Diritto della Famiglia e dei Minori
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 23692 - pubb. 06/06/2020
Separazione dei coniugi: la corte d’appello adita in sede di reclamo avverso l’ordinanza del presidente del tribunale non deve statuire sulle spese
Cassazione civile, sez. I, 30 Aprile 2020, n. 8432. Pres. Giancola. Est. Mercolino.
Separazione dei coniugi - Ordinanza presidenziale - Reclamo alla corte d'appello - Liquidazione delle spese - Esclusione - Fondamento
In tema di separazione dei coniugi, la corte d’appello adita in sede di reclamo avverso l’ordinanza del presidente del tribunale, ai sensi dell’art. 708 c.p.c., non deve statuire sulle spese del procedimento, poiché, trattandosi di provvedimento adottato in pendenza della lite, resta riservato al tribunale provvedere sulle spese nella sentenza emessa a conclusione del giudizio anche per la fase di reclamo. (massima ufficiale)
FATTO
1. Con Decreto del 12 febbraio 2018, la Corte d'appello di Brescia ha rigettato il reclamo proposto da A.B. avverso l'ordinanza emessa il 15 luglio 2017, con cui il Presidente del Tribunale di Bergamo, pronunciando ai sensi dell'art. 708 c.p.c., comma 3, nel giudizio di separazione proposto dalla reclamante nei confronti del coniuge C.D., aveva escluso l'obbligo di quest'ultimo di contribuire al mantenimento della ricorrente, aveva posto a suo carico l'obbligo di contribuire al mantenimento dei tre figli nati dal matrimonio mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 400,00 ciascuno, nonchè mediante il pagamento del 50% delle spese straordinarie, ed aveva proceduto alla regolamentazione delle modalità di frequentazione del padre da parte dei figli.
2. Avverso il predetto decreto la B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria.
Il F. non ha svolto attività difensiva.
Con ordinanza del 5 novembre 2019, la Sesta Sezione civile, investita dell'esame del ricorso ai sensi dell'art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, ne ha disposto la rimessione alla pubblica udienza ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., comma 3, ritenendo insussistenti i presupposti per la decisione in Camera di consiglio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, si osserva che nel procedimento di separazione personale dei coniugi il decreto con cui la corte d'appello abbia deciso sul reclamo avverso l'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 708 c.p.c., comma 3, non è impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., nella parte riguardante i provvedimenti temporanei ed urgenti adottati nell'interesse dei coniugi e della prole, dal momento che tali provvedimenti, pur incidendo su posizioni di diritto soggettivo, non statuiscono sulle stesse in modo definitivo, ma hanno carattere meramente interinale, provvisorio e strumentale al giudizio di merito, potendo essere sempre revocati o modificati dal giudice istruttore, ed essendo destinati a rimanere assorbiti nella decisione finale (cfr. Cass., Sez. VI, 20/06/2014, n. 14141; 6/06/2011, n. 12177; v. anche, in riferimento al giudizio di divorzio, Cass., Sez. VI, 15/05/2018, n. 11788). Nella specie, tuttavia, l'impugnazione deve considerarsi ammissibile, avendo ad oggetto il capo del medesimo decreto recante il regolamento delle spese processuali, il quale si configura come una statuizione riguardante posizioni giuridiche soggettive di debito e di credito che discendono da un rapporto obbligatorio autonomo, ed idonea ad acquistare autorità di giudicato (cfr. Cass., Sez. VI, 11/04/2017, n. 9348; 27/02/2012, n. 2986).
2. Con l'unico motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia infatti la violazione degli artt. 91 e 739 c.p.c., censurando il decreto impugnato nella parte in cui, a seguito del rigetto del reclamo, l'ha condannata al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.225,00, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, invece di rinviarne il regolamento all'esito del giudizio. Sostiene che la Corte d'appello non ha tenuto conto del carattere non definitivo del provvedimento, suscettibile di ribaltamento ad opera della sentenza che definirà il giudizio di separazione, osservando che il regolamento delle spese deve dipendere dall'esito complessivo di quest'ultimo, e non già da quello delle sue fasi intermedie. Aggiunge, ad colorandum, che il decreto impugnato ha ingiustamente rigettato il reclamo, avendo dato per assodata la disparità tra i redditi delle parti, ma avendola ritenuta inidonea a giustificare il riconoscimento del diritto al mantenimento in favore della reclamante, ed avendo fatto comunque salvi successivi accertamenti.
2.1. Il motivo è fondato.
La questione in esame ha dato origine ad orientamenti diversi in dottrina e nella giurisprudenza di merito, essendosi evidenziata da parte di alcuni la natura incidentale ed endoprocedimentale del reclamo, il quale costituisce una mera fase del procedimento di separazione e si conclude con un provvedimento destinato anch'esso a rimanere assorbito dalla sentenza pronunciata all'esito del giudizio, ed essendosi valorizzata da parte di altri la natura impugnatoria di tale rimedio, che si svolge dinanzi ad un giudice superiore e conduce ad un provvedimento che definisce il relativo procedimento.
Giova ricordare, in proposito, che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo riconosciuto la natura cautelare dei provvedimenti di cui all'art. 708 c.p.c., comma 3, osservando, con particolare riferimento a quello con cui venga fissato in via provvisoria l'assegno di mantenimento per il coniuge, che lo stesso sotto il profilo sostanziale tiene luogo del mantenimento cui l'obbligato sarebbe stato comunque tenuto in costanza della convivenza, e sotto il profilo processuale esprime l'esigenza propria della tutela cautelare, nella quale è preminente l'interesse pubblico alla conservazione dello status quo, vale a dire, nella specie, alla conservazione del mantenimento fino all'eventuale esclusione di tale diritto od al suo affievolimento in un diritto meramente alimentare, che può derivare solo dal giudicato (cfr. Cass., Sez. III, 1/08/2000, n. 10025; 5/10/1999, n. 11029; 12/04/ 1994, n. 3415; 18/09/1991, n. 9728). In linea più generale, può affermarsi che tali provvedimenti mirano a regolare, per il tempo necessario allo svolgimento del giudizio di merito, quegli aspetti della vita della prole e dei coniugi che troveranno un assetto definitivo nella sentenza emessa a conclusione del giudizio, e ciò al fine di evitare che per effetto della durata del processo i componenti del nucleo familiare vedano pregiudicati i propri diritti. Tale orientamento ha trovato conferma nella nuova disciplina dei provvedimenti cautelari, ed in particolare nell'art. 669-octies c.p.c., comma 8, introdotto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e-bis), convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80 e modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 50, comma 2, lett. a), il quale, prevedendo che l'estinzione del giudizio non determina l'inefficacia dei provvedimenti di cui all'art. 700 c.p.c. e degli altri provvedimenti cautelari anticipatori, anche quando la domanda è stata proposta in corso di causa, ha esteso a tali provvedimenti il carattere di ultrattività in precedenza riconosciuto dall'art. 189 disp. att. c.p.c., ai soli provvedimenti di cui all'art. 708 c.p.c., in tal modo facendo cadere una delle principali obiezioni mosse all'opinione in esame.
L'introduzione, ad opera della L. 8 giugno 2006, n. 54, art. 2, comma 1, dell'art. 708, comma 3, che consente di proporre reclamo avverso i provvedimenti in esame, ha indotto poi ad accostare, pur con le dovute differenze, la relativa disciplina a quella dei provvedimenti cautelari, evidenziando che l'art. 669-septies c.p.c., comma 2 e art. 669-octies c.p.c., comma 7, impongono di provvedere sulle spese del procedimento cautelare soltanto se la domanda venga proposta ante causam, sia in caso di accoglimento che in caso di rigetto o dichiarazione d'incompetenza, mentre nulla dispongono in ordine ai procedimenti promossi in corso di causa, per i quali deve quindi intendersi che il regolamento delle spese debba aver luogo all'esito del giudizio di merito: tali disposizioni, introdotte contestualmente dell'art. 669-octies, comma 8, trovano giustificazione proprio nell'ultrattività del provvedimento cautelare, che consente di evitare l'instaurazione del giudizio di merito al solo fine di ottenere la liquidazione delle spese processuali, ove le parti siano disposte ad accontentarsi della decisione ottenuta ante causam; qualora invece il provvedimento cautelare sia emesso in corso di causa, non vi è necessità di una pronuncia immediata sulle spese del relativo procedimento, il quale s'innesta sul giudizio di merito come una fase incidentale e ne condivide normalmente la sorte, essendo il suo esito destinato a rimanere assorbito dalla pronuncia della sentenza definitiva, fatta eccezione per il caso in cui il giudizio principale si estingua.
Tale disciplina, ritenuta applicabile anche in sede di reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., può rappresentare un utile punto di riferimento anche per il reclamo previsto dall'art. 708 c.p.c., comma 3 e ciò nonostante le profonde differenze riscontrabili tra i due istituti (prime fra tutte la competenza ed il termine per l'impugnazione), che hanno indotto parte della dottrina a ritenere il secondo più agevolmente accostabile al reclamo previsto dall'art. 739 c.p.c., per i provvedimenti in Camera di consiglio, ed altra parte a ravvisarvi un mezzo d'impugnazione del tutto autonomo, dotato di caratteristiche proprie sia rispetto a quello cautelare che rispetto a quello camerale. In particolare, la natura provvisoria dei provvedimenti in questione, destinati anch'essi a rimanere assorbiti dalla decisione di merito, ed il carattere necessariamente incidentale del procedimento preordinato alla loro adozione, non consentita ante causam, consentono di estendere agli stessi le considerazioni svolte in riferimento ai procedimenti cautelari emessi in corso di causa, e ad escludere quindi la necessità di una distinta pronuncia sulle spese, anche in sede di reclamo, dovendo la regolamentazione delle stesse trovare spazio nella sentenza emessa a conclusione del giudizio, la quale dovrà tenere conto, a tal fine, dell'esito complessivo della lite e delle modalità di svolgimento delle singole fasi in cui il processo si è articolato.
7. Il ricorso va pertanto accolto, con la conseguente cassazione del decreto impugnato, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., u.c., con la revoca della condanna al pagamento delle spese processuali.
La novità della questione trattata giustifica l'integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, revoca la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensa integralmente le spese processuali.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell'estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).
Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2020.