autorizzazione del G.E., le rendite ricavate dalla gestione del bene pignorato; ne consegue, secondo il menzionato precedente, che il custode non può assumere (in quanto titolare dell’Ufficio) obbligazioni con terzi.
Nondimeno, dopo una lunga fase di chiusura può leggersi nel senso del riconoscimento della categoria della prededuzione nel processo esecutivo la prima citata Cass. 22.6.2016, n. 12877.
Intervenuta sul (diverso) tema della individuazione del soggetto tenuto ad anticipare le spese occorrenti alla conservazione del bene nella sua integrità materiale (onde evitarne il perimento) e nel qualificare tali spese come “spese necessarie” del processo esecutivo (ex art. 8, d.p.r. n. 115 del 2002), la S.C. ha rilevato che tali spese, se onorate con i fondi della procedura, risulteranno in senso lato ‘prededucibili’ nel senso che l’importo relativo non entrerà a far parte dell’attivo” (laddove, in caso di loro anticipazione da parte del creditore, saranno da questi recuperate ex art. 2770 c.c.).
Si tratta – in altre parole – del riconoscimento del principio di inerenza sopra indicato che, a sua volta, fonda sulla idea – che trova qualche seguito nella giurisprudenza (Cass. 30.5.2010, n. 7147; Cass. 20.8.1997, n. 7756; Cass. 19.3.1984, n. 1877) – per cui il bene pignorato costituisce “un patrimonio separato, che costituisce centro di impugnazione di rapporti giuridici attivi e passivi”.
Come è stato chiarito in dottrina, “se il compendio pignorato è un patrimonio separato cui devono essere imputati i rapporti obbligatori creati dal suo custode, pare logico concludere che delle obbligazioni non siano chiamati a rispondere in via diretta né il procedente, né l’esecutato, né lo stesso custode, bensì il patrimonio stesso; non si vede, perciò, un ostacolo al riconoscimento, in fase di distribuzione, della prededuzione, categoria – distinta da quella dei crediti ex art. 2770 c.c. (postergati ai crediti in prededuzione) – nella quale dovranno essere incluse tutte le spese di conservazione, amministrazione e, in generale, di custodia afferenti all’immobile aggredito”.
Ebbene, da quanto sopra emerge:
- che le spese del processo esecutivo sono sempre sopportate, in ultima analisi, dal debitore;
- che l’attivo utilizzabile per soddisfare, prioritariamente, le spese del processo esecutivo è composto da tutte le utilità patrimoniali distribuibili ex art. 509 c.p.c.;
- che i crediti maturati in relazione alla gestione del bene possono essere soddisfatti in prededuzione con l’utilizzo di (ipotetici) fondi a disposizione della procedura, senza che la sopravvenuta improcedibilità dell’esecuzione (nella specie dovuta alla caducazione del titolo esecutivo) pregiudichi la stabilità di dette attribuzioni patrimoniali.
Nel caso in esame, pertanto, all’atto della liquidazione degli ausiliari esisteva un valido titolo fondante la procedura, le relative spese sono state fatte gravare, in via di prededuzione, su di un importo che, in caso di diverso esito della procedura, sarebbe stato distribuito al ceto creditorio con detrazione dei crediti prededucibili e di quelli ex art. 2770 c.c. in piena attuazione del principio della tara del ricavato sopra ricordato.
P.Q.M.
a parziale modifica del provvedimento emesso in data 5.11.2019, dichiara l’improcedibilità dell’esecuzione, disponendo lo svincolo delle somme giacenti sul libretto n. 48458, dedotte le spese di chiusura del libretto stesso;
conferma il provvedimento del 28.7.2019 quanto all’utilizzo delle rimesse del conto n. 005490000577900053;
si comunichi.
Aversa, 9.12.2019
Il G.E.
dott. Alessandro Auletta